lunedì 25 agosto 2014

DIALOGO





E', insieme a “pace”, la parola oggi più usata, ed inflazionata. Bisogna “dialogare”. Sempre, comunque, di tutto, con tutti. Un tempo non era così. Non si usava continuamente il termine “dialogo”, non si pretendeva che si potesse dialogare sempre e comunque. Poi, a partire da una certa data, le cose sono cambiate. La data è l'undici settembre 2001. Da quel momento per molti il dialogo è diventato una sorta di talismano, una parola magica. Si dialoghi e tutti i problemi saranno risolti. E ad ogni attentato, ad ogni esplosione di fanatismo, ad ogni bagno di sangue la proposta di dialogo viene rinnovata, più forte che mai. Bombe a Londra ed a Madrid? Dialogo! Cristiani crocifissi in Africa? Dialogo! Ostaggi sgozzati un po' ovunque nel mondo? Dialogo!
Forse val la pena di analizzarla un po', questa parola magica, per vedere se le speranze che alcuni ripongono nelle sue virtù taumaturgiche siano davvero giustificate.

Il vocabolario on  line Treccani della lingua italiana, così definisce il termine “dialogo”.

1) Discorso, colloquio fra due o più persone: prendere parte al dialogo; ebbero un dialogo animato; ho udito alcune battute del dialogo fra i due; figurato,  fare un dialogo. con sé stesso, con i propri pensieri. Per estensione, nel linguaggio politico e giornalistico, incontro tra forze politiche diverse, discussione più o meno concorde o che miri a un’intesa: il dialogo fra Oriente e Occidente; aprire un dialogo  fra partiti contrapposti; in senso più ampio, discussione aperta, di persone disposte a ragionare con spirito democratico: mio padre non accetta il dialogo; tra noi manca il dialogo, ognuno resta della sua opinione.
2) Componimento o trattato in cui, invece della forma espositiva o narrativa, è usata la forma dialogica: i dialoghi di Platone, di Giordano Bruno; il «Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo», di Galilei.

Enumera poi altre accezioni del termine (dialogo teatrale, letterario, musicale) che qui non ci interessano.

Il dialogo, qualsiasi tipo di dialogo, presuppone qualcosa di comune fra i dialoganti. Non si può dialogare con chi ci è totalmente alieno. A ben vedere le cose con un essere simile non si possono avere contatti di alcun tipo, non gli si può neppure muovere guerra. A e B possono farsi la guerra se sono, oltre che diversi, anche, in parte, simili. Una guerra economica presuppone che A e B siano interessati alle stesse cose (entrambi mirano a quelle certe terre, al petrolio o ad altro). Una guerra religiosa presuppone che A e B credano in qualche divinità, a volte nella stessa divinità, o comunque che il credente possa pensare di imporre il proprio Dio al non credente, riconoscendolo così, in qualche modo, simile a lui. Si potrebbe continuare. Qualsiasi rapporto fra esseri umani presuppone che non ci sia fra loro una assoluta estraneità. Nessun rapporto è possibile con l'assolutamente altro, l'alieno.

