Chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un’altra
persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima è
punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Questo
dico il primo comma dell’articolo 609 del codice penale dopo la
riforma approvata all’unanimità dalla camera.
A livello di
valutazione di principio non c’è nulla da eccepire: è evidente,
addirittura banale, che l’atto sessuale deve basarsi sul consenso
libero e attuale delle parti. Il problema vero relativo alla nuova
formulazione della legge riguarda non lo stupro, reato odioso da
punire con la massima severità, ma il modo in cui questo può
essere provato. Se c’è violenza, o ci sono minacce, o se un
brutto abusa di una donna in stato di incoscienza perché sotto
l’effetto di sostanze stupefacenti è evidente che il consenso
manca e l’atto sessuale può ragionevolmente essere definito
stupro, con tutte le conseguenze del caso. Ma… in altri casi? In
che modo il mancato consenso può essere provato? Questo è il punto, importantissimo.
Proviamo a immaginare una
situazione. Tizio e Tizia entrano in un albergo. Affittano una
stanza, cenano insieme, poi si ritirano nel loro alloggio. La
mattina dopo fanno colazione, sono puliti, ordinati e sorridenti, si
scambiano dolci parole. Pagano il conto e si allontano mano nella
mano. Una settimana dopo Tizia denuncia Tizio affermando di non aver
dato il consenso all’atto sessuale consumato durante la notte.
Nulla nel comportamento della coppia può far pensare a uno stupro,
con tutta evidenza non c’è stata violenza alcuna, né minacce, non
sono state consumate bevande alcooliche, Tizia non era drogata.
Eppure, stando alla formulazione della legge tutto questo non conta,
l’unica cosa che conta è il consenso che Tizia avrebbe negato. E’
possibile provare questo mancato consenso? Con tutta evidenza no,
eppure la dichiarazione di Tizia può bastare per fare incriminare,
forse addirittura condannare Tizio. Emerge qui un aspetto
particolarmente pericoloso della nuova formulazione della legge:
l’inversione dell’onere della prova. In tutti i paesi civili
esiste la presunzione di innocenza: è l’accusa a dover provare la
colpevolezza del sospettato, non lui la sua innocenza. La presunzione
di innocenza è alla base della civiltà giuridica, è prevista
dall’articolo 27 della costituzione e dall’articolo 48 della
carta europea dei diritti.
La nuova formulazione della legge
rischia di entrare in rotta di collisione con questo fondamentale
principio: basta che Tizia affermi di non aver dato il consenso
perché Tizio possa vedersi costretto a cercare le prove della sua
innocenza. E’ un aspetto molto grave della nuova formulazione,
stupisce che in molti sembrano non rendersene conto.
Qualcuno
potrebbe dire che la nuova formulazione della legge consente di
perseguire i casi di violenza psicologica. Questo in effetti è un
buon argomento a favore della legge: la violenza psicologica a volte
può essere altrettanto grave di quella fisica, ma anche in questo
caso sorge una difficoltà, molto grave.
La legge penale
sancisce, o dovrebbe sancire, i comportamenti chiaramente definibili,
identificabili, capaci di essere verificati con testimonianze, prove
materiali, documenti. La stessa violenza psicologica, per essere
oggetto di sanzione penale dovrebbe tradursi in atti controllabili
intersoggettivamente, in caso contrario tutto resta nel vago e può
avere conseguenze aberranti. Se Tizio afferma che io voglio ucciderlo
perché lo odio ma non è in grado di produrre alcuna prova materiale
o testimonianza che confermi il mio odio e la mia intenzione omicida,
posso essere non dico condannato ma anche solo seriamente indagato?
Direi proprio di no. La nuova formulazione della legge sullo stupro
lascia invece tutto nel vago. E’ estremamente vago lo stesso
concetto di “consenso”. Cosa vuol dire in concreto dare il
consenso all’atto amoroso? Il consenso all’atto amoroso è nella
quasi totalità dei casi implicito, non esplicito, la legge però non
dice nulla a questo riguardo. Tizio e Tizia passeggiano al chiaro di
luna, a un tratto si fermano e si baciano. Esiste in questo caso il
consenso? A parere di ogni persona normale si, ma se si segue alla
lettera il testo della legge sembra che il consenso non ci sia.
Qualcuno ha mai chiesto al o alla partner il permesso di baciare? E
se dal bacio si passa a qualcosa di piu’ piacevole, occorre a ogni
passo avanti chiedere il consenso? “Posso toccarti il seno,
accarezzarti una gamba... Non vado oltre. Nessuno credo si è mai
comportato in questo modo. La legge sembra pretenderlo, sia dai
maschi che dalle femmine.
Più in generale mi sembra che
dietro alla legge ci sia una concezione “filosofica”, per usare
una parola grossa, assolutamente non condivisibile. Si tratta della
pretesa, oggi abbastanza diffusa, di formalizzare ogni rapporto
umano, di sottoporre tutto alla legge togliendo sempre più spazio ai
comportamenti spontanei, non formalizzati.
Nessuno di noi
chiede consensi e permessi per fare una serie enorme di atti, né si
comporta in un certo modo perché questo gli viene imposto dalla
legge. Non chiedo a Tizio che incontro per strada il permesso di
salutarlo, non so quale sia né cosa dica con precisione l’articolo
del codice che punisce il furto, posso addirittura ignorare che un
articolo simile esista, ma quando vado in un super mercato NON rubo,
so che non devo farlo e mi vergognerei da morire se qualcuno mi
scoprisse a rubare anche solo una mela. Non occorre chiedere a una
ragazza, o a un ragazzo, il permesso di fare l’amore, questo è
implicito nella situazione che si sta vivendo. Esiste una differenza
abissale fra un atto sessuale che si compie insieme, volontariamente,
senza chiedere consenso alcuno, e uno imposto con la forza o anche
solo con minacce o ricatti. Pretendere che tutto sia esplicito,
formalizzato vuol dire distruggere l’umana spontaneità,
trasformare gli esseri umani in ridicole caricature di loro
stessi.
Mi permetto di concludere con una considerazione
polemica. Alcuni di coloro che con più determinazione sostengono la
nuova formulazione della legge sono gli stessi, e le stesse, che
hanno spalancato le porte del paese all’immigrazione clandestina,
quella che ha fatto entrare illegalmente in Italia moltissime persone
che considerano più o meno una prostituta degna di essere stuprata
qualsiasi donna che indossi una minigonna o un vestito anche solo
vagamente sexy. Sembra incredibile ma ci sono esponenti della nostra
classe politica che considerano il burka compatibile con la richiesta
di espliciti consensi per ogni sorta di atto amoroso. Miracoli della
sottocultura woke.