sabato 14 febbraio 2015

LE RIVOLUZIONI PIU' PROFONDE





Metafisica.

Le rivoluzioni più profonde sono quelle metafisiche
. Detta così l'affermazione può sembrare azzardata. Le rivoluzioni, si sa, riguardano grandi masse di comuni esseri umani e nulla sembra essere più distante dagli interessi e dalle preoccupazioni dei comuni esseri umani che la metafisica.
Del resto la metafisica non sembra godere oggi di un buon stato di salute. Sono i filosofi i primi a contestarla. Alcuni, di matrice analitica, la hanno definita “priva di senso”, altri, quelli che vengono chiamati, in maniera un po' esoterica, “i continentali”, la ritengono all'origine del nichilismo che attanaglierebbe l'occidente. Non è assolutamente mia intenzione entrare in una simile disputa. Mi basta osservare, telegraficamente, che chi accusa di “nichilismo” la metafisica è molto spesso, nel profondo, un nichilista (un nome fra tutti: Martin Heidegger); chi, d'altro lato, ritiene la metafisica “insensata” sembra non rendersi conto che la stessa accusa di insensatezza rivolta alla metafisica costituisce una affermazione metafisica. Lo capì bene invece Wittgenstein, che non a caso alla fine del suo “tractatus” definisce prive di senso le sue stesse affermazioni.
“Le mie proposizioni illustrano così: colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è salito per esse – su esse – oltre esse. (egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che vi è salito). Egli deve superare queste proposizioni; allora vede rettamente il mondo. Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. Così termina il capolavoro di Wittgenstein. Parlare della metafisica, anche solo per definirla insensata, significa fare metafisica, chi afferra un simile concetto deve ritenere insensato lo stesso “tractatus logico philosophicus”. Resta da capire come possa un'opera priva di senso farci capire qualcosa, anche se questo qualcosa fosse la sua stessa insensatezza. Una scala costruita sul non senso non ci può far salire da nessuna parte, meno che mai farci “vedere correttamente il mondo”.
Non è il caso, qui, di approfondire, e neppure di addentrarsi troppo in dispute terminologiche. Se il termine “metafisica” non piace possiamo benissimo usare “concezione generale del mondo”, le cose non cambiano molto. La metafisica infatti è, o è anche, una concezione generale del mondo, e dell'uomo, e del posto dell'uomo nel mondo.
La affermazione secondo cui “le rivoluzioni più profonde sono quelle che riguardano le concezioni generali del mondo e dell'uomo” non sembra però essere, a prima vista, molto più accettabile di quella secondo cui ad essere le più profonde sono le rivoluzioni metafisiche. Al di la della terminologia sembra che ci si continui a muovere nell'aria rarefatta delle dispute filosofiche. Dispute anche profonde, anche interessanti, ma lontane anni luce dai problemi e dalle preoccupazioni dei normali esseri umani. Ma, stanno davvero così le cose?

Le pretese del materialismo storico.

