
Democrazia e libertà
Nell’uso comune i termini “libertà” e “democrazia” sono considerati quasi equivalenti. Un partito politico tempo fa coniò come proprio lo slogan: “libertà è democrazia”, proprio così, con la è accentata e sottolineata, a rimarcare l’identità fra i due termini. A parte questi eccessi, rivelatori quanto meno di una forte confusione mentale, si sente spesso parlare del valore di libertà e democrazia senza che fra esse venga fatta alcuna distinzione. Sembra a molti quasi ovvio affermare che dove vi è libertà là vi è democrazia e viceversa. Le cose però non sono tanto semplici: anche se collegate libertà e democrazia non sono coincidenti; almeno in teoria è possibile concepire una democrazia senza libertà ed una libertà senza democrazia. A prima vista la cosa può apparire paradossale ma non lo è.
Essere liberi
significa poter disporre di uno spazio proprio. Io sono libero se posso decidere, scegliere;
la mia libertà coincide con lo spazio al cui interno posso decidere
e scegliere senza che altri mi impongano nulla.
La democrazia invece
non riguarda l’area al cui interno il singolo è padrone di
decidere, riguarda il governo della cosa pubblica. La libertà ha a
che fare con la domanda: “fin dove io ho il potere di decidere?”
la democrazia con un’altra domanda, piuttosto diversa: “chi deve
prendere le decisioni inerenti le scelte collettive? Chi deve
governare la vita pubblica?”.
La democrazia ha a
che fare con politica e nella politica è sempre presente un momento
coercitivo. Si può vivere nella più ampia e tollerante democrazia
del mondo, l’approvazione di una legge può essere la risultante
del più libero dibattito, della più approfondita discussione che si possano immaginare, ma alla fine la legge è
obbligatoria ed è obbligatoria per tutti. La democrazia vuole che a decidere sia la
maggioranza, ma le decisioni che la maggioranza prende sono imposte anche a chi non è d’accordo. In questo non c’è
nulla di particolarmente negativo. Se occorre
prendere decisioni che vincolino tutti e se non è possibile che su
queste decisioni tutti concordino è inevitabile che queste assumano
carattere coercitivo. Se questo non avvenisse non esisterebbe legge
né regola alcuna ed i rapporti fra esseri umani sarebbero
caratterizzati con ogni probabilità dalla più cruda violenza. Tutto
questo però dimostra che il campo d’azione della democrazia è
diverso da quello della libertà. E’ radicalmente diverso, potremmo
dire, perché, in senso proprio, la libertà, inizia esattamente laddove finisce l’area
delle decisioni collettive. Nell’area in cui io solo sono padrone
la maggioranza non ha voce in capitolo, la discussione pubblica non è
richiesta, le elezioni non hanno alcuna rilevanza.
Qualcuno potrebbe
obbiettare che non si tratta tanto di differenza fra libertà e
democrazia quanto fra diversi tipi di libertà: la libertà privata
e la libertà pubblica o, come afferma Isaiah Berlin fra libertà
positiva e libertà negativa. La democrazia, intesa in questo senso,
coincide con la libertà pubblica, la libertà di decidere sulle
questioni che riguardano tutti. Non si può che essere d’accordo,
ovviamente. Questo però non elimina la sostanza del problema:
chiamiamo pure libertà pubblica la democrazia e libertà privata la
libertà, le cose non cambiano molto. Ed il mutamento terminologico
non rende affatto veritiero, ad esempio, lo slogan: “libertà è
democrazia”, non lo rende veritiero perché, in primo luogo, tale
slogan instaura fra libertà pubblica e libertà privata una identità
che non esiste e, in secondo luogo, perchè tale proclamata identità
fa passare del tutto in secondo piano il problema delle garanzie che
devono esistere a tutela della libertà privata. Se la libertà
pubblica coincide con la libertà privata come proteggere la seconda
dalle incursioni della prima che ha, non dimentichiamolo, il potere
di imporre con la forza le sue decisioni? E’
il grande problema del garantismo liberale.
