lunedì 4 febbraio 2019

LA DEGENERAZIONE "LIBERAL" DELL'IDEA LIBERALE

Bisogna ammetterlo, anche se è triste doverlo fare. L'idea liberale sta subendo, meglio, ha subito, un progressivo processo di degenerazione che la ha trasformata in qualcosa di completamente diverso ed inaccettabile: una nuova ideologia. Il liberale è diventato un “liberal”. Poca cosa una vocale, si potrebbe dire. Non sempre: in questo caso dietro a quella vocale si cela la radicale perversione di una grande idea.
Certo, si tratta di un processo non ancora concluso che non coinvolge tutti i liberali. Molti di loro, quelli veri, rifiutano la trasformazione di una filosofia politica per sua essenza non ideologica in una nuova, pericolosa ideologia. Ma è un processo di cui sarebbe pericoloso sottovalutare la portata e che coinvolge tutti i punti chiave dell'idea liberale. Va quindi la pena di esaminarlo analiticamente, in relazione a questi.

INDIVIDUO E RELAZIONI SOCIALI
Nella dottrina liberale è centrale il valore del singolo.
Tizio è un uomo, un generico appartenente alla specie umana ed ha valore per questa generica appartenenza. Non importa quale sia la collettività in cui Tizio è inserito, quale il colore della sua pelle, quale il suo sesso, quale la sua classe sociale. Tizio è un singolo essere umano, un individuo ed ha valore in quanto individuo umano. Ha una dignità che nessuno deve offendere, è un ente morale che è dovere di tutti rispettare.
Ma se afferma il valore centrale dell'individuo l'idea liberale non teorizza affatto l'individuo privo di relazioni sociali, un individuo ridotto ad atomo o, peggio, a monade senza finestre sul mondo. Certo, l'individuo è la base di ogni relazione sociale. Il liberalismo rifiuta l'idea essenzialista della società che fa di questa una sorta di super persona di cui gli individui in carne ed ossa non sarebbero altro che componenti, un po' come cuore e polmoni sono componenti del corpo. La società altro non è che l'insieme coordinato degli individui e delle loro relazioni, ma queste relazioni contribuiscono a formare l'identità degli individui, ne influenzano in maniera profonda la vita ed il pensiero.
L'individuo vive nelle relazioni con gli altri. Dal linguaggio allo studio, dai rapporti affettivi al lavoro, dallo sport alla compravendita... si elimini il contenuto relazionale dalla vita degli individui e questi si trasformano in pura potenzialità, astrazioni non molto dissimili dall'astrazione della società organica che riduce il singolo ad un ruolo subordinato e predeterminato.
In certi pseudo liberali dei nostri giorni si tende invece a considerare l'individuo in maniera del tutto avulsa dal suo contesto sociale, dalla sua cultura, dalle sue tradizioni.
Prendiamo ad esempio il problema delle migrazioni. Qualcuno afferma che il flusso continuo di migranti dall'Africa all'Europa sarebbe “utile” perché ci permetterebbe di far fronte al calo demografico del vecchio continente. L'Europa invecchia, quindi “ci servono” forze giovani che vengono dall'Africa o dal medio oriente. Questo affermano presunti “intellettuali progressisti” lanciando sorrisini di compatimento a chi è tanto sciocco da non pensarla come loro.
Quello che questi patetici personaggi non capiscono, o fingono di non capire, è che gli individui non sono, appunto, meri atomi, pedine incolori che è possibile trasferire da una parte all'altra del mondo. Gli esseri umani non sono mattoncini del “lego” con cui è possibile costruire un po' di tutto, e questo in fondo è un paragone inappropriato perché i mattoncini del “lego” sono ormai in gran parte personalizzati, non interscambiabili.
“Intellettuali” come Emma Bonino al contrario sono convinti che gli individui umani siano
meno dei mattoncini del lego. Confondono l'individualità con la mancanza di relazioni sociali, di legami con culture e tradizioni. I loro “individui sono esseri amorfi privi di storia. Non veri individui, solo pallide astrazioni.

Certo, l'inserimento in diversi quadri socio-culturali non trasforma le persone in epifenomeni delle culture, non elimina la loro libertà né la loro capacità di criticare le stesse culture di appartenenza e di integrarsi in culture diverse, ma si tratta di un processo lungo e faticoso e che parte comunque dal franco riconoscimento della realtà della appartenenza culturale. Per qualcuno invece il problema neppure si pone. Siamo tutti individui, quindi le culture da cui gli individui provengono non hanno importanza alcuna. Se in Italia siamo troppo vecchi “importiamo” un po' di Africani, li “integriamo” costruendo per loro qualche campo di calcetto e tutto si risolve. A parte il razzismo implicito in simili concezioni, è fin troppo facile rendersi conto come in queste la stessa “integrazione” con cui tanti si riempiono la bocca diventa qualcosa di assolutamente secondario. L'Europa e l'Italia restano le stesse quale che siano le idee, i valori, gli interessi profondi degli italiani e degli europei. Parità di diritti fra i sessi o supremazia del maschio? Stato laico o teocrazia? Libero pensiero o pena di morte per gli apostati? Legame con una storia, una tradizione, una cultura o ripudio delle stesse? Tutto questo non ha rilevanza alcuna per chi spoglia l'individuo di ogni relazione sociale, lo priva di qualsiasi quadro culturale di riferimento. L'unica cosa che conta sono gli individui e la loro età. In questo modo, non si rende più giovane l'Europa, la si cancella in quanto tale.

