Socrate. O che piacere vederti caro amico, buona giornata!
Nico Pendola. Buona giornata a te, nobile Socrate!
S. Dove ti dirigi con tanta fretta, amico mio?
P. Sto andando ad una scuola qui vicino. Si tengono dei corsi per stranieri, ed anche per italiani, al fine di favorire la reciproca integrazione. .
S. Nobile intento.
P. Mi fa piacere che la pensi così, o Socrate. Perché non mi accompagni? Cammin facendo potremo fare due chiacchiere.
S. Molto volentieri o Pendola.
P. Dicevo, mi fa molto piacere, o Socrate, che tu giudichi nobile l'intento della reciproca integrazione. Questa rappresenta infatti la soluzione di tutti i problemi che possono nascere dall'arrivo di tanti fratelli che, spinti da fame e guerre, approdano sulle nostre coste. Loro si integreranno armoniosamente con noi, e noi con loro. Noi accetteremo la loro diversità, rispetteremo la loro cultura, loro rispetteranno noi e la nostra cultura e tutti saremo felici. E sarà definitivamente sconfitto lo sciovinismo razzista di Talmini che cerca di alimentare ingiustificate paure.
S. Fammi capire, o Pendola, tu ritieni che l'integrazione risolverà tutti i problemi che nascono dall'arrivo di tanta gente qui da noi?
P. E come no? Penso non si possa dubitare di una verità tanto evidente.
S. Io invece mi permetto di dubitarne, anzi, penso che valga, in una certa misura, il discorso inverso: solo se fosse possibile iniziare, almeno, a risolvere alcuni problemi derivanti dalla immigrazione si potrebbe parlare seriamente di integrazione.
P. Non ti seguo.
S. Eppure è molto semplice. Dimmi o Pendola, pensi potrebbero convivere armoniosamente cento esseri umani costretti ad abitare tutti in una casa di cento metri quadri?
P. Ma... la cosa mi sembra alquanto problematica, ma non vedo il nesso col nostro discorso.
S. Lasciamo perdere il nesso, per ora. Piuttosto, ti prego di provare ad immaginare questa situazione. Delle cento persone costrette a convivere in una casa di cento metri quadri solo 30 lavorano e devono col loro lavoro mantenere se stesse e le altre 70. Tu credi che in una situazione simile si svilupperebbero fra queste persone sentimenti di reciproca amicizia o non piuttosto antipatia, invidia, reciproci egoismi?
P. Beh, così, a naso, mi sembra che la seconda ipotesi sia più realistica.
S. E non credi che si verificherebbero episodi di violenza, furti, prevaricazioni, imbrogli?
P. E' possibile, ma, cosa c'entra tutto questo o Socrate?
S. Dimmi nobile amico, in quali stati intendono stabilirsi i migranti?
P: Italia, Spagna, Francia, Germania, insomma, in Europa occidentale.
S. Si tratta di grandi stati?
P. No
S. Densamente popolati?
P. Si
S. Attraversano una fase di prosperità o di crisi?
P. Di crisi, lo sanno tutti, e la crisi è provocata dai meccanismi disumani della economia capitalistica che mira solo al profitto...
S. Lasciamo perdere il profitto, per carità, non stiamo parlando di questo. Dimmi ora, nobile amico, Africa e medio oriente sono piccoli o grandi?
P. Molto grandi
S. E la loro popolazione complessiva supera abbondantemente il miliardo di esseri umani?
P. Certo
S. Quindi, se solo un venti per cento di questa popolazione arrivasse in Europa dovremmo accogliere oltre trecento milioni di persone, come minimo. Non ti sembra che una simile situazione ricorderebbe quella che ho cercato di raffigurare con l'esempio della casa e dei suoi cento abitanti? Forse ho esagerato un po', ma solo per essere più chiaro. O, chissà, forse non ho esagerato affatto.
