
Il mondo in cui viviamo e che possiamo in qualche modo conoscere non può essere ridotto a sogno o illusione, resiste alla critica corrosiva dello scetticismo, non può essere considerato epifenomeno di una inconoscibile e misteriosa cosa in se. E non è neppure rappresentazione in “noi” perché noi stessi ne facciamo parte, e noi stessi saremmo rappresentazione (rappresentazione in chi, in una rappresentazione?) se tutto fosse rappresentazione. Il nostro mondo non è, forse, tutta la realtà ma è un livello della realtà. Livello secondario forse, forse di infima importanza, addirittura trascurabile per chi è riuscito ad aprire la porta che conduce alla contemplazione mistica dell'assoluto. Però è il mondo in cui noi viviamo, e questo, almeno per noi, ha una certa importanza.
E se questo mondo è reale, se quantomeno ha una sua realtà, allora è impossibile prescindere, nel nostro rapporto col mondo, dal concetto di verità.
La
semplice affermazione dell'ignoranza o del dubbio non possono mai
essere totali, pena la caduta nella auto contraddittorietà se non
addirittura nel paradosso. E non basta escludere
dal dubbio il fatto positivo del dubitare: anche solo per poter
essere espresso il dubbio deve dare per scontate alcune altre verità
che, anche loro, sono al riparo dalla sua azione corrosiva. Si
elimini il linguaggio intersoggettivo, la costanza delle sue regole,
dei significati dei suoi termini ed il dubbio diventa inesprimibile;
si elimini il mondo o dal mondo un certo livello di regolarità
spaziali e temporali e l'io che pensa e dubita letteralmente svanisce
in una miriade multicolore di sensazioni sfuggenti. Il dubbio, e col
dubbio l'ignoranza, il relativismo, ed ogni sorta di onesto
riconoscimento della debolezza delle umane capacità cognitive,
presuppongono alcune verità, e spesso analizzando le varie forme di
scetticismo e di relativismo si scopre che queste verità sono molto
più numerose di quanto si potrebbe pensare.
Si pensi al già accennato e notissimo argomento scettico secondo cui con la sensazione noi non vediamo le cose come sono in se stesse ma solo come i vari organi di senso ce le mostrano, quindi non sappiamo se davvero queste cose esistono indipendentemente da noi. Questa affermazione assume per vere molte più cose di quante lo scettico sarebbe probabilmente disposto ad ammettere: esistono organi di senso che permettono agli esseri umani di percepire le cose, il comportamento di questi organi di senso è più o meno simile in tutti gli esseri umani ed è più o meno uniforme nel corso del tempo. Senza fare queste ammissioni lo stesso argomento scettico sarebbe privo di ogni fondamento, però... però sono gli organi di senso che ci attestano l'esistenza di organi di senso e ci dicono quali sono le loro funzioni. Se il richiamo agli organi di senso vuole ricordarci che ciò che conosciamo ci è sempre dato nelle condizioni della nostra esperienza allora è del tutto condivisibile, se invece vuole svuotare di contenuti positivi la nostra conoscenza si avvolge in aporie inestricabili. L'io con la sua sensibilità ed i suoi organi di senso è dato nel sensibile, come il mondo, è parte del mondo. Il richiamo alla sensibilità se annulla il mondo annulla col mondo la stessa sensibilità.