 

UNIVERSALITA' E PARTICOLARITA'
 Il liberalismo è universalista. L'universalismo democratico e liberale si può sintetizzare nella affermazione che esistono regole razionali, norme etiche e probabilmente anche criteri di valutazione estetica che valgono per gli esseri umani in quanto tali, indipendentemente da epoche storiche, paesi, civiltà. Oggi possiamo capire la filosofia di Aristotele e quella di Confucio, per quanto sia grande la distanza spaziale e temporale che ci separa da questi filosofi. Stuprare una fanciulla è azione vergognosa sempre e comunque. Non si dice: “la nona sinfonia di Beethoven mi piace”. Si dice: “la nona sinfonia è bella”. Inteso in questo senso l'universalismo liberale è l'altra faccia dell'individualismo. L'individuo vale perché è parte della specie umana, il singolare compreso nell'universale. E' Tizio che può instaurare con Caio e Sempronio, Anna e Luisa rapporti fondati sulla ragione, l'etica, il gusto estetico.
Esattamente come l'individualismo anche l'universalismo liberale ha però subito una grave degenerazione ad opera dei filosofi “liberal”. L'universalismo liberale e democratico
non cancella le particolarità. Il fatto che io abbia valore in quanto generico essere umano non elimina ciò che mi fa diverso da Tizio, Caio e Sempronio e non elimina il fatto che io sia membro di comunità sovra individuali, particolari, diverse da quelle in cui Tizio, Caio e Sempronio sono inseriti. Io devo rispettare tutti gli esseri umani, ma non sono amico di tutti, non amo tutti, né provo per tutti la stessa simpatia. Un italiano ha la stessa dignità di un Giapponese, ma io condivido con l'italiano un linguaggio, una tradizione, dei sentimenti, che non condivido con un giapponese. La comune appartenenza al genere umano non elimina le classi sociali, le civiltà, le culture, le nazionalità, le patrie, gli stati. Quindi non elimina i confini, i tanto detestati muri. L'universalismo democratico liberale relaziona le differenze, mira ad instaurare fra individui, classi, stati e nazioni, relazioni basate sul reciproco rispetto. Lo pseudo universalismo dei liberal tende invece ad annullare le differenze, ad annacquare tutto ciò che è particolare nell'astrazione indistinta di un universalismo fasullo. Un po' come se per il fatto che io riconosco a Tizio una dignità pari alla mia pretendessi di annullare ogni differenza fra la mia famiglia e la sua, teorizzassi che la sua casa è anche la mia, che i miei figli sono anche i suoi e viceversa, o che col suo lavoro lui è tenuto a mantenere anche me, esattamente come mantiene i suoi cari. Una caricatura, meglio, una perversione dell'universalismo vero; una perversione che minaccia proprio la libertà, l'universale libertà che ci spetta in quanto generici esseri umani. Si, la minaccia, e gravemente, perché è parte essenziale di questa libertà il potersi riconoscere in una tradizione, una cultura, una famiglia, una patria.

Sintesi e conclusione di questa perversione della universalità è la concezione liberal del
mercato. I liberali sono da sempre favorevoli al commercio internazionale, contrari alla chiusura particolaristica o, peggio, autarchica delle frontiere. Ma il commercio internazionale è, appunto, un commercio fra le nazioni e fra individui di diversa nazionalità, relaziona, non elimina le particolarità. Ora si vuole sostituire a questo un commercio senza le nazioni, un insieme di relazioni economiche che si svolgono in un mondo privo di particolarità. E' il mondialismo, la distopia di un mondo senza confini, enorme area grigia in cui ognuno va dove vuole, fuori da qualsiasi regola. La sostituzione del mondialismo al commercio internazionale è l'altra faccia della sostituzione delle migrazioni di popoli ai normali processi di immigrazione ed emigrazione di gruppi od individui, un processo che sta distruggendo l'occidente.