P. No, hai esagerato e molto!
S. Non direi o Pendola. Scusa, tu ed altri amici tuoi avete mai parlato di limiti alla immigrazione?
P. No, mai ne abbiamo parlato. Non si possono mettere limiti alla esigenza di accogliere a casa propria chi soffre.
S. Quindi, dobbiamo accogliere tutti coloro che chiedono di essere accolti. Se la logica ha un senso questo implica che non potremmo sbarrare le porte di casa neppure ad un miliardo di migranti. Questo creerebbe una situazione ben peggiore di quella che ho cercato di rappresentare con l'esempio della casa. Ne convieni?
P. Basta o Socrate! I tuoi sono sofismi che si basano su ipotesi non realistiche!
S. I miei ragionamenti si basano solo sulla logica, amico mio. Che, se si parte dal presupposto che si debba accogliere chiunque chieda accoglienza non si può poi arretrare di fronte a nessuna cifra.
P. Mi sembra che la tua logica sia
viziata dalla propaganda.
S. Nessuno più di me è alieno alle lusinghe della propaganda. Comunque, andiamo oltre, se sei disposto a proseguire il nostro piacevole dialogo.
P. Certo che sono disposto! Voglio proprio vedere quali altri sofismi tirerai fuori.
S. Nessun sofisma ottimo amico. Come tu sai io cerco solo, dialogando, di avvicinarmi al vero. A questo fine vorrei rivolgerti qualche domanda.
P. Bene, domanda pure, sarò lieto di risponderti.
S. Dimmi allora, come definiresti tu l'integrazione? O, se preferisci, quando, per te, si ha integrazione?
P. Si ha integrazione quando persone diverse convivono armoniosamente fra loro, e riconoscono l'una il valore dell'altra, e considerano le loro diversità non quali problemi ma quali risorse preziose, in grado di arricchire spiritualmente tutti.
S. Quindi l'integrazione sarebbe la convivenza fra diversi?
P. Si, questo è l'integrazione|!
S. Quindi se un ateo, un musulmano, un cristiano, un ebreo ed un buddista vivono sotto lo stesso tetto questi sono integrati fra loro? Questo tu dici?
P. Non travisare le mie parole o Socrate. Io dico che queste persone devono rispettarsi e considerare come risorse le loro differenze.
S. Ma, non ti sembra che per rispettarsi fra loro queste persone debbano, tutte, riconoscersi in qualche valore comune?
P. Non saprei, forse si.
S. Ad esempio, la tolleranza?
P. Si, così è.
S. Quindi potremo identificare l'integrazione con la tolleranza?
P. Si.
S. Ma, se per caso fra queste persone qualcuna non accetta il valore della tolleranza, se una delle differenze fra loro consiste in questo: che qualcuno preferisce la intolleranza alla tolleranza, che fare? Dovremo considerare anche questa differenza come una “preziosa risorsa” o non dovremo invece obbligare alla tolleranza gli intolleranti?
P. Penso che sia lecito in questo caso obbligare per legge tutti alla tolleranza.
S. Quindi il rispetto per la legge sarebbe alla base dell'integrazione?
P. Forse si.
S. Potremmo allora dire che si ha integrazione quando tutti, compresi coloro che sono emigrati in casa nostra, accettano le nostre leggi ed ubbidiscono ad esse?
P. Non saprei. Chi è venuto da noi può obbedire alle nostre leggi solo se queste tengono conto della sua diversità, rispettano la sua identità.
S. La cosa mi lascia perplesso.
P. Esponimi le tue perplessità o Socrate.
S. Dimmi, nobile amico, se fra i nuovi venuti ci fosse chi considera un crimine la omosessualità noi dovremmo fare una legge che punisce col carcere, o magari con la pena di morte, gli omosessuali?
P. Mai!
S. E se fra i nuovi venuti ci fossero persone convinte che l'adultera vada punita con la lapidazione dovremmo noi istituire il reato di adulterio e punirlo con la lapidazione?
