giovedì 29 ottobre 2015

LA CARNE




Innanzitutto un paio di premesse.
Primo. non sono un medico, né uno scienziato e non ho particolari conoscenze mediche o scientifiche. Quelle che sto per fare sono considerazioni dettate solo dalla logica e dal buon senso.
Secondo. Non intendo trattare il problema del consumo di carne da un punto di vista etico. Mi permetto di rimandare chi fosse eventualmente interessato a questo tipo di tematiche allo scritto ”sul radicalismo animalista” presente nel blog “secondo Giovanni”.
Ognuno ha diritto di consumare o non consumare carne basandosi su convinzioni etiche o religiose, oppure perché convinto o non convinto che il consumo di carne sia dannoso alla salute. Quello che invece non si può fare è confondere i due livelli. Non si può motivare con considerazioni scientifiche il rifiuto etico di mangiare carne e viceversa. La scienza ha che fare con l'essere, l'etica col dover essere. La scienza può fornire solo quelli che Kant chiamava imperativi ipotetici: se vuoi X devi fare Y. L'etica invece ci obbliga con imperativi categorici: devi fare, o non fare, X. La differenza fra i due è essenziale. Una cosa è non mangiar carne perché si mettono tutte sullo stesso piano le varie forme di vita, quanto meno di vita senziente, cosa del tutto diversa è non mangiarla perché la si ritiene dannosa per la salute. Se qualcuno mi dicesse: “io non mangio bambini arrosto perché la loro carne non è salubre” avviserei immediatamente la polizia. Non sarei per niente interessato a chiarire se sia o non sia vero che il consumo di carne di bambino, arrosto, alla griglia o in umido che sia, faccia bene o male alla mia salute.

Mangiar carne è naturale?
Una enorme quantità di animali si ciba di carne. Gli animali di terra si dividono, grosso modo, in erbivori e carnivori, predatori e prede. Entrambi vivono l'uno grazie alla morte dell'altro. E' importante il termine entrambi. Nell'immaginario popolare si pensa che le prede siano povere vittime destinate da un triste destino a nutrire i predatori. Le cose stanno in realtà diversamente, e non solo perché a volte è la preda ad uccidere il predatore. Semplicemente sfuggendo agli artigli del leone la gazzella lo condanna a morte. In natura la vita di uno è sempre morte dell'altro, sia l'altro una preda o un predatore. Il cibarsi di carne è la cosa più naturale di questo mondo, è parte essenziale del meccanismo con cui la natura riproduce se stessa. Tutto questo non implica, dovrebbe essere chiaro nessuna condanna etica della natura. La natura è il regno dell'essere, non del dover essere. Applicare categorie etiche alla natura è quanto di più stupido si possa immaginare, significa trasformare la natura vera, bellissima e terribile, in un melenso cartone animato.

Queste considerazioni valgono anche per l'uomo? La risposta non può che essere positiva. L'uomo forse non è solo animale ma è di certo anche animale, per moltissimo tempo lo è stato prevalentemente. E si è cibato di carne, per millenni.
I primi uomini sono stati cacciatori e raccoglitori, ed il loro cibo assolutamente prevalente era la carne. Con la rivoluzione neolitica l'uomo ha inventato l'agricoltura e l'allevamento, ma anche dopo questa rivoluzione la carne ha costituito una parte essenziale della sua alimentazione. Certi popoli hanno quasi del tutto ignorato le pratiche agricole fino a ieri. I cosiddetti indiani d'America si sono nutriti per millenni quasi esclusivamente di carne di bisonte. Chi considera le carni rosse una sorta di killer spietato dovrebbe porsi la semplice domanda: come mai non si sono estinti gli indiani d'America che di questo killer, quasi solo di questo, si sono nutriti per un lunghissimo periodo?
Tutto si potrà dire del consumo umano di carne meno che si tratti di qualcosa di “non naturale”, una sorta di “moda culturale” che gli uomini avrebbero imposto a loro stessi, o un consumo “innaturale e fittizio” che le “multinazionali dell'alimentazione” avrebbero indotto negli esseri umani. Può darsi che ad essere una “moda” culturale siano il veganismo ed il vegetarianismo, di certo non lo è il mangiar carne.