Da questo si può dedurre che è possibile dialogare con tutto coloro che non sono alieni, cioè, in pratica, con qualsiasi essere umano, per quanto questi sia lontano da noi? La risposta è NO. Ciò che deve esistere di comune fra coloro che intendono dialogare è ben più ampio di ciò che di comune esiste fra coloro che si combattono armi alla mano. Per far la guerra ad X basta che io abbia un interesse, di qualsiasi tipo, simile, ma radicalmente contrastante, con il suo. Per dialogare con X occorre qualcosa di più, meglio, molto di più.
Innanzitutto occorre che entrambi i dialoganti accettino il dialogo. Non si tratta di una condizione da poco. Accettare il dialogo vuol dire avere una razionalità comune con l'interlocutore ed essere disposti ad usarla. Dialogare significa esaminare le proprie divergenze usando solo le armi della critica razionale, il che implica che ogni dialogante cerca, ovviamente, di convincere l'altro, ma è anche disposto ad essere convinto dall'altro, se questi avanza buoni argomenti. Il dialogo esclude, a priori, l'impenetrabilità alle altrui argomentazioni. Se io inizio a dialogare con la riserva mentale che, qualsiasi cosa tu dica, non modificherò in nulla le mie convinzioni il dialogo non è tale, è solo una finzione, o una truffa, o un pretesto per guadagnare tempo.
Nei suoi dialoghi Socrate parte dal solo presupposto che l'interlocutore sia una persona dotata di ragione e che la voglia usare. L'interlocutore di Socrate di solito ha convinzioni molto radicate delle quali Socrate dubita. Tuttavia, incalzato dalle domande pressanti del grande filosofo, dopo un po' l'interlocutore inizia a vacillare, deve ammettere la sua ignoranza, e si trova alla fine a concordare con Socrate. La condizione indispensabile di tutto questo è che sia Socrate che il suo interlocutore usino la ragione comune ad entrambi. Se in un qualsiasi momento del dialogo uno dei dialoganti, infastidito dalla acutezza delle argomentazioni dell'altro, “butta in aria il tavolo”, il dialogo cessa, immediatamente.
Considerazioni simili possono farsi sul “dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” di Galileo. Salviati, Simplicio e Sagredo discutono dei sistemi tolemaico e Copernicano e, più in generale, della fisica aristotelica contrapposta alle nuove concezioni del mondo che stavano maturando in quel periodo. Salviati è un convinto sostenitore del sistema eliocentrico, Simplicio un aristotelico, Sagredo un uomo di mente aperta desideroso di valutare razionalmente le diverse teorie. Le posizioni di Simplicio e Salviati sono all'inizio molto distanti ma nel corso delle quattro intense giornate di dialogo l'aristotelico dovrà riconoscere la ragionevolezza e la verità almeno di molte delle tesi di Salviati.
Ancora una volta, il presupposto e la condizione del dialogo è l'uso corretto di una ragione che tutti accomuna. Simplicio tenta di confutare le tesi di Salviati ma non lo aggredisce. Il tribunale della santa inquisizione avrà con Galileo un atteggiamento ben diverso, come si sa. Gli inquisitori non “dialogheranno” con lo scienziato pisano, anche se nel corso del processo avanzeranno obiezioni alle sue teorie. Il rapporto fra Galileo ed i suoi accusatori è fondato sulla violenza, non sul dialogo, a deciderlo non saranno i “corretti ragionamenti” e le “sensate esperienze” ma qualcosa d'altro, radicalmente diverso.

La accettazione della ragione come strumento del confronto è, insieme, presupposto e condizione del dialogo, di qualsiasi dialogo. Ma non sempre il dialogo richiede solo questo. Torniamo un attimo alla definizione da cui eravamo partiti: “nel linguaggio politico e giornalistico” si parla del dialogo come “incontro tra forze politiche diverse, discussione più o meno concorde o che miri a un’intesa (…) in senso più ampio, discussione aperta, di persone disposte a ragionare con spirito democratico.”
Qui come si vede c'è qualcosa di più che non la volontà di affrontare in maniera razionale e non violenta problemi teorici, c'è un qualche accordo che, al di là di ogni differenza, unisce i dialoganti.
“Governo ed opposizione devono dialogare sulle riforme”. Un simile enunciato esprime, molto semplicemente, il fatto che governo ed opposizione, malgrado tutte le differenze, ritengono utili certe riforme, vogliono realizzarle insieme e cercano, dialogando, di raggiungere tale obiettivo. Un simile tipo di dialogo presuppone non solo il comune uso della ragione, la volontà di ascoltarsi e di prendere ognuno molto sul serio le ragioni dell'altro. Presuppone anche obiettivi ed interessi comuni, ed un comune sistema di valori di riferimento: non si potranno fare riforme democratiche con chi non crede nel valore della democrazia. Il dialogo politico richiede maggiore, non minore comunanza di idee, interessi e valori che non quello scientifico o filosofico. Nel suo dialogo Galileo discute razionalmente le sue tesi con il portavoce dell'aristotelismo. In politica un liberale non potrà mai dialogare con un neonazista.