L'universalismo democratico liberale relaziona, val la pena di ripeterlo, non annulla le particolarità. Certo, da questo possono nascere problemi anche molto gravi. Perché non tutte le particolarità sono egualmente rispettose degli universali diritti umani. Non tutte le culture rispettano la libertà dei singoli, non tutte riconoscono a uomini e donne pari dignità e diritti o tutelano la libertà di pensiero. Possono esistere addirittura culture che ritengono sia loro diritto opprimere le culture diverse, imporre con la forza i loro “valori”. Che fare in casi simili? Personalmente sono convinto che non sia eticamente inammissibile intervenire negli affari interni di stati in cui i fondamentali diritti umani siano calpestati in maniera gravissima. L'atteggiamento di chi in casi simili dice: “deve essere il popolo di quel tal paese a sbarazzarsi del tal tiranno” è, nella migliore delle ipotesi, profondamente ipocrita: a proteggere i tiranni ci sono molto spesso i carri armati. I problemi semmai sono non tanto di ordine etico quanto pratico-culturale. Il tentativo di “esportare la democrazia” è stato quasi sempre fallimentare, forse non a caso...
In ogni caso, si tratta di problemi reali da affrontare in maniera non ideologica, con una buona dose di sano pragmatismo. Ed è proprio di fronte a problemi simili che i liberal cadono in vistose contraddizioni. Molto spesso infatti, subito dopo aver teorizzato la fine delle particolarità culturali e statali affermano con la massima forza il valore di queste particolarità per opporsi a qualsiasi pressione esterna nei confronti di regimi immondi. Il mondo è privo di confini per i migranti ma guai se Trump fa pressioni per far cadere un tirannello come Maduro. In questo caso i confini risorgono e l'autonomia del Venezuela diventa un dogma intoccabile. Anche se il
popolo del Venezuela è stremato e fa di tutto per liberarsi di un regime criminale. 

L'ELIMINAZIONE DELLA DIFFERENZA

Le idee dell'individuo slegato dalle sue relazioni sociali, dell'universalità che sopprime le particolarità altro non sono in fondo che casi particolari di una idea più generale, autentica base della filosofia “liberal”. Possiamo chiamarla eliminazione della differenza.
Si tratta di una idea molto semplice: parte dall'assunto, del tutto condivisibile, della pari dignità degli esseri umani, e, con un autentico salto mortale logico, arriva alla conclusione che le differenze fra questi non esistano o non abbiano rilevanza alcuna, siano, nella migliore delle ipotesi, puri accidenti privi di spessore ontologico.
L'eliminazione della differenza è il dogma fondamentale della filosofia liberal e del collegato pensiero politicamente corretto, tocca tutti gli aspetti della vita umana, tutte le caratteristiche dell'uomo. Influisce sulla politica ma non solo: coinvolge il linguaggio, le relazioni interpersonali, di qualsiasi tipo esse siano, i rapporti fra uomo ed animali, uomo e natura. Nulla sfugge alla sua influenza mortifera. Val la pena di esemplificare con una certa ampiezza, anche se in maniera necessariamente incompleta, il suo enorme campo di applicazione.

Tutti gli esseri umani hanno pari dignità. Per i liberal politicamente corretti questo significa che tutte le
realizzazioni degli esseri umani sono sullo stesso piano. Aveva cominciato don Lorenzo Milani teorizzando che la cultura di un contadino semi analfabeta non è inferiore ma solo “diversa” da quella di un nobel per la fisica. I liberal amplificano questo discorso applicandolo alle culture ed alle civiltà. Una civiltà che ha prodotto Platone ed Aristotele, Dante e Shakespeare, Leonardo e Michelangelo, Mozart e Beethoven non è superiore ma solo “diversa” da altre che non hanno prodotto nulla di simile. Ovviamente chi non è d'accordo è subito bollato come “razzista”...

Quella sessuale è una delle più rilevanti caratteristiche degli esseri umani. Maschi e femmine sono diversi, sia fisicamente che, in parte, psicologicamente, ma l'ideologia politicamente corretta dei liberal annulla o banalizza questa differenza. Ancora una volta, si parte da un presupposto del tutto corretto: la pari dignità fra uomo e donna, per giungere, con un triplo salto mortale logico, a conseguenze aberranti. Maschi e femmine hanno pari dignità “quindi” la differenza sessuale non esiste o se esiste è completamente secondaria. Ridenominata “differenza di genere” la differenza sessuale perde ogni rilevanza sociale, diventa qualcosa di puramente ludico, che vale solo nel gioco erotico, priva di importanza per la stessa riproduzione della specie. E, ovviamente, la negazione di questa differenza implica la fine di ogni differenziazione fra coppie etero ed omosessuali, domani potrebbe implicare la negazione di ogni differenza fra famiglie fondate sulla coppia ed altre fondate sull'unione di un numero variabile di maschi e/o di femmine: tre maschi ed una femmina, sei femmine e cinque maschi, dieci maschi, tredici femmine, tutto va bene.
Eliminata ogni rilevanza della differenza sessuale la famiglia letteralmente esplode. Padri e madri scompaiono sostituiti da “genitori uno e due”, domani potrebbero subentrare i genitori tre, quattro o cinque. Si apre uno iato incolmabile fra amore, sesso e riproduzione della specie. I figli cessano di essere una parte di noi stessi, qualcosa della nostra natura destinata a sopravviverci, diventano qualcosa che grazie alla pratica dell'utero in affitto, si può, letteralmente, comprare. La riproduzione viene assorbita nella produzione, come nei più allucinati incubi del nazismo. Il tutto in nome della libertà.