“Nella produzione sociale della loro esistenza gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono ad un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate di coscienza sociale. (…) Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”.
Così afferma Marx nella celebre prefazione a “per la critica dell'economia politica”, e non si tratta di una affermazione isolata.
“Cos'altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione intellettuale si trasforma assieme a quella materiale? Le idee dominanti di un'epoca sono sempre state soltanto le idee della classe dominante”, affermano Marx ed Engels nel celeberrimo “manifesto del partito comunista” ed aggiungono, esemplificando: ”Quando nel secolo XVIII le idee cristiane soggiacquero alle idee dell'illuminismo, la società feudale dovette combattere la sua ultima lotta con la borghesia allora rivoluzionaria. Le idee della libertà di coscienza e della libertà di religione furono soltanto l'espressione del dominio della libera concorrenza nel campo della coscienza”. Le idee sono quindi espressione degli interessi di determinati soggetti socio economici, legati allo sviluppo delle forze produttive sociali.
“Impadronendosi di nuove forze produttive, gli uomini cambiano il loro modo di produzione e, cambiando il modo di produzione, la maniera di guadagnarsi la vita, cambiano tutti i rapporti sociali. Il mulino a braccia vi darà la società col signore feudale, e il mulino a vapore la società col capitalista industriale". Così scrive Marx in “miseria della filosofia”, ed ancora, nella “ideologia tedesca” afferma: “Le rappresentazioni ed i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono qui ancora come emanazione diretta del loro comportamento materiale. Ciò vale allo stesso modo per la produzione spirituale, quale essa si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale, della religione, della metafisica eccetera di un popolo.”
Non è il caso di dilungarsi ancora con le citazioni. Certo, il marxiano materialismo storico ha fatto versare letteralmente fiumi di inchiostro, e le sue interpretazioni, spesso sottilissime, ammontano a svariate decine, forse a centinaia. Tuttavia il nocciolo della teoria è piuttosto semplice e non si presta ad eccessivi stravolgimenti ermeneutici: è l'essere sociale a determinare la coscienza. Le idee politiche, filosofiche, religiose degli esseri umani, e con queste la loro intera produzione artistica ed intellettuale sono determinate, o comunque influenzate in maniera decisiva, dalla struttura socio economica della società formata, a sua volta, dal complesso delle forze produttive e dalla corrispondente divisione del lavoro, i “rapporti di produzione”. I più sottili distinguo non possono cancellare questo che è e resta il nocciolo duro della concezione marxiana del rapporto essere – coscienza.

Nella concezione marxiana è contenuto un importante frammento di verità. Si tratta della rivalutazione del momento economico - produttivo della vita umana. L'uomo non è puro spirito, è inserito nel mondo materiale e ne è penosamente dipendente. Tutti i bisogni umani, necessitano, in misura più o meno grande, di beni materiali per poter essere soddisfatti. Questa dipendenza dai beni materiali non riguarda solo la componente immediatamente animale dell'uomo, non si limita al cibo o alla ricerca di calore. Riguarda anche le caratteristiche più elevate, spirituali, degli esseri umani. Il filosofo ed il poeta, anche a voler prescindere dal fatto che devono nutrirsi come tutti i comuni mortali, hanno comunque bisogno di carta e penna per scrivere poesie e trattati di metafisica. Al pittore servono tele e colori, al musicista strumenti musicali, spesso costosissimi, allo scienziato ancora più costosi laboratori di ricerca. Si smaterializzi l'attività spirituale dell'uomo e scompare dalla faccia della terra gran parte dei risultati dell'umana creatività.
I beni materiali sono importanti, e non è senza conseguenze sulla vita umana possederne pochi o molti. Ma, una cosa è sottolineare l'importanza che i beni materiali hanno per il soddisfacimento dei nostri bisogni, cosa del tutto diversa è far dipendere questi da quelli. Marx non si sogna neppure di dire che gli uomini sentono fame perché producono il cibo, o provano desiderio di riparo e calore perché costruiscono case. Quando però ci sono di mezzo i più alti prodotti dell'attività umana è questo il senso del suo pensiero. Il contenuto di un romanzo, una teoria filosofica o teologica, le conclusioni di uno studio sulla gravitazione sarebbero il risultato del processo in cui si costruiscono i beni materiali che rendono possibile, fra le altre cose, la stampa dei libri o lo studio della volta celeste. Non si costruiscono chiese perché si prega, ma si prega perché si costruiscono chiese, non si stampano libri perché qualcuno ha delle idee da fissare sulla carta, ma le idee derivano dal fatto che si costruiscono le macchine da stampa, e la carta e l'inchiostro.
Nell'analisi marxiana lo “sviluppo delle forze produttive” appare come una forza misteriosa, autonoma, una sorta di potenza magica che dall'esterno crea e plasma le relazioni sociali e con queste il pensiero degli uomini. Ma in questa visione non c'è nulla di scientifico. E' l'uomo con la sua attività e le sue idee che sviluppa le forze produttive; quando Marx afferma che “Il mulino a braccia vi darà la società col signore feudale, e il mulino a vapore la società col capitalista industriale” dimentica la banale verità che sia il mulino a braccia che quello a vapore sono invenzioni umane, che avvengono dentro un certo sistema sociale e politico. Le forze produttive si sviluppano perché gli esseri umani pensano, hanno idee, fanno scoperte, elaborano teorie, comprese quelle teorie generali, metafisiche, che fanno da sfondo e stimolano moltissime ricerche, scoperte ed invenzioni particolari. Gli animali e gli insetti non sviluppano le forze produttive, neppure quegli animali e quegli insetti che possiamo a giusto titolo definire abilissimi costruttori, come i castori o le formiche. Questi costruiscono, è vero, splendide dighe ed elaborati sistemi di gallerie, ma non innovano, non scoprono nuovi sistemi produttivi, non elaborano alcuna teoria generale. Per questo è sbagliato, nel loro caso, parlare di sviluppo delle forze produttive. Solo l'uomo sviluppa le forze produttive sociali, perché solo l'uomo è capace di pensiero astratto.