Una obiezione seria.
Qualcuno potrebbe obbiettare: “tu metti sullo stesso piano uomini ed animali, eguagli il comportamento dei primi e dei secondi. Ma fra i due comportamenti esistono differenze basilari.

Il comportamento umano è quasi sempre mediato dalla capacità di ragionamento, è più lento, meno immediato, ma, appunto per questo, molto più ponderato ed efficace di quello animale. Per restare al campo dell'alimentazione, l'animale “sa” cosa può e cosa non può mangiare e “sa” come procurarsi il cibo. L'uomo queste cose deve, in larga misura, apprenderle e apprendendole impara a riconoscere ciò che è salubre da ciò che non lo è. Rifarsi ad un antico comportamento naturale dell'uomo vuol dire di fatto rifiutare il processo di civilizzazione, ma nulla è tanto umano, tanto naturalmente umano, quanto la civilizzazione.
L'obiezione è seria e contiene molta verità. Personalmente non eguaglio affatto uomini ed animali, detto per inciso questo è il motivo principale per cui respingo le argomentazioni di chi rifiuta di cibarsi di carne per motivi etici. Il comportamento umano è mediato, verissimo. L'uomo valuta, confronta, instaura fra fini e mezzi una serie di relazioni che l'animale, guidato da un infallibile istinto, non può che ignorare. Il concetto di salute, per fare un esempio non casuale, è fino in fondo qualcosa di umano. Un animale può sentirsi bene o male, può provare sensazioni di piacere o di dolore, ma non può sentirsi “sano” o “malato”, tutto vero.
Ma, cosa vuol dire precisamente che il comportamento umano è mediato, riflessivo, efficace? Ecco il punto.

Non sappiamo se l'uomo disponga o meno di libero arbitrio, se sia o meno dotato di anima immortale o di anima tout court, se davvero sia stato creato ad “immagine e somiglianza” di Dio. Una cosa però la sappiamo: l'uomo non è, rifiuta di essere, la mera componente di qualche ecosistema. Possiamo considerare questo rifiuto come il segno di una perversa volontà di potenza o della nostra origine divina, le cose non cambiano. L'uomo modifica il mondo circostante, cerca di adattarlo alle sue esigenze, ma con questo si pone forse fuori, sopra o sotto o a lato del mondo naturale? Modificando il mondo l'uomo ne crea forse uno in toto nuovo, in cui le leggi di natura non valgono più? Basta porre la domanda giusta per avere la risposta.
L'uomo modifica il mondo adattandosi alle leggi naturali che lo regolano. Conoscere ed adattarsi a queste leggi è la condizione preliminare di ogni attività volta a cambiare il mondo.
Con la sua azione l'uomo non crea una
nuova natura, semplicemente migliora, o mira a migliorare, o crede di migliorare, nella natura, le sue condizioni di esistenza. Tornando al tema della alimentazione, con la sua attività l'uomo cerca di migliorare la qualità e di incrementare la quantità del cibo che naturalmente serve alla sua sopravvivenza. Col tempo le diete migliorano, quando migliorano, diventano più varie, appetitose, salubri ed aumenta anche il numero di persone in grado di nutrirsi in maniera soddisfacente. Tutto questo però non cambia la sostanza del rapporto fra l'uomo e ciò che lo nutre, non può indurre a pensare che per millenni l'uomo si sia nutrito di veleni estranei od ostili alla sua natura. Se per millenni l'uomo si è nutrito di carne, in certi casi quasi esclusivamente di carne, questo prova che la carne in quanto nutrimento non è estranea alla natura umana, non è per questa un pericoloso veleno. Il rapporto dell'alimento carne con l'uomo non può in nessun modo essere assimilato a quello fra l'alimento erba ed il leone, o fra l'alimento carne e la pecora. Si possono rifiutare per i più vari motivi le diete a base di carne ma questo non è sinonimo di un costante ed inevitabile “progresso” dell'uomo, di una sua presunta emancipazione dalla propria natura animale. Non possiamo “liberarci” della nostra natura animale, essa è parte essenziale di noi.