Si pensi al già accennato e notissimo argomento scettico secondo cui con la sensazione noi non vediamo le cose come sono in se stesse ma solo come i vari organi di senso ce le mostrano, quindi non sappiamo se davvero queste cose esistono indipendentemente da noi. Questa affermazione assume per vere molte più cose di quante lo scettico sarebbe probabilmente disposto ad ammettere: esistono organi di senso che permettono agli esseri umani di percepire le cose, il comportamento di questi organi di senso è più o meno simile in tutti gli esseri umani ed è più o meno uniforme nel corso del tempo. Senza fare queste ammissioni lo stesso argomento scettico sarebbe privo di ogni fondamento, però... però sono gli organi di senso che ci attestano l'esistenza di organi di senso e ci dicono quali sono le loro funzioni. Se il richiamo agli organi di senso vuole ricordarci che ciò che conosciamo ci è sempre dato nelle condizioni della nostra esperienza allora è del tutto condivisibile, se invece vuole svuotare di contenuti positivi la nostra conoscenza si avvolge in aporie inestricabili. L'io con la sua sensibilità ed i suoi organi di senso è dato nel sensibile, come il mondo, è parte del mondo. Il richiamo alla sensibilità se annulla il mondo annulla col mondo la stessa sensibilità.
Considerazioni
molto simili possono essere fatte riguardo alla gran parte degli
argomenti dei relativisti. In effetti si possono fare molte
constatazioni di carattere empirico a sostegno della nota e
rispettabile affermazione secondo cui l'uomo è la misura di tutte le
cose. A Tizio lo zucchero appare dolce, ma a Caio, che è malato,
lo stesso zucchero sembra amaro. Luisa non riesce a sollevare un
certo peso che sembra leggerissimo a Mario, gli esempi potrebbero
moltiplicarsi a dismisura. Però... però questi stessi esempi
dimostrano che tutte le argomentazioni relativiste si basano su
verità che relative non sono per niente. Lo zucchero appare dolce a
Tizio ed amaro a Caio che è malato, è vero, però è vero che lo
zucchero esiste ed è lo stesso per entrambi, se così non fosse
non potremmo dire che appare a Tizio dolce e amaro a Caio: i due
gusterebbero in realtà sostanze diverse. Ed ancora, è vero
che Caio è malato, e che lo zucchero gli appare amaro, ed è
vero che a coloro che hanno la malattia di Caio lo zucchero
appare amaro mentre alla grande maggioranza degli esseri umani appare
dolce.
Un certo oggetto
viene sollevato senza fatica da Mario, mentre Luisa riesce appena a
smuoverlo, ma, di nuovo, si può dire che gli sforzi di Mario e
Luisa sono la misura del peso solo se entrambi sollevano lo
stesso oggetto, se così non fosse la differenza di sforzo non
sarebbe la misura del peso ma solo la conferma che i due pesi sono
oggettivamente diversi. Ma che Mario e Luisa sollevino lo stesso
peso, o che sollevino pesi diversi, può essere stabilito solo se
esiste una unità di misura valida per entrambi. Insomma, la
differenza nelle sensazioni fra gli esseri umani può essere colta e
valorizzata solo su una base di unità. Si elimini l'esperienza
comunicabile, si tolga dall'esperienza ogni regolarità spaziale e
temporale e le innegabili differenze fra gli esseri umani neppure
potrebbero essere riconosciute. Se davvero l'uomo fosse la misura di
tutte le cose non ci sarebbero “cose”, e neppure, a ben pensarci,
ci sarebbero “uomini”. Ognuno sarebbe solo e assolutamente se
stesso e le “cose” sarebbero solo ed assolutamente le “sue”
cose. Gli esseri umani si trasformerebbero in monadi incomunicabili e
gli stessi termini “misura” o “scetticismo” o “relativismo”
diventerebbero del tutto privi di senso.
Le considerazioni
che abbiamo fatto sinora hanno una conseguenza estremamente semplice.
Tutto ciò che possiamo fare, dire o pensare presuppone il concetto
di verità. Se penso o dico X ritengo che X sia vero. Se so di
mentire dicendo X, so che X è falso e questo presuppone che esista
un criterio di verità che me lo fa ritenere falso. Se faccio X, so
che è vero che sto facendo X, e se facendo X miro ad Y, penso sia
vero che X sia adeguato a conseguire Y, ed ancora, penso sia vero che
esistono nel mondo certi stati di cose che fanno si che facendo X si
ottenga Y. Ovviamente posso sbagliare, ma lo stesso concetto di
errore presuppone che una qualche verità esista. Si elimini il
concetto di verità e su ogni cosa che pensiamo, diciamo o facciamo
cade il non senso.