P. Direi di no. Forse potremmo fare leggi diversificate, alcune che valgano per noi ed altre per i nuovi arrivati.
S. Quindi, poniamo a Milano, una adultera potrebbe divorziare se si chiama Maria, mentre un'altra adultera, di nome Fathima, che abita nella casa accanto, sarebbe lapidata se tradisse il marito. Questo tu vorresti?
P. Non saprei, sono perplesso.
S. E ti sembra ragionevole che il signor Rossi venga processato per bigamia, se si scopre che ha due mogli, mentre il signor Alì, che vive a pochi metri da lui, possa tranquillamente averne quattro, di mogli?
P. E tu cosa proporresti, che divorziasse dalle prime tre?
S. Io mi limito ad esporre dei problemi, conscio della loro difficoltà estrema; e questa difficoltà dimostra che in molti casi l'integrazione è non solo difficile, ma quasi impossibile.
P. Queste mi sembrano considerazioni assai scioviniste e mi stupisco che tu le faccia, o Socrate.
S. Caro amico, definire sciovinista chi sottolinea la gravità dei problemi non aiuta certo a risolverli, i problemi. Ti sembra che sarebbe integrata una società in cui in un quartiere si divorzia ed in un altro si lapida? Ti sembra che ci sarebbero valori comuni, e rispetto reciproco, e proficuo utilizzo delle differenze in una simile situazione?
P. Sembra di no.
S. Lo sembra anche a me. Anzi, a me sembra che questa neppure potrebbe definirsi società, sarebbe solo un aggregato informe di esseri umani, non uniti da nulla.
P. C'è del vero in quanto tu dici, ma si tratta di casi puramente ipotetici.
S. Beh, troppo ipotetici non sono. Comunque tenendo conto di quanto abbiamo detto, come definiresti ora l'integrazione, nobile amico?
P. La definirei come l'osservanza delle leggi.
S. Cioè, si ha integrazione dei nuovi venuti quando questi osservano le leggi del paese che li ospita?
P: La cosa non mi convince del tutto, ma direi di si.
S. E possiamo aggiungere, visto che è molto difficile obbedire alle leggi di un paese di cui non si conosce la lingua, che affinché ci sia davvero integrazione i nuovi venuti dovrebbero imparare, almeno per sommi capi, la nostra lingua?
P. Possiamo, anche se la cosa non mi convince del tutto
S. E perché mai?
P. Mi sembra che costituisca violenza pretendere che i nostri ospiti, oltre a seguire le nostre leggi, siano costretti a parlare la nostra lingua.
S. Scusa o nobile amico, tu possiedi una casa vero?
P. Certo.
S. E questa casa è arredata secondo i tuoi gusti, nella libreria ci sono certi libri e non altri, in uno scaffale certi CD e non altri, vero?
P. Ovvio
S. E in casa tua si seguono certe regole, penso. Ad esempio si pranza ad una certa ora, non si fuma, o non si fuma troppo, e non si fa chiasso dopo un'altra ora, giusto?
S. Nessuno più di me è alieno alle lusinghe della propaganda. Comunque, andiamo oltre, se sei disposto a proseguire il nostro piacevole dialogo.
P. Certo che sono disposto! Voglio proprio vedere quali altri sofismi tirerai fuori.
S. Nessun sofisma ottimo amico. Come tu sai io cerco solo, dialogando, di avvicinarmi al vero. A questo fine vorrei rivolgerti qualche domanda.
P. Bene, domanda pure, sarò lieto di risponderti.
S. Dimmi allora, come definiresti tu l'integrazione? O, se preferisci, quando, per te, si ha integrazione?
P. Si ha integrazione quando persone diverse convivono armoniosamente fra loro, e riconoscono l'una il valore dell'altra, e considerano le loro diversità non quali problemi ma quali risorse preziose, in grado di arricchire spiritualmente tutti.
