venerdì 27 settembre 2013

LA SOCIETA' UNISEX



Facciamo un po' di chiarezza, così, alla buona.

Una cosa è avere il diritto di vivere come si vuole la propria sessualità, cosa del tutto diversa è considerare tutte socialmente di egual rilevanza le varie forme di sessualità. Tutte le forme di sessualità che non arrechino danno ad altri, che non siano basate sulla violenza e sulla prevaricazione e non abbiano carattere pedofilo, sono lecite. Ma non tutte le varie forme di sessualità sono socialmente sullo stesso piano. Si possono fare le stesse considerazioni per le varie forme di convivenza fra esseri umani, sia o non sia questa convivenza legata alla sessualità.

Tizio riesce a provare piacere sessuale solo masturbandosi; non lo si può certo considerare per questo un criminale. Tizio ha tutto il diritto di non sposarsi, di non avere rapporti sessuali con nessuno e di soddisfarsi solo con la masturbazione e le connesse fantasie erotiche.
Ma, è sensato dire che Tizio forma una famiglia di una sola persona? E' sensato estendere a Tizio eventuali misure prese a sostegno della famiglia? La sessualità di Tizio, libera, liberissima, ha, per il fatto di essere libera, la stessa rilevanza sociale di altre forme di sessualità, collegate alla riproduzione della specie? Basta porre correttamente la domanda per avere la risposta.

Caio vive con tre amici. Non esistono fra loro rapporti sessuali, sono “solo” buoni amici e vivono bene insieme. liberissimi di farlo, ovviamente. Ma, Caio e i suoi tre amici sono una “famiglia”? Possono adottare figli che avranno non due ma quattro genitori, tutti dello stesso sesso? Di nuovo, la risposta sembra piuttosto ovvia.

Sempronio è gay e vive con Paolo. libero farlo, ovviamente. Sempronio e Paolo vogliono soddisfare il loro “desiderio di paternità” e, che fanno? Sempronio fa iniettare il suo seme nell'utero di Laura, una volta che Laura avrà partorito consegnerà il bimbo a Paolo e Sempronio che diventeranno “genitori”. Considerazioni analoghe possono farsi per Maria che è gay e vive con Luisa. Maria si farà iniettare nell'utero il seme di Ubaldo e diventerà madre. Queste situazioni sono “normali”? Con tutta la buona volontà, e senza essere assolutamente un “bacchettone”, non credo.

La grande mistificazione che sta dietro al dibattito sulla “omofobia” è che si cerca di spacciarla come una difesa dei diritti e delle libertà. NON E' COSI'. Ciò che si cerca di far passare non è la difesa di certi diritti, che nessuno, o pochissimi, contestano. La verità è che si vuole imporre a tutti un certo modello di società, dei rapporti fra i sessi e più in generale fra le persone. Chi non è d'accordo con questo modello viene subito bollato come omofobo, additato al pubblico disprezzo come un intollerante, una persona che non rispetta gli altrui diritti, addirittura lo si vorrebbe perseguire legalmente. Questo è l'attentato ai diritti ed alle libertà che si cela dietro la campagne strumentali sulla “omofobia”.
E, quale sarebbe il modello di società che gli inquisitori politicamente corretti vorrebbero imporci? Lo si può definire in due parole: SOCIETA' UNISEX. Una società in cui la differenza sessuale non abbia più alcuna rilevanza ed in cui i rapporti fra gli esseri umani possano in toto prescindere da questa differenza. Non ci si limita a ribadire, cosa assolutamente giusta, che tutti gli esseri umani, maschi, femmine o gay che siano, hanno gli stessi diritti e la stessa dignità. No, si vuole stabilire che le particolarità sono prive di importanza, che, siccome siamo tutti persone, le differenze fra persone, e nessuna differenza è tanto basilare come quella sessuale, sono prive di rilevanza sociale.

Le donne partoriscono, hanno utero e mammelle; gran parte, se non tutte, le differenze fisiche e, probabilmente, anche psicologiche fra uomo e donna dipendono dal diverso ruolo che questi hanno nella riproduzione della specie. Tutte sciocchezze, sentenziano i Torquemada del politicamente corretto. Maschi e femmine sono interscambiabili nei ruoli di padre e madre. Paternità e maternità cessano di essere qualcosa di diverso e complementare per venire ad identificarsi, meglio, annullarsi nell'universo unisex.
Ed ancora. Di solito (lo sottolineo, non sempre, di solito) i maschi hanno maggior potenza muscolare delle femmine. Questo non piace, sembra “discriminatorio”, ai sacerdoti della nuova religione politicamente corretta. Maschi e femmine hanno la stessa dignità e gli stessi diritti “quindi” devono (DEVONO) avere la stessa forza fisica. Dando mostra di una idiozia degna di miglior causa coloro che propagandano sui media il politicamente corretto identificano il valore di una persona con la potenza dei suoi muscoli, col risultato che in ogni film d'azione, specie se americano, vediamo all'opera smilze ragazzine che riempiono di botte enormi e super muscolati maschiacci. Se le cose stessero davvero così non mi dispiacerebbe: non sarebbe male che chi ha sempre subito violenza rendesse pan per focaccia. Però il tutto mi sembra leggermente ideologico.
Si potrebbe continuare. L'immagine che viene costantemente propagandata dai media è quella di una società in cui la differenza maschio-femmina diventa ogni giorno più marginale. Un tempo, per fare solo un esempio, si rivendicavano strutture che aiutassero le madri a conciliare maternità e lavoro, oggi si guarda con sospetto a simili politiche perché sarebbero “discriminatorie”. Perché aiutare le madri? Un simile atteggiamento non sancisce in fondo una differenza inaccettabile? Il vero obiettivo è eliminare la differenza, non fare in modo che questa non diventi fattore di emarginazione sociale. Senza neppure rendersene conto molte femministe politicamente corrette distruggono in questo modo proprio l'identità femminile, trasformano la donna in una brutta copia, o in una ridicola caricatura, dell'uomo.

Il ruolo sociale della famiglia composta da un uomo ed una donna è legato, dovrebbe essere ovvio, a quella cosetta di scarsa rilevanza sociale che è la riproduzione della specie umana. Sottolineare questo fatto non significa sostenere l'idiozia secondo cui si fa sesso  solo pensando ai figli che, forse, arriveranno. Di solito quando si fa sesso si pensa alla riproduzione più o meno nella stessa misura in cui si pensa al metabolismo quando si mangia. Però, così come l'atto del mangiare è legato alla conservazione della vita, l'atto sessuale è legato alla sua riproduzione, e questo un minimo di rilevanza sociale la ha, piaccia o non piaccia la cosa. Nella famiglia cosiddetta “tradizionale” dovrebbe realizzarsi l'unione di amore, sesso e riproduzione. Spesso queste strade divergono e non c'è da scandalizzarsene: ci può essere sesso senza riproduzione, sesso senza amore ed anche amore senza sesso; si possono amare persone diverse, sia in momenti diversi della vita che nello stesso momento, è sempre accaduto e continuerà ad accadere. Ma i teorici della società unisex non si limitano a constatare questo stato di cose. Negano che si debba anche solo cercare di realizzare questa unità, lo negano perché questa non conterrebbe nulla di socialmente rilevante. L'unità di sesso, amore e riproduzione sarebbe solo una delle numerosissime combinazioni possibili nel gioco erotico ed affettivo, socialmente sullo stesso piano di tutte le altre. Si può far l'amore da soli, fra uomo e donna, donna e donna, uomo e uomo. Lo si può fare da soli, in due, tre, quattro o trentaquattro. Il rapporto fra uomo e donna che viene comunemente definito “di coppia” sarebbe solo una possibilità fra tante altre, la differenza sessuale la base per certi giochi erotici, esattamente come la non differenza è la base di altri. La famiglia si spezzetta in una miriade multicolore di forme di convivenza, i figli cessano di essere momento essenziale del rapporto affettivo ed erotico, un ponte fra presente e futuro, qualcosa di noi che resterà, quando non ci saremo più, per diventare un optional. Si vuole un figlio perché si vuol soddisfare il “proprio desiderio di paternità”, o maternità. E se il figlio non lo si può avere dal partner, che è dello stesso sesso, si affitta un utero. Non so quanto tutto questo sia morale o  immorale, di certo è profondamente superficiale, banalizzante.