Se si tiene conto di queste considerazioni il discorso sul miglioramento delle diete, sulla loro maggiore salubrità (quando questa esiste) assume un carattere diverso da come certi lo intendono. Un certo cibo è salubre per certe persone, dannoso per altre, è salubre in certe quantità e dannoso in altre, risulta facilmente digeribile da persone adulte ed indigesto per i bambini, non ha conseguenze negative per la salute se cucinato in un certo modo, ne ha invece se cucinato in maniere diverse. Si potrebbe continuare. Il rapporto del cibo con la salute non instaura fra i vari alimenti una sorta di classifica valida per tutti, sempre, in ogni situazione. Non esiste una scala di valori assoluta fra i vari cibi in base alla quale si possano impartire ordini e proibizioni che la scienza giustificherebbe in ogni caso (qui prescindo volutamente dal considerare il valore etico di tali ordini e proibizioni).

Il massimo che si può dire è che fra i cibi che storicamente l'uomo ha consumato ne esistono alcuni che soddisfano meglio di altri le esigenze alimentari e di salute di un numero maggiore o minore di persone. Nessun assoluto, né nel bene né nel male quindi e non a caso. L'assoluto non riguarda l'uomo, meno che mai può riguardare ciò che serve a nutrirlo.

Qualche numero
La Organizzazione mondiale della sanità ha sentenziato che le carni rosse sono cancerogene. Pare abbia inserito anche l'agnello fra le carni rosse, dando prova di un certo daltonismo, ma questo è solo un dettaglio. La OMS non si è limitata a dire che un consumo eccessivo di carni rosse, cucinate in un certo modo, può aumentare, statisticamente parlando, le possibilità che un certo numero di persone contragga, nel corso di tutta la vita, il cancro. Ha definito “cancerogene” le carni rosse, equiparandole al fumo ed all'amianto. Se si pensa che è in atto da decenni una violentissima campagna contro il fumo e che l'amianto è stato proibito ci si può rendere conto dell'impatto emotivo di una simile dichiarazione, e delle sue conseguenze in tutti i campi, compreso quello economico.
Però, ci sono alcuni numeri che fanno sorgere qualche sospetto sulla attendibilità, comunque sulla portata, delle dichiarazioni della OMS. Vediamo un po'.

Il paese più vegetariano del mondo è l'India. Circa un terzo della sua popolazione dichiara di non mangiare carne, per lo più per motivi religiosi. L'India è molto indietro nella classifica dei paesi in base alla durata media della vita. Per la precisione si situa al posto 163 con una durata media di vita di 67,80 anni. E' preceduta in questa classifica dalla Guyana, posto 162 e vita media di 67,81 anni, dal kirghizistan, posto 153 e vita media di 70,06 anni e dalla Mongolia, posto 157 e vita media di 68,98 anni. Da notare che Guyana, Kirghizistan e Mongolia sono paesi economicamente più arretrati dell'India. E' interessante il confronto con la Cina, che ha un livello di sviluppo non troppo dissimile da quello dell'India, ed è un paese il cui consumo di carne è fortemente aumentato negli ultimi decenni: dal 1963 ad oggi si è quasi decuplicato. La Cina occupa il posto 99 nella classifica dei paesi per durata media di vita, con 75, 15 anni di vita media. Fra l'India piuttosto vegetariana e la Cina il cui consumo di carne si avvicina a quello dei paesi occidentali ci sono quasi
otto anni di differenza nella vita media.
Andiamo avanti. Il paese al primo posto nel mondo per consumo di carne per persona è il Lussemburgo. Bene, il Lussemburgo occupa la posizione numero 36 nella classifica della durata media della vita, con una speranza di vita di 80,01 anni. Al secondo posto fra i consumatori di carne troviamo gli Stati Uniti che nella classifica della vita media occupano il posto 42, con una speranza di vita di 79,56 anni. l'Australia è al terzo posto fra consumatori di carne ed al settimo per la durata di vita con 82,07 anni di vita media. La Spagna occupa il quarto posto fra i consumatori di carne ed il quattordicesimo per la durata media di vita, con una speranza di vita di 81,47 anni. Il Canada è al posto n° 7 per consumo di carne ed 11 per vita media, con speranza di vita pari a 81,67 anni. L'Italia occupa rispettivamente la quattordicesima e la undicesima posizione, con una speranza di vita pari a 82,03 anni.
Globalmente, i paesi maggiori consumatori di carne si situano tutti nella parte alta della classifica relativa alla speranza di vita; fra i primi venti paesi per speranza di vita ne troviamo sette che si situano nei primi 14 per il consumo di carne. Al contrario, nessun paese che occupa le ultime cento posizioni nella classifica per speranza di vita è presente nelle prime 18 posizioni dei consumatori di carne. Fra i principali consumatori di carne solo uno, gli Stati Uniti, ha una vita media appena inferiore agli 80 anni, tutti gli altri si situano oltre questa soglia con il primato di durata che va all'Australia, con i suoi rispettabilissimi 82,07 anni di vita media. Insomma, la carne sarà anche un pericolosissimo killer, ma nei paesi in cui se ne consuma molta la vita è piuttosto lunga.