S. Quindi l'integrazione sarebbe la convivenza fra diversi?
P. Si, questo è l'integrazione|!
S. Quindi se un ateo, un musulmano, un cristiano, un ebreo ed un buddista vivono sotto lo stesso tetto questi sono integrati fra loro? Questo tu dici?
P. Non travisare le mie parole o Socrate. Io dico che queste persone devono rispettarsi e considerare come risorse le loro differenze.
S. Ma, non ti sembra che per rispettarsi fra loro queste persone debbano, tutte, riconoscersi in qualche valore comune?
P. Non saprei, forse si.
S. Ad esempio, la tolleranza?
P. Si, così è.
S. Quindi potremo identificare l'integrazione con la tolleranza?
P. Si.
S. Ma, se per caso fra queste persone qualcuna non accetta il valore della tolleranza, se una delle differenze fra loro consiste in questo: che qualcuno preferisce la intolleranza alla tolleranza, che fare? Dovremo considerare anche questa differenza come una “preziosa risorsa” o non dovremo invece obbligare alla tolleranza gli intolleranti?
P. Penso che sia lecito in questo caso obbligare per legge tutti alla tolleranza.
S. Quindi il rispetto per la legge sarebbe alla base dell'integrazione?
P. Forse si.
S. Potremmo allora dire che si ha integrazione quando tutti, compresi coloro che sono emigrati in casa nostra, accettano le nostre leggi ed ubbidiscono ad esse?
P. Non saprei. Chi è venuto da noi può obbedire alle nostre leggi solo se queste tengono conto della sua diversità, rispettano la sua identità.
S. La cosa mi lascia perplesso.
P. Esponimi le tue perplessità o Socrate.
S. Dimmi, nobile amico, se fra i nuovi venuti ci fosse chi considera un crimine la omosessualità noi dovremmo fare una legge che punisce col carcere, o magari con la pena di morte, gli omosessuali?
P. Mai!
S. E se fra i nuovi venuti ci fossero persone convinte che l'adultera vada punita con la lapidazione dovremmo noi istituire il reato di adulterio e punirlo con la lapidazione?
P. Direi di no. Forse potremmo fare leggi diversificate, alcune che valgano per noi ed altre per i nuovi arrivati.
S. Quindi, poniamo a Milano, una adultera potrebbe divorziare se si chiama Maria, mentre un'altra adultera, di nome Fathima, che abita nella casa accanto, sarebbe lapidata se tradisse il marito. Questo tu vorresti?
P. Non saprei, sono perplesso.
S. E ti sembra ragionevole che il signor Rossi venga processato per bigamia, se si scopre che ha due mogli, mentre il signor Alì, che vive a pochi metri da lui, possa tranquillamente averne quattro, di mogli?
P. E tu cosa proporresti, che divorziasse dalle prime tre?
S. Io mi limito ad esporre dei problemi, conscio della loro difficoltà estrema; e questa difficoltà dimostra che in molti casi l'integrazione è non solo difficile, ma quasi impossibile.
P. Queste mi sembrano considerazioni assai scioviniste e mi stupisco che tu le faccia, o Socrate.
S. Caro amico, definire sciovinista chi sottolinea la gravità dei problemi non aiuta certo a risolverli, i problemi. Ti sembra che sarebbe integrata una società in cui in un quartiere si divorzia ed in un altro si lapida? Ti sembra che ci sarebbero valori comuni, e rispetto reciproco, e proficuo utilizzo delle differenze in una simile situazione?
P. Sembra di no.
S. Lo sembra anche a me. Anzi, a me sembra che questa neppure potrebbe definirsi società, sarebbe solo un aggregato informe di esseri umani, non uniti da nulla.
P. C'è del vero in quanto tu dici, ma si tratta di casi puramente ipotetici.
S. Beh, troppo ipotetici non sono. Comunque tenendo conto di quanto abbiamo detto, come definiresti ora l'integrazione, nobile amico?