Lo ripeto, per non essere frainteso. Non esiste nulla di immorale nel far sesso senza amore, o nella convivenza senza riproduzione. Se Tizio fa l'amore insieme ad altre dodici persone non è un pervertito, è solo una persona a cui piace il sesso di gruppo. Ad essere inaccettabile è la pretesa che questo sia “normale”, non si differenzi in nulla dalle normali relazioni affettive e sessuali fra gli esseri umani. Il concetto stesso di “normalità” è in effetti al centro delle polemiche e degli attacchi dei sostenitori del politicamente corretto. Chi ha detto, si sostiene, che essere “sani” sia “normale” ed essere “malati” sia “anormale”? E, chi ha detto che avere la temperatura corporea a 36,5 gradi sia da “sani” mentre averla a 38,5 sia da “malati”? Salute e malattia, normalità ed anormalità sono convenzioni, nomi che gli uomini appiccicano a certi stati di cose e a certi eventi, nulla che abbia alle spalle qualcosa di oggettivo, universalmente valido. Tutto è convenzione, interpretazione, decisione soggettiva; cercare il “vero” e la “normalità” è, in questo senso, fatica sprecata, peggio, indice di mentalità dogmatica, autoritaria.
Tralasciamo i paradossi e le contraddizioni logiche cui concezioni di questo tipo inevitabilmente conducono (se tutto è convenzione è convenzionale la affermazione secondo cui “tutto è convenzione”) e dedichiamo un attimo di attenzione alla loro tesi di fondo.
In effetti è convenzionale definire sano chi ha certe caratteristiche e malato chi ne ha altre. Però, dietro a questa convenzione sta il fatto oggettivo che Tizio, sano, ha certe caratteristiche e che grazie a queste può fare certe cose, ad esempio, partecipare ad una gara di atletica, mentre Caio, malato, ha caratteristiche diverse ed è obbligato a fare altre cose, stare a letto ad esempio, invece che fare pratica sportiva. Ed ancora, è convenzione definire “normali” i rapporti eterosessuali: volendo si potrebbero definire “normali” i rapporti omosessuali, è vero. Però, è grazie ai rapporti eterosessuali che il genere umano ha potuto e può riprodursi: se la gran maggioranza degli esseri umani avessero preferito i rapporti omosessuali il genere umano si sarebbe estinto da millenni, e questo è un fatto oggettivo, non convenzionale.
L'oggettività, il dato, sono questi i nemici dei politicamente corretti. Nemici che si cerca di battere in ogni modo. Però, gli stessi tentativi con cui si cerca di battere il dato della “normalità” ne confermano il carattere oggettivo. Una coppia gay vuole un figlio? Adotta un bambino che un'altra coppia non gay ha avuto grazie a rapporti sessuali normali, oppure cerca di avere un figlio generato in provetta, ma cosa significa generare un figlio in provetta se non copiare quanto avviene naturalmente in seguito ad un  rapporto eterosessuale? Come i teorici della neolingua politicamente corretta, gli inquisitori della società unisex vorrebbero rompere la continuità della storia. Il loro sogno (o incubo?) è ripartire da zero, eliminare il dato della differenza sessuale e creare nuovi soggetti sessuali, liberi infine dall'infamia originaria di avere un sesso, essere maschi o femmine. Ma l'essere dati è elemento essenziale di noi esseri umani. Non si può sfuggire al dato, non ci si può fare da se; la pretesa di rifarsi dalle radici ci fa intravedere una grandezza che non è tale,  è qualcosa di solo distruttivo, ed auto distruttivo. Una libertà che pretenda di imporsi al dato, di costruire da zero una nuova “normalità” degenera in nichilismo totalitario, sempre.

martedì 24 settembre 2013

PARADOSSO, DUBBIO E RELATIVISMO. UN BREVE EXCURSUS




Cadono nell'auto contraddizione e rischiano di cadere nel paradosso del mentitore tutte quelle filosofie che fanno affermazioni riguardanti la totalità del mondo evidenziando nel contempo l'impossibilità della umana ragione ad avvicinarsi almeno un po' al vero. In misura ancora più accentuata rischiano di cadere nel paradosso tutte le filosofie che non solo negano la possibilità dell'uomo di conoscere qualcosa di vero me rifiutano il concetto stesso di verità. La stessa, notissima affermazione socratica: “so di non sapere” si avvicina pericolosamente al paradosso del mentitore: se so di non sapere qualcosa so. L'ignoranza socratica sfugge tuttavia al paradosso perché non è, esplicitamente, una ignoranza assoluta, totale, non comprende nell'ignoranza la affermazione positiva del non sapere. Almeno qualcosa io la conosco: la mia ignoranza, e, a considerare bene le cose, non si tratta di una conoscenza da poco. Conoscere il fatto che si è ignoranti significa conoscere qualcosa del mondo e dell'uomo e questo è un importantissimo punto di partenza per la ricerca del vero. Ed in effetti tutta la vita di Socrate è stata una costante, tenace, ricerca della verità. Nel momento stesso in cui ammette la sua ignoranza Socrate cerca il vero, di tutto chiede: “cosa è?” e sottopone ad accuratissima analisi razionale le varie riposte alla sua terribile domanda. “Cosa è il coraggio? Cosa sono la virtù, la santità, l'amore?” chiede Socrate e non si accontenta di nessuna risposta, analizza, approfondisce, cerca la verità, anche se non riesce a trovarla. La tensione al vero salva l'ignoranza socratica dalle sabbie mobili del paradosso e dello scetticismo.

Le varie forme di relativismo si avvicinano tutte al paradosso del mentitore. Naturalmente ci stiamo riferendo al relativismo inteso in senso “forte”, non a quel relativismo innocuo e del tutto accettabile che sottolinea il carattere sempre limitato, correggibile e falsificabile delle umane conoscenze e che si identifica in ultima analisi col pluralismo.
La prima e forse ancora la migliore forma di relativismo “forte” resta a mio avviso quella di Protagora secondo cui “l'uomo è la misura di tutte le cose”.
Platone conduce nel “Teeteto” una critica serrata del relativismo di Protagora. Val la pena di seguirla attentamente.
Per Protagora l'uomo, lo si è già detto, è la misura di tutte le cose. A Tizio lo zucchero appare dolce, ma Caio sente un sapore amaro toccando lo zucchero con la lingua; un certo oggetto sembra leggero a Carlo e pesantissimo ad Anna. Gli esseri umani hanno sensazioni diverse e non esiste un criterio universale per determinare a quale sensazione corrisponda la verità. La verità quindi non esiste, varia da uomo a uomo e, nello stesso uomo, da momento a momento, da luogo a luogo. Quello che, visto da una certa prospettiva, mi appariva celeste mi appare ora, da una diversa angolazione, verde, quello che per me è oggi un suono rilassante potrebbe risultarmi irritante domani, si potrebbe continuare.
Ma se le cose stanno così, se cioè è la sensazione soggettiva del momento ad essere la misura del vero, perché mai dovrebbe essere
l'uomo la misura di tutte le cose?
“Come mai” si chiede Socrate “principiando quel suo libro su
la verità (Protagora) non abbia detto così che di tutte le cose è principio il porco o il cinocefalo o qualunque altro anche più strano essere capace di sensazione. In codesto modo fin dal principio egli ci avrebbe parlato con un magnifico e grandioso dispregio, mostrandoci che mentre noi lo ammiravamo per il suo sapere come un dio, in realtà egli non valeva per intelligenza niente di meglio non dico di altr'uomo qualsiasi, ma nemmeno di un girino o di una ranocchia” (1)
Il discorso del Socrate platonico in effetti non fa una grinza. Se la verità coincide con la sensazione soggettiva allora non si capisce perché Protagora debba essere considerato più sapiente di qualsiasi altro né perché debba essere
l'uomo la misura di tutte le cose. Anche i maiali hanno sensazioni, quindi si potrebbe dire che è il maiale la misura di tutte le cose...
In questa fase del dialogo Platone evidenzia le conseguenze nichiliste del relativismo di Protagora: “Se per ognuno sarà vera quella opinione ch'egli si forma da ciò che sente, né quel che capita ad uno sarà capace un altro di giudicarlo meglio di quello, né mai alcuno avrà maggiore autorità di valutare l'opinione di un altro se è vera o se è falsa, bensì, come si è detto più volte, ciascuno potrà avere opinioni di ciò che direttamente lo tocchi, e queste opinioni tutte quante saranno giuste e vere; perché mai, o amico, Protagora soltanto aveva da esser sapiente?” (2)
Non siamo ancora al paradosso ma ci stiamo avvicinando ad esso. Che senso ha che qualcuno insegni qualcosa ad altri se tutte le opinioni sono vere? E' nel proseguo del dialogo tuttavia che il Socrate platonico evidenzia le contraddizioni logiche in cui si avviluppa il relativismo di Protagora.
“Se nemmeno Protagora avesse mai pensato che l'uomo è misura, né lo avesse pensato, come difatti non lo pensa, la maggioranza degli uomini, necessariamente questa verità che Protagora ha così definita e predicata non esisterebbe per nessuno; se invece fu, si, pensiero di Protagora, ma la maggioranza non vi consente, tu capisci, anzi tutto, che quanto maggiore è il numero di coloro a cui questa verità non pare di quelli a cui pare, tanto di più essa non è di quello che è (…). Protagora relativamente alla propria opinione (che l'uomo è la misura) in quanto riconosce che tutte le opinioni degli uomini sono vere viene ad ammettere che sia vera anche la opinione di coloro che alla sua si oppongono e per la quale essi ritengono che egli abbia opinione falsa.” (3)
Se la verità coincide con l'opinione soggettiva allora è vera anche l'opinione di chi nega che l'opinione coincida con la verità: il relativismo di Protagora è auto contraddittorio, anche se non da vita alla forma perfetta del paradosso del mentitore. La proposizione: “tutte le opinioni sono vere” non può essere vera, infatti, come ben argomenta Platone, se sono vere tutte le opinioni, risultano vere anche quelle che dichiarano falsa la proposizione “tutte le opinioni sono vere”. Questa proposizione però può essere falsa: il suo essere falsa non la rende vera. Infatti è una proposizione che può essere falsificata dal semplice fatto che esistono alcune opinioni false e questo ovviamente non la rende vera.
Pur non dando vita ad una situazione paradossale identica a quella rappresentata dal paradosso del mentitore il relativismo di Protagora resta comunque auto contraddittorio; anzi, non dando vita ad una situazione identica a quella del paradosso del mentitore il relativismo di Protagora è in una posizione forse anche peggiore rispetto a questo: la verità del relativismo implica necessariamente la sua falsità ma la sua falsità non implica altrettanto necessariamente la sua verità.