Sono evidenti le obiezioni che è possibile opporre a cifre di questo genere. Non ha troppo senso confrontare degli aggregati molto differenziati al loro interno per concludere qualcosa sulla salubrità o dannosità di un certo cibo, o più in generale di un qualsiasi prodotto. In Australia si vive in media più a lungo che in India, ma questo
non implica che gli australiani vivano più a lungo degli indiani perché mangiano più carne. Esistono molti altri fattori che possono spiegare la differente speranza di vita nei due paesi. Verissimo, nulla da replicare. Però una simile obiezione vale anche per le conclusioni della OMS sulla pericolosità della carne.
L'allarme della OMS sulle carni rosse cancerogene si basa su studi osservazionali o prospettici. Si prendono due campioni di popolazione uno dei quali segue un regime alimentare a base di carne e l'altro no o semplicemente in uno dei quali ci siano più persone carnivore che nell'altro. Si eseguono delle rilevazioni e si constata se nel decorso del tempo nel primo i casi di tumore al colon siano maggiori che nell'altro. Senza entrare troppo nello specifico è chiaro che studi simili non possono portare ad autentiche certezze scientifiche. Possono infatti esistere, e di fatto esistono, molti altri fattori in grado di spiegare la differenza nell'insorgere dei tumori in un campione e nell'altro. Va da se che quanto più è basso lo scarto fra i tumori riscontrati nei due campioni tanto meno attendibili sono le conclusioni che se ne possono trarre, e viceversa.


Cause ed effetti

La discussione sulla causalità appassiona da sempre il dibattito filosofico, ma non è di questa che si intende qui parlare. Ai fini del nostro discorso possiamo dare per scontato che esistano nel mondo certe regolarità, che il principio di induzione sia giustificato e che a certe cause seguano certi effetti. Resta tuttavia un grosso problema,
che tipo di cause sono quelle “scoperte” dalla OMS?
Si può dire che
A causa B se e solo se tutte le volte che c'è o avviene A c'è o avviene anche B, a meno che non esistano fattori perturbativi. Se mi butto dal sesto piano mi sfracello al suolo, a meno che un telone dei vigili del fuoco non attenui l'impatto della caduta. Tenendo conto di questo esaminiamo le seguenti due proposizioni:

1) Tagliare la testa ad un qualsiasi uomo ne causa la morte.

2) Mangiare carne rossa causa il cancro al colon.

