mercoledì 1 marzo 2017

LINGUAGGIO E IDEOLOGIA

Per moltissimo tempo il linguaggio è stato indipendente da teorie, ideologie, concezioni del mondo. Adam Smith ha scritto “la ricchezza delle nazioni” usando le stesse parole, le stesse regole grammaticali, sintattiche e semantiche usate da Karl Marx per scrivere “il capitale”. Le profonde differenza fra i due non impediscono ad entrambi di esprimere il loro pensiero nello stesso linguaggio. E non a caso. Il linguaggio mette gli esseri umani in relazione fra loro e col mondo, è qualcosa che precede e rende possibili le scienze, le filosofie e le ideologie.
Certo, varie teorie filosofiche e scientifiche interpretano diversamente le une dalle altre le cose e gli eventi del mondo e questo porta le parole ad assumere una maggior gamma di significati. I significati nuovi tuttavia si affiancano ai vecchi senza eliminarli o renderli incomprensibili. Il “
moto” ad esempio è definito nella fisica galileiana in maniera del tutto diversa che non in quella aristotelica. Ma il nuovo significato non elimina il vecchio ed entrambi fanno riferimento, sia pure in maniera mediata, al linguaggio comune. Proprio questo rende possibile ad un nostro contemporaneo studiare e capire sia il moto di Aristotele che quello di Galileo.
A volte da nuove teorie filosofiche o scientifiche nascono dei neologismi. La teoria della relatività di Einstein, ad esempio, parla di
spazio–tempo per indicare quelli che sono normalmente considerati due enti separati. Questi neologismi mantengono anch'essi però il rapporto col linguaggio comune ed i precedenti significati delle parole. Lo spazio-tempo di Einstein è definibile e spiegabile in un linguaggio in cui i termini “spazio” e “temponon hanno il significato che assumono all'interno della teoria della relatività. E' precisamente questo legame col linguaggio comune ed i significati esterni alla teoria a permettere che la stessa possa essere esposta e compresa, criticata o difesa. Come potrebbe la teoria della relatività essere esposta, criticata o difesa se le parole spazio e tempo fossero definibili nei termini della teoria stessa? Se il significato delle parole è quello che viene espresso in una certa teoria questa diventa inconfutabile, ma anche incomprensibile per chi non la accetti.
Malgrado tutti gli ampliamenti nella gamma dei significati ed i numerosi neologismi che sono sorti nella storia del pensiero e, più in generale, nella vita degli esseri umani il linguaggio ha mantenuto per secoli la sua autonomia rispetto a filosofie, ideologie, teorie scientifiche.
Usare certe parole non voleva dire accettare certe teorie filosofiche, identificarsi con certe concezioni del mondo. Uno scienziato poteva usare la parola “tempo” per criticare la teoria einsteiniana dello spazio-tempo, esattamente come un economista poteva usare la parola “merce” per criticare la teoria marxista secondo cui la merce è la forma cristallizzata ed alienata del lavoro sociale. Proprio questa autonomia del linguaggio ha permesso la discussione, il dibattito, in una parola, la libertà del pensiero.

Con l'avvento, nel secolo scorso dei grandi totalitarismi la situazione ha cominciato a cambiare. Sono iniziati a circolare termini che non
affiancano ma sostituiscono i vecchi, parole nuove il cui significato non è più esprimibile nei termini del linguaggio comune ma che modificano questo linguaggio espellendo le parole vecchie, e proibendone l'uso.
Verso la fine degli anni 20 Giuseppe Stalin decise che i socialdemocratici erano peggio dei fascisti e dei nazisti e così, poco prima della presa del potere da parte di Hitler, coniò il termine “
socialfascismo”.