I grandi problemi logici e filosofici sono gli stessi, o quanto meno, sono molto simili, sotto tutti i cieli, anche se, ovviamente, a latitudini diverse esistono interessi e sensibilità diverse e le soluzioni ai problemi logici e filosofici possono divergere nettamente (questo del resto accade molto spesso anche alla stessa latitudine...).
Nell'antica Cina i seguaci di Mo Tze, oppositore e insieme grande ammiratore di Confucio, sottopongono a critica alcune teorie della scuola dei nomi e dei taoisti con argomenti che ricordano la confutazione platonica del relativismo di Protagora.
“Apprendere è utile” affermano i tardo mohisti in polemica contro la negazione taoista della necessità dell'apprendimento, “la prova è data da quelli stessi che vi si oppongono (…) affermare che gli uomini non sanno che l'apprendere è inutile, è informarli che l'apprendere è inutile; questo è insegnare. Ritenere che l'apprendere è inutile e nello stesso tempo insegnare, questo è incongruente”(4)
Ed ancora: “Ritenere che ogni parlare sia incoerente è incoerente (…) se il parlare di di quest'uomo (colui che sostiene la tesi) è ammesso, allora questo suo parlare non è incoerente e quindi non ogni parlare è incoerente, se il parlare di quest'uomo non è ammesso, allora non si può ritenere esatto il suo parlare” (5).
Le critiche dei tardo mohisti non hanno scosso le convinzioni i taoisti per i quali la contraddizione non costituisce un pericolo, al contrario. E' comunque stupefacente vedere come il problema del paradosso, in una forma molto simile a quella classica del paradosso del mentitore, sia presente in una cultura lontanissima dalla nostra ed affiori nella discussione di tesi filosofiche assai diverse da quelle in cui era impegnato Platone. Affiora in termini quasi identici... con buona pace di quanti sostengono che le culture sono entità del tutto diverse l'una dall'altra, una sorta di monadi incomunicabili. Platone e Protagora, Lao Tze e Mo tze ci dicono che questo, molto semplicemente, non è vero.

Il pericolo di cadere nell'auto contraddizione o addirittura nel paradosso è una sorta di costante nel pensiero filosofico, colpisce non solo il relativismo ma lo scetticismo in generale, quanto meno nella sua versione forte.
Torniamo in occidente e facciamo un salto di alcuni secoli. Il quadro storico, culturale, politico è radicalmente cambiato dai tempi di Socrate e Protagora, però, il rischio del vecchio paradosso è sempre presente. Nelle “Meditazioni metafisiche” Cartesio spinge fino alle conseguenze estreme il dubbio. La gran maggioranza delle cose che sappiamo ci sono date dai sensi, ma spesso i sensi ci ingannano, perché mai non potrebbero allora, si chiede Cartesio, ingannarci sempre? Ed ancora, a volte sogno ed i miei sogni sono talmente nitidi che è impossibile distinguerli dalla realtà. Non potrebbe darsi allora che tutto sia un sogno e che la vita, apparentemente tanto reale, sia tutta una illusione? Le stesse verità matematiche non sono esenti dal dubbio. Può essere che Dio mi inganni, afferma Cartesio, “tutte le volte che fo l'addizione di due e di tre, o che enumero i lati di un quadrato, o che giudico di qualche altra cosa ancora più facile” (6) e, se non è possibile pensare che Dio, infinitamente buono, ponga in essere un simile inganno è ben possibile immaginare che questo venga posto in essere da un demone maligno che si diverte a ingannarmi. “Io supporrò che vi sia (…) un cattivo genio, non meno astuto e ingannatore che possente, che abbia impiegato tutta la sua industria ad ingannarmi. Io penserò che il cielo, l'aria, la terra, i colori, le figure, i suoni e tutte le cose esterne che vediamo non siano che illusioni e inganni, di cui egli si serve per sorprendere la mia credulità” (7). Io non so nulla perché tutto ciò che credo di sapere è, o può essere, il risultato del perfido inganno di un genio malefico. Un dubbio talmente esteso cade inevitabilmente nella auto contraddittorietà: come posso dire che dubito se non so nulla? Per dire che dubito non devo almeno sapere che sto dubitando? Siamo in una situazione che si avvicina pericolosamente a quella del paradosso del mentitore. Se la proposizione “dubito di tutto” è vera allora non dubito di tutto: non dubito di dubitare; se è falsa allora io dubito anche del mio dubitare. In effetti il dubbio cartesiano non investe tutto. Qualcosa la so, scopre Cartesio, qualcosa che sfugge alle stesse arti malefiche del genio ingannatore: “io esisto se egli (il genio) mi inganna; e mi inganni fin che vorrà, egli non saprà mai fare che io non sia nulla, fino a che penserò di essere qualche cosa. Di modo che, dopo avervi ben pensato , ed avere accuratamente esaminato tutto, bisogna infine concludere, e tener fermo, che questa proposizione: io sono, io esisto, è necessariamente vera tutte le volte che la pronuncio, o che la concepisco nel mio spirito” (8)
Penso, dunque sono, questa verità è certa, assolutamente certa, e sfugge alle arti malefiche del genio ingannatore. Il dubbio che mi circonda non è dunque universale, qualcosa la so. Cartesio parte, come si sa, dal “cogito” per costruire una conoscenza “a prova di genio malefico”. In nessun momento della sua speculazione Cartesio intende arrendersi al dubbio, questo, nella sua estensione e nella sua radicalità, gli serve per dare un fondamento di indubitabile certezza all'umana conoscenza. Affidandosi al “cogito” quale basilare ed indubitabile conoscenza Cartesio sfugge alle trappole dell'auto riferimento e del paradosso, viene a trovarsi in una situazione simile a quella di Socrate e del suo “sapere di non sapere”, entrambi sfuggono l'auto contraddizione ed il paradosso non generalizzando l'ignoranza o il dubbio. A proposito di Cartesio è però possibile porsi una domanda: era davvero necessario spingersi fino al “cogito” per dare una risposta ragionevole al dubbio? Non è questo stesso dubbio viziato da una irragionevolezza di fondo?
Il procedimento cartesiano che fa del cogito la certezza primaria ed indubitabile, base di ogni passo avanti del sapere, è stato in effetti sottoposto a molte critiche. Ai fini del nostro discorso due appaiono particolarmente importanti perché investono, specie la seconda, le radici stesse del dubbio cartesiano e della sua sostenibilità logica. La prima è quella che Kant fa nella celebre “confutazione dell'idealismo” contenuta nella seconda edizione della “Critica della ragion pura”. La seconda è contenuta nella critica di Wittgenstein al linguaggio privato.