Ancora una volta, è del tutto corretto rivendicare per ognuno il diritto di soddisfare come meglio crede le proprie esigenze erotiche, se con questo non danneggia altri. Ma è aberrante far derivare da questo diritto la pretesa che ogni tipo di unione sessuale fra esseri umani abbia lo stesso valore sociale di tutte le altre. Tizio può soddisfare le sue esigenze erotiche in maniera solitaria, accoppiandosi con una donna, o con un uomo, o con tre donne e quattro uomini. Ma non può pretendere che i vari modi in cui soddisfa il suo eros abbiano lo stesso peso sociale della famiglia cosiddetta “tradizionale”. Compare qui un aspetto particolarmente inquietante della ideologia liberal: la pretesa di
trasformare i desideri in diritti. Io posso essere omosessuale e posso nel contempo avere il desiderio di essere padre, fin qui nulla di male. Non posso però pretendere che questo desiderio di paternità che accompagna il mio essere omosessuale si trasformi in diritto ad essere padre rifiutando nel contempo l'unione con persone di sesso diverso dal mio. Un omosessuale che vuole essere padre deve scegliere fra desiderio di paternità ed omosessualità. Il fatto che desideri entrambe le cose non gli da il diritto di comprare un bambino grazie all'utero in affitto. Non può dargli questo diritto perché anche i bambini hanno i loro diritti, compreso quello di avere un padre ed una madre.

Il liberale autentico non è, non può essere razzista. Anche il liberal non lo è. Ma, facendo l'ennesimo salto mortale logico, il liberal collega il rifiuto del razzismo con la
negazione della esistenza stessa delle razze. “Esiste una sola razza, la razza umana”, afferma con una certa enfasi. Qualcuno aggiunge polemicamente: “le razze non esistono, i razzisti si”.
Si tratta di affermazioni profondamente stupide. In primo luogo parlare di “razza umana” è una idiozia per il semplice motivo che non esiste una
razza ma una specie umana: le razze sono sottospecie della specie, o se si vuole del genere umano. Parlare di razza umana è un po' come parlare di “nazione umana”, una scemenza perché le nazioni costituiscono gruppi in cui gli uomini si dividono.
In secondo luogo affermare che non esistono le razze ma esistono i razzisti vuol dire commettere un pacchiano errore di logica. Se le razze non esistono i razzisti non possono esistere. In questo caso il razzista è un folle visionario che vede entità inesistenti, o un criminale che appiccica ad altri etichette fasulle al solo fine di poterli depredare e perseguitare.
Di nuovo, una cosa è affermare la pari dignità di tutti gli esseri umani, quali che siano le loro caratteristiche fisiche ereditarie, cosa ben diversa negare queste caratteristiche. E' razzista solo chi collega arbitrariamente alcuni caratteri secondari degli uomini come il colore della pelle con l'essenza umana comune a tutti e che tutti ci rende titolari di pari diritti e doveri.

La tendenza nichilista alla abolizione delle differenze non si limita al mondo umano. Parte del movimento ecologico e di quello animalista arrivano a contestare la attribuzione di uno status etico particolare all'uomo. Quello che per millenni è stato considerato il confine che delimita l'area del mondo etico viene travolto, come tutti gli altri confini. L'accusa di “specismo” bolla come “razzista” chi considera la vita di un bambino ontologicamente superiore a quella di un topo. I più fanatici, ma anche i più coerenti, fra i mistici dell'ecologia vanno ancora più in la estendendo a tutta la natura non umana la dignità etica che per millenni era stata monopolio dell'uomo. Ai merluzzi ed ai toporagni si affiancano così nuovi soggetti etici: pioppi ed abeti, fiumi e montagne.
Val solo la pena di ricordare che tutto questo non ha nulla a che fare con l'ammirazione ed i sentimenti benevoli che possono suscitare in noi gli animali e con le giuste preoccupazioni per la tutela dell'ambiente. E' invece manifestazione di una filosofia malata che teorizza una sorta di “armonia prestabilita” fra uomo e natura, che solo “l'umana follia” rischierebbe di spezzare. L'enorme clamore mediatico che accompagna la teoria del “riscaldamento globale”, con annesso business miliardario, ne è conseguenza.
Si può amare un cane e, sia pure in modo diverso, una pianta o una località, ma solo una autentica follia nichilista ci può spingere a considerare soggetti morali enti che è ridicolo definire colpevoli o innocenti o in qualche modo
moralmente responsabili di qualcosa.

Siamo esseri razionali finiti, il dolore è parte ineliminabile della nostra vita. La filosofia liberal non può abolire il dolore, così cerca di negarlo eliminando la differenza fra salute e malattia, abilità e disabilità. Per i liberali i malati ed i disabili non solo hanno gli stessi diritti delle persone sane, ma hanno anche diritto al loro aiuto ed alla loro assistenza. Per i liberal invece tutto si risolve negando la corposa realtà di malattie e disabilità. Il disabile diventa “diversamente abile”, il concetto stesso di normalità vine assimilato al “razzismo” e criminalizzato. Tutti siamo “normali”, vedenti e non vedenti, deambulanti e non deambulanti. Naturalmente ogni buon liberal preferisce far parte dell'insieme dei vedenti e dei deambulanti...
E quando la differenza è talmente radicale che non è possibile mascherarla con terminologia politicamente corretta si cerca di non vederla, ignorarla. Una delle caratteristiche più diffuse dell'occidente politicamente corretto è la
rimozione della morte. Non si muore, si “parte”. Non si è vecchi, quindi più vicini alla morte, si è “anziani”. Inutili, patetici eufemismi con cui si cerca di mascherare il dato della nostra insopprimibile finitezza.