Il nuovo termine indicava quella cosa che fino ad allora si era chiamata “
socialdemocrazia” e che per tutti stava a significare una dottrina politica che intendeva combinare il socialismo con la democrazia parlamentare. Non si trattava di un termine legato ad una interpretazione, ad un tentativo di spiegare “meglio” la socialdemocrazia. No, si trattava di una definizione. Quella certa cosa, quei certi partiti politici, quei certi esseri umani che fino ad allora si erano chiamati “socialdemocratici” venivano ad essere definiti “socialfascisti”. La socialdemocrazia diventava una “variante del fascismo”. La seconda definizione escludeva ed eliminava la prima, il secondo termine escludeva ed eliminava il primo. E se qualcuno in URSS avesse usato il termine “socialdemocrazia” si sarebbe ritrovato a lavorare a trenta gradi sotto zero, in una ridente località siberiana. Usare il termine “socialfascismo” significava essere comunisti staliniani, l'uso della parola implicava la adesione ad una determinata ideologia e ad un determinato sistema di potere. Certo, accadeva che degli anti stalinisti usassero la parola “socialfascista”. Trotzkij ad esempio sottopose a critica aspra la teoria staliniana del socialfascismo, la stessa cosa fecero uomini politici liberali e socialdemocratici . Tutti questi però quando usavano il termine “socialfascismo” non intendevano riferirsi alla socialdemocrazia ma, appunto, alla teoria staliniana del socialfascismo. Cambiavano il significato della parola, il suo riferimento semantico. Chi invece usava la parola “socialfascismo” per definire partiti ed uomini politici socialdemocratici non poteva che essere stalinista. La sostituzione del termine “socialdemocrazia” col termine “socialfascismo” intaccava la autonomia del linguaggio rispetto a teorie, concezioni del mondo, ideologie. L'uso della parola implicava una adesione ideologica.
Quello del “socialfascismo” è solo un esempio, altri se ne potrebbero fare, ad esempio la distorsione del termine “
ebreo” che, nella ideologia nazista stava ad indicare una “razza pervertita”. Tuttavia bisogna dire che i grandi totalitarismi del secolo scorso dedicarono una attenzione relativamente scarsa al linguaggio ed alla sua trasformazione in senso ideologico. Avevano compiti più impellenti che li impegnavano: la guerra, la "soluzione finale" del "problema" ebraico, la collettivizzazione forzata della agricoltura con la relativa eliminazione del "kulak in quanto classe".

Diciamolo chiaramente, a scanso di equivoci. Ogni paragone fra la situazione odierna e quella che interi popoli hanno dovuto subire al tempo dei grandi totalitarismi non è solo assurdo, ma costituisce un autentico insulto per le decine di milioni di vittime che questi hanno provocato.
Stabilito questo con la massima chiarezza, si può affermare che oggi nelle società ancora, più o meno, democratiche dell'occidente si stanno affermando forme di controllo del pensiero che i grandi totalitarismi avevano usato in maniera solo embrionale. Il controllo del linguaggio, per stare al nostro tema, è oggi molto più capillare e diffuso che non nella Unione sovietica di Stalin o nella Germania Hitleriana. Questo
NON vuol dire, val la pena di ripeterlo, che le attuali società occidentali siano meno libere dell'URSS di baffone o della Germania di baffetto, vuol solo dire che dentro società ancora libere si stanno diffondendo sempre più i germi di una ideologia totalitaria che mira a costruire un nuovo pensiero unico. Per farla breve, le nostre società sono malate, affette da un nuovo tipo di tumore totalitario. Ed il controllo del linguaggio è uno degli aspetti centrali di questa nuova, terrificante, patologia tumorale.

L'occidente del ventunesimo secolo è affetto dal
cancro del politicamente corretto. Stabilire cosa sia e come si sia affermato questo cancro non è oggetto del presente scritto. Telegraficamente si può dire che la diffusione del politicamente corretto è un fenomeno complesso, che agisce contemporaneamente a livello di base e di vertice.