“Io ho coscienza della mia esistenza come determinata nel tempo” afferma Kant, ma “ogni determinazione temporale presuppone qualcosa di permanente nella percezione. Ma questo qualcosa di permanente non può essere qualcosa in me, perché appunto la mia esistenza nel tempo non può essere determinata se non da questo qualche cosa di permanente. Dunque la percezione di questo permanente non è possibile se non mediante una cosa fuori di me, e non mediante la semplice rappresentazione di una cosa fuori di me” (9)
Cartesio immagina un essere pensante totalmente avulso dal mondo esterno, un cogito ridotto ad unica realtà fluttuante in un mondo di fuggevoli sensazioni. Me se il mondo fosse un insieme fuggente di sensazioni sarebbe impossibile la stessa coscienza di se da parte del soggetto e con questa la formulazione del pensiero. Il cogito cartesiano, ben lungi dall'essere l'unica realtà, la base apoditticamente certa di ogni conoscenza, dipende dal mondo, dall'esistenza di un mondo che abbia almeno un certo livello di stabilità e permanenza spaziale e temporale. Questo il succo della critica kantiana all'idealismo cartesiano, critica che viene ripresa, da un punto di vista del tutto diverso da Wittgenstein.



“Immaginiamo una tabella che esista solo nella nostra immaginazione, per esempio un vocabolario”scrive Wittgenstein, “mediante un vocabolario possiamo giustificare la traduzione di una parola X con una parola Y. Ma sarà il caso di parlare di giustificazione anche quando questa tabella venga consultata solo nell'immaginazione? (…) La giustificazione consiste nell'appellarsi ad un ufficio indipendente . Però posso anche appellarmi da un ricordo ad un altro. Per esempio, non so se mi sono impresso esattamente nella memoria l'ora di partenza del treno e, per controllarlo, (…) richiamo alla memoria l'immagine dei fogli dell'orario delle ferrovie. Non ci troviamo qui di fronte allo stesso caso? No, perché questo procedimento deve effettivamente evocare il ricordo esatto. Se non fosse dato controllare l'esattezza dell'immagine mentale dell'orario ferroviario, come potrebbe, questa, confermare l'esattezza del ricordo precedente? (Sarebbe come acquistare più copie dello stesso giornale per assicurarsi che le notizie in esso contenute siano vere).” (10)
Wittgenstein qui polemizza con i sostenitori del linguaggio privato, cioè con quanti sostengono che il linguaggio è qualcosa di solo “mio” che mette in relazione parole e sensazioni. Il linguaggio non è e non può essere, sostiene Wittgenstein, qualcosa di solo mio perché, se così fosse, il senso delle parole potrebbe continuamente cambiare senza che io neppure me ne renda conto (e in questo modo la stessa affermazione del linguaggio privato perderebbe ogni senso). Un linguaggio ha bisogno di regole, di significati e questi non possono che essere intersoggettivi, pubblicamente controllabili, un linguaggio è, insomma, qualcosa di oggettivo. Un linguaggio affidato unicamente alla memoria ed alle sensazioni lascerebbe la memoria priva di strumenti di controllo e verifica. Il “cogito” di Cartesio è solo in apparenza assolutamente soggettivo, privo di legami col mondo e di controlli e verifiche nel mondo. In realtà si può dire “penso, dunque esisto” perché esiste un linguaggio con le sue regole, i suoi significati, perché esistono, indipendentemente da me, altri esseri parlanti e pensanti. Per Cartesio il “cogito” costituisce il punto di partenza, la base incrollabile della conoscenza del mondo. In realtà è il mondo a rendere possibile il “cogito”, non viceversa. Percorrendo una via molto diversa Wittgenstein giunge a conclusioni simili a quelle di Kant.
Il dubbio universale di Cartesio si avvicinava, lo si è visto, al paradosso. Da questo lo salva la scoperta di una conoscenza, a suo parere, assolutamente certa e originaria, il “cogito”. In realtà però il dubbio devastante delle “meditazioni” cartesiane non distrugge solo, se non bloccato, se stesso cadendo nel paradosso. Distrugge anche, e di questo Cartesio non si accorge, i presupposti che lo rendono esprimibile. Il dubbio è comunque una affermazione (affermo di dubitare) ed una forma di conoscenza (so di dubitare). La sue generalizzazione è quindi paradossale ed autodistruttiva. Ma, in quanto affermazione, in quanto forma di conoscenza, il dubbio ha dei presupposti. Per dubitare devo conoscere un linguaggio, per dubitare del mondo devo essere in rapporto con qualcosa che viene chiamato mondo, per poter dire “la realtà non esiste” devo riferirmi a qualcosa che viene chiamato “realtà”. Pensare che tutte queste cose possano essere messe in qualche modo tra parentesi in attesa che io possa raggiungere una conoscenza di base assolutamente certa è fuorviante e contraddittorio: ciò che dovrebbe essere messo fra parentesi è in realtà ciò che rende possibile la mia stessa ricerca. Il sapere non può essere fondato da una meditazione che sospenda il giudizio sul mondo e lasci il soggetto pensante assolutamente solo con se stesso. In quella sospensione di giudizio sarebbe proprio il soggetto pensante ad annullarsi.



Il dubbio come auto distruzione quindi, e mancato riconoscimento dei presupposti che permettono la sua stessa espressione. Da un diverso punto di vista invece il dubbio non fa altro che lasciare completamente immutata quella realtà che vorrebbe corrodere, ed in questo modo finisce di nuovo per mostrare la propria irragionevolezza di fondo.
L'argomento del sogno e quello del genio malefico sono ricorrenti nella storia delle filosofia e sono stati più volte riproposti in termini scientificamente aggiornati. Il sogno o il genio malefico sono stati sostituiti da elettrodi piantati nel cervello del soggetto senziente da uno scienziato che si diverte a farci credere che stiamo vivendo esperienze in realtà fittizie, da varie forme di realtà virtuale e così via, ne è un esempio divertente il film “Matrix”. Non è forse possibile, si argomenta, che l'esperienza che sto vivendo altro non sia che un sogno, o il frutto di un inganno messo in atto da qualcuno enormemente potente? Non potrebbe tutta la mia vita essere un sogno, o una illusione? Come si vede qui il dubbio abbandona, sembra, il suo carattere eminentemente distruttivo, non ci conduce nel nulla, si limita ad avanzare l'ipotesi che possa esistere un livello di realtà diverso da quello in cui noi siamo convinti di vivere. La nostra realtà è solo una illusione, la realtà “vera” è un'altra ed è nascosta, inaccessibile, assolutamente inaccessibile alla nostra conoscenza.
Si può rispondere una sola cosa a simili ipotesi: “si, tutto questo è possibile... e allora?”.
La distinzione fra realtà e illusione, veglia e sogno ha senso solo se esistono dei criteri di verità in grado di rendere insieme sensata e possibile tale distinzione. Nella vita di tutti i giorni io posso distinguere il sogno dalla veglia, la realtà dall'illusione. Se vado a vedere lo spettacolo di un illusionista che d'improvviso si mette a volare sopra la mia testa posso ben dire: “il volo del mago è solo una illusione, il mago in realtà non vola, un trucco me lo fa credere”. Parimenti se un incubo mi sveglia nel cuore della notte posso ben dire: “per fortuna era solo un sogno”. Ma una volta che il sogno o l'illusione vengono a coincidere con tutta la realtà che senso ha distinguerli dalla realtà? Se tutto è sogno allora è un sogno anche la distinzione fra sogno e veglia, se tutto è illusione il volo del “mago” è illusorio quanto il trucco che lo rende possibile. Definire “illusorio” un certo evento, ad esempio il volo apparente del “mago”, significa negarne il carattere reale, ma questo ha senso solo se è possibile distinguere il reale dall'illusorio. Se tutto è illusione però è illusoria anche la distinzione fra illusione e realtà, e parimenti illusoria risulta la convinzione che definire “illusorio” un evento significhi depotenziarne la realtà. Considerazioni simili possono farsi sul genio malefico di Cartesio o sulla affermazione, sempre di Cartesio, che se le sensazioni ci ingannano qualche volta possono ingannarci sempre. Se tutta la mia vita è un inganno del genio malefico (o dello scienziato che ha ficcato degli elettrodi nel mio cervello) allora è inganno anche l'ipotesi del genio malefico o degli elettrodi. E posso dire che i sensi mi ingannano a volte solo perché so che non mi ingannano sempre. Se i sensi mi ingannassero sempre io non avrei alcun criterio per distinguere la verità dall'errore e dovrei affermare che i sensi non mi ingannano mai. Partito con l'intenzione di dissolvere la realtà, ridurla a sogno o illusione, errore o inganno lo scettico non fa altro che far coincidere illusione (o sogno, o inganno, o errore) e realtà. La realtà non viene modificata di un millimetro dalla critica scettica. Affermare che tutto è illusione è un po' come dire che tutte le banconote sono false: una simile affermazione non modifica di una virgola l'economia e la finanza.
L'argomento dello scettico si riduce a questo: forse alla base del nostro mondo e della nostra vita sta una realtà nascosta e misteriosa, in linea di principio sottratta ad ogni possibilità di controllo. E questa realtà misteriosa è un uomo che dorme e sogna, o i cui sensi lo ingannano e che vive in una totale illusione... e noi saremmo la sua illusione. Si tratterebbe di un ben strano essere umano, bisogna dire, di un essere umano che non ha mai coscienza di se, che mai si può conoscere, che mai può pensare, parlare sentire, perché noi siamo i suoi pensieri e le sue sensazioni. Ed ancora, sarebbe un essere umano che ha sogni ben strani, sogni i cui personaggi vivono l'uno fuori dall'altro, ritengono a loro volta di sognare, hanno una coscienza che lui non ha. E sarebbero molto strani gli “errori” e le “illusioni” in cui cadrebbe questo misterioso essere umano, errori ed illusioni che noi non siamo assolutamente in grado di distinguere da ciò che errore ed illusione non è, e che nemmeno lui è in grado di distinguere da ciò che errore ed illusione non è, perché, di nuovo, noi, che siamo illusione ed errore, siamo tutto ciò che questa persona misteriosa può pensare e sentire.
Forse le cose stanno davvero così, o forse no. L'ipotesi dello scettico è inconfutabile, ovviamente. Ma, ha una qualche importanza confutarla?