Qualcuno potrebbe obbiettare che quelle che precedono sono considerazioni ingiuste tralasciano aspetti importanti del pensiero marxiano. E' lo stesso Marx ad affermare infatti che: “l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin dall'inizio distingue il peggior architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella testa prima di costruirla in cera”.
Qui in effetti non sembra esserci alcun primato di misteriose forze produttive mosse da una sorta di impulso autonomo. Altrove Marx, e più di lui Engels, parlano di influenza reciproca fra struttura economica e sovrastruttura ideale, di uomini che costruiscono le circostanze tanto quanto le circostanze costruiscono gli uomini. Ben lungi dal superare le difficoltà insite nella concezione materialistica della storia questi cenni inseriscono però in essa contraddizioni distruttive. Perché se, come affermano Marx ed Engels, “le idee dominanti sono le idee della classe dominante” teorizzare in qualsiasi modo la loro autonomia diventa contraddittorio. Se A causa B, C, causato a sua volta da B, sarà, a ben vedere le cose, sempre causato da A. Se le idee sono espressione dell'essere sociale la loro influenza nella storia sarà comunque l'influenza di questo essere sociale, tutti i distinguo del mondo non possono cancellare questa elementare verità.
Le idee degli esseri umani nascono sempre, è ovvio, in determinati ambienti sociali ma non ne sono il prodotto. L'ambiente sociale condiziona l'attività ideale degli uomini, ma non trasforma i parti della umana creatività in espressione ideologica di determinati interessi socio economici. Se le cose stessero in questo modo, del resto, sarebbe la stessa opera di Marx a diventare inspiegabile o a perdere qualsiasi valore euristico. Come è potuta sorgere ed affermarsi una filosofia rivoluzionaria se le idee dominati sono le idee della classe dominante? E, se davvero le idee sono espressione di determinati, e transitori, interessi di classe, perché mai ”Il capitale” dovrebbe aspirare ad un qualsiasi valore di verità?
Non c'è distinguo ermeneutico che tenga: si riduca la storia delle idee ad espressione dell'essere sociale e le idee perdono irrimediabilmente la propria autonomia. Ma una volta persa questa autonomia ci si avvolge in insuperabili aporie. Teorizzare la dipendenza delle idee dall'essere sociale significa esprimere una idea; questa è vera o falsa? Impossibile stabilirlo, si tratta di una idea auto contraddittoria: aspira ad essere vera nel momento stesso in cui nega sia possibile di una verità socialmente incondizionata

L'importanza sociale delle idee.