Quale che sia
l'argomento che io sostengo lo presento come vero per il fatto
solo di sostenerlo. Se dico: “il Cervino è un monte” mi trovo di
fronte a tre casi: o ritengo vera questa mia affermazione e la
sostengo mostrandone la coerenza interna e la corrispondenza con i
fatti, oppure ritenga falsa la mia affermazione, mento sapendo di
mentire, ma in questo modo ammetto implicitamente che esiste una
verità diversa da quanto affermo, oppure ammetto di aver fatto la
affermazione senza sapere se questa sia vera o no, ma anche in questo
caso devo ammettere che esiste una verità che io non conosco: se la
verità non esistesse anche la semplice affermazione di non
conoscerla sarebbe insensata. Cosa significherebbe la proposizione
“il Cervino è un monte” se la verità non esistesse? Se non
esistesse nessuna differenza nel mondo nel caso che una simile
proposizione fosse vera o falsa? Termini come “monte” e “Cervino”
significherebbero ancora qualcosa? Non sto dicendo, dovrebbe essere
chiaro, che solo le proposizioni riguardanti fatti empiricamente
verificabili sono sensate, sto dicendo che se il concetto di verità
non ha fondamento alcuno, allora qualsiasi tipo di proposizione perde
il suo senso, sia essa “il Cervino è un monte” oppure: “due
più due fa quattro” o : “Dio esiste”.
Il concetto di verità permea il nostro discorso, tutto il nostro discorso. Ogni cosa che diciamo acquista senso precisamente dal modo in cui si rapporta con la verità.
Una proposizione di senso comune si rapporta alla verità come a qualcosa di facilmente accertabile nella esperienza di tutti i giorni.
La verità di una teoria scientifica dipende dalla sua coerenza interna, dal rapporto con altre teorie considerate provvisoriamente vere, dalla rispondenza o meno coi dati sperimentali, dalla capacità di spiegare un numero il più ampio possibile di fenomeni. Si tratta di un rapporto con la verità diverso e più complesso di quello delle proposizioni di senso comune, ma è sempre un rapporto con la verità.
Una teoria metafisica può aspirare ad essere considerata “vera” in maniera ancora differente; in questo caso è di importanza fondamentale la sua coerenza, la capacità di dare risposte ragionevoli a quesiti fondamentali, non passibili di alcun tipo di verifica empirica; tutto questo fa si che la verità metafisica sia di tipo molto particolare, qualcosa a cui si può aspirare ma a cui non si può, probabilmente, mai pervenire, neppure provvisoriamente. Eppure in ogni teoria metafisica, in ogni sistema c'è, sempre, una insopprimibile, fondamentale, tensione al vero. E' questa tensione ad un vero mai compiutamente raggiungibile a conferire alle proposizioni della metafisica il loro senso proprio; lo stesso scetticismo in fondo intende affermare la sua verità, per questo è destinato a cadere nel paradosso.
Ha un decisivo rapporto con la verità la religione, un rapporto forte con una verità che è posta al di la di ogni dubbio e che, appunto per questo, si fonda sulla fede prima che sull'indagine razionale.
Hanno un fondamentale rapporto con la verità anche le opere della umana creatività, gli stessi parti della nostra fantasia. Un romanzo, una poesia, un'opera di fantasia possono definirsi tali appunto perché si situano, esplicitamente, al di fuori di ciò che è definibile come vero, e ne riconoscono in questo modo l'esistenza. Ma una grande opera della umana creatività ha anche un altro rapporto col vero: intende dirci, in maniera del tutto peculiare, qualcosa di vero sul senso profondo del nostro essere nel mondo. Personaggi come Amleto, o l'innominato, o Ivan Karamazov ci parlano di qualcosa che ha un rapporto profondo col vero. Le loro vicende ci mettono di fronte a quesiti fondamentali ai quali cerchiamo di dare risposte vere. E' impossibile dare tali risposte a simili quesiti? Anche se fosse, questo non svaluterebbe neppure di un grammo il valore di quella ricerca del vero.