Note

1) Platone Teeteto in Opere complete, vol. secondo Laterza 1982 pag.107.
2) Ibidem.
3) Ibidem pag. 119 120
4) Citato in Fung Yu Lan: Storia della filosofia Cinese, Mondadori 2004, pag. 101.
5) Ibidem.
6) Cartesio: Meditazioni metafisiche, la nuova Italia 1982 pag 21.
7) Ibidem pag. 22
8) Ibidem pag. 27
9) Kant: Critica della ragion pura. Laterza 1983. Primo volume pag. 230.
10) L. Wittgenstein: Ricerche filosofiche. In “I grandi filosofi – Wittgenstein. ed. Il sole 24 ore 2006 pag. 398.



















giovedì 12 settembre 2013

I PARANOICI DEL COMPLOTTO



Per le teorie del complotto tutti o quasi gli avvenimenti importanti sono la risultante di manovre oscure, complotti appunto. Non bisogna prestar fede alle apparenze, le cose sono diverse da come appaiono. In superficie tutto sembra chiaro ma sotto la superficie operano forze potenti e misteriose che tirano le fila di tutto ciò che avviene. Il terrorismo di matrice islamica compie orribili attentati? E’ vero, ma ..chi manovra davvero gli uomini bomba? Un incidente mette fuori uso la distribuzione di energia elettrica in tutta Italia? Chi lo avrà causato? E’ crollato il muro di Berlino? Certo, ma, siamo sicuri che la C.I.A. non c’entri? Il caso non esiste, non esistono coincidenze, errori, fatti imprevisti. Non può esistere una spontanea esplosione di rabbia popolare, non esistono autonomi fattori di crisi economica e sociale. Non esistono ideologie nichiliste capaci di conquistare cuori e cervelli di milioni di esseri umani, non esiste il fanatismo. Esistono solo sinistri e onnipotenti personaggi che dall’ombra dirigono tutto, tutto programmano. Gli ingenui possono credere ad esempio che la diffusione del fanatismo islamista sia oggi un problema drammatico. Gli iniziati sorridono di questa santa ingenuità: loro sanno che i servizi segreti, la CIA, il Mossad e, naturalmente, il governo degli Stati Uniti d’America controllano tutto, comprese le azioni dei loro apparenti nemici. Il teorico del complotto non è ingenuo, non si fida di ciò che appare.

Enti concreti come la CIA, il governo americano o la massoneria diventano qualcosa di profondamente misterioso nelle mani dei teorici del complotto. La CIA esiste e sicuramente organizza, ed ha organizzato, dei complotti. E’ parte del suo mestiere farlo, è parte del mestiere di tutti i servizi segreti del mondo. Ma una CIA capace di determinare il crollo del comunismo o la diffusione a livello planetario del fanatismo islamico non è più una organizzazione spionistica, è una organizzazione onnipotente, una sorta di incarnazione di Satana, un ente astratto, metafisico. Molti però non colgono l’assurdità di una organizzazione segreta capace di provocare eventi pubblici di enorme rilevanza. La CIA ed il governo degli Stati Uniti esistono, sono potenti, quindi possono fare tutto. Se hanno aiutato in passato dei generali golpisti perché non possono compiere in prima persona dei colpi di stato? E se possono compire dei colpi di stato perché non possono sobillare le masse, determinare il crollo di un regime? E naturalmente chi sobilla e fabbrica complotti sono sempre gli altri, i nemici politici. Solo il Mossad trama complotti, non esistono organizzazioni terroriste islamiche, solo la CIA sobilla le masse, gli agitprop comunisti non sono mai esistiti. I fatti danno ragione a tanta parzialità in fondo: il comunismo è crollato, questo “prova” che la CIA complottava. La decadente società borghese non è stata travolta da alcuna rivoluzione, questo “prova” che nessun complotto comunista è mai stato messo in atto per distruggerla. Il teorico del complotto ha sempre ragione.

I teorici del complotto usano spesso e volentieri un vecchissimo argomento. Per scoprire chi è il colpevole di un certo evento occorre rispondere alla domanda: “a chi giova?”. Se l’evento X giova ad Y di certo Y è il responsabile di X. Chiaro no? Se mia moglie muore e mi lascia un po’ di soldi in eredità di sicuro io sono il suo assassino. Il teorico del complotto non ha mai dubbi, non va troppo per il sottile. Trovarselo come giudice in un processo sarebbe una autentica sventura. Ma evitiamo le facezie ed evitiamo anche di soffermarci troppo sul balzano modo di pensare secondo cui ogni volta che accade un evento importante ci si deve chiedere chi ne sia il colpevole. Il più delle volte il colpevole non esiste o non è importante stabilire chi sia. Che di tutto ciò che accade debbano esistere dei colpevoli, non eventuali responsabilità politiche, ma dei colpevoli, come esistono i colpevoli di un omicidio, è già un modo di pensare tipico dei teorici del complotto.
Torniamo all’argomento del “a chi giova”. A prima vista sembra che l’affermazione secondo cui “se X giova ad Y è stato Y a provocare X” sembra ragionevole, in realtà non lo è affatto.
Innanzitutto il fatto che X giovi ad Y non prova affatto che Y sia il responsabile di X. Se un mio lontano parente muore e mi lascia un’eredità milionaria ciò non prova minimamente che io sia il suo assassino. Il movente è solo un indizio, uno fra i tanti, che possono portare alla scoperta del colpevole di un delitto, da solo non prova niente. Per i teorici del complotto invece un (eventuale) movente non solo prova che la tal persona o il tal partito, o il tale stato sono responsabili di un delitto, prova la stessa esistenza del delitto. Il lontano parente che mi lascia l’eredità può essere morto di cancro o di vecchiaia, questo ha poco valore per i teorici del complotto: io ho avuto un vantaggio dalla sua morte, “quindi” è stato un omicidio a provocarla, quindi io sono l’omicida.
Inoltre, come si può stabilire che X giova ad Y e non magari a Z o a N? Per i complottisti gli attentati dell’11 Settembre 2001 hanno giovato al governo degli Stati Uniti d’America, quindi i responsabili di quegli eventi sono il presidente degli USA, l’onnipresente CIA e magari lo stato di Israele. Perché gli attentati avrebbero favorito gli USA? Perché hanno offerto loro il pretesto per aggredire indifesi paesi islamici al fine di rapinar loro il petrolio ovviamente; e se in uno dei paesi “aggrediti”, ad esempio in Afghanistan, il petrolio non c’è le cose non cambiano: il vero obiettivo del governo americano in questo caso potrebbero essere state… le coltivazioni di papavero! E’ sempre possibile trovare qualcosa che interessi a qualcuno.