Nella vita di ognuno
di noi esiste una fondamentale dimensione pubblica, non a caso
Aristotele ha definito l’uomo animale politico e sociale oltre che
razionale, ed è importante che ad ognuno di noi sia garantita la
libertà pubblica. La democrazia consente a tutti di partecipare alla
vita politica ed è perciò un valore ed un bene prezioso; non è
l’unico però. Se è bene disporre della libertà politica è molto
pericoloso ampliare senza limiti l’area delle decisioni politiche
ed è ancora più pericoloso non rendersi conto dell’esigenza di
tutelare la libertà privata dalle incursioni della politica, sia
pure della più democratica delle politiche.
“Vi sino alcuni”
scrive Alexis de Tocqueville “che hanno osato affermare che un
popolo, nelle questioni che interessano lui solo, non può mai, per
definizione, uscire dai limiti della giustizia e della ragione, e
quindi non si deve temere di dare tutto il potere alla maggioranza
che lo rappresenta. Ma questo è un linguaggio da schiavi. Cos’è
infatti una maggioranza, presa collettivamente, se non un individuo
che ha opinioni e più spesso interessi contrari a quelli di un altro
individuo che si chiama minoranza? Ora, se si ammette che un uomo,
investito di potere assoluto, può abusarne contro i suoi avversari
perché non ammettere la stessa cosa per una maggioranza? (…) un
potere onnipotente, che io rifiuto a uno dei miei simili, non
l’accorderei mai a parecchi” (1). La maggioranza deve avere
potere, deve poter legiferare, ma non può disporre di un potere
assoluto, senza limiti. Deve rispettare i diritti delle minoranze e
degli individui. “L’onnipotenza è in sé cosa cattiva e
pericolosa.” prosegue Tocqueville “Il suo esercizio mi sembra al
di sopra delle forze dell’uomo, chiunque egli sia; e non vedo che
Dio che possa senza pericolo essere onnipotente. (…) Non vi è
dunque sulla terra autorità tanto rispettabile in sé stessa o
rivestita di un diritto tanto sacro, che io vorrei lasciar agire
senza controllo e dominare senza ostacoli. Quando io vedo accordare
il diritto e la facoltà di far tanto ad una qualsiasi potenza,
chiamasi essa popolo o Re, democrazia o aristocrazia, sia che esso si
eserciti in una democrazia o in una repubblica, io affermo che là vi
è il germe della tirannide.” (2)
Il potere, anche il
potere della maggioranza, deve essere limitato. Deve incontrare
limiti all’interno dell’area politica (la maggioranza non può
ledere i diritti delle minoranze), e deve rispettare norme che
delimitino l’area stessa della politica. C’è chi ha affermato
che queste posizioni di Tocqueville riflettono il suo carattere
conservatore, la sua nostalgia per il regime aristocratico, ma si
tratta di una distorsione del suo pensiero. Tocqueville ha sempre
dimostrato simpatia per l’aristocrazia, era lui stesso un nobile,
ma ciò che contrappone al pericolo di un governo assoluto della
maggioranza è la democrazia liberale, non un impossibile ritorno al
vecchio regime. L’ideale del grande pensatore francese è il
governo costituzionale, limitato, non il predominio della casta
aristocratica, di cui comunque riconosce i meriti storici.