Storia socio economica e storia politica, storia della filosofia, dell'arte, dell'etica, della religione sono strettamente intrecciate fra loro, ma autonome; si influenzano a vicenda conservando la loro autonomia, anzi, possono influenzarsi a vicenda precisamente perché sono e restano autonome.
Una volta sottolineata la autonomia, non la separatezza, delle idee, è possibile metterne in risalto la grande importanza nella storia, l'influenza che queste esercitano sui grandi eventi politici, sociali ed economici.
Tuttavia le cose sembrano ancora non quadrare. Anche ammessa l'autonomia del momento ideale della storia, l'importanza della metafisica da sui siamo partiti continua sembrare eccessiva. Le idee, soprattutto quelle molto astratte, riguardano un numero ristretto di uomini, le rivoluzioni invece sono grandi eventi di massa, tanto dovrebbe bastare.
Inoltre, è vero che anche le scienze della natura, il diritto e l'economia sono, come la metafisica, scarsamente conosciute a livello di massa. Le scienze della natura però, ed il diritto, e l'economia, hanno applicazioni pratiche che ognuno può toccare con mano, e questo sembra non valere per la metafisica. Cosa nella metafisica riguarda da vicino la vita degli uomini comuni? Pochissimo, a prima vista. Comunque la si rigiri la metafisica appare inesorabilmente secondaria, staccata dalla vita reale degli uomini.
La lontananza della metafisica dalla vita di tutti i giorni è però solo apparente, una sorta di illusione ottica. Pochi lo sanno, ma la stragrande maggioranza degli occidentali sono, almeno in parte, almeno da un certo punto di vista, aristotelici. Ognuno di noi usa nella vita di tutti i giorni una logica, quella a soggetto-predicato, che è stata “inventata” dallo stagirita circa 23 secoli fa, e parla un linguaggio le cui regole sintattiche sono plasmate su quella logica. Le grandi concezioni del mondo e dell'uomo sono presenti nella nostra vita quotidiana; vengono assimilate quotidianamente da masse enormi di esseri umani, entrano a far parte del comune modo di vedere il mondo, del linguaggio, influenzano sentimenti, azioni, relazioni umane. Pochi conoscono, è vero, le grandi metafisiche e queste non hanno immediate applicazioni pratiche, sono ben diverse dalle scienze, da questo, come da altri punti di vista. Ma semplificate, banalizzate, ridotte in pillole, trasformate in luoghi comuni queste metafisiche diventano un po' come l'aria che respiriamo, sono parte essenziale del nostro pensare e del nostro agire, anche se spesso sembriamo non accorgercene.
Non sto dicendo, è bene sottolinearlo, che gli esseri umani pensino senza sapere a ciò che pensano, al contrario. Ad essere ignorate sono le origini e, a volte, le implicazioni di certe idee che fanno parte del comune modo di sentire e di vedere le cose, ma ciò non trasforma gli esseri umani nella cui mente si formano tali idee in automi senz'anima. Lo studente delle medie inferiori non sa che la logica a soggetto predicato è strettamente legata alle “metafisica” di Aristotele, ciò nonostante sa benissimo quello che dice quando compie l'analisi logica di un periodo.

La affermazione secondo cui le rivoluzioni più profonde sono quelle metafisiche può apparire, alla luce di queste considerazioni un po' meno azzardata di quanto sembrava all'inizio. Le grandi rivoluzioni metafisiche, le modifiche radicali del modo di pensare e vedere il mondo riguardano all'inizio un numero relativamente ristretto, ma socialmente molto importante, di persone colte. Però, se grazie all'azione di queste persone tali idee si affermano, influenzano gradualmente strati crescenti di  uomini. Le lunghe e tortuose dimostrazioni si semplificano, concetti lontani dal senso comune vengono tradotti, e a volte banalizzati, nel linguaggio di tutti i giorni, presupposti problematici vengono semplificati sino ad apparire verità auto evidenti. Le grandi e complicate visioni del mondo perdono in questo modo molto del loro rigore, ma raggiungono e vengono condivise da un numero elevato, spesso assai elevato, di esseri umani. Si forma in questo modo un nuovo senso comune, un nuovo modo di vedere il, e di rapportarsi al, mondo. Tutto questo a sua volta ha influenze profonde sulla politica, sull'economia, sulle relazioni fra e nelle forze sociali, sui comportamenti individuali.