Sono evidenti, direi, le differenze fa la
uno e la due. La uno è intuitivamente vera, la due no. Mentre infatti non si conosce alcun caso di un corpo senza testa che passeggi tranquillamente per le vie del centro o di una testa senza corpo che discuta di cause ed effetti, ci sono nel mondo centinaia di milioni di esseri umani che mangiano carne rossa e salsicce senza contrarre il cancro al colon. E non solo di questo si tratta. La uno può essere ulteriormente approfondita. Se si taglia la testa ad un uomo si interrompe la irrorazione del sangue al cervello, questo ne causa la morte, ed un corpo senza cervello non può continuare a vivere perché... eccetera eccetera.
La
uno rimanda da una causa primaria ad altre cause sempre più dettagliate. La due no o, quanto meno, se rimanda ad altre cause più dettagliate lo fa, a differenza che la uno, in termini assai vaghi e generici. Per farla breve, la uno ci parla di cause nel senso stretto e scientifico del termine, la due rimanda non a cause in senso stretto ma a generalizzazioni statistiche. Statisticamente è possibile affermare che nel campione “mangiatori di carne” si riscontra un certo numero in più di insorgenze di tumori al colon che non nel campione “non mangiatori di carne”, un po' come si può statisticamente affermare che in Australia si vive più che in India. E' possibile da una simile generalizzazione statistica inferire una autentica causa? La cosa è assai dubbia, per lo meno, lo è quando le differenze riscontrate nelle insorgenze di cancro fra i vari campioni non siano particolarmente elevate, come avviene invece nel caso del fumo.
Un articolo apparso sul blog “
Italia unita per la scienza” a firma di Alessandro Tavecchio chiarisce bene la questione. Lascio la parola a chi è assai più esperto di me.
“Quanta poco attendibili sono gli studi osservazionali? C’è un famoso articolo di epidemiologia che viene tipicamente riassunto sarcasticamente con “Ogni affermazione che viene da uno studio osservazionale è probabilmente falsa “. Lo studio in questione prendeva in considerazione 52 affermazioni derivate da studi osservazionali, e cercava di verificare quante di queste fossero poi ripetibili in studi più precisi e rigorosi (…). Nessuna, ovvero 0/52, aveva avuto riscontro in studi successivi che utilizzassero metodologie più rigorose. Sia chiaro: questo non significa che gli studi osservazionali siano spazzatura: significa solo che dobbiamo aver presenti in testa le limitazioni di questo strumento quando andiamo ad osservare i risultati.” (1)
Ovviamente sono possibili campionature più rigorose:
“Si può fare uno studio prospettico allora. Si segue un singolo gruppo per un lungo periodo annotando cosa fa o non fa, per poi registrare le malattie e le morti che saltano fuori. Questo è ben meglio di uno studio osservazionale perché permette di seguire le stesse persone nel tempo invece che trarre conclusioni da una fotografia su gruppi diversi”. Questo però non risolve i problemi: “La gente sceglie cosa fare e mangiare, quindi i gruppi sono ancora sbilanciati. Se i cinesi hanno una resistenza genetica al cancro che gli americani non hanno, con uno studio prospettico non lo si nota: magari si può vedere l’effetto ma lo si attribuirà ad altre cose che stai misurando, tipo il consumo di tea verde.” (2)
Si possono superare molte difficoltà cercando di costruire campioni omogenei da confrontare. A quali risultati pervengono questi gli studi più rigorosi? Tralasciamo i tecnicismi e veniamo al sodo:
“In termini assoluti, la probabilità che nella vita venga il cancro al colon è del 5 %, che sale al 6 % mangiando hamburger tutti i giorni. Ci sono circa 50 casi di cancro al colon ogni 100 mila persone l’anno (...) se mettessimo 100 mila persone a mangiare hamburger a pranzo
tutti i giorni per un anno, avremmo, in media, 60 casi di cancro l’anno invece che 50. O, in altri termini, se somministrassimo 50 g di hamburger ogni giorno a 100 persone, alla fine avremmo una persona in più con il cancro al colon rispetto a una popolazione che non va a mangiare al fast food. Oppure, la probabilità di evitare il cancro al colon nella vita è del 95%, che scende al 94% andandoci ogni giorno.” (3)
Decretare che le carni rosse sono “cancerogene” in base a simili dati appare quanto meno azzardato, ma c'è di più:
“Stiamo bene attenti, tutti i vari conti di cui sopra danno per scontato che ci sia una perfetta relazione di causa ed effetto tra carne e cancro. Cioè che ci sia qualcosa specificamente nella carne che causi il cancro, al di là dei nitriti eventualmente usati come conservanti o dei composti policiclici aromatici che si formano nei casi in cui viene cotta sulla griglia, che sono cancerogeni, ma che non sono intrinseci alla carne. (4)
Ma è proprio la prova di questa specificità a mancare, o ad essere assai dubbia. Non sembra esistere nella carne qualcosa di specifico che causi o favorisca il sorgere dei tumori, come esiste invece nel fumo. Se si approfondiscono i dati si arriva alla conclusione che Paracelso aveva perfettamente ragione quando diceva che “la dose è tutto”. La luce solare può essere cancerogena, specie se presa in alta montagna e pare possa esserlo anche il basilico, ingrediente base del meraviglioso pesto alla genovese. Ma questo non giustifica chi rinuncia ad una salutare e bellissima escursione in altura o a gustare un piatto di trenette al pesto. Non pare che i genovesi ed i valdostani siano falcidiati dai tumori molto più che i toscani o i milanesi.