Molto tempo dopo la
pubblicazione della “Democrazia in America” in cui sono contenute
le critiche di Tocqueville al potere illimitato della maggioranza, il
già citato filosofo liberale Isaiah Berlin si faceva promotore di
posizioni simili. “Alcuni dei miei critici” afferma Berlin “si
indignano al pensiero che una persona (..) possa godere di maggior
libertà negativa sotto il dominio di un despota indolente o
inefficiente che in una democrazia decisamente egualitaria, ma
rigida. Me esiste un significato ben preciso in cui si può dire che
Socrate avrebbe avuto maggiore libertà – almeno di parola ma anche
di azione – se, come Aristotele, fosse fuggito da Atene invece di
accettane le leggi, quelle buone e quelle cattive emanate ed
applicate dai suoi concittadini nella democrazia di cui faceva parte
a pieno titolo e che accettava coscientemente. Allo stesso modo un
individuo può abbandonare uno stato a democrazia realmente
partecipata, in cui le pressioni sociali e politiche siano per lui
soffocanti e preferire un clima in cui può darsi minor
partecipazione civile ma più privacy, una vita comunitaria meno
dinamica e coinvolgente, meno socievolezza ma anche minor
sorveglianza.” (3)
La pacata ma severa
critica di Berlin ad ogni tipo di potere che soffochi l’autonomia
dell’individuo non spinge il filosofo liberale a negare il valore
positivo della libertà politica o a non vedere quanto la stessa
libertà privata sia fragile ed instabile in regimi politicamente
autoritari: “Il dispotismo in quanto tale è irrazionale e ingiusto
e degradante perché nega i diritti umani, anche se i suo sudditi
sono contenti” (4), inoltre “qualunque libertà negativa di cui
si possa godere in un dispotismo tollerante e inefficiente è
precaria o limitata a una minoranza” (5). Resta il fatto che la
situazione descritta, quella cioè di una democrazia onnipotente che
soffoca o riduce in maniera soffocante l’autonomia individuale è
non solo possibile ma anche decisamente poco gradevole. La soluzione
passa, ancora una volta, per la via stretta ma realistica della
convivenza di principi e valori non contraddittori ma diversi: una
libertà individuale ampia ma non anarchica si accorda perfettamente
con una democrazia forte ma non onnipotente. E’ la strada percorsa
dalle grandi democrazie dell’occidente, la strada della democrazia
liberale.
Note
1) Alexis de Tocqueville:
La democrazia in America. In I Grandi filosofi, Tocqueville. Ed Il
sole 24 ore. 2006 pag. 480-481.
2) Alexis de Tocqueville:
Opera citata pag. 482.
3) Isaih Berlin: Quattro
saggi sulla libertà, Feltrinelli 1989, pag. 55
4) Isaiah Berlin: Opera
citata pag. 55
5) Isaiah Berlin: opera
citata pag. 55
Alcune interpretazioni
Se libertà e democrazia
non coincidono non sono però neppure in contraddizione fra loro,
anzi, storicamente le uniche democrazie che hanno saputo affermarsi
sono le democrazie liberali. Oggi in praticamente tutti gli stati
democratici i fondamentali diritti della persona vengono
riconosciuti e garantiti. Laddove questo non avviene, come nei pochi
paesi islamici in cui esiste un simulacro di istituzioni democratiche
la democrazia è, appunto, ridotta a simulacro.