Un esempio di quanto si è appena detto è costituito dalla rivoluzione scientifica del '600. Inizialmente questa riguarda un numero piuttosto ristretto di studiosi e tratta di temi molto lontani dagli interessi della gente comune. La terra è immobile al centro dell'universo o gira su se stessa e intorno al sole? La stragrande maggioranza degli esseri umani non era troppo interessata a simili quesiti e comunque accettava la soluzione apparentemente più vicina alla testimonianza dei sensi. Dietro alla disputa sul moto della terra si agitavano problemi ancora più astratti e sottili, e assolutamente non sentiti a livello di massa. Il movimento è qualcosa di essenziale, connesso alla natura intima dei corpi, o una semplice variazione della posizione relativa di un corpo rispetto all'altro? Esistono nell'universo dei luoghi naturali verso cui tendono i vari corpi? Esistono un alto ed un basso assoluti, un centro ed una periferia dell'universo? Di problemi di questo tipo discutevano animatamente gli aristotelici ed i sostenitori della nuova fisica. Nella disputa intervennero le autorità religiose, come si sa, cercando di bloccare le nuove idee. Queste però alla fine ebbero la meglio, su tutto il fronte. Si affermò una nuova visione del mondo naturale che trovò la sua sistemazione nell'opera di Newton. La nuova concezione del moto, il rifiuto dei luoghi naturali, il principio di inerzia, combinate con nuove metodologie di ricerca, trasformarono radicalmente il volto della scienza e questo rese possibile nuove, fondamentali, scoperte, in tutti i campi. A loro volta queste ebbero crescenti applicazioni tecniche, con influenza enorme su molteplici aspetti della vita umana. E masse sempre crescenti di esseri umani accettarono le nuove concezioni, molto spesso senza capirle davvero, come da sempre avviene quando ci sono di mezzo materie complicate. Si creò un nuovo senso comune, che non riguardava solo la scienza della natura. Riguardava anche l'uomo ed il suo posto nel mondo. Scalzata dal centro dell'universo la terra divenne un punto insignificante dello stesso, si aprì un contrasto, mai più rimarginato, fra l'umana esigenza di senso e le fredde conclusioni della ricerca scientifica. Tutta la storia successiva ne sarebbe stata interessata, sia quella delle idee che quella sociale e politica.
Non è il caso, ancora una volta, di dilungarsi troppo. Quella che era inizialmente una disputa fra ristretti gruppi di studiosi ha coinvolto un numero via via crescente di esseri umani, ha subito contestazioni e critiche, ha dato vita ad un nuovo modo di pensare contro cui sono sorti altri, contrastanti e diffusi, modi di pensare. E, al di la di tutti i contrasti e le critiche di cui la scienza moderna è stata fatta oggetto, oggi ad essere antiintuitiva è la fisica qualitativa di Aristotele più che quella matematica di Galileo e Newton. Si può dire, senza tema di esagerare che la astratta disputa sulla natura del moto ha avuto conseguenze enormi in tutti i campi della vita sociale, compreso lo sviluppo della tecnologia, e delle forze produttive che, meno di due secoli dopo la rivoluzione scientifica, Marx considererà la molla decisiva della storia. Abbastanza per qualcosa che non riguarda la gente comune.

Positivo e negativo.