P. La definirei come l'osservanza delle leggi.
S. Cioè, si ha integrazione dei nuovi venuti quando questi osservano le leggi del paese che li ospita?
P: La cosa non mi convince del tutto, ma direi di si.
S. E possiamo aggiungere, visto che è molto difficile obbedire alle leggi di un paese di cui non si conosce la lingua, che affinché ci sia davvero integrazione i nuovi venuti dovrebbero imparare, almeno per sommi capi, la nostra lingua?
P. Possiamo, anche se la cosa non mi convince del tutto
S. E perché mai?
P. Mi sembra che costituisca violenza pretendere che i nostri ospiti, oltre a seguire le nostre leggi, siano costretti a parlare la nostra lingua.
S. Scusa o nobile amico, tu possiedi una casa vero?
P. Certo.
S. E questa casa è arredata secondo i tuoi gusti, nella libreria ci sono certi libri e non altri, in uno scaffale certi CD e non altri, vero?
P. Ovvio
S. E in casa tua si seguono certe regole, penso. Ad esempio si pranza ad una certa ora, non si fuma, o non si fuma troppo, e non si fa chiasso dopo un'altra ora, giusto?
P. Giustissimo
S. E cosa diresti se un tuo ospite arrivasse in casa tua e cambiasse i libri che hai disposto nella tua libreria, fumasse a tutte le ora come un turco, si mettesse a tavola alle ore che vuole lui e mettesse musica a tutto volume fino alle tre del mattino?
P. Beh, direi che si tratta di un gran maleducato.
S. Ed avresti ragione. E se questo ospita maleducato neppure cercasse di parlare la tua lingua e pretendesse che tu parlassi la sua, cosa diresti?
P. Direi che è prepotente oltre che maleducato.
S. Ed avresti ragione. Dimmi ora, nobile amico, potremmo considerare il paese in cui viviamo come la nostra casa comune?
P. Si o Socrate, possiamo
S. Quindi...
P. Basta Socrate! E sia, ti concedo che per integrazione deve intendersi l'osservanza delle leggi del paese accogliente e l'apprendimento della sua lingua. E con questo siamo giunti, mi pare, ad un ampio accordo.
S. Troppo ampio non mi sembra, anzi, ti dirò che questa definizione non mi convince del tutto.
P. Insomma o Socrate, possibile che tu non sia mai contento di una definizione?
S. Scusami nobile amico, lo sai come sono. Ho sempre una gran voglia di approfondire, non mi accontento mai di ciò che a prima vista appare ovvio...
P. E sia, ma dimmi perché questa definizione non ti accontenta del tutto.
S. Dimmi o Pendola, un turista giapponese in visita a Roma è tenuto ad osservare le nostre leggi?
S. E cosa diresti se un tuo ospite arrivasse in casa tua e cambiasse i libri che hai disposto nella tua libreria, fumasse a tutte le ora come un turco, si mettesse a tavola alle ore che vuole lui e mettesse musica a tutto volume fino alle tre del mattino?
P. Beh, direi che si tratta di un gran maleducato.
S. Ed avresti ragione. E se questo ospita maleducato neppure cercasse di parlare la tua lingua e pretendesse che tu parlassi la sua, cosa diresti?
P. Direi che è prepotente oltre che maleducato.
S. Ed avresti ragione. Dimmi ora, nobile amico, potremmo considerare il paese in cui viviamo come la nostra casa comune?
P. Si o Socrate, possiamo
S. Quindi...
P. Basta Socrate! E sia, ti concedo che per integrazione deve intendersi l'osservanza delle leggi del paese accogliente e l'apprendimento della sua lingua. E con questo siamo giunti, mi pare, ad un ampio accordo.