Il filosofo americano
Stephen Holmes sostiene, anche in polemica con Berlin, tesi di questo
genere. Per Holmes non esiste democrazia senza regole. La democrazia
assembleare non è vera democrazia. Senza elezioni regolari che
coinvolgano tutta la popolazione, senza regole per il dibattito,
rispetto per le minoranze e gli individui non esiste democrazia. Le
regole liberali poste a difesa della libertà privata si accordano
perfettamente con le procedure democratiche. Potrebbe esistere
democrazia se la maggioranza avesse il potere di opprimere la
minoranza? O se gli esponenti della minoranza potessero essere
arrestati arbitrariamente, la loro posta controllata, la loro privacy
violata? E, al contrario, sarebbero solide le libertà individuali
se tutto il potere fosse concentrato nelle mani di un despota non
sottoposto ad alcun controllo e in grado di prendere le decisioni più
arbitrarie? No, evidentemente. “Non esiste” afferma Holmes “una
scelta collettiva al di fuori di tutte le procedure e le istituzioni
precedentemente scelte. Le elezioni con cui i partiti politici in
lizza conquistano il potere o lo perdono e il confronto pubblico
condotto in larga misura mediante una stampa libera e pluralistica
dipendono entrambi dal fatto che il costituzionalismo liberale ha
messo solide radici. Questa considerazione suggerisce l’idea che in
uno stato moderno il liberalismo è condizione necessaria, ma non
sufficiente dell’esistenza di un qualche grado di democrazia” (1)
E’ difficile non
concordare con queste posizioni. Solo se liberale la democrazia
riesce ad essere davvero democratica, separata dal riconoscimento e
dalla tutela delle libertà civili la democrazia degrada rapidamente
in tirannide. Però è impossibile negare che sia esistita ed esista
una fortissima tendenza a separare democrazia e libertà e siano
esistite sia esperienze storiche che teorizzazioni di una democrazia
non liberale. Una cosa è evidenziare la debolezza di certe
teorizzazioni o constatare il carattere fallimentare di certe
esperienze, altra cosa negarle: Rousseau, ad esempio, costituisce il
caso tipico di un pensatore democratico ma non liberale, anzi,
ferocemente antiliberale. Il ginevrino teorizza insieme la democrazia
assembleare e la proibizione delle rappresentazioni teatrali,
un’ampia partecipazione democratica a tutte le scelte rilevanti e
la proibizione dei partiti politici, il controllo dal basso sugli
eletti e una forte ingerenza dello stato nella vita privata dei
cittadini. Il suo pensiero è contraddittorio? Forse, ma non
necessariamente. E’ quanto meno ipotizzabile una società
caratterizzata da un altissimo grado di coesione e conformismo in cui esiste una autentica partecipazione popolare alla vita
pubblica e insieme una limitazione inaccettabile dell’area delle
libertà private. In nessuna democrazia liberale sarebbe possibile
qualcosa come il processo a Socrate ma sarebbe sbagliato negare che
l’antica Atene fosse una democrazia. E, per venire a tempi meno
remoti, nei territori palestinesi esiste una certa democrazia, si
svolgono addirittura elezioni semi regolari, ma i disgraziati che
sono sospettati di essere spie degli israeliani vengono praticamente
linciati al termine di processi burla. Prima o poi queste situazioni
sono destinate ad essere superate? Evolveranno verso una qualche
forma di democrazia liberale o regrediranno verso forme di spietata
tirannide? Probabilmente si, ciò non toglie che di esperienze reali
si tratti. La democrazia liberale è il regime politico in cui forse la maggioranza degli esseri umani vorrebbero vivere, questo però non elimina il fatto che centinaia di milioni di esseri
umani vivano, e a molti piaccia vivere, in regimi del tutto diversi e che in alcuni di questi
regimi esistano forme distorte ed illiberali di democrazia.
Holmes sostiene anche che
le democrazie liberali sono, al contrario di quanto comunemente si
pensa, assai forti, più forti, soprattutto nei momenti davvero
difficili, dei regimi autoritari e totalitari. La limitazione del
potere statale non fa di questo un potere debole, al contrario lo
rafforza. Il filosofo liberale americano ripropone, sul problema
della forza dello stato liberale un parallelismo simile a quello
fatto fra libertà e democrazia. Così come libertà e democrazia si
rafforzano e si sostengono a vicenda, le istituzioni democratico
liberali e la forza dello stato, ben lungi dal configgere sono
complementari. La democrazia liberale rafforza lo stato ed uno stato
sufficientemente forte è un ottimo presidio dei diritti liberali.
“Sorprendentemente
una piccola isola non lontana dalle coste nord occidentali
dell’Europa dominò oltre un terzo del globo. Non c’è alcun
senso serio in cui si possa dire che la patria del liberalismo
politico abbia dato prova di debolezza. La verità è anzi che la
Gran Bretagna si è rivelata così forte da saper perdere il
suo impero senza subire alcun collasso politico interno” (2) Non è
casuale una simile manifestazione di forza da parte di uno stato il
cui potere è limitato e rispettoso della libertà dei cittadini.