Ovviamente l'influenza delle idee può essere positiva come negativa. Il caso della rivoluzione scientifica è senza dubbio positivo: pur semplificando molte cose, la diffusione di alcune delle sue idee ha contribuito a far crescere a livello di massa una mentalità razionale. Altri ve ne sono, purtroppo, di estremamente negativi. Il caso del marxismo è emblematico.
Pochi hanno letto “il capitale”, ma le formule esoteriche di cui questo librò è pieno sono state semplificate, banalizzate, trasformate in formulette ed oggi circolano sulla bocca di saccenti ragazzini che non solo non hanno letto un rigo di Marx, ma non capiscono neppure la vulgata pseudo marxista.
Il marxismo in effetti ha subito nella storia numerosi processi di revisione oltre che di semplificazione. Da una parte c'è stato chi ne ha accentuato le caratteristiche scientiste, lo ha interpretato in maniera gradualista e lo ha ritenuto compatibile con la democrazia liberale. Non a caso questi interpreti poco rigorosi del marxismo hanno finito per abbandonarlo. Altri ne hanno accentuato al massimo la carica rivoluzionaria e messianica, staccandola dalle pretese scientifiche con cui Marx cercava di farla convivere. Col riflusso di quello che è stato definito il “movimento del '68” e, più ancora, col crollo del comunismo anche queste interpretazioni fortemente irrazionalistiche del marxismo dovevano entrare in crisi. Ma le loro suggestioni hanno continuato ad operare, in ordine sparso, senza più alcuna organicità, slegate da ogni disegno unitario.
Ne è venuta fuori l'ideologia della sinistra politicamente corretta dei nostri giorni. Una indigeribile poltiglia composta di pauperismo terzomondista, ostilità a tutto ciò che, anche alla lontana, odora di mercato, esaltazione del libertinismo sessuale, ammirazione per orribili esperienze di totalitarismo teocratico, misticismo ecologico, difesa dello stato assistenziale e tante altre cose ancora, il tutto condito con una diffusa mentalità complottista ed una buona dose di antisemitismo, mascherato da antisionismo. Insomma, un guazzabuglio di tutte le peggiori suggestioni egemoni a sinistra negli ultimi decenni private anche di quella carica escatologica globale che le aveva rese attraenti per tanti negli anni 70 dello scorso secolo.