Esultanza
“I vegetariani esultano” ha affermato un giornalista televisivo parlando delle conclusioni sulla carne della OMS. Non so se la notizia sia vera, ma è per lo meno verosimile. In ogni caso fa pensare.
Perché esultare alla notizia che un nuovo alimento viene ad aggiungersi alla fin troppo lunga lista dei cibi dannosi? Se io fossi convinto che le mele fossero cancerogene avrei da esultare se la OMS confermasse le mie paure? Non sarebbe meglio che queste venissero invece definite infondate? Il pensiero che nel mondo esistono centinaia di milioni di persone che mangiano carne e rischiano di morire di cancro fa esultare? Non dovrebbe invece rattristare tutti, anche coloro che la carne non la mangiano?
Vegetariani e vegani, meglio, alcuni di loro, probabilmente hanno accolto con esultanza l'uscita della OMS per il semplice motivo che la loro avversione alla carne non si basa su considerazioni salutistiche. Se io fossi convinto che le mele hanno un'anima e che mangiarle costituisce un crimine orrendo forse esulterei se si venisse a sapere che le mele sono cancerogene, magari mi farebbe piacere sapere che i criminali che uccidono le povere mele avranno finalmente la giusta posizione. I nemici delle diete a base di carne esultano alla comunicazione della OMS come si esulta per la vittoria di un partito politico o di una squadra di calcio: nulla che abbia a che vedere con la salute e la scienza.
Ha invece molto a che vedere con la ideologia, e di peggior tipo.
Rispetto chi evita di mangiare carne in base a considerazioni etiche, religiose o filosofiche, anche se non le condivido. Il mio rispetto però viene meno quando questo rifiuto diventa fanatismo, intolleranza, incapacità di distinguere fra i valori. Esultare perché molti esseri umani rischiano il cancro, esser felici perché allevatori, macellai, salumieri rischiano la crisi e sono in pericolo moltissimi posti di lavoro, pensare ai vitelli e non agli uomini è sintomo di una aberrazione culturale che da tempo affligge l'occidente. Il cancro più pericoloso che ci minaccia si chiama ideologia, un male terribile che può uccidere la nostra vecchia civiltà.