LIBERTA' E VERITA'

 Nessun confine è tanto importante come quello che divide il vero dal falso. Si tratta di un confine che trova le sue radici proprio nella universalità. La differenza fra vero e falso è legata alla generica ragione umana: due più due fa quattro per neri e banchi, cristiani e musulmani; ed è legata al dato originario di un mondo almeno in parte regolare e di una esperienza condivisibile fra gli esseri umani. “Parigi è capitale della Francia”: questo enunciato è vero per un francese come per un giapponese, per Tizio come per Caio. Se così non fosse Tizio e Caio, francesi e giapponesi non potrebbero in nessun modo comunicare fra loro. Non esisterebbe una esperienza umana ma tante esperienze quante sono le nazioni o gli individui.
Per il liberalismo classico il concetto di verità non contrasta in alcun modo con la libertà di pensiero. Libertà di pensiero è prima di tutto libertà di cercare la verità. Libertà di ricerca quindi e di analisi, di discussione. Discussione libera, in cui ognuno deve cercare di convincere i propri interlocutori con argomentazioni razionali e col rimando alle “sensate esperienze”, senza uso di alcuna forza che non sia la forza della ragione. La verità deve emergere dal confronto libero. Una tesi che si imponesse grazie alla prevaricazione ed alla violenza potrebbe anche essere vera, ma sarebbe la forza, non il legame con la verità la causa del suo prevalere. Con la tortura si può imporre qualcuno ad affermare, addirittura a
credere, che due più due fa quattro, oppure cinque, oppure quattro e cinque nel contempo, ricorda Orwell in “1984”. Tutto questo con la verità non ha proprio nulla a che vedere, e neppure, ovviamente, con la libertà.

La filosofia liberal invece contesta il concetto stesso di verità. La verità limiterebbe la libertà, porrebbe dei limiti al pensiero. Tizio ha tutto il diritto di pensare e dire ciò che vuole, e se qualcuno obbietta che sta dicendo il falso, o una palese assurdità, limita in questo modo la sua libertà. La verità non esiste, meglio, si identifica con l'opinione ed esistono tante verità quante sono le opinioni. L'ultimo confine è abbattuto, l'ultima barriera distrutta. Vero e falso si sovrappongono e si confondono. Tutti hanno ragione, quindi tutti hanno torto. Tutti dicono il vero, quindi nessuno lo dice.
Simili concezioni sono in primo luogo truffaldine. Si, truffaldine perché nessuno impedisce a Tizio di dire il falso. Nessuno gli impedisce di dire o di pensare che due più due fa cinque o che Parigi sia la capitale d'Italia. Gli si contesta solo, con argomentazioni razionali ed il richiamo alla esperienza, che simili affermazioni siano
vere. La cosa è leggermente diversa.
In secondo luogo si tratta di concezioni aporetiche. Perché se tutto è vero è vera anche l'opinione di chi non crede che tutto sia vero, e se tutto è falso è falsa anche l'opinione di chi crede che sia falso tutto.
Certo, la logica contemporanea ha in parte risposto a simili paradossi, ad esempio con la proposta di dividere il linguaggio in metalinguaggio e linguaggio oggetto, ma, a parte il fatto che si tratta di soluzioni non definitive, queste non toccano ciò di cui si sta ora parlando. Se la verità coincide con l'opinione è infatti valida anche l'opinione di chi certe soluzioni le rifiuta, ad esempio, non accetta la divisione fra metalinguaggio e linguaggio oggetto. E tutte le aporie si ripresentano.

Lasciamo perdere le truffe concettuali e le aporie. E' vero che la libertà contrasta con la verità? Assolutamente
NO! La stessa concezione di una scienza mai definitiva, sempre aperta a revisioni e falsificazioni è legata al concetto di verità. Perché mai abbandonare una teoria scientifica se tutte le teorie sono vere, o false? Perché sottoporre a controlli rigorosi le proprie previsioni se la verità è una chimera? Perché discutere liberamente su tutti abbiamo ragione, o torto?
Se la verità non esistesse nella migliore delle ipotesi fra gli esseri umani regnerebbe una totale indifferenza: “di pure quello che vuoi, non mi interessa. Tu hai ragione ma anche io la ho”. Nella peggiore i loro rapporti si baserebbero sulla violenza: “tutti abbiamo ragione, o torto, e io ti impongo con la forza la
mia ragione”.
Non si tratta di vaneggiamenti letterari, o di pure speculazioni. Tutti i tiranni totalitari hanno letteralmente fatto a pezzi il concetto stesso di verità. La verità imponeva dei limiti ai loro deliri di onnipotenza. Per questo andava distrutta e sostituita dal più selvaggio volontarismo.
Hitler si inventò letteralmente il concetto di “spazio vitale” e lo impose con spietata brutalità ai popoli d'Europa. Prima di precipitare il suo paese nel baratro.
Stalin irrise le più elementari leggi economiche ed impose al suo popolo la collettivizzazione dell'agricoltura e l'industrializzazione a tappe forzate. Morirono a milioni. E l'economia rimase arretrata.
Mao e Pol Pot cercarono di imporre agli esseri umani una nuova natura. Non crearono l'uomo nuovo, solo montagne di cadaveri.
Orwell fa dire al protagonista dei “
1984”: La libertà è poter dire che due più due fa quattro. Si, la libertà comincia da lì, perché si arriva a dire che due più due fa quattro usando liberamente la propria ragione, ed il fatto che due più due faccia quattro limita l'arbitrio dei tiranni, pone in qualche modo sullo stesso piano un re e l'uomo comune. L'uno e l'altro sono sottoposti allo stesso vincolo, possono sbagliare o dire il giusto solo usando liberamente la loro dote più sostanzialmente, universalmente umana.
Eliminare la verità favorisce solo il nichilismo, non la libertà. Ma i liberal non sembrano comprendere un concetto tanto facile.
 