Finora si è cercato di vedere cosa il dialogo è e quando si ha dialogo, forse vale però la pena di esaminare, per estensione, cosa il dialogo non è e quando non si ha dialogo. Molti equivoci sul “dialogo” nascono proprio dalla confusione fra ciò che è dialogo e ciò che non lo è.
Non si dialoga per battere, o peggio, distruggere l'interlocutore, si dialoga per risolvere dei problemi comuni o per avvicinarsi, insieme, alla verità. I dibattiti in cui si fa largo uso di richiami ai sentimenti, o a volgari trucchetti retorici non sono, a rigore, dei dialoghi. Interrompere il rivale, impedirgli di parlare alzando la voce, cercare di irretirlo con battute o risolini ironici non sono tecniche da dialogo. In una parola, il dialogo non è propaganda, il che non implica che non sia legittimo, in una certa misura, fare propaganda
Non si ha dialogo quando gli interlocutori non si ascoltano, e si limitano a ripetere sempre gli stessi argomenti, o, peggio, gli stessi slogan. Il dialogo fra sordi non è dialogo.
E non è dialogo neppure la lotta ideale e culturale, anche quella migliore, condotta con le armi della argomentazione più seria e rigorosa. Se io leggo il libro di un neonazista e mi accingo a confutarne le tesi, non sto dialogando con lui. Non mi interessa troppo convincerlo, so di non poterlo fare, con tutta probabilità. Forse lui neppure leggerà le mie critiche ed anche questo non mi preoccupa troppo. Mi interessa invece confutare le sue tesi deliranti perché non voglio che queste abbiano troppa presa sul pubblico. Mentre scriveva “la rabbia e l'orgoglio” la Fallaci non dialogava coi fondamentalisti islamici, né con chi in qualche modo li giustifica, anche se sottoponeva a critica serrata ed argomentata le tesi degli uni e degli altri.
E non sono dialogo neppure il negoziato o la trattativa. Il negoziato e la trattativa non mirano a raggiungere obiettivi, o a realizzare valori, almeno in parte comuni agli interlocutori, né ad avvicinarsi, insieme, al vero. Nel negoziato e nella trattativa le parti mirano ognuna a realizzare il proprio massimo interesse. Il mercanteggiare sul prezzo di un immobile non è un dialogo. Per questi motivi succede che si possa, a volte, trattare o negoziare con persone che hanno pochissimo in comune con noi. Si può trattare anche con un terrorista o un bandito, se hanno in mano degli ostaggi. Si può negoziare una tregua, anche una pace, con forze politiche nei cui confronti si prova una avversità totale. E non è un caso che il negoziato e la trattativa possano, a volte, essere sleali. Si può trattare con un terrorista che ha in mano degli ostaggi solo al fine di guadagnare tempo, ed intanto preparare un blitz. Un dialogo sleale è una autentica contraddizione in termini, non così una trattativa sleale. Questa può essere possibile e, a volte, meritoria. Riuscire ad ingannare un criminale che intende uccidere ostaggi innocenti è sleale, ma altamente morale.

Dialogare è forse l'attività più specificamente umana che si possa concepire. Gli animali non umani si combattono o si temono, vivono isolati o, più spesso, in branchi, ma non dialogano. Il dialogo presuppone il pensiero ed il linguaggio astratti, la capacità di distinguere concettualmente il vero dal falso ed il bene dal male, tutte cose umane, molto umane. Ma, come tutte le cose umane, il dialogo non è possibile sempre e comunque, con tutti, su tutto. Come moltissime attività umane il dialogo discrimina, ci mette in relazione con alcuni e non con altri. Posso dialogare con Tizio, perché esistono con lui interessi comuni, la comune volontà di discutere razionalmente, alcuni obiettivi e valori condivisi. Per gli stessi motivi non posso dialogare con Caio. Un dialogo con tutti, su tutto, per tutto non è solo impossibile, il suo stesso concetto è contraddittorio. Posso “dialogare” con chi mi sta per uccidere? O con un terrorista che sta per sgozzare un ostaggio? O con un bruto che sta stuprando una bambina? Gli ebrei che si avviavano alle camere a gas “dialogavano” con i loro aguzzini? E, se avessero scambiato qualche parola con loro questo sarebbe stato un “dialogo”? Riferito a simili situazioni il termine “dialogo” diventa insensato.
Dialogare sempre, con tutti, su tutto vuol dire privare il dialogo dei suoi presupposti, distruggerlo, renderlo privo di senso. Se è “dialogo” il grido di terrore, o di rabbia, o di sfida, della vittima nei confronti del carnefice, allora tutto è dialogo, ma, per lo stesso motivo, nulla lo è.
Ecco perché è una pura mistificazione la continua proposta di “dialogo” con i fondamentalisti islamici. I tagliagole dell'ISIS sono disposti a misurarsi razionalmente con noi, a farsi eventualmente convincere dai nostri, eventuali, buoni argomenti? Esistono, anche solo potenzialmente, alcuni obiettivi, interessi, valori, comuni fra noi e chi teorizza il califfato, o pensa che un cristiano debba pagare una tassa per poter adorare il suo Dio, o vuole la lapidazione delle adultere, o la pena di morte per apostati e bestemmiatori? Di cosa potremmo dialogare con chi ha abbattuto le torri gemelle, o ha messo le bombe nella metropolitana di Londra? Forse della quantità di esplosivo da usare? Con chi ha scelto la strada del rifiuto di ogni confronto si può combattere, a volte, negoziare, altre volte. Di certo non si può dialogare.
Tutto questo è molto intuitivo. Un bambino lo capisce. Gli occidentali buoni no, non lo vogliono capire.

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