“L’oppressione” infatti “indebolisce lo stato. L’intolleranza
approfondisce i conflitti confessionali e spinge i cittadini operosi
ad emigrare. La censura blocca il flusso delle informazioni, che sono
un innesco vitale per il governo di un grande paese. Le punizioni
eccessive e crudeli opprimono lo spirito dei comuni cittadini così
privando il governo della loro attiva collaborazione. I regolamenti
oppressivi sui commerci comprimono la ricchezza privata che alla fine
avrebbe potuto essere drenata a vantaggio delle finanze pubbliche.
Una politica liberale è molto più adatta di una tirannica a
stimolare la cooperazione dei cittadini nel perseguimento di
obiettivi comuni.” (3)
La libertà oltre ad essere in sé un valore è conveniente allo stato, ne accresce invece che diminuirne la forza. Nelle società libere esistono solo pochi obiettivi comuni ma su tali, limitati, obiettivi è possibile raggiungere un consenso di massa che manca in società in cui tutto o quasi è pubblico e l’area di autonomia dei singoli è terribilmente compressa. Uno stato che persegue pochi ma importanti obiettivi è più efficiente, più forte e più ricco di uno stato che pretenda di regolare tutto; governare col consenso e la fiducia dei governati è più semplice ed efficace che governare col terrore. E, anche in questo caso, il discorso si può invertire. Uno stato forte ed autorevole è un presidio insostituibile dei diritti liberali. “Violare i diritti liberali significa disobbedire allo stato liberale. In una condizione di assenza di sovranità, i diritti possono essere immaginati ma non sperimentati. In una società con uno stato debole, per esempio nel Libano del decennio appena trascorso, o virtualmente priva di uno stato, per esempio nella Somalia di oggi, (lo scritto di Holmes è del 1995, nota di B.) i diritti o non esistono o restano in larga misura lettera morta.” (4)
La libertà oltre ad essere in sé un valore è conveniente allo stato, ne accresce invece che diminuirne la forza. Nelle società libere esistono solo pochi obiettivi comuni ma su tali, limitati, obiettivi è possibile raggiungere un consenso di massa che manca in società in cui tutto o quasi è pubblico e l’area di autonomia dei singoli è terribilmente compressa. Uno stato che persegue pochi ma importanti obiettivi è più efficiente, più forte e più ricco di uno stato che pretenda di regolare tutto; governare col consenso e la fiducia dei governati è più semplice ed efficace che governare col terrore. E, anche in questo caso, il discorso si può invertire. Uno stato forte ed autorevole è un presidio insostituibile dei diritti liberali. “Violare i diritti liberali significa disobbedire allo stato liberale. In una condizione di assenza di sovranità, i diritti possono essere immaginati ma non sperimentati. In una società con uno stato debole, per esempio nel Libano del decennio appena trascorso, o virtualmente priva di uno stato, per esempio nella Somalia di oggi, (lo scritto di Holmes è del 1995, nota di B.) i diritti o non esistono o restano in larga misura lettera morta.” (4)