L'APPRODO SEPARATISTA 

 Il filosofo liberal detesta confini e barriere, differenze e particolarità. Sogna un mondo unificato, unisex, privo di nazioni, culture, civiltà, popolato da individui scissi da contesti sociali e tradizioni. Riduce tutto ad una universalità fasulla, artificiosamente contrapposta alle particolarità. Ed elegge a supremo principio dell'etica i gusti ed i desideri dei singoli. Il tutto in nome della “libertà”.
Ma tutta la sua costruzione va incontro, inevitabilmente, a paralizzanti contraddizioni.
E' sommamente contraddittorio teorizzare, insieme, l'universalità e la fine dei limiti. Questo per il semplicissimo motivo che
l'universalità è un limite. Ci impone, fra le altre cose, il rispetto per gli altri e il rispetto delle regole della convivenza civile. E ci impone di non definire “vero” il falso e viceversa. Un'etica basata unicamente sul soddisfacimento dei desideri trova proprio nella universalità un limite invalicabile.
Ed infatti i liberal tradiscono la loro presunta universalità, la tradiscono quando negano il valore della verità, e la tradiscono in maniera ancora più macroscopica quando mettono in atto le loro politiche multiculturaliste.

Le particolarità sono difficili da eliminare, tanto più che sono proprio i soggetti che i  liberal amano alla follia a non volerne sapere di abolire le differenze che li contraddistinguono. Nel momento stesso in cui, ad esempio, i cattolici  si affannano a  negare tutto ciò che costituisce la loro identità storica e culturale questa viene affermata con orgoglio dai musulmani. Loro non ne vogliono sapere di integrarsi come individui in una società di  individui. Per loro una simile integrazione equivarrebbe ad accettare alcuni dei valori fondanti di una civiltà, quella occidentale, che sentono estranea, non del tutto a torto, occorre ammetterlo. L'universale meticciato vale solo per gli occidentali.
Del resto, malgrado tutti i tentativi di nascondere ed eliminare le differenze queste sono ben lungi dallo scomparite. Si può affermare di continuo che quelli di padre e madre sono concetti superati, da sostituire con quello di “genitori uno e due”, ma i figli continuano ad avere un padre ed una madre. Si può ripetere all'infinito che nulla di serio distingue un occidentale laico da un islamico estremista perché l'Islam è una religione di pace, laica e democratica. L'islamico estremista continua a ritenere gli uomini superiori alle donne, le adultere degne della lapidazione e gli apostati della decapitazione. Si può sostenere in mille dibattiti televisivi che le razze non esistono. Continueranno ad esserci esseri umani con la pelle nera ed altri con la pelle bianca. E nella società occidentali, almeno per ora, gli eterosessuali restano molto più numerosi degli omosessuali, i bianchi dei neri, i cristiani e i non credenti dei musulmani.
Tutto questo costituisce per il liberal una intollerabile forma di “discriminazione”. Non a caso, perché il liberal nasconde dietro alle sue dichiarazioni universaliste una antipatia profonda, spesso addirittura un profondo odio, per la sua civiltà. L'egualitarismo rozzo che lo spinge a negare le particolarità lo porta a ritenere la affermazione mondiale dell'occidente come una sorta di peccato originale, una offesa dei forti nei confronti dei deboli, una macchia che occorre cancellare. Il liberal si vergogna della sua storia e cerca oggi di por riparo a quelle brutture del passato che considera monopolio della sua civiltà.
Lo fa, cerca di farlo, riconoscendo diritti particolari a gruppi etnici, razziali, religiosi, sessuali. I neri non sono abbastanza numerosi nelle università? Devono essere assicurate nelle stesse delle “quote nere”. Non si entra in una certa facoltà per i propri meriti, ma, almeno in parte per il colore della propria pelle. Le donne non sono abbastanza numerose in politica? Devono esserci delle “quote rosa” nelle istituzioni che assicurino loro la “giusta rappresentanza”. Si arriva addirittura a teorizzare, ed in parte a mettere in pratica, una differenziazione di legislazioni per “rispettare” i valori di altre religioni. Di fatto la poligamia è quasi accettata, c'è chi ne chiede la piena legalizzazione. Lo stesso può dirsi della finanza islamica. Chissà, domani potrebbero essere accettate la lapidazione delle adultere, il ripudio delle mogli o le spose bambine.

