venerdì 7 febbraio 2014

SUL MATRIMONIO GAY





Per i liberali contano gli individui prima dei gruppi. Tizio è prima di tutto appartenente al genere umano e solo subordinatamente maschio o femmina, bianco o nero, etero od omosessuale. E in quanto individui tutti noi abbiamo certi diritti che nessuno ci può, ne ci deve, togliere. Nessuno ci può privare della vita e della libertà, può espropriare arbitrariamente i nostri beni, attentare alla nostra incolumità. Chi lo fa si pone al di fuori della morale e del diritto. Su queste cose un liberale non può che concordare, ovviamente. Molti partono da queste premesse abbastanza condivise per affrontare la questione dei diritti degli omosessuali, in particolare il diritto a contrarre matrimonio e ad adottare figli. Se tutti in quanto persone abbiamo certi inalienabili diritti perché mai, affermano, un omosessuale non deve avere il diritto di sposarsi con una persona dello stesso sesso? Non si avalla in questo modo una nuova, grave, forma di discriminazione? Francamente penso di no, Perché?

Una precisazione, innanzitutto. Il diritto a fare X non significa diritto di determinare cosa sia X.
Vediamo di precisare. Io ho il diritto di partecipare ad un certo concorso, ma non di determinare la materia del concorso, né i requisiti per potervi partecipare; ho il diritto di voto, ma non di determinare i contenuti della legge elettorale o i programmi dei vari partiti. Un gay ha il diritto di sposarsi, ma non di stabilire cosa sia il matrimonio. Per la legge di molti stati, ad esempio, il matrimonio è l'unione giuridicamente regolamentata fra un uomo ed una donna. Chiedendo il diritto di potersi sposare con persone dello stesso sesso i gay non chiedono di potersi sposare, possono già farlo, se se la sentono di sposare una persona di sesso diverso, chiedono in realtà di modificare la natura del matrimonio, il che è una cosa del tutto diversa. E' giusto farlo? Se ne può discutere, ovviamente, ma non si cerchi di presentare la proposta di modifica dell'istituto matrimoniale come la rivendicazione di un diritto di cui si sarebbe privati.

Ma, andiamo avanti. Noi tutti abbiamo gli stessi diritti fondamentali, ma da ciò non segue che tutti abbiamo gli stessi diritti riguardanti tutti gli aspetti della vita. Certi diritti sono subordinati alla presenza negli individui di certe caratteristiche fisiche. Se voglio fare il pugile, devo superare certi controlli medici, se non li supero non potrò fare a botte sul ring. Ed ancora, se sono un uomo non potrò pretendere di partecipare come indossatore ad una sfilata di moda femminile. Potrò sfilare in passerella solo se la casa di moda a cui mi rivolgo produce anche abiti per uomini. Ed un uomo non potrà rivendicare il diritto al congedo per maternità di cui godono le donne in stato interessante, né pretendere di fare la balia. E' “discriminatorio” tutto questo? NO, ovviamente, è solo sensato. L'uguaglianza fondamentale che ci deriva dal fatto di essere tutti membri del genere umano non annulla le nostre particolarità, né le conseguenze che queste anno su molti aspetti della nostra esistenza.