S. Troppo ampio non mi sembra, anzi, ti dirò che questa definizione non mi convince del tutto.
P. Insomma o Socrate, possibile che tu non sia mai contento di una definizione?
S. Scusami nobile amico, lo sai come sono. Ho sempre una gran voglia di approfondire, non mi accontento mai di ciò che a prima vista appare ovvio...
P. E sia, ma dimmi perché questa definizione non ti accontenta del tutto.
S. Dimmi o Pendola, un turista giapponese in visita a Roma è tenuto ad osservare le nostre leggi?
P. E come no?
S. E se questo turista, oltre ad osservare le nostre leggi, riesce ad esprimersi in italiano, possiamo forse dire che è integrato nella nostra società, che è italiano?
P. No
S. Quindi concorderai con me se dico che per esserci davvero integrazione occorre non solo osservare le leggi e parlare la lingua del paese ospitante, ma anche riconoscersi nella sua cultura, apprezzarne la tradizione, conoscerne la storia, soprattutto condividere i valori base su cui si fonda, in quel paese, la civile convivenza.
P. E no, o Socrate, non siamo assolutamente d'accordo! Tu pretendi che chi arriva qui da noi dimentichi le sue origini! Questa è assimilazione, non integrazione!
S. Non che dimentichi le sue origini, ma che condivida valori e tradizioni del paese che lo ospita. Questo hanno fatto tanti nostri emigranti. Hanno continuato ad amare l'Italia ma si sono inseriti nei paesi che li ospitavano, sono diventati loro buoni cittadini.
P. Sarà, a me sembra che si tratti di violenza, di pura prepotenza sciovinista.
S. Mi sembra, caro amico, che sostenendo quanto ora sostieni tu cada in contraddizione con quanto poco fa avevi ammesso.
P. Proprio non ti seguo o Socrate, con cosa io cadrei in contraddizione?
S. Poco fa tu hai affermato, mi pare, che si ha integrazione quando chi accogliamo rispetta le nostre leggi, è così?
P. Si, è così, ed allora?
S. Non ti pare che molte delle nostre leggi siano legate alle nostre tradizioni, affondino le loro radici nella nostra storia e nella nostra cultura, o, più in generale nella storia e nella cultura dell'occidente?
P. Forse.
S. E non ti pare che molte delle nostre leggi mettano in atto i valori base della nostra civiltà?
S. E se questo turista, oltre ad osservare le nostre leggi, riesce ad esprimersi in italiano, possiamo forse dire che è integrato nella nostra società, che è italiano?
P. No
S. Quindi concorderai con me se dico che per esserci davvero integrazione occorre non solo osservare le leggi e parlare la lingua del paese ospitante, ma anche riconoscersi nella sua cultura, apprezzarne la tradizione, conoscerne la storia, soprattutto condividere i valori base su cui si fonda, in quel paese, la civile convivenza.
P. E no, o Socrate, non siamo assolutamente d'accordo! Tu pretendi che chi arriva qui da noi dimentichi le sue origini! Questa è assimilazione, non integrazione!
S. Non che dimentichi le sue origini, ma che condivida valori e tradizioni del paese che lo ospita. Questo hanno fatto tanti nostri emigranti. Hanno continuato ad amare l'Italia ma si sono inseriti nei paesi che li ospitavano, sono diventati loro buoni cittadini.
P. Sarà, a me sembra che si tratti di violenza, di pura prepotenza sciovinista.
S. Mi sembra, caro amico, che sostenendo quanto ora sostieni tu cada in contraddizione con quanto poco fa avevi ammesso.
P. Proprio non ti seguo o Socrate, con cosa io cadrei in contraddizione?
S. Poco fa tu hai affermato, mi pare, che si ha integrazione quando chi accogliamo rispetta le nostre leggi, è così?
P. Si, è così, ed allora?
S. Non ti pare che molte delle nostre leggi siano legate alle nostre tradizioni, affondino le loro radici nella nostra storia e nella nostra cultura, o, più in generale nella storia e nella cultura dell'occidente?