Ancora una volta è difficile dissentire dalle tesi di Holmes, tuttavia è bene tener presente che, se estremizzate, tali tesi possono portare a conclusioni assai discutibili. E’ vero che il riconoscimento e la tutela delle libertà individuali rafforzano e non indeboliscono lo stato, l’esempio della Gran Bretagna fatto da Holmes è a questo proposito assai convincente. Ma, il rafforzamento dello stato è il fine principale, l’obiettivo primario da perseguire o non è invece la libertà a dover essere perseguita in quanto tale? In altre parole, la libertà va tutelata per sé stessa o perché grazie ad essa lo stato diventa più forte? Non è una questione di lana caprina. Se un ulteriore rafforzamento dello stato potesse essere perseguito a spese della libertà andrebbe comunque ricercato? La separazione dei poteri, il riconoscimento delle libertà individuali, il garantismo vanno difesi perché rendono forte lo stato o al contrario è la forza dello stato ad essere desiderabile in quanto tutela più efficacemente libertà dei singoli, garantismo, separazione dei poteri? La forza di uno stato non è in quanto tale un obiettivo sempre desiderabile, è fondamentale stabilire di quale stato si desidera la forza. Se uno stato totalitario si dimostrasse più forte di uno liberal democratico, occorrerebbe aumentare la forza dello stato liberal democratico, non certo renderlo meno liberale e meno democratico per farlo più forte. Ed ancora, è vero che assai spesso gli stati liberali e democratici sono anche forti ma ciò non è vero sempre e comunque. Le democrazie occidentali hanno sconfitto il nazismo, è vero, ma lo hanno fatto solo dopo una guerra lunga ed estremamente sanguinosa e dopo che una democrazia come la Francia è stata travolta dalle armate di Hitler e un’altra come l’Inghilterra è stata costretta in una posizione di inferiorità che non le avrebbe mai consentito di vincere da sola il conflitto. Soprattutto le democrazie occidentali hanno vinto la guerra contro nazismo anche grazie all’alleanza con una potenza totalitaria come l’Unione Sovietica che è uscita trionfatrice dalla guerra e si è espansa a macchia d’olio dopo il 1945, costringendo interi popoli a gustare le delizie del comunismo staliniano.
Democrazie e libertà
sono fattori di forza ma non bastano da soli a dare ai paesi liberi
una superiorità decisiva sui loro nemici. Fondamentale a questo
proposito è l’adesione di larga parte dei popoli liberi ai valori
fondanti le loro società. Se democrazia e libertà si trasformano in
relativismo culturale, se la tolleranza viene scambiata con
l’accettazione di tutto, se il giusto riconoscimento degli errori, ed anche degli orrori, della propria civiltà diventa incapacità di vedere e
criticare errori ed orrori altrui, la forza delle
società libere declina rapidamente, molto rapidamente. L’incertezza,
il balbettio confuso con cui larga parte dell’occidente ha reagito
e reagisce all’attacco dell’integralismo islamista è a questo
proposito un sintomo quanto mai preoccupante. La libertà è forte
quando c’è gente disposta a combattere per la libertà, se questo
non avviene la libertà è debole, molto debole.
Holmes riduce, come si è
visto, le distanze fra libertà e democrazia dimostrando (o cercando
di dimostrare) che questi valori sono complementari e non possono, se
correttamente intesi, entrare in conflitto fra loro. Un grande
pensatore dello scorso secolo, Karl Raimund Popper, annulla
praticamente la distanza fra questi valori ma lo fa seguendo una
strada del tutto diversa, da quella seguita da Holmes. Per Holmes i
diritti liberali rafforzano la democrazia, per Popper tali diritti
vengono praticamente ad identificarsi con la democrazia.