Ma la considerazione più importante è un'altra. Dal fatto che tutti gli esseri umani siano persone libere, cui devono essere garantiti alcuni diritti fondamentali, non deriva che tutte le relazioni fra gli esseri umani abbiano la stessa rilevanza sociale e debbano essere giuridicamente regolamentate e tutelate nello stesso modo. Esistono, per fortuna, moltissime relazioni fra gli esseri umani che la legge non regolamenta in alcun modo e che sono lasciate alla libera ed autonoma iniziativa di ognuno di noi. Non solo questo è un bene, ma sarebbe bene che l'area di queste relazioni libere si ampliasse sempre di più. La pretesa di regolamentare tutto per legge, di sottoporre ogni tipo di rapporto fra le persone a vincoli e norme è quanto di più autoritario e di meno liberale si possa immaginare. Due amici possono volersi un gran bene e la loro relazione può essere molto più bella e profonda che non quella che intercorre fra molti mariti e molte mogli, eppure nessuna legge la regola. E' un gran bene che sia così.
Esistono poi relazioni, poche in verità, che, anche se non basate sulla violenza (quelle sono
crimini in una democrazia liberale) sono comunque vietate, o sottoposte a limiti di varia natura, perché le si ritiene, a torto o a ragione, degradanti o dannose per la società, ad esempio, le relazioni incestuose o quelle fra prostitute e loro clienti.
Ed esistono infine relazioni cui viene riconosciuta una importante funzione sociale, che vengono regolamentate dalla legge e da cui sorgono particolari diritti e doveri. Il matrimonio è una di queste, la più importante di tutte, probabilmente. Si potrà discutere su quali relazioni regolamentare e quali no, ed in che modo regolamentarle, ma che
non tutte le relazioni fra gli esseri umani siano giuridicamente sullo stesso piano è un fatto che non può ragionevolmente essere messo in discussione.

Il matrimonio è una relazione regolamentata dalla legge, che da vita a precisi diritti e doveri. Il punto è: perché si deve considerare matrimonio solo l'unione di un uomo e di una donna? Perché questo privilegio riservato alle unioni fra persone di sesso diverso? La risposta è piuttosto semplice:
le relazioni fra uomo e donna sono strettamente legate a quel fatto di enorme importanza sociale che è la riproduzione della specie umana, ed alla connessa educazione dei figli. Per questo non sono, non possono essere, assimilate giuridicamente a diversi tipi di relazioni che pure non devono in alcun modo essere criminalizzate.Non intendo dire, sia ben chiaro, che le sessualità sia sempre e comunque legata alla procreazione, questa sarebbe una sciocchezza. Intendo dire una cosa del tutto diversa, e cioè che ha senso sottoporre a regole, con relativi diritti e di doveri, solo quel tipo di sessualità che è legato, almeno potenzialmente, alla procreazione; ha molto meno senso invece sottoporre a regole, istituire diritti e doveri per altre, diverse forme di sessualità. Tutto qui. Molto poco, è vero, ma molto, molto importante.

A questo punto è possibile una obiezione. Il legame fra sesso e riproduzione della specie ormai è estremamente allentato, si potrebbe dire. Una coppia può prendere un figlio in adozione, o ottenerlo con tecniche di riproduzione assistita, addirittura potrebbe essere possibile, in un futuro abbastanza prossimo,
produrre i figli in provetta, con caratteristiche conformi a quanto i genitori, o, perché no, le pubbliche autorità auspicano. In questo modo l'obiezione contro i matrimoni gay verrebbe a cadere. Personalmente ritengo invece che siano proprio obiezioni di questo tipo a dare ancora più ragione chi avanza molti dubbi sulla desiderabilità di un simile tipo di matrimoni.
Cominciamo con la “produzione” dei figli in provetta. Pensare che un simile tipo di “produzione” sia applicabile a livello di massa è una ipotesi abbastanza fantascientifica, ma, ammettiamo pure che una cosa simile sia possibile, sarebbe per questo anche
desiderabile? O eticamente accettabile? Penso di NO. Non intendo qui entrare nel dibattito sulla natura dell'embrione o di quali possano essere i suoi diritti. Mi limito a prendere in considerazione le persone già nate, addirittura adulte.
Ognuno di noi è dato, non si è fatto da solo; non ha deciso di nascere né ha stabilito quali debbano essere le sue caratteristiche. Posso essere venuto al mondo perché vincente alla spietata lotteria della natura o perché un altro essere umano ha deciso di “costruirmi” in provetta, la mia datità non cambia di un grammo. Però, per me, per me persona adulta e pensante, non è la stessa cosa esserci ed essere come sono perché così ha stabilito la lotteria della natura o perché Tizio mi ha costruito quando e come
lui ha creduto valesse la pena di farlo. Io ho diritto alla mia datità, non voglio che un altro possa aver deciso della mia nascita e delle mie caratteristiche. Il giusto, sacrosanto diritto che l'uomo ha di modificare l'ambiente circostante trova qui un limite insuperabile. Io non sono una semplice parte di quell'ambiente, nessuno mi può togliere il mio essere dato. Si superi questo limite e si apre la strada alle peggiori derive totalitarie.
Il discorso sulla adozione e sul ricorso a pratiche di riproduzione assistita è diverso, ovviamente. Però, è fin troppo evidente che simili pratiche sono possibili ed auspicabili finché rappresentano delle
eccezioni. La tal coppia vorrebbe un figlio, non può averlo e ne adotta uno, o ricorre all'aiuto della scienza, nulla da obiettare, ovviamente. Ma, che succederebbe se ad adottare bambini fosse la maggioranza, o anche solo una consistente minoranza degli esseri umani? Molto semplicemente, il mondo si dividerebbe fra chi adotta dei figli e chi fornisce loro i figli da adottare. Da un lato padri e madri che non vogliono i loro figli, dall'altro persone che vogliono bambini senza però volerli generare, o donne che affittano l'utero o uomini che donano lo sperma. Una situazione non troppo auspicabile.