Non esiste campo dell'umano sapere che possa quindi prescindere dalla verità. Il rapporto col vero è una delle principali fonti di senso di ogni tipo di discorso. Si metta fra parentesi la verità e tutto si sfalda, cade nel non senso, degrada nel nichilismo.
Il concetto di verità permea il nostro discorso, tutto il nostro discorso. Ogni cosa che diciamo acquista senso precisamente dal modo in cui si rapporta con la verità.
Una proposizione di senso comune si rapporta alla verità come a qualcosa di facilmente accertabile nella esperienza di tutti i giorni.
La verità di una teoria scientifica dipende dalla sua coerenza interna, dal rapporto con altre teorie considerate provvisoriamente vere, dalla rispondenza o meno coi dati sperimentali, dalla capacità di spiegare un numero il più ampio possibile di fenomeni. Si tratta di un rapporto con la verità diverso e più complesso di quello delle proposizioni di senso comune, ma è sempre un rapporto con la verità.
Una teoria metafisica può aspirare ad essere considerata “vera” in maniera ancora differente; in questo caso è di importanza fondamentale la sua coerenza, la capacità di dare risposte ragionevoli a quesiti fondamentali, non passibili di alcun tipo di verifica empirica; tutto questo fa si che la verità metafisica sia di tipo molto particolare, qualcosa a cui si può aspirare ma a cui non si può, probabilmente, mai pervenire, neppure provvisoriamente. Eppure in ogni teoria metafisica, in ogni sistema c'è, sempre, una insopprimibile, fondamentale, tensione al vero. E' questa tensione ad un vero mai compiutamente raggiungibile a conferire alle proposizioni della metafisica il loro senso proprio; lo stesso scetticismo in fondo intende affermare la sua verità, per questo è destinato a cadere nel paradosso.
Ha un decisivo rapporto con la verità la religione, un rapporto forte con una verità che è posta al di la di ogni dubbio e che, appunto per questo, si fonda sulla fede prima che sull'indagine razionale.
Hanno un fondamentale rapporto con la verità anche le opere della umana creatività, gli stessi parti della nostra fantasia. Un romanzo, una poesia, un'opera di fantasia possono definirsi tali appunto perché si situano, esplicitamente, al di fuori di ciò che è definibile come vero, e ne riconoscono in questo modo l'esistenza. Ma una grande opera della umana creatività ha anche un altro rapporto col vero: intende dirci, in maniera del tutto peculiare, qualcosa di vero sul senso profondo del nostro essere nel mondo. Personaggi come Amleto, o l'innominato, o Ivan Karamazov ci parlano di qualcosa che ha un rapporto profondo col vero. Le loro vicende ci mettono di fronte a quesiti fondamentali ai quali cerchiamo di dare risposte vere. E' impossibile dare tali risposte a simili quesiti? Anche se fosse, questo non svaluterebbe neppure di un grammo il valore di quella ricerca del vero.
Non esiste campo dell'umano sapere che possa quindi prescindere dalla verità. Il rapporto col vero è una delle principali fonti di senso di ogni tipo di discorso. Si metta fra parentesi la verità e tutto si sfalda, cade nel non senso, degrada nel nichilismo.