I teorici del complotto ragionano spesso in questo modo: osservano l’evento X e gli eventi Y, Z, N che lo seguono, stabiliscono chi sono i beneficiari di Y, Z ed N e “scoprono” in questi beneficiari i colpevoli dell’evento X. Proviamo a mettere alla prova questo modo di ragionare applicandolo ad un evento importantissimo: l’invasione tedesca della Polonia che ha dato il via alla seconda guerra mondiale.
La seconda guerra mondiale si è conclusa con la vittoria di USA, Gran Bretagna e URSS, sono questi i beneficiari finali dell’evento “invasione della Polonia”. Se i teorici del complotto fossero coerenti dovrebbero sostenere che la crisi di Danzica è stata provocata ad arte dai vincitori del secondo conflitto mondiale! Secondo il modo di ragionare dei teorici del complotto la fase finale di una serie di eventi getta luce e spiega gli eventi precedenti permettendoci di scoprire gli originali “colpevoli” di tutto. Il realtà si arriva alla fase finale solo dopo una lunga serie di scontri dall’esito incerto, sacrifici, errori, eventi nuovi e imprevedibili: l’assetto del mondo nel 1945 non era previsto né programmato da nessuno nel 1939. Per i paranoici del complotto tutto è stabilito sin dall’inizio, le cose invece sono un tantino più complesse.
Inoltre, quando possiamo considerare conclusa la serie di eventi che seguono l’originario evento X? Y, Z, N fanno parte di quella serie ma non potrebbero farne parte anche W, R, S..? Dopo l’invasione della Polonia i nazisti hanno conquistato quasi tutta l’Europa, fino all'inizio del 1943 erano loro i beneficiari dell’evento X, solo dopo le cose sono cambiate. Una volta mi è capitato di leggere che l’assassinio di Aldo Moro ha messo in crisi la prima repubblica e che l’avvento della seconda ha portato alla vittoria di Berlusconi. Altro non si diceva, ma, a buon intenditore… certo, tutto chiaro, solo.. solo che la vittoria di Berlusconi è stata seguita nel 1996 dalla vittoria dell’Ulivo di Prodi. Che sia il professore ad aver ordito il complotto che ha portato all’omicidio di Aldo Moro? Più si accumulano gli eventi più i beneficiari dell’evento X, quindi coloro che hanno organizzato l'originario complotto, diventano numerosi. L’argomento del “a chi giova” ricorda la leggenda dell’inventore del gioco degli scacchi che chiese in dono all’imperatore della Cina un chicco di grano per il primo quadrato della scacchiera, due per il secondo, quattro per il terzo e così via. Proseguendo nelle moltiplicazioni il riso da regalare all’ingegnoso inventore avrebbe coperto l’intera superficie del globo. Qualcosa di simile avviene per i responsabili dei “complotti” che la mente feconda dei loro teorici si diverte ad immaginare.

I complotti naturalmente esistono, sono sempre esistiti. Chi contesta le teorie del complotto non nega l’esistenza di complotti, pretende solo che questi vengano provati.
Dire che il fatto X è la risultante di un complotto e presentare una serie di prove a dimostrazione di quanto si dice non significa affatto essere un sostenitore delle teorie del complotto, al contrario. Le teorie del complotto sono tali non per il fatto di affermare che i complotti esistono ma per altre ragioni che cercheremo di esaminare.
In primo luogo per i teorici del complotto i complotti sono qualcosa di enormemente potente. Non esistono limiti a ciò che si può ottenere grazie ai complotti. Crollo di regimi potenti e consolidati, insurrezioni di massa, vittorie e sconfitte elettorali, tutto questo sarebbe causato da complotti sapientemente organizzati. L’uomo comune pensa che con un complotto si può far fuori un nemico politico, al massimo tentare, con più o meno successo, un golpe. Il teorico del complotto sorride di tanta ingenuità: lui sa che tutto si può ottenere complottando.
Le teorie del complotto, in conseguenza della onnipotenza che attribuiscono al fattore cospirativo, devono ridimensionare fortemente, se non eliminare del tutto, i fattori politici, economici, sociali e culturali che possono spiegare i perché degli eventi. Il mondo di oggi è caratterizzato dall’attacco durissimo che il fondamentalismo islamico ha sferrato contro l’occidente. Si tratta di un fatto epocale che coinvolge milioni di esseri umani, il loro modo di pensare, di vivere, di rapportarsi gli uni agli altri. Per i teorici del complotto questo evento enorme semplicemente non esiste: esistono solo gli interessi di pochi magnati del petrolio, del presidente Bush e della sua famiglia e naturalmente esistono i complotti messi in atto da questi signori per scatenare tutto il putiferio. Per Michael Moore, regista americano capofila dell’antiamericanismo, sono stai gli interessi privati del presidente Bush la causa di tutto: Bin Laden era in realtà amicone di Bush. E il fondamentalismo? E le masse di palestinesi che hanno accolto con gioia la caduta delle torri gemelle? Eventi secondari, forse causati da altri complotti, comunque spiegabili come sana reazione all’”arroganza” USA. Molti marxisti riducono tutta la storia al fattore economico; i teorici del complotto compiono una riduzione assai più radicale: riducono lo stesso fattore economico agli interessi privati di pochi magnati del petrolio (o di qualcos’altro, dipende dai tempi). Per costoro se Bush o magari Silvio Berlusconi morissero tutti i problemi del mondo sarebbero risolti. L’estrema complessità dei fattori che muovono davvero la storia scompare nelle teorie del complotto, l’interagire di politica, economia, cultura, religione, psicologia di massa viene sostituito dalle perverse ambizioni di pochi furfanti, che, guarda caso, fanno sempre parte della parte politica che si avversa.

Con ciò non si vuole assolutamente sostenere che i complotti siano eventi di scarsa importanza, al contrario. Un complotto può avere una importanza enorme, ma questo capita perché quel complotto è stato organizzato in un certo paese, con un determinato ambiente sociale, con certe tradizioni, in un certo momento storico ecc. Solo se il clima sociale, economico, culturale lo favorisce un complotto può avere conseguenze profonde e durature. La conquista del potere da parte dei bolscevichi nella Russia del 1917 può essere considerata la conseguenza di un complotto. La maggioranza delle “masse”, della stessa classe operaia, non seguiva i bolscevichi, la presa del Palazzo d’Inverno coinvolse un numero estremamente ristretto di persone, non ci fu alcuna insurrezione, nessuna manifestazione popolare, tutto fu organizzato a tavolino da Lenin e Trotskj. I bolscevichi però riuscirono a conservare il potere, il complotto che li portò alla guida del più esteso paese del mondo non solo ebbe successo ma fu gravido di conseguenze di enorme importanza. Questo fu reso possibile dalla situazione complessiva della Russia. Fattori determinanti furono la stanchezza e lo scontento per il proseguire della guerra, l’apatia delle masse contadine contrarie ai bolscevichi ma incapaci di iniziativa politica autonoma, la debolezza della intellighenzia liberale, la mancanza in Russia di ogni tradizione democratica, la debolezza del riformismo operaio e della borghesia “illuminata”. Non a caso il tentativo bolscevico fallì nei paesi avanzati dell’Europa occidentale dove esisteva una situazione del tutto diversa.
I complotti possono avere successo ed essere gravidi di importanti conseguenze solo se interagiscono positivamente con l’ambiente sociale complessivo, ma è esattamente questo ad essere del tutto sottovalutato nelle teorie del complotto. Il terrorismo islamista vive di complotti, ma ciò che lo rende davvero pericoloso è il consenso che riesce a raccogliere a livello di massa. Le teorie del complotto eliminano entrambi questi fattori. I complotti dei terroristi sono in realtà organizzati dalla CIA e dal governo americano, il consenso di massa per il terrorismo viene declassato a evento di sfondo la cui responsabilità ricade ancora, ci mancherebbe, sulla politica americana (o israeliana). Le teorie del complotto non studiano i complotti veri nelle loro interrelazioni con l’ambiente sociale, costruiscono complotti immaginari del tutto avulsi dalla realtà sociale.