A livello di base la “scoperta” che quella occidentale non è, e non è mai stata, una civiltà “innocente”, che anzi si è macchiata, come altre, di crimini nefasti ha contribuito a diffondere idee e sentimenti anti occidentali. A questo si è aggiunto lo shock del crollo del comunismo. Quel crollo ha lasciato, letteralmente, orfani tanti fanatici dell'assoluto e questi, privi del grande assoluto della loro gioventù, si sono indirizzati verso assoluti più alla mano, in formato ridotto. La accoglienza illimitata, l'ideologia gender, l'ecologismo radicale, la mistica della bontà hanno sostituito la “associazione in cui il libero sviluppo di ognuno è la condizione del libero sviluppo di tutti”.
Ma la diffusione del politicamente corretto è anche un processo rigorosamente di vertice. Oggi il politicamente corretto è l'ideologia ufficiale di importanti partiti politici, grandi imprese multinazionali ed istituzioni finanziarie legate alla mondializzazione; di ampie fasce del mondo intellettuale, dell'industria culturale e dello spettacolo: dall'editoria alle grandi università, dal mondo del cinema a quello dello sport. L'ideologia politicamente corretta domina nelle grandi istituzioni sovranazionali: ONU ed UE in testa, e, nella sua versione terzomondista, è diventata con papa Francesco l'ideologia ufficiale della Chiesa Cattolica.
Esattamente come i grandi totalitarismi il politicamente corretto mira a creare un tipo umano del tutto nuovo, ma deve farlo in paesi e società in cui esistono ancora le istituzioni democratiche e sono riconosciuti ai cittadini i fondamentali diritti civili. Per affermarsi non può quindi ricorrere alla repressione brutale, almeno per ora. Deve condizionare le menti, non incatenarle; per usare l'espressione di Tocqueville deve intrappolare le anime, non torturare i corpi. Può riuscire nel suo intento se crea un nuovo senso comune, un insieme di “valori” in cui gran parte degli esseri umani si riconoscano in maniera così profonda da considerare fuori dalla civiltà i reprobi che insistono nel rifiutarli.
Nelle moderne società liberal democratiche è ammessa l'espressione di tutte le idee e di tutti i valori, è consentita la difesa di tutti gli interessi. Unica, fondamentale, eccezione: sono
vietate le azioni tendenti a distruggere l'altrui libertà e le istituzioni democratiche. Si tratta di quello che possiamo definire il paradigma liberal democratico.
Oggi si cerca di sostituire questo paradigma con un altro. Il
paradigma politicamente corretto. Sono ammesse tutte le idee, i valori e le azioni che non contrastino con l'ideologia politicamente corretta. Qui in Italia, per fare un esempio, si può discutere del referendum costituzionale o della scissione del PD, ma guai a dire che i sessi sono due, o che l'Islam non è una religione di pace, o che i “migranti” sono in realtà “clandestini”. Se lo fai rischi misure repressive ed in ogni caso sei considerato fuori dal consesso civile: un barbaro, un sessista omofobo o un razzista xenofobo. Per farla breve, non sei legittimato. E se per caso vinci alle elezioni subito si scatena contro di te la canea. La gente scende in piazza contro il risultato elettorale, i media ti attaccano 24 ore al giorno, la magistratura cerca di metterti i bastoni fra e ruote.

L'impresa in cui sono impegnati i sacerdoti della ideologia politicamente corretta è complicata. Lo è anche perché questa ideologia fa a pugni con idee, sentimenti, valori radicatissimi nella testa e nel cuore di centinaia di milioni di esseri umani, qualcosa che fa parte della loro
normalità. Non a caso quello di normalità è uno dei concetti più aspramente combattuti dai guru politicamente corretti.
Il controllo capillare del linguaggio è componente essenziale di questa impresa. Il perché lo ha spiegato a suo tempo Orwell:
per controllare la vita degli esseri umani occorre controllarne il pensiero e per controllarne il pensiero occorre controllarne il linguaggio. La tirannide hitleriana e quella staliniana potevano permettersi di dedicare un tempo relativamente scarso al controllo del linguaggio. Avevano a disposizione i lager ed i gulag, i plotoni d'esecuzione, le camere a gas ed i campi di lavoro in amene località situate oltre il circolo polare. I “buoni” dei nostri giorni non dispongono, almeno per ora, di simili mezzucci. La loro dittatura deve affermarsi in maniera soft. Non sono in grado di reprimere chi si ostina a non accettare la loro ideologia, quindi devono prevenire i suoi comportamenti, rendere inesprimibili i suoi pensieri. Per questo devono controllare il linguaggio in maniera diffusa, capillare, totale.