Ma c'è una
ragione ancora più di fondo che rende impossibile a chiunque,
qualsiasi cosa dica, di prescindere dalla verità. Si tratta della
finitezza umana. La verità, il concetto stesso di verità, è legata
alla umana finitezza. L'uomo aspira alla verità, si riferisce
sempre, qualsiasi cosa dica o pensi o faccia, al vero precisamente
perché è un essere limitato, finito. A prima vista una simile
affermazione può apparire infondata. E' diventato quasi un luogo
comune definire “dogmatico” e “assolutista” chi afferma che
una certa cosa sia “vera”. Il concetto stesso di verità è stato
accostato a pretese totalizzanti, spesso lo si è spacciato per il
parto di menti intolleranti. Il franco riconoscimento dei limiti
dell'uomo e della sua ragione sarebbero incompatibili con qualsiasi
discorso sulla verità. Inoltre affermare la verità di X
equivarrebbe a coartare la libertà di chi nega che X sia vero. Il
nichilismo scettico o relativista sarebbero l'unico baluardo della
libertà e della tolleranza, oltre che del realistico riconoscimento
dei nostri limiti. Sarebbe fin troppo facile mostrare ai teorici del
pensiero debole che con tanto vigore contestano la categoria della
verità, che essi stessi in realtà la usano, questa categoria. Si è
già parlato dei gorghi del paradosso e della auto contraddittorietà
in cui sono inevitabilmente destinati a precipitare i contestatori
del vero.
Il rapporto fra la finitezza umana e la verità è molto semplice L'uomo e la sua ragione sono solo parte, piccolissima parte, del mondo. L'uomo ha il mondo fuori di se, può osservare da molteplici punti di vista il mondo, ma non si identifica col mondo; è un soggetto diverso dall'oggetto, ha una ragione che cerca di organizzare e di comprendere dei dati che però, appunto, sono e rimangono dati, qualcosa che ha una propria irriducibile autonomia, distinto dalla ragione. Qualsiasi cosa faccia, dica, o pensi del mondo l'uomo deve tener conto della verità perché non si identifica col mondo. Se, con Aristotele e, forse, Tarsky, oltre che con altri filosofi e la quasi totalità del genere umano, riteniamo che la verità sia concordanza fra pensiero ed essere allora dobbiamo ammettere che ogni cosa noi si possa dire del mondo deve necessariamente essere vera o falsa. Una certa proposizione può essere vera, o falsa precisamente perché la proposizione è altra cosa rispetto al mondo di cui parla. E' la limitatezza della ragione umana a far si che questa debba sempre fare i conti con la verità. Il pensiero assoluto, la ragione che non ha nulla fuori di se, non sono, a stretto rigor di logica, veri. Se il pensiero si identifica con la totalità dell'essere non ha senso parlare di concordanza fra pensiero ed essere. L'assoluto è posto al disopra della verità. Dio non dice il vero, Dio è il vero, ed è il vero non nel senso che il suo pensiero è adeguato all'essere, è il vero nel senso che è l'essere. La proposizione “Dio è il vero” significa che Dio è, è assolutamente, necessariamente, prima ed oltre la verità. La verità, e la falsità, si hanno invece in una dimensione che non è quella dell'assoluto, nella dimensione del finito, della non identità fra essere e pensiero. La verità esiste dove esiste dualismo, differenza, limitazione. Dove c'è verità possono esserci anche falsità, errore, dove può esserci concordanza può parimenti esserci discordanza fra pensiero ed essere. Dove c'è la verità c'è insomma la finitezza. Dio, l'assoluto sono oltre la verità, dove può esistere la verità, e con la verità l'errore, c'è l'uomo.