Si è detto che la
democrazia ha a che fare con la domanda: “chi deve prendere le
decisioni che riguardano tutti?” o, più celermente: “chi deve
governare?” mentre la libertà riguarda la domanda: “fino a dove
si estende l’area in cui io solo posso decidere?”. Si tratta come
si vede di domande diverse volte a tutelare valori ed esigenze
diverse: nel primo caso la partecipazione di tutti alle scelte
collettive, nel secondo l’area dell’autonomia individuale. Il
problema del garantismo liberale riguarda i rapporti fra questi
valori e queste esigenze diverse. Il garantismo parte dal franco
riconoscimento che un momento coercitivo è presente in ogni scelta
politica e si preoccupa di fissare limiti volti ad impedire che tale
momento possa espandersi troppo. Popper invece ritiene che il
garantismo non sia tanto una dottrina dei limiti del potere
democratico quanto la caratteristica fondamentale di tale potere. La
domanda “Chi deve governare?” è per Popper una domanda
intrinsecamente sbagliata ed il solo porsela lascia aperta la strada
a involuzioni autoritarie. Coloro che si pongono la domanda: “chi
deve governare?” hanno una concezione potenzialmente totalitaria
della politica. “presuppongono che il potere politico sia, per
essenza, sovrano. Se si parte da questo presupposto allora,
evidentemente, la domanda: chi deve essere il sovrano è la sola
domanda importante a cui si deve rispondere” (5). Ma il vero
problema non è, per Popper, quello di stabilire chi deve
governare ma come si deve governare, con quali limiti, quali
controlli, quali contrappesi all’azione di governo. Occorre
“sostituire alla vecchia domanda: chi deve governare? La nuova
domanda: Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo
da impedire che i governanti cattivi e incompetenti facciano troppo
danno?” (6). Il governo maggioritario non è buono in sé ma è da
scegliere perché permette un controllo periodico sull’attività
dei governi, la democrazia non è qualcosa di positivo in quanto
tale ma solo in quanto consente di resistere alla tirannide: ”La
teoria alla quale intendo riferirmi è una teoria che non discende
dall’intrinseca bontà o legittimità del governo maggioritario ma
piuttosto dall’illegittimità della tirannide; per essere più
precisi è una teoria che si fonda sulla decisione, o sull’adozione
della proposta, di evitare la tirannide, di resistere ad essa”.(7)
Da quanto precede è fin troppo evidente il legame fra il Popper politico ed il Popper epistemologo: una teoria scientifica non può mai essere definita “vera” ma al massimo non (ancora) falsificata, allo stesso modo la democrazia non è qualcosa di positivo ma una condizione per evitare qualcosa di negativo: la tirannide. Ma, ritenere provvisoriamente “non falsa” una teoria scientifica non equivale in qualche modo a ritenerla, almeno provvisoriamente, vera? E definire indesiderabile la tirannide non significa in qualche modo ritenere buona la democrazia? Poter partecipare, partecipare in positivo, alle decisioni che riguardano tutti non è un valore? Non risponde ad una esigenza umana profonda? Certo, non è l’unico valore, occorre evitare che l’area del pubblico invada e annichilisca quella del privato. Popper ha mille ragioni quando difende il garantismo liberale, si preoccupa dei limiti all’azione del governo, dei pesi e contrappesi. Il limite della concezione di Popper emerge però quando egli tenta di assorbire la domanda relativa a chi deve governare nell’altra domanda relativa al come si deve governare. Interessato, giustamente, al garantismo Popper si spinge fino a ritenere che sia poco importante stabilire chi deve governare e giunge ad affermare che porsi una tale domanda porta ad una china autoritaria. Ma le cose non stanno così. Non stanno così in primo luogo perché, come lo stesso Popper ammette, il fatto che governi qualcuno e non qualcun altro (il popolo o un principe ereditario ad esempio) non è senza conseguenza sulla possibilità o meno che esistano vincoli all’azione di governo: le elezioni periodiche sono un vincolo e nelle elezioni periodiche il popolo esprime la sua volontà. E, in secondo luogo, le cose non stanno così perché il partecipare alle scelte pubbliche è in se un valore, anche se non l’unico o l’assolutamente prioritario. Anche se possono sembrare simili le concezioni di Popper e Berlin sono diverse. Teorizzando il possibile contrasto fra libertà negativa e libertà positiva Berlin parla di due valori, due libertà, e difende la prima dalle possibili incursioni della seconda. Popper cerca invece di risolvere il problema dei possibili contrasti fra le due libertà assorbendo praticamente la seconda nella prima, ma incorre in questo modo in un errore speculare, anche se forse meno grave, a quello in cui cadono i teorici della sovranità che egli critica. Mentre per questi se è il popolo a comandare non si pongono problemi di vincoli e garanzie all’azione de governo, per Popper se questi vincoli e garanzie esistono il problema di chi governa diventa ipso facto secondario. I due problemi sono invece entrambi importanti. E’ giusto che governino coloro che sono interessati alle scelte pubbliche, in breve, il popolo decidendo a maggioranza, ed è giusto che il governo popolare non sia illimitato, sia costretto a rispettare le minoranze e gli individui. Eliminare un problema non significa risolverlo.