Quello che accade sotto i nostri occhi è un fenomeno quasi senza precedenti nella storia: la perdita di autonomia del linguaggio rispetto a filosofie, visioni del mondo, ideologie. I grandi totalitarismi del secolo scorso la avevano solo anticipata in maniera frammentaria, il cancro politicamente corretto la sta mettendo in atto in settori sempre più vasti della vita sociale. Si diffonde sempre più una neolingua che per il solo fatto di essere parlata implica la adesione alla ideologia politicamente corretta. La orribile distopia linguistica di Orwell si sta affermando ai giorni nostri in maniera sempre più diffusa. Cresce una lingua che se si dovesse universalmente affermare renderebbe impossibile la semplice formulazione di pensieri eretici.
Scrive Orwell in “
1984”:
Chiunque fosse cresciuto conoscendo soltanto la neolingua non avrebbe saputo più che la parola uguale significava anche “uguale da un punto di vista politico”; o che prima libero significava “intellettualmente libero”; allo stesso modo in cui una persona che non conoscesse il gioco degli scacchi non avrebbe saputo dei significati secondari annessi alle parole regina o torre. Ci sarebbe stata tutta una serie di crimini che non avrebbe potuto commettere, per il fatto stesso che mancavano i termini atti a definirli e che quindi erano inimmaginabili”.
La neolingua politicamente corretta, come la neolingua orwelliana, toglie al pensiero eretico le parole con cui esprimersi e nel contempo impone ai parlanti, per il solo fatto di essere usata, la adesione alla ideologia a partire dalla quale è stata costruita.

A prima vista potrebbe sembrare che quanto abbiamo detto sia eccessivo, che si tratti di esagerazioni o suggestioni letterarie. Chi scrive sarebbe il primo a gioire per aver esagerato o essersi fatto suggestionare. Le cose però, forse, non stanno proprio così.
Vediamo di fare qualche esempio. Come si sa l'ideologia gender sostiene la non esistenza o comunque la non rilevanza dei sessi. Il sesso non riguarda la natura delle persone e non è una loro caratteristica ontologicamente rilevante. E' una
costruzione sociale ed, oggi, una scelta. Coerentemente con questa ideologia i guru del “gender” rifiutano parole come “padre” e “madre” e premono perché vengano sostituite da orridi neologismi come “genitore uno e due”. Qualcuno addirittura vorrebbe che non si parlasse di “donne incinta” ma di “gente incinta”.
Ora, potrebbe chi non condivide l'ideologia gender parlare usando termini come “gente incinta” o “genitori uno e due”? Evidentemente
NO. Il solo fatto di usare parole come “genitore uno” implica la adesione alla ideologia gender e rende impossibile qualsiasi critica della stessa.
Considerazioni analoghe possono farsi per parole come “
clandestino”, “profugo” o “richiedente asilo”.
Per i teorici della illimitata accoglienza chiunque arrivi qui da noi è un “profugo” o, al massimo, un “richiedente asilo”. Può essere entrato illegalmente, non avere con se uno straccio di documento, non declinare le proprie generalità, rifiutarsi di dire da dove viene, addirittura dileguarsi non appena tocca terra, non conta: è arrivato sui barconi quindi è un “richiedente asilo” o un “profugo”, di certo
non è un clandestino. Dietro all'uso generalizzato di simili parole sta la concezione secondo cui i confini sono una inutile ed ingiusta anticaglia, che tutti, specie se vengono da zone povere del pianeta, hanno il diritto di stabilirsi dove meglio credono e chi vive in zone ricche o meno povere ha il dovere incondizionato di accoglierli.