Il concetto di verità è collegato a quello di realtà. L'uomo ed il suo pensiero non sono tutto, devono fare i conti con qualcosa che è relazionato con loro ma è da loro indipendente. Sono essenziali queste due caratteristiche: “relazionato con “ e “indipendente”. Il mondo non è qualcosa di totalmente altro rispetto all'uomo ed al pensiero, se così fosse sarebbe del tutto inconoscibile ed ogni discorso sulla verità, e sui limiti e le possibilità dell'umana ragione, sarebbero privi di ogni senso. Il mondo quindi è relazionato all'uomo che ne è parte, sia pure infinitesima. Ma il mondo ha anche una sua essenziale autonomia rispetto all'uomo, esiste indipendentemente da questo. Il mondo esisteva prima che comparisse l'uomo e continuerà ad esistere quando l'uomo non ci sarà più. Non è mia intenzione approfondire ora il problema del realismo filosofico. Cosa sia la realtà, cosa il pensiero, come possa il pensiero rapportarsi alla realtà sono problemi molto importanti da cui ora si intende prescindere. Quello che mi preme sottolineare è il legame fra realismo e verità. Si può, forse, accettare il concetto di verità senza abbracciare il realismo filosofico, ma non è possibile essere realisti e ritenere vuoto il concetto di verità, o ridurlo a coerenza, o convenzione, o opinione, magari maggioritaria. Se esiste una realtà con una sua autonomia dal pensiero ciò che si pensa della realtà sarà vero o falso e a decidere sarà il confronto fra pensiero e realtà: la proposizione “la neve è bianca” è vera se e solo se effettivamente la neve e bianca, qualsiasi cosa siano il bianco e la neve.
La verità non può essere assimilata alla coerenza logica. Se verità e coerenza logica coincidessero allora tutto ciò che non è contraddittorio sarebbe vero. Il sillogismo: “tutti gli uomini sono immortali, Socrate è un uomo quindi Socrate è immortale” è perfettamente coerente ma la prima premessa è evidentemente falsa ed è falsa anche la conclusione. “Le avventure di Pinocchio” non contiene incongruenze logiche ma questo non trasforma il burattino di legno un personaggio realmente vissuto. Inoltre fare della coerenza logica l'equivalente della verità porta dritti in un circolo vizioso, visto che nella logica contemporanea la coerenza si definisce tramite la verità. Una regola fondamentale della logica dice infatti che una deduzione è coerente quando non può mai darsi che da da premesse vere seguano conseguenze false.
E la verità non può neppure essere assimilata all'opinione maggioritaria o alla convenzione. In primo luogo chi assimila la verità alla convenzione, o all'opinione maggioritaria, si caccia in una situazione paradossale. Che sia vero che la verità è una convenzione, o una opinione maggioritaria, può essere stabilito solo da una ulteriore convenzione o essere oggetto di altra opinione maggioritaria, e così via, all'infinito. Valgono inoltre contro l'assimilazione della verità a convenzione o opinione alcune delle obiezioni che si sono fatte riguardo allo scetticismo. Convenzione ed opinione hanno delle precondizioni. Per poter stipulare una convenzione occorre che esistano degli esseri umani, che questi possano comprendersi fra loro, cioè che esista un comune linguaggio, occorre inoltre che questi esseri umani abbiano alcune caratteristiche comuni, ad esempio che siano almeno in minima parte socievoli: nessuna convenzione è possibile fra esseri che sentono l'impulso irresistibile di massacrarsi a vicenda. Considerazioni simili possono farsi riguardo alla opinione maggioritaria. Alcune verità precedono, devono precedere, ogni convenzione ed ogni opinione.
Ma, soprattutto, la verità non può essere assimilata all'opinione maggioritaria o dalla convenzione perché una delle caratteristiche della verità è di poter essere diversa da ciò che gli esseri umani credono sia vero. Se esiste una realtà autonoma dal pensiero questa realtà può divergere dall'opinione che su essa si fanno gli esseri umani; la stessa cosa può dirsi della convenzione. Gli esseri umani possono stipulare tutte le convenzioni che vogliono e stabilire ciò che credono su come sia la realtà, questo non cambia la realtà, non la adegua alle conclusioni degli uomini. Se venisse stipulata una convenzione che stabilisse che a partire dal primo gennaio 2025 gli uomini diventeranno immortali e se questa conclusione fosse ritenuta vera da masse sterminate di esseri umani, questo non renderebbe davvero immortali gli uomini. Se dopo il primo gennaio 2015 gli esseri umani continuassero a morire, come è avvenuto per millenni, la convenzione e la convinzione di massa sarebbe smentite dai fatti, inesorabilmente.