L'universalità liberale riconosce l'importanza delle particolarità ma impedisce che queste possano stravolgere le basi della convivenza sociale. Nei paesi democratici dell'occidente il patto sociale è stipulato in termini individualistici. Gli individui sono caratterizzati dalle loro particolarità, fanno parte di gruppi diversi, ma hanno, tutti, gli stessi diritti e doveri. I liberal cercano di riscrivere il patto sociale. Ad essere decisivi non sono più i diritti dei singoli ma gli pseudo diritti dei gruppi. Le donne “devono “ avere una certa presenza in parlamento, anche se elettrici ed elettori preferiscono non votarle. I neri “devono” avere un certo numero di iscritti alla università, indipendentemente dal merito. La democrazia liberale, nel momento stesso in cui riconosce l'importanza del particolare non lo vede,
non lo vuole vedere, quando si tratta di attribuire i fondamentali diritti e doveri. Non vede colore della pelle o sesso, o credo religioso, se si tratta di stabilire chi deve diventare senatore , o chi deve occupare il posto di primario in un ospedale. In questi casi contano solo la professionalità individuale e l'individuale capacità di conquistare voti alle elezioni.
I liberal con la loro politica detta della “azione positiva” distruggono questa che è la caratteristica principale della democrazia, meglio sarebbe dire della civiltà, liberale. Partiti dalla esaltazione di una universalità fasulla arrivano a colpire a morte l'universalità proprio laddove essa deve essere intoccabile. Partiti dalla abolizione delle differenze le eternizzano nella loro forma peggiore. Non più differenze che coesistono, arricchendola, con la universale pari dignità di tutti, ma differenze fra gruppi chiusi al cui interno la dignità dei singoli può subire le peggiori violenze. Se sei donna e fai parte di un gruppo in cui le donne sono obbligate a vestire in un certo modo non puoi lamentarti. Ad essere decisive sono le regole del gruppo, non i tuoi diritti di individuo. Le particolarità che i liberali tutelano sono, almeno in linea di principio, aperte: puoi aderire ad un certo credo, ma puoi anche abbandonare la tua fede, puoi abitare in un quartiere in cui i neri sono maggioranza, ma puoi anche cambiare abitazione e diventare vicino di casa e amico di un bianco. Puoi essere un immigrato che non conosce la lingua del paese accogliente, ma la puoi imparare.
Le particolarità che i liberal cercano di imporre sono invece chiuse. Dividono la società lungo linee etnico tribali. Prevedono quote ovunque, per questo e quello. Negli Usa teorizzano il bilinguismo e percorsi di studio diversi per gli ispanici. In Europa in interi quartieri di grandi città vige di fatto la sharia.
La società multi etnica, integrata, arcobaleno di cui i liberal si riempiono la bocca non esiste da nessuna parte. Il multiculturalismo si realizza di fatto come frammentazione delle società occidentali, loro regresso tribale. I liberal partono da un individualismo e da un universalismo fasulli ed approdano al collettivismo dei gruppi e al separatismo tribale. Polemizzano incessantemente contro i confini, le frontiere ed i muri ma tutta la loro azione porta ad innalzare muri non la dove è giusto vengano innalzati, ai
confini degli stati, ma dentro questi. L'occidente è oggi pieno di muri. Proteggono dagli attacchi terroristici chiese e centri commerciali, piazze e monumenti. E muri invisibili separano un quartiere da un altro, una parte dall'altra di paesi e città.
Teorizzare la fine di confini e frontiere non distrugge i muri. Distrugge solo quei muri che difendono la nostra civiltà. Mentre dentro la nostra civiltà sempre nuovi muri si alzano.
 

AUTORITARISMO E DISPREZZO PER LA DEMOCRAZIA

 I liberal esaltano la libertà individuale fino al punto di trasformare i desideri in diritti e di abbracciare un assoluto relativismo, si scusi il bisticcio di parole. Il metro di valutazione supremo è dato dalla opinione individuale, al di la di ogni criterio che distingua il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto, il bene dal male. Ma, come tutti i teorici della libertà senza limiti si trovano di fronte ad un problema piuttosto grosso. Una illimitata libertà è per forza di cose aporetica: deve considerare legittime anche le azioni di chi odia e combatte la libertà. Anche il liberalismo classico si trova a fare i conti con questa aporia, ed infatti quel liberalismo non teorizza la libertà priva di limiti, al contrario. In una società libera vengono represse le azioni (le azioni, in tempi normali non i pensieri e le parole) tendenti a distruggere la libertà.
Chi però si aspettasse anche dai liberal un atteggiamento di questo genere sbaglierebbe di grosso. I liberal non si limitano a criminalizzare le azioni di chi attenta alla libertà ed alla democrazia, criminalizzano azioni, pensieri e parole di chi non è liberal. Il pensiero liberal non considera se stesso una delle tante posizioni culturali e politiche legittime in una società pluralista, identifica se stesso con la libertà e considera quindi nemico della libertà chi non condivide le sue teorie. E, purtroppo per i liberal, a non condividere queste teorie è la gran maggioranza degli esseri umani che hanno la fortuna di vivere in società libere.