Altre ideologie

Lo dico chiaramente, mi da sempre più fastidio un certo modo di pensare diffuso in occidente che valuta tutto in funzione della salute. Di ogni cibo dobbiamo conoscere gli ingredienti, la loro composizione chimica, la provenienza, il modo di lavorazione e così via, in una catena pressoché infinita. Il menù di un ristorante rischia ormai di trasformarsi in un trattato di chimica, praticamente illeggibile. Quante calorie contiene il tal cibo? Quante proteine, quante vitamine, quanti zuccheri? Dai teleschermi occhiuti “esperti” ci esortano ad “informarci”, sempre, in tutte le occasioni, su tutto. Sembra che anche chi è sano come un pesce debba mangiare come se fosse affetto dalla peggior forma di diabete, se non da peggio.
La salute è importante, nessuno lo nega, ma non è tutto. In fondo non si vive solo per stare al mondo, e se è giusto cercare di aggiungere giorni alla vita lo è altrettanto cercare aggiungere vita ai giorni. Non si mangia solo per fornire all'organismo sostanze nutritive, esattamente come non si fa sesso solo per avere dei figli, e non si fanno figli solo per riprodurre la specie umana. Il cibo ed il sesso sono piaceri, oltre che necessità, della vita, contribuiscono a renderla sopportabile. Prendersi cura di figli e nipoti è bello, indipendentemente da ogni considerazioni sulla riproduzione della specie umana: conferisce senso al nostro vivere e l'animale uomo è letteralmente affamato di senso.
Ammettiamo pure che se domani mangio una favolosa bistecca alla fiorentina le mie possibilità di contrarre, da oggi al termine dei miei giorni, un tumore al colon aumentino di uno zero virgola. E allora? Tutto sommato si deve comunque morire, è bene non scordarlo mai, e forse la soddisfazione di una fiorentina compensa il maggior rischio che decido di assumermi. Forse chi decide di vivere come se fosse malato pur essendo del tutto sano dimostra maggior saggezza, ma forse la saggezza non è tutto nella vita, o forse la vera saggezza consiste nel saper equilibrare le esigenze di salvaguardia della propria salute con il tentativo di non rinunciare ai piccoli piaceri che la vita è in grado di offrirci. In ogni caso si tratta di scelte che devono essere lasciate alla discrezione dei singoli. Nessun burocrate della UE, della OMS o dell'ONU può imporcele o tentare di imporcele, neppure col terrorismo mediatico.

E neppure mi piace una ideologia sorella del salutismo radicale: il radicalismo ecologico. Probabilmente non sono solo gli animalisti radicali ad esultare per le comunicazioni della OMS. A loro si affiancano coloro che misurano ogni nostra azione in termini di “impronta ecologica”. “Per allevare una mucca servono tot quintali di foraggio, tot litri d'acqua eccetera”, pontificano questi signori e concludono severi: “vedete? Un chilo di bistecche ha un costo ecologico esorbitante”. Sono gli stessi che strillano indignati se qualcuno annaffia il proprio giardino o se fa la doccia più di una volta al mese, o aziona il condizionatore d'estate ed accende d'inverno il riscaldamento.
E sono gli stessi che ci ricordano che in cento calorie di broccoli ci sono più proteine che in cento calorie di bistecca, e che per produrre i broccoli occorre meno acqua che per produrre bistecche.
A parte il fatto che allevando una mucca non si produce solo un chilo di bistecche ma anche latte, formaggio, burro, ricotta e tante altre ottime cose, e a parte il fatto che per avere 100 calorie occorrono circa 500 grammi di broccoli e solo 60 di bistecca, a parte questi piccoli dettagli, ha senso vivere misurando tutto ciò che facciamo? Essere rispettosi dell'ambiente deve necessariamente significare vivere come se fossimo sotto assedio, cercando di misurare le conseguenze ecologiche di ogni nostro respiro? Se gli esseri umani avessero ragionato in questi termini non ci sarebbero state la civiltà e la storia. Saremmo ancora cacciatori raccoglitori o, più probabilmente, ci saremmo estinti da tempo. E, nell'ipotesi inveriosimile che non ci fossimo estinti ma moltiplicati restando cacciatori - raccoglitori, avremmo distrutto il pianeta. Si, distrutto il pianeta, perché nessuna attività è tanto distruttiva per l'ambiente quanto quella dei cacciatori - raccoglitori.
Abbiamo evitato l'estinzione, ci siamo moltiplicati senza distruggere il pianeta perché abbiamo inventato l'agricoltura, l'allevamento, i trasporti, gli scambi, la tecnologia. Perché, insomma, siamo diventati civili.
Dobbiamo cercare di continuare ad esserlo, malgrado l'ideologia nichilista imperante e gli allarmismi terroristici di tutti i falsi profeti del mondo.






Note
1) Alessandro Tavecchio: La carne causa il cancro? In Italia unita per la scienza
2) Ibidem
3) Ibidem sottolineature mie
4) Ibidem sottolineature mie












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