Il matrimonio cosiddetto “tradizionale” si basa sul legame fra amore, sesso e, per chi vuole avere figli, riproduzione. La riproduzione a sua volta è legata ad un desiderio atavico degli esseri umani: lasciare nel mondo qualcosa di se, una traccia vivente della loro esistenza. Un figlio è qualcosa di noi che continua anche quando il nulla ci ha assorbiti, e dà, forse, un senso all'esistere. Ora, sono precisamente questi legami che si spezzano nel matrimonio gay. Tizio ama Caio a fa sesso con lui ma nessuno di loro può avere un figlio, però hanno “desiderio di paternità” quindi, inseriscono il loro sperma (quello di Tizio o quello di Caio?) nell'utero di Anna e diventano “padri”. Che conseguenze sociali può avere un simile tipo di “genitorialità”? Quali ne avrà sulla educazione di fanciulli, sul loro sviluppo psicologico? Non sono uno psicologo e non sono in grado di commentare le posizioni dei vari psicologi su simili argomenti. Alcuni dicono una cosa, altri un'altra. E' vero che in una coppia omosessuale può regnare un clima molto migliore di quello che regna in molte coppie eterosessuali, però, i sessi sono diversi, e non solo dal punto di vista fisico, ed avere come riferimento nella crescita sia una figura maschile che una femminile è meglio che essere privi di una delle due. Tutte le dotte, e a volte leggermente sofistiche, argomentazioni del mondo non potranno confutare una verità tanto elementare.

Ognuno ha diritto a vivere la propria sessualità come meglio crede, tranne che in rapporti fondati sulla violenza o che coinvolgano i minori. Ed ognuno ha diritto di convivere con chi gli pare. Personalmente non mi sogno neppure di contestare questi
sacrosanti diritti. Ma avere il diritto di soddisfare come meglio si crede le proprie pulsioni sessuali, e di convivere con chi si desidera, non implica che ogni tipo di rapporto sessuale possa essere regolamentato dal matrimonio, o che ogni tipo di convivenza sia assimilabile alla famiglia. Sono gli stessi teorici dei matrimoni gay a confermare questa verità. Nel momento stesso in cui cercano di rendere socialmente equivalenti tutte le forme di sessualità ed i tipi di convivenza, questi teorici parlano esplicitamente di matrimonio gay come di un istituto giuridico che da valore legale all'unione di due persone dello stesso sesso. La domanda che sorge spontanea è: “perché due?” Se tutti i tipi di convivenza sono assimilabili alla famiglia e tutte le forme di sessualità non violenta sono meritevoli dello stesso riconoscimento giuridico perché non si dovrebbero unire in matrimonio tre uomini o quattro donne? O due donne e tre uomini? Perché chi ama il sesso collettivo deve essere discriminato rispetto a chi preferisce il rapporto di coppia, sia questa omo ed eterosessuale? Ed ancora, se per un bambino è la stessa cosa avere due padri, o due madri, invece che un padre ed una madre perché non dovrebbe essere per lui la stessa cosa avere tre padri, o quattro madri? Perché, in nome della lotta alla “discriminazione”, si deve parlare di genitori uno e due e non di genitori tre, quattro, cinque? In realtà nessuno può seriamente equiparare alla famiglia tutte le diverse, e lecite, forme di convivenza, né può seriamente pensare di equiparare il peso sociale di tutte le diverse, ed altrettanto lecite, forme di sessualità. Chi cerca di farlo non riesce ad essere davvero coerente con se stesso, e si avvolge, non a caso, in inestricabili contraddizioni.