In secondo luogo le teorie del complotto sono caratterizzate tutte da estrema genericità e da assoluta mancanza di prove convincenti. I complotti che si denunciano sono sempre avvolti nel mistero: non si dicono i nomi di chi li ha organizzati, come siano stati messi in atto, quali siano i loro obiettivi concretamente verificabili. Il governo americano avrebbe organizzato, gli attentai dell’11 settembre, ma.. perché lo avrebbe fatto? Per poter invadere l’Iraq ed appropriarsi del suo petrolio ovviamente, ma il prezzo del petrolio è aumentato a dismisura dopo l’intervento in Iraq, con gravi conseguenze per le economie occidentali. Possibile che astuzie tanto diaboliche da organizzare complotti praticamente perfetti non abbiano previsto che una guerra in medio oriente avrebbe fatto lievitare il prezzo del greggio? Si trattava di un fatto del tutto prevedibile e che in effetti moltissimi avevano previsto, moltissimi ma non i diabolici organizzatori del complotto. E poi, quando, in che modo, come gli USA si sono impossessati del petrolio iracheno? Di nuovo tutto è avvolto nel mistero. I teorici del complotto parlano di “accordi commerciali” come se non fosse stato possibile in passato stipulare degli accordi commerciali con Saddam!
Sfogliano alcuni dei numerosi volumi che cercano di dimostrare che gli attentati dell’11 settembre sono stati organizzati dalla CIA (confesso di non averne letto interamente nessuno, il masochismo ha un limite!) sono stato colpito dal tipo di “prove” che vengono portate a sostegno di una simile tesi. “Le scatole nere degli aerei che si sono abbattuti sulle torri gemelle non sono state ritrovate” viene trionfalmente comunicato, “è la prima volta che una scatola nera non viene ritrovata”. Non so se sia stata la prima volta, di certo è la prima volta che i resti di due aerei sono stati sommersi da milioni di tonnellate di detriti. Solo dei paranoici del complotto possono addurre a “prova” delle loro farneticazioni il fatto che le scatole nere degli aerei non siano state trovate! Neppure la stragrande maggioranza dei corpi degli assassinati è stata ritrovata, i resti delle vittime dell’11 settembre sono inestricabilmente fusi con ferro, vetro e cemento, con le stesse scatole nere.
Ed ancora, nel libro: “l’incredibile menzogna” si cerca di “dimostrare” che nessun aereo si è schiantato sul Pentagono l’11 settembre 2001! Il Pentagono è stato invece centrato da ..un missile! Esistono, è vero, migliaia di testimoni che affermano di aver visto l’aereo schiantarsi, questo però conta poco. I testimoni sono americani, quindi complici per definizione del loro governo! Il mancato ritrovamento di due scatole nere sommerse da milioni di tonnellate di detriti “prova” il complotto, migliaia di testimonianze non provano nulla. Basta questo a dimostrare in che modo i teorici del complotto “provano” la verità di quanto affermano.

Il rapporto fra le varie teorie del complotto e le prove che dovrebbero dimostrarne la veridicità è estremamente illuminante. In queste teorie la tesi del complotto non è il punto finale delle indagini, non costituisce una accusa supportata da serio materiale probatorio, è il punto di partenza di qualsiasi indagine. Il complotto è vero per definizione, stabilito questo si cercano le prove. E’ chiaro a questo punto che tutto “prova” il complotto. L’America ha bisogno di petrolio? Questo “dimostra” che ha organizzato gli attentati dell’11 settembre; in uno stato è in corso una guerra civile e in questo stato esiste del gas naturale? La guerra è stata scatenata dalle multinazionali del gas; lo stato X ha stipulato dieci anni fa degli accordi commerciali con lo stato Y il cui governo oggi è stato abbattuto da un golpe? Di certo il governo dello stato Y voleva rinegoziare le clausole degli accordi commerciali e per questo lo stato X ha organizzato il golpe. Con le “prove” che i teorici del complotto usano si può dimostrare tutto e il contrario di tutto: ogni paese possiede risorse naturali, ogni governo stipula accordi commerciali, ovunque esiste qualcosa che può interessare a qualcuno.
I teorici del complotto hanno sempre ragione, i complotti di cui parlano sono sempre veri, le prove a carico dei malvagi cospiratori sempre convincenti. Anche l’assenza di prove dimostra la veridicità del complotto, anzi , l’assenza di prove può essere considerata la prova regina dell’esistenza del complotto. Il complotto è perfetto, le menti che lo hanno organizzato sono assolutamente astute e perverse, i governi o le multinazionali che lo hanno finanziato sono potentissimi. Non si riescono a trovare prove che il complotto sia reale? E come si potrebbero trovare? Se si trovassero le prove questo dimostrerebbe che il complotto non era poi così perfetto, che chi lo ha organizzato non è poi così intelligente, malvagio e potente. Per le persone normali un complotto non esiste fino a che non ci sono ragionevoli prove della sua esistenza. Per i paranoici del complotto l’assenza di prove “dimostra” l’esistenza del complotto.
L’atteggiamento è ovviamente del tutto diverso nei confronti delle prove che dimostrano la non esistenza del complotto. Queste vengono o declassate a qualcosa di assolutamente irrilevante o spiegate come la risultante di altri complotti. Migliaia di testimoni affermano di aver visto l’aereo schiantarsi sul Pentagono? Sono Americani, quindi inattendibili; il teste X afferma cose in contrasto con la tesi del complotto? E’ stato pagato dai cospiratori; si trovano dei referti materiali che smentiscono quanto afferma la tesi del complotto? Sono stati costruiti ad arte dai servizi segreti. Il complotto genera complotti sempre nuovi; tutto ciò che smentisce la teoria del complotto è spiegabile con altri complotti. Tutti alla fine complottano, tutti cospirano, mentono, costruiscono prove false, pagano o eliminano testimoni. Tutti tranne gli angelici sostenitori del complotto.

Le teorie del complotto sono inconfutabili. Lo sono non solo perché costruite in maniera tale da non poter mai essere confutate, ma anche per un altro importante motivo. Anche il più fantasioso ed improbabile complotto è sempre possibile. Chi nega il complotto potrà dimostrare la sua scarsa credibilità, la mancanza di prove che lo dimostrino, la sua assurdità palese, non potrà mai dimostrare che non è possibile che il complotto esista o sia esistito. Il complotto X può sempre esistere, così come può accadere o essere accaduto l’evento Y, così come può esistere od essere esistito l’ente Z. Tutto ciò che non è logicamente contraddittorio è possibile. E’ impossibile che 2 + 2 faccia 5, ma è possibile che esistano draghi che sputano fuoco, che astronavi extraterrestri ci spiino giorno e notte, che la CIA abbia organizzato gli attentati dell’11 settembre 2001.
Le persone ragionevoli e culturalmente non in malafede non ritengono però che tutto ciò che è possibile debba per ciò stesso esser considerato reale. Un evento possibile può essere considerato reale se rientra in qualche esperienza comune a più esseri umani, sé è suscettibile di verifica intersoggettiva, se la sua esistenza può venir dimostrata da un materiale probatorio pubblicamente controllabile.