I clandestini sono,
sempre, assimilati ai profughi. Ora, è chiaro che chi usa in questo senso le parole “profugo” o “richiedente asilo” non può non accettare la concezione del mondo che queste sottintendono. Ed è chiaro che non si può criticare una simile concezione del mondo se si usano parole come “profugo” o “richiedente asilo” nello stesso modo in cui queste vengono usate dai guru del politicamente corretto. Di nuovo, l'uso di certe parole, o il suo uso in certi contesti, determina la adesione ad una determinata ideologia e rende impossibile qualsiasi critica della stessa.
Si potrebbe continuare. L'uso di parole come “
sindaca” o “femminicidio” implica la adesione ideologica al femminismo radicale; tutti i termini e le espressioni tendenti ad umanizzare il mondo animale o, più in generale, non umano, ad esempio: “la terra è gravemente ammalata”, implicano la adesione alle varie forme di misticismo ecologico; termini come “diversamente abile” o “normodotato” non possono essere usati da chi rifiuti l'ideologia secondo cui la malattia e la disabilità non esistono come tristissimi fenomeni naturali ma solo come perverse costruzioni sociali. Ed ovviamente chi usa simili termini non può sottoporre a critica seria le ideologie che questi sottintendono.

L'imposizione della neolingua è parte di un processo tendente ad imporre ovunque l'ideologia politicamente corretta. L'imposizione di questa ideologia non dovrebbe distruggere radicalmente le istituzioni democratiche e le libertà, ma restringerle in quello che si è definito il “paradigma politicamente corretto”. Una forma di democrazia super limitata garantita dal controllo capillare del pensiero tramite il controllo capillare del linguaggio.
Ma, è davvero realistica una simile prospettiva? E' possibile che un controllo tanto capillare del pensiero, del linguaggio e quindi della
vita degli esseri umani possano essere realizzati in maniera soft, mantenendo in vita le istituzioni democratiche e continuando a consentire a tutti il godimento dei fondamentali diritti civili? Basta porre la domanda per avere la risposta, e la risposta è NO.
Nella distopia orwelliana il controllo sociale non è assicurato solo dalla neolingua, al contrario, la affermazione della neolingua è resa possibile da un livello elevatissimo di controllo sociale e questo si realizza primariamente con la repressione. Il protagonista di 1984 giunge ad “amare”, alla fine, il grande fratello, ma questo “amore” è indotto in lui dalla macchina del dolore. La propaganda può conquistare molte menti, ma affinché la propaganda sia davvero efficace occorre che ogni voce dissenziente sia tacitata e per questo occorrono le carceri ed i campi di lavoro forzato, le torture ed i plotoni d'esecuzione. Si elimini la violenza, la violenza diretta e brutale, e la struttura imponente dei grandi totalitarismi inizia a scricchiolare.
Nel decadente occidente di oggi la propaganda politicamente corretta è continua ed asfissiante, ma non sempre molto efficace. E' vero, i programmi ministeriali vorrebbero trasformare la scuola in un ufficio di propaganda, ma esistono professori che non ci stanno a fare i propagandisti, ed a loro si uniscono spesso i genitori degli studenti e questo rompe le uva nel paniere a molti guru. E' vero, i media sfornano propaganda da quattro soldi di continuo, ma finché esisterà la democrazia politica ci saranno voci dissenzienti in grado di rovinare il lavoro di molti pennivendoli. In più c'è la rete, ed in rete girano, accanto a molte idiozie, voci non allineate, e questo fa diventare verdi di rabbia i suddetti pennivendoli.
E' vero, nei programmi TV tutti o quasi usano parole come “genitori uno e due” o “normodotato” e si parla di tutti i migranti come di “profughi”, ma le persone normali nella vita di tutti i giorni neppure sognano di usare certi termini e fanno discorsi ben diversi sui migranti. La vita è qualcosa di ben più ampio di un telegiornale o di un talk show in cui alcuni bellimbusti sparano cazzate a raffica. I cervelli degli esseri umani non sono poi tanto facili da conquistare.