La richiesta sempre più pressante del matrimonio gay, con conseguente diritto di adottare figli, fa parte di una tendenza culturale assai diffusa ai nostri giorni che mira alla svalutazione radicale della differenza sessuale. A contare sono gli individui, si afferma a ragione, “quindi” le varie differenze fra gli individui, quella sessuale soprattutto, sono prive di rilevanza. I ragionamenti dei “politicamente corretti” che reclamano il matrimonio omosessuale possono essere riassunti in un sillogismo di questo tipo: “
a contare sono gli individui, alcuni individui non sono maschi (o femmine) quindi essere maschi o femmine non conta”. Si tratta però di un sillogismo che avrebbe fatti fremere di indignazione Aristotele. E' vero, a contare sono gli individui, ma ogni individuo è tale nell'insieme delle sue particolarità. Sono le particolarità di Tizio a fare di lui l'individuo che egli concretamente è. Tizio ha una dignità, un valore, dei diritti fondamentali ed inalienabili indipendentemente dal fatto di essere sano o malato, ma da ciò non segue per niente che l'essere sano o malato sia privo di valore per Tizio, non influisca in maniera pesantissima sulla sua esistenza. Considerazioni analoghe possono farsi sul sesso. Il sesso è forse la caratteristica prima di ogni individuo, determina molto del suo aspetto fisico e della sua psicologia, influisce sulla sua vita. Eppure oggi questa caratteristica viene sempre più svalutata. Il sesso viene visto solo nel suo aspetto ludico, non più caratteristica essenziale degli individui ma sorta di “macchina del piacere” che conta solo quando ognuno di noi effettua qualche gioco erotico. Evidentemente, se il sesso è solo questo tutte le forme di sessualità sono davvero sullo stesso piano. Il rapporto di coppia è solo un gioco sessuale che può piacere o non piacere, come piacere o non piacere possono il sesso solitario, quello di gruppo, quello fra uomo ed uomo, donna e donna. Nel momento stesso in cui non si fa che parlare di sesso, il sesso di fatto scompare: il suo rapporto con la riproduzione viene negato, la sua stessa rilevanza fisica e psicologica radicalmente svalutata. Anche il sesso viene coinvolto nel vortice del relativismo: si crede che  possa diventare la conseguenza di una scelta, una scelta molto pesso legata all'effimero. Nel lungo periodo le conseguenze di questa radicale svalutazione del dato della sessualità non possono essere che che una disgregazione sociale molto accentuata.
Vorrei sbagliare ma l'occidente sembra diventare sempre più il regno del banale, del leggero, una civiltà incapace di discutere dei grandi temi, delle opzioni fondamentali che ci stanno di fronte ed impegnata invece di continuo in un chiacchericcio privo di senso. Una civiltà corrosa dal relativismo, in cui ci si indigna a volte per delle sciocchezze e si resta indifferenti di fronte ad eventi che dovrebbero scuotere ogni coscienza. Putin ha promulgato una legge, discutibile, che vieta la propaganza omosessuale in presenza di minori, e c'è chi ha fatto appello al mondo perché "insorga" contro tale obbrobrio. Nei paesi islamici invece i gay rischiano la forca, le donne la lapidazione e la fustigazione, gli apostati la pena di morte e nessuno dice nulla, in nome del relativismo culturale. Sarebbe una tragedia storica di immane portata se questa insostenibile leggerezza dell'occidente fosse il preludio di una crisi verticale della nostra grande, gloriosa civiltà.