La categoria della verità è legata alla significanza del discorso: ogni discorso deve avere un rapporto con la verità e da questo dipende il suo poter dire qualcosa di sensato; è legata alla finitezza umana: possiamo dire il vero, o cercare di dirlo, o sperare di dirlo precisamente perché siamo finiti, perché possiamo dire il falso; infine la verità è legata all'esistenza di una realtà che non si identifica con l'uomo, che ha da questo una sua essenziale autonomia; questo legame è tanto forte che chi lo nega si avvicina pericolosamente al solipsismo.
Il rapporto fra la finitezza umana e la verità è molto semplice L'uomo e la sua ragione sono solo parte, piccolissima parte, del mondo. L'uomo ha il mondo fuori di se, può osservare da molteplici punti di vista il mondo, ma non si identifica col mondo; è un soggetto diverso dall'oggetto, ha una ragione che cerca di organizzare e di comprendere dei dati che però, appunto, sono e rimangono dati, qualcosa che ha una propria irriducibile autonomia, distinto dalla ragione. Qualsiasi cosa faccia, dica, o pensi del mondo l'uomo deve tener conto della verità perché non si identifica col mondo. Se, con Aristotele e, forse, Tarsky, oltre che con altri filosofi e la quasi totalità del genere umano, riteniamo che la verità sia concordanza fra pensiero ed essere allora dobbiamo ammettere che ogni cosa noi si possa dire del mondo deve necessariamente essere vera o falsa. Una certa proposizione può essere vera, o falsa precisamente perché la proposizione è altra cosa rispetto al mondo di cui parla. E' la limitatezza della ragione umana a far si che questa debba sempre fare i conti con la verità. Il pensiero assoluto, la ragione che non ha nulla fuori di se, non sono, a stretto rigor di logica, veri. Se il pensiero si identifica con la totalità dell'essere non ha senso parlare di concordanza fra pensiero ed essere. L'assoluto è posto al disopra della verità. Dio non dice il vero, Dio è il vero, ed è il vero non nel senso che il suo pensiero è adeguato all'essere, è il vero nel senso che è l'essere. La proposizione “Dio è il vero” significa che Dio è, è assolutamente, necessariamente, prima ed oltre la verità. La verità, e la falsità, si hanno invece in una dimensione che non è quella dell'assoluto, nella dimensione del finito, della non identità fra essere e pensiero. La verità esiste dove esiste dualismo, differenza, limitazione. Dove c'è verità possono esserci anche falsità, errore, dove può esserci concordanza può parimenti esserci discordanza fra pensiero ed essere. Dove c'è la verità c'è insomma la finitezza. Dio, l'assoluto sono oltre la verità, dove può esistere la verità, e con la verità l'errore, c'è l'uomo.
Il concetto di verità è collegato a quello di realtà. L'uomo ed il suo pensiero non sono tutto, devono fare i conti con qualcosa che è relazionato con loro ma è da loro indipendente. Sono essenziali queste due caratteristiche: “relazionato con “ e “indipendente”. Il mondo non è qualcosa di totalmente altro rispetto all'uomo ed al pensiero, se così fosse sarebbe del tutto inconoscibile ed ogni discorso sulla verità, e sui limiti e le possibilità dell'umana ragione, sarebbero privi di ogni senso. Il mondo quindi è relazionato all'uomo che ne è parte, sia pure infinitesima. Ma il mondo ha anche una sua essenziale autonomia rispetto all'uomo, esiste indipendentemente da questo. Il mondo esisteva prima che comparisse l'uomo e continuerà ad esistere quando l'uomo non ci sarà più. Non è mia intenzione approfondire ora il problema del realismo filosofico. Cosa sia la realtà, cosa il pensiero, come possa il pensiero rapportarsi alla realtà sono problemi molto importanti da cui ora si intende prescindere. Quello che mi preme sottolineare è il legame fra realismo e verità. Si può, forse, accettare il concetto di verità senza abbracciare il realismo filosofico, ma non è possibile essere realisti e ritenere vuoto il concetto di verità, o ridurlo a coerenza, o convenzione, o opinione, magari maggioritaria. Se esiste una realtà con una sua autonomia dal pensiero ciò che si pensa della realtà sarà vero o falso e a decidere sarà il confronto fra pensiero e realtà: la proposizione “la neve è bianca” è vera se e solo se effettivamente la neve e bianca, qualsiasi cosa siano il bianco e la neve.