E così l'ideologia politicamente corretta deve ricorrere, per affermarsi, a strumenti coercitivi, diciamo così, tradizionali. Non basta bombardare i telespettatori di orribili neologismi, questi devono diventare
obbligatori, e le vecchie parole devono essere proibite. La lega Nord si è vista multare di 14.000 euro per aver definito “clandestini” i migranti. Potrebbero presto verificarsi altri simili scandalosi episodi. Ma non basta. Nel codice penale vengono introdotti nuovi misteriosi reati: l'islamofobia ad esempio. Chissà, fra un po' chi parlerà di “terrorismo islamico” rischierà di ritrovarsi alla sbarra, insieme a chi ha qualche dubbio sul fatto che davvero l'Islam sia una religione di pace. E accanto alla islamofobia è stata inventata l'omofobia e c'è chi preme perché sia fatta in tutta fretta una legge che la riguardi. Così un cattolico che si azzardasse a dire, a torto o a ragione, non è questo il punto, che l'omosessualità è un peccato mortale rischierebbe di trovarsi, anche lui, sotto processo. E da tempo si sta tentando di mettere il bavaglio alla rete, con la scusa delle “bufale”, come se i primi diffusori di bufale o, peggio ancora, di notizie tendenziose, presentate in maniera fuorviante e faziosa, non fossero proprio i vari TG.
Ma non solo di questo si tratta. Ad essere nel mirino è da tempo lo stesso suffragio universale. La vittoria della brexit prima e di Trump dopo ha suscitato reazioni isteriche da parte dei fanatici del politicamente corretto. Tentativi di invalidare il referendum, manifestazioni di protesta contro il responso delle urne, storielle di hacker, pressioni sui grandi elettori. Soprattutto un coro di proteste chiaramente espresse contro il
concetto stesso di suffragio universale. Il popolo non può decidere su questioni come la permanenza in Europa, è stato detto dopo la brexit. Un po' come dire che, se il mio matrimonio entra in crisi, io non posso decidere se continuare a convivere con mia moglie o chiedere il divorzio. Hanno votato brexit e Trump un branco di ignoranti, vecchi campagnoli xenofobi e razzisti. Il voto di questa gente non può essere messo sullo stesso piano di quello dei giovanotti coltissimi e raffinati che hanno votato contro la brexit in Gran Bretagna o per Hillary Clinton negli Usa. Insomma, il suffragio universale va benissimo se vinco io, è merda se vinci tu. Del resto, già ora i parlamenti hanno sempre meno poteri, spesso si riducono a ratificare decisioni che altri hanno preso, basta pensare, per rendersene conto,alla UE ed alla commissione europea.
Commette quindi un errore molto grave chi pensa che la democrazia e le fondamentali libertà civili siano al sicuro, che rischiamo al massimo di dover ascoltare qualche idiozia di troppo nei vari TG o di dover convivere con neologismi stupidi come “sindaca” o “ministra”. No, le cose sono assai più gravi. Il politicamente corretto mira a creare una società ed un tipo umano radicalmente diversi dagli attuali; i sui sostenitori sono spesso degli autentici fanatici, fermamente convinti non tanto di avere ragione, quanto di essere i detentori di una verità indiscutibile, assoluta e, nel contempo, i portatori del sommo bene, da imporre costi quel che costi agli esseri umani. Se riescono nel loro intento usando solo le armi della propaganda e della pressione psicologica bene, se invece gli uomini si dimostrano tanto stupidi e perversi da rifiutare ciò che i nuovi angeli loro propongono si cercherà di metterli in riga usando mezzi più “convincenti”. Il cancro politicamente corretto crea di continuo nuove metastasi e non accetta che alcun anticorpo possa impedirne lo sviluppo. Viviamo ancora in società, più o meno, democratiche e, più o meno, libere. Ma il tumore da cui siamo affetti mette in grave pericolo la libertà e la democrazia, può distruggerle. E' bene saperlo.