I teorici del complotto condividono con altri, ad esempio i sostenitori della parapsicologia, una singolare pretesa. Chi nega il complotto (o i fenomeni paranormali) non dovrebbe limitarsi a chiedere che complotto o fenomeni vengano provati, dovrebbe fare qualcosa di più: dovrebbe dimostrare che complotto o fenomeni non esistono. Non riuscire a dimostrare che un fenomeno esiste non equivale a dimostrare che esso non esiste. E’ questo invece che dovrebbe fare chi non crede a un certo complotto o non è convinto dell’esistenza reale di fenomeni come la telecinesi o la levitazione. Non basta dimostrare che non esiste alcuna prova seria che la CIA abbia organizzato gli attentati dell’11 settembre, occorre dimostrare che non li ha organizzati; l’onere della prova si inverte, non è Il teorico del complotto a doverne dimostrare l’esistenza, è chi nega il complotto a dover dimostrare che esso non esiste.
Mi è capitato una volta di seguire un programma televisivo in cui si discuteva del mostro di Loock- Ness. Chi sosteneva la tesi dell’esistenza del simpatico serpentone alla fine, messo alle strette dalle argomentazioni dei rivali ha affermato: “ammetto di non poter provare che il mostro esiste, voi però non potete provare che esso non esiste. Tempo fa l’esistenza del calamaro gigante era negata, ora tutti sanno che questo animale esiste”.
L’esempio del calamaro gigante è particolarmente calzante. Questo esempio sembra a prima vista convincente, ma tutta la sua forza risiede nel fatto che l’esistenza del calamaro è stata alla fine provata. Il calamaro gigante ha smesso di essere un mostro immaginario quando è stato visto, fotografato, misurato addirittura. Se il giovanotto impegnato nel dibattito televisivo avesse fatto l’esempio del drago che sputa fiamme il suo ragionamento sarebbe apparso del tutto inconsistente.
Non è possibile dimostrare che qualcosa non esiste. Dimostrare l’esistenza di X è cosa del tutto diversa dal dimostrane la non esistenza. Per dimostrare che X esiste basta inserirlo in una esperienza intersoggettiva, per dimostrate che X non esiste occorrere controllare tutte le possibili esperienze. X può sempre esistere perché se non è contraddittorio X è possibile. E’ sempre possibile immaginare un mondo in cui X esista, è possibile farlo anche se finora questo mondo non è mai stato oggetto di alcuna esperienza. Pretendere che chi non crede ad un complotto dimostri che esso non esiste è pretendere, appunto, l’impossibile, equivale ad assegnare ai propri rivali un compito che non può per definizione essere portato a termine. Se tutti avanzassero simili pretese qualsiasi forma di dialogo fra gli esseri umani sarebbe, anch’essa, impossibile.

Il mondo dei teorici del complotto è un mondo spettrale. In questo mondo nulla è come appare, tutto è illusione ed inganno; gli amici sono in realtà nemici, i nemici amici. I paranoici del complotto rovesciano tutto, mettono il mondo a testa in giù: gli israeliani sono i peggiori nemici degli ebrei, gli uomini bomba palestinesi sono manovrati da agenti israeliani, il massacro delle torri gemelle è stato organizzato non da chi brucia tutti i giorni bandiere a stelle e strisce ma dal presidente che gli Americani hanno democraticamente eletto. Chi dice di odiarci in realtà ci ama, chi dice di amarci in realtà ci odia. Il legame fra pensiero ed essere, discorso e realtà viene in questo modo irrimediabilmente lacerato. Le farneticazioni anti-occidentali dei fondamentalisti islamici sono solo innocui discorsi privi di conseguenze pratiche oppure autentici inganni elaborati dalla CIA e dal Mossad. Termini come “libertà”, “democrazia”, “tolleranza” non significano più niente, non designano alcun stato di cose reale, sono solo maschere dietro cui operano gli onnipotenti cospiratori. Noi crediamo di essere liberi, crediamo di vivere in pesi democratici, pensiamo che accettando di dialogare con chi è diverso da noi ci dimostriamo tolleranti. Sbagliamo. Non ci rendiamo conto che tutto questo è inganno, non capiamo che dietro la cortina fumogena dell’illusione agiscono coloro che tirano le fila di un gioco di cui noi siamo solo incoscienti pedine.
Come tutti coloro che pretendono di spiegare tutto mettendosi al riparo da ogni tentativo di confutazione anche i teorici del complotto finiscono però per cadere nella rete che loro stessi hanno teso. Se tutto è cospirazione perché non dovrebbero cospirare anche i teorici del complotto? Forse chi parla sempre di complotti sta organizzando un complotto gigantesco; il denunciare continui complotti forse fa parte a sua volta di un complotto, di un unico enorme complotto volto a convincere tutti che i cospiratori ci dominano. Un libro che faceva bella mostra di se in tutte le librerie si intitola: “Tutto ciò che sai è falso”, ma, se tutto ciò che so è falso come posso considerare vera l’affermazione secondo cui è falso tutto ciò che so? I teorici del complotto incappano nel paradosso del mentitore che affermando di mentire sempre dice almeno una volta la verità, ma dicendo questa verità mente. Se tutto è complotto è complotto anche la denuncia dei complotti: questa è la conclusione che i paranoici del complotto dovrebbero trarre dalle loro argomentazioni, dovrebbero, se paranoici non fossero.

La mentalità complottista assume particolare gravità a livello generale, politico, e, anche a questo livello, offre facili bersagli alle ansie, alle paure ed alle insoddisfazioni di molti. Le varie teorie del complotto mettono a disposizione degli esseri umani i responsabili concreti, visibili di tutto ciò che non va, che non funziona. Le crisi economiche sono causate dagli avidi speculatori, le guerre dai mercanti di armi. Non occorre cercare di capire come funziona un sistema economico, non occorre studiare la situazione internazionale, la soluzione è semplice, a portata di mano. Nella Germania nazista la colpa di tutto era degli ebrei e delle loro cospirazioni sataniche, nella Russia staliniana tutti gli insuccessi di una pianificazione avventurista erano addebitati ai complotti dell’imperialismo, oggi le “multinazionali” ed il governo degli Usa sono la causa di tutti i mali del mondo. Piace a molta gente questa piatta semplicità, rafforza la pigrizia mentale latente in ognuno di noi.
Le teorie del complotto offrono inoltre formidabili gratificazioni psicologiche agli esseri umani. “Io non sono stupido” pensa Caio. “Tutti credono che Bin Laden abbia organizzato gli attentati alle torri gemelle ma io non mi faccio ingannare. Altro che Bin Laden, di sicuro c’è sotto qualcosa, gli altri seguono la corrente, credono ai giornali ed alla televisione, io no, io sono intelligente, a me non la si fa!”. Chi vede complotti ovunque è convinto di essere assai più intelligente ed avveduto dei normali esseri umani, pensa di saper guardare le cose in profondità, di non fermarsi alle “apparenze”. Il teorico del complotto si sente superiore a tutti gli altri, lui è una persona capace di guardare lontano, gli altri sono sciocchi creduloni, lui no, no, lui no. Invece lo sciocco credulone è proprio lui. Come lo Schakespiriano re Lear il teorico del complotto non ha occhi per vedere né orecchie per sentire. Accecato dai suoi sospetti scambia i nemici per amici e viceversa, mentre insegue le sue fantasie è incapace di vedere la verità che con tutta chiarezza sta sotto i suoi occhi. Nel bellissimo libro “Il lato oscuro della storia” Daniel Pipes cita il caso di Stalin che nel 1941 non si rese conto, malgrado tutte le evidenze, che la Germania nazista stava per attaccare l’URSS. Cosa impedì al dittatore georgiano di vedere ciò che chiunque poteva vedere? Precisamente la sua sospettosità paranoica. Stalin pensava che tutte le prove dell’imminente attacco tedesco fossero costruite ad arte dai servizi segreti britannici per far entrare la Russia in guerra. Accecato dai sospetti non diede alcuna importanza al fatto che Hitler stava ammassando milioni di soldati alle frontiere sovietiche. Nella prima fase della guerra la Russia sovietica dovette così subire perdite enormi. La paranoia del suo capo costò milioni di morti (evitabili) al popolo russo.


Per il teorico del complotto chi non da credito alle sue fantasie è sciocco e credulone. E’ il caso di dire: evviva gli sciocchi e i creduloni! La persona sensata crede a ciò che vede. Sa che spesso i sensi ingannano ma sa anche che è possibile parlare di inganno solo se esiste un criterio di verità che ci fa distinguere l’inganno da ciò che inganno non è. La persona sensata sa che esistono i complotti ma sa anche che non tutto è complotto. E' disposta a credere che qualcuno cerchi di ingannarla ma sa anche che  potrebbe cercare di ingannarla anche chi parla sempre di inganni, vuole perciò che l’inganno, se esiste, sia provato. La persona sensata non si fida sempre e comunque di tutti ma ritiene illogico e distruttivo non fidarsi mai di nessuno. Non ritiene di essere superiore a tutti gli altri, non pensa di essere la sola a vedere ciò che tutti gli altri non vedono, diffida di chi stuzzica la sua vanagloria, detesta i linciaggi, anche quelli mediatici. Quando pensa a sé stessa la persona sensata cerca di essere, almeno in certe occasioni, almeno un po’, autocritica. Chi ha buon senso non pensa di avere sempre ragione. La persona sensata è un normale essere umano dotato di buon senso, esattamente ciò che i teorici del complotto odiano con più forza. Che cuociano pure nel loro odio.