L'estendersi del pensiero politicamente corretto è stato accompagnato in occidente da un progressivo restringersi di tutte le libertà, a partire dalla fondamentale libertà di pensiero. E' rinata la censura, un tempo nemica mortale dei liberali. Qualsiasi posizione non politicamente corretta viene subito assimilata al “razzismo” o al “sessismo” e considerata quindi indegna di essere espressa. Per impedire le critica all'Islam si è inventato il nuovo reato di islamofobia. Chi afferma che i bambini hanno un padre ed una madre rischia di incorrere nel reato di “omofobia”.
La censura si è estesa al linguaggio. L'uso di certe parole, un tempo comunissime, è stato proibito. Termini che un tempo usava un campione della emancipazione dei neri americani come Martin Luther King sono oggi vietati. Chi li usa è “razzista”. Canzoni in cui un tempo nessuno avrebbe potuto scorgere contenuti “razzisti” sono oggi fuorilegge. Qualcuno vuole introdurre un nuovo reato: quello di “odio”, come se un sentimento potesse essere criminalizzato. La vecchia, classica distinzione liberale fra pensieri, parole ed azioni, peccati e reati viene sempre più messa in discussione.
Ed accanto alla censura diventa sempre più estesa la menzogna. Visto che il mondo reale non è come lo descrivono i liberal non si comunicano al popolo bue gli eventi del mondo reale. I terroristi diventano “squilibrati”, se un migrante compie un reato non si dice alla gente normale che si trattava di un migrante, i TG tacciono nomi e nazionalità di criminali non italiani, salvo poi sottolineare con la massima enfasi la nazionalità di un delinquente se questo è nostro connazionale. I missili di Hammas su Israele non raggiungono l'onore della cronaca, la raggiungono invece le sacrosante rappresaglie israeliane. La rete è oggetto di attacchi sempre rinnovati, e non a caso: costituisce un ostacolo formidabile contro i nuovi emuli di Joseph Goebbels.

E l'attacco alle libertà si combina con l'attacco sempre più virulento alla democrazia. In questo i liberal sono piuttosto astuti. Ogni volta che i loro rivali conseguono delle affermazioni elettorali, cosa che capita piuttosto spesso, cominciano a recitare la parte di bravi liberali. Chi vince le elezioni non ha il potere di fare ciò che vuole ripetono in coro. Bella scoperta! Chi vince le elezioni non può fare ciò che vuole perché ha il dovere, etico e giuridico, di rispettare le minoranze ed i fondamentali diritti dei cittadini, ma ha
diritto di governare, di attuare il suo programma. Ma è proprio questo che i liberal contestano, e non a caso. Per loro il programma liberal si identifica tout court con la libertà, mettere in atto qualcosa di diverso significa, per loro, attentare ai fondamentali diritti dei cittadini.
E così il buon liberal, ogni volta che subisce una sconfitta elettorale cerca in qualche modo di mettere in discussione il voto popolare. E' successo in Gran Bretagna come negli USA, come in Italia. Si manifesta contro il risultato elettorale, si cerca di colpire i rivali politici con inchieste giudiziarie ridicole, si strilla contro l'ignoranza del popolo, si arriva a mettere in discussione il principio di maggioranza. Noi siamo giovani, colti, aperti, voi vecchi, ignoranti, chiusi, strillano i liberal. Perché mai il vostro voto dovrebbe valere come il nostro? Presunti intellettuali si pavoneggiano di continuo sui media contrapponendo la loro enorme “cultura” ai biechi istinti di un popolino che “vota con la pancia”.

E così il processo è compiuto. I liberal partono dalla universalità ed approdano al particolarismo tribale separatista. Vogliono abolire le differenze ed eternizzano ogni differenza. Partono dall'esaltazione della illimitata libertà dell'individuo ed approdano alla censura. Si dichiarano fautori della democrazia ed arrivano a teorizzare la fine del principio di maggioranza. Stabiliscono che non esiste differenza alcuna fra la cultura di un contadino semi analfabeta e quella di un nobel per la fisica ed arrivano a manifestare un intollerabile disprezzo per la gente comune. Criticano il concetto stesso di verità in nome della libertà di pensiero ed approdano alla difesa di un opprimente pensiero unico.
Tutta la loro filosofia è caratterizzata dal costante passaggio dalla esaltazione di una libertà priva di limiti alla negazione di ogni libertà. Ricorda in questo la filosofia comunista che non a caso passa dalla promessa del paradiso interra alla costruzione, ed alla difesa teorica, dell'inferno, sempre qui, in terra.
E' l'ultima grande ideologia. Pericolosa, come tutte le ideologie. E da combattere, senza se e senza ma.