La verità non può essere assimilata alla coerenza logica. Se verità e coerenza logica coincidessero allora tutto ciò che non è contraddittorio sarebbe vero. Il sillogismo: “tutti gli uomini sono immortali, Socrate è un uomo quindi Socrate è immortale” è perfettamente coerente ma la prima premessa è evidentemente falsa ed è falsa anche la conclusione. “Le avventure di Pinocchio” non contiene incongruenze logiche ma questo non trasforma il burattino di legno un personaggio realmente vissuto. Inoltre fare della coerenza logica l'equivalente della verità porta dritti in un circolo vizioso, visto che nella logica contemporanea la coerenza si definisce tramite la verità. Una regola fondamentale della logica dice infatti che una deduzione è coerente quando non può mai darsi che da da premesse vere seguano conseguenze false.
E la verità non può neppure essere assimilata all'opinione maggioritaria o alla convenzione. In primo luogo chi assimila la verità alla convenzione, o all'opinione maggioritaria, si caccia in una situazione paradossale. Che sia vero che la verità è una convenzione, o una opinione maggioritaria, può essere stabilito solo da una ulteriore convenzione o essere oggetto di altra opinione maggioritaria, e così via, all'infinito. Valgono inoltre contro l'assimilazione della verità a convenzione o opinione alcune delle obiezioni che si sono fatte riguardo allo scetticismo. Convenzione ed opinione hanno delle precondizioni. Per poter stipulare una convenzione occorre che esistano degli esseri umani, che questi possano comprendersi fra loro, cioè che esista un comune linguaggio, occorre inoltre che questi esseri umani abbiano alcune caratteristiche comuni, ad esempio che siano almeno in minima parte socievoli: nessuna convenzione è possibile fra esseri che sentono l'impulso irresistibile di massacrarsi a vicenda. Considerazioni simili possono farsi riguardo alla opinione maggioritaria. Alcune verità precedono, devono precedere, ogni convenzione ed ogni opinione.
Ma, soprattutto, la verità non può essere assimilata all'opinione maggioritaria o dalla convenzione perché una delle caratteristiche della verità è di poter essere diversa da ciò che gli esseri umani credono sia vero. Se esiste una realtà autonoma dal pensiero questa realtà può divergere dall'opinione che su essa si fanno gli esseri umani; la stessa cosa può dirsi della convenzione. Gli esseri umani possono stipulare tutte le convenzioni che vogliono e stabilire ciò che credono su come sia la realtà, questo non cambia la realtà, non la adegua alle conclusioni degli uomini. Se venisse stipulata una convenzione che stabilisse che a partire dal primo gennaio 2025 gli uomini diventeranno immortali e se questa conclusione fosse ritenuta vera da masse sterminate di esseri umani, questo non renderebbe davvero immortali gli uomini. Se dopo il primo gennaio 2015 gli esseri umani continuassero a morire, come è avvenuto per millenni, la convenzione e la convinzione di massa sarebbe smentite dai fatti, inesorabilmente.
La categoria della verità è legata alla significanza del discorso: ogni discorso deve avere un rapporto con la verità e da questo dipende il suo poter dire qualcosa di sensato; è legata alla finitezza umana: possiamo dire il vero, o cercare di dirlo, o sperare di dirlo precisamente perché siamo finiti, perché possiamo dire il falso; infine la verità è legata all'esistenza di una realtà che non si identifica con l'uomo, che ha da questo una sua essenziale autonomia; questo legame è tanto forte che chi lo nega si avvicina pericolosamente al solipsismo.
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