Da quanto precede è fin troppo evidente il legame fra il Popper politico ed il Popper epistemologo: una teoria scientifica non può mai essere definita “vera” ma al massimo non (ancora) falsificata, allo stesso modo la democrazia non è qualcosa di positivo ma una condizione per evitare qualcosa di negativo: la tirannide. Ma, ritenere provvisoriamente “non falsa” una teoria scientifica non equivale in qualche modo a ritenerla, almeno provvisoriamente, vera? E definire indesiderabile la tirannide non significa in qualche modo ritenere buona la democrazia? Poter partecipare, partecipare in positivo, alle decisioni che riguardano tutti non è un valore? Non risponde ad una esigenza umana profonda? Certo, non è l’unico valore, occorre evitare che l’area del pubblico invada e annichilisca quella del privato. Popper ha mille ragioni quando difende il garantismo liberale, si preoccupa dei limiti all’azione del governo, dei pesi e contrappesi. Il limite della concezione di Popper emerge però quando egli tenta di assorbire la domanda relativa a chi deve governare nell’altra domanda relativa al come si deve governare. Interessato, giustamente, al garantismo Popper si spinge fino a ritenere che sia poco importante stabilire chi deve governare e giunge ad affermare che porsi una tale domanda porta ad una china autoritaria. Ma le cose non stanno così. Non stanno così in primo luogo perché, come lo stesso Popper ammette, il fatto che governi qualcuno e non qualcun altro (il popolo o un principe ereditario ad esempio) non è senza conseguenza sulla possibilità o meno che esistano vincoli all’azione di governo: le elezioni periodiche sono un vincolo e nelle elezioni periodiche il popolo esprime la sua volontà. E, in secondo luogo, le cose non stanno così perché il partecipare alle scelte pubbliche è in se un valore, anche se non l’unico o l’assolutamente prioritario. Anche se possono sembrare simili le concezioni di Popper e Berlin sono diverse. Teorizzando il possibile contrasto fra libertà negativa e libertà positiva Berlin parla di due valori, due libertà, e difende la prima dalle possibili incursioni della seconda. Popper cerca invece di risolvere il problema dei possibili contrasti fra le due libertà assorbendo praticamente la seconda nella prima, ma incorre in questo modo in un errore speculare, anche se forse meno grave, a quello in cui cadono i teorici della sovranità che egli critica. Mentre per questi se è il popolo a comandare non si pongono problemi di vincoli e garanzie all’azione de governo, per Popper se questi vincoli e garanzie esistono il problema di chi governa diventa ipso facto secondario. I due problemi sono invece entrambi importanti. E’ giusto che governino coloro che sono interessati alle scelte pubbliche, in breve, il popolo decidendo a maggioranza, ed è giusto che il governo popolare non sia illimitato, sia costretto a rispettare le minoranze e gli individui. Eliminare un problema non significa risolverlo.
Note
1) Stephen Holmes:
Passioni e vincoli. Edizioni di Comunità 1998. Pag. 14
2) Stephen Holmes: Opera
citata pag. 26. Sottolineatura di Holmes.
3) Stephen Holmes: Opera
citata pag. 27.
4) Stephen Holmes: Opera
citata pag. 27.
5) Karl Raimund popper:
La società aperta e i suoi nemici. Armando 1981 pag. 175.
6) Karl Raimund Popper:
Opera citata pag. 174.
7) Karl Raimund Popper:
Opera citata pag. 178.
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