Eppure questo insieme strampalato di idee semplicistiche, molto spesso in contraddizione fra loro, e sempre senza legame alcuno col mondo reale, influisce, e tanto, sul mondo. Determina scelte politiche, ispira leggi e regolamenti, è egemone nei media, sta modificando il linguaggio, trasformandolo da mezzo per la comunicazione del pensiero in strumento per la mistificazione ideologica dello stesso.
Si potrebbero fare moltissimi esempi, nei campi più svariati, di questa nefasta influenza dell'ideologia sulla politica e sull'economia dei paesi occidentali. Ne basti uno per tutti: il rapporto dell'occidente con il mondo islamico.
In tutto il mondo il fondamentalismo islamico è all'offensiva, in maniera brutale, arrogante, sfacciata. Non cerca più neppure di nascondere i suoi obbiettivi, ce li sbatte in faccia senza ritegno. Gli “infedeli” devono essere distrutti, l'Islam deve trionfare, ovunque. Queste cose non le dice Oriana Fallaci, le dicono, no, le gridano, in tutto il mondo decine di migliaia di militanti armati sino ai denti. E dietro a questi militanti ci sono milioni di giovani pronti a seguirne l'esempio, masse enormi di fanatici che ci odiano non per ciò che facciamo, non per le politiche dei nostri governi o per la nostra lontana storia. Ci odiano per ciò che siamo, per il nostro modo di vivere, di vestirci, di mangiare, di rapportarci fra i sessi. Ci odiano soprattutto per i valori che professiamo, per quella libertà, quella democrazia, quella laicità dello stato che siamo riusciti a conquistare grazie a lotte durissime e che loro considerano il simbolo stesso della decadenza e della corruzione.
Come reagisce l'occidente a questo attacco senza precedenti? Per lo più in maniera penosa. Alcuni negano l'esistenza stessa del problema, altri cercano di ridurlo a mera questione di polizia, altri ancora pensano che mostrandosi arrendevoli, facendo ogni giorno nuove concessioni sia possibile calmare i fanatici. Questi invece non si calmano affatto, incassano le concessioni ed avanzano nuove pretese, sempre più aggressive, prepotenti, intollerabili. Ed intanto gli occidentali “buoni”, specie in Italia, lasciano che una immigrazione clandestina ormai fuori controllo modifichi radicalmente la stessa composizione demografica, e, quel che più conta, culturale dei loro paesi
Come è possibile una simile cecità? Come possono provati uomini di stato non vedere ciò che moltissimi vedono? Non capire ciò che un bambino è perfettamente in grado di capire? Qualcuno avanza, di tanto in tanto, spiegazioni di tipo economico. Siamo arrendevoli con l'Islam perché attratti dalle commesse petrolifere. Però, l'argomento delle commesse era usato ieri, al tempo della guerra in Iraq ad esempio, per spiegare la presunta aggressività dell'occidente, esattamente come viene oggi usato per spiegare la sua incredibile remissività. Certo, il petrolio conta e può spiegare molte cose, ma non tutte. In realtà ciò che blocca oggi l'occidente è il terrore di apparire “sciovinista”, “razzista”, non sufficientemente “aperto alle istanze del diverso”. In vasti strati della popolazione dei principali paesi occidentali si sono diffuse idee e sentimenti che rendono se non impossibile di certo molto difficile una risposta dura alla aggressività fondamentalista. Siamo diventati masochisti, vediamo solo gli errori e gli orrori della nostra storia e non anche quanto di bello e positivo esiste in essa, e non vediamo, non vogliamo vedere, gli errori e gli orrori delle altrui storie. Abbiamo perso fiducia nei nostri valori, li consideriamo privi di portata universale e siamo pronti a credere che i valori, o gli pseudo valori, che altri professano abbiano, essi solo, una loro essenziale validità. In breve siamo vittime della ideologia politicamente corretta non solo abbastanza diffusa a livello di massa, ma largamente egemone negli ambienti “che contano”, quelli decisivi nel processo di formazione di una ideologia pervasiva: fra i politici, gli intellettuali, nei media, nella Chiesa. Non è che davvero non si veda la aggressività dell'attacco islamista all'occidente, o non se ne capisca il senso. Non la si vuole vedere, non lo si vuole capire, e non si vuole vedere né capire perché vedere e capire metterebbe in crisi una ideologia che per i più svariati motivi (fede cieca in ideali considerati assoluti, imbecillità, timidezza, meschino attaccamento a meschini interessi di bottega) non si ha il coraggio di mettere in discussione. Questa, ben prima del petrolio, è la causa reale della nostra remissività, una remissività folle, che può distruggere la nostra civiltà.

Tirando le somme, telegraficamente.

Possiamo cercare di concludere perché il discorso è diventato troppo lungo. La storia delle idee ha la sua autonomia, le idee subiscono i condizionamenti del quadro socio economico ma lo condizionano a loro volta, pesantemente. Le metafisiche hanno la capacità di prestarsi a notevoli semplificazioni che fa si che vengano metabolizzate anche a livello di massa; determinano inoltre, ovviamente, il modo di pensare e di agire di strati decisivi della società, politici, intellettuali, strati in grado di esercitare egemonia, di influenzare in profondità la pubblica opinione. Le rivoluzioni metafisiche, modificando in profondità il comune modo di pensare e di sentire di grandi masse di esseri umani hanno conseguenze storiche molto profonde e durature, più profonde e durature, a volte, di molte rivoluzioni politiche e sociali. La attuale crisi dell'occidente non è solo economica, sociale e politica, è anche, forse soprattutto, una crisi culturale. Ha la sua origine in una crisi di idee e valori che ha portato molti occidentali forse a smarrire, di certo ad appannare, il senso stesso della loro identità. Per questo non è una crisi superabile solo con un po' di ripresa economica (anche se la ripresa è molto importante) o con qualche marchingegno di architettura istituzionale (anche se le istituzioni contano molto).
Se non supera la sua crisi culturale l'occidente rischia un inesorabile declino. E' pessimistica questa conclusione? Forse, ma nascondere i problemi non aiuta certo a risolverli.

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