P. Forse.
S. E non ti pare che molte delle nostre leggi mettano in atto i valori base della nostra civiltà?
P. Forse
S. Abbiamo leggi che riconoscono la libertà personale, organizzano in maniera democratica la vita politica, garantiscono la libertà di culto, sanciscono la separazione fra stato e chiesa, affermano la assoluta parità fra i sessi. Non ti pare che queste leggi mettano in atto quelli che sono i nostri valori?
P. Può essere.
S. E dimmi ora, o Pendola, è o non è vero che il potere delle leggi si basa in larga misura sulla adesione convinta che ad esse danno i cittadini?
P. Si, mi sembra.
S. Pensi che se la stragrande maggioranza dei cittadini considerasse cosa giusta lapidare una adultera una legge che proibisse questa usanza sarebbe davvero in grado di tutelare la vita delle adultere?
P. Sembrerebbe di no.
S. Una simile legge non sarebbe osservata in moltissimi casi e prima o poi sarebbe abolita se davvero tutti o quasi i cittadini la considerassero iniqua, ne convieni?
P. Penso di poter convenire.
S. Possiamo allora sostenere che la obbedienza che i cittadini devono alle leggi è legata alla adesione diffusa e convinta ai valori ed ai principi a cui queste leggi si ispirano?
P. Si, possiamo sostenerlo.
S. Quindi, anche concedendo che la integrazione si riduca alla osservanza delle leggi siamo costretti ad ammettere che questa osservanza deve basarsi sulla adesione a qualcosa di più fondamentale e profondo, cioè ai valori in cui le leggi affondano le loro radici. In mancanza di tale adesione la osservanza delle leggi sarebbe un fatto puramente formale, qualcosa di accidentale e transitorio, incapace di fondare e garantire solidi e duraturi rapporti di civile convivenza fra i cittadini. Ne convieni?
P. Non saprei, o Socrate, anche perché mi sembra che sia tu ora a cadere in contraddizione con te stesso.
S. Spiegami perché, ottimo amico, se davvero son caduto in contraddizione vedrò di correggere il mio errore.
P. Prima tu hai affermato che la semplice obbedienza alle leggi non può identificarsi con la integrazione, hai fatto l'esempio di un turista di passaggio in Italia che non può essere considerato italiano solo perché obbedisce alle leggi italiane. Ora invece sostieni che la obbedienza alle leggi implica la adesione a valori e principi basilari, il che fa pensare che questa osservanza possa identificarsi con l'integrazione.
S. Tu ringrazio per la tua osservazione, ma mi sembra che non ci sia contraddizione alcuna nelle mie parole.
P. A me sembra invece che ci sia
S. Può essere che abbia ragione tu, ottimo amico, ma dimmi, a tuo parere il tutto si identifica con la parte?
P. No
S. E non ti pare che una casa con fondamenta debolissime, ma buone mura ed ottimo tetto corra il rischio di crollare da un momento all'altro?
P. Direi che corre questo rischio
S. Ebbene, ciò che vale per la casa vale a maggior ragione per l'integrazione. L'osservanza delle leggi è parte della integrazione ma non si identifica con essa, è ben lungi dall'essere il tutto. E il tutto è costituito dalle leggi, ma anche dalla tradizione, dalla cultura, dalla lingua. Soprattutto è costituito dai valori fondanti una certa società. Ed ancora, come una casa deve avere solide fondamenta se non vuol crollare così l'integrazione non può reggere se si identifica con una osservanza delle leggi che non sia basata sulla adesione convinta e diffusa ai valori cui le leggi sono radicate. Sono riuscito ad esplicitare il mio pensiero, amico mio?
P. Non so, non saprei, ho un gran mal di testa, e poi, tu fai discorsi che non hanno nesso alcuno con la realtà, pure ipotesi fantasiose.
S. Mi spiace per il tuo mal di testa, ma dimmi, è vero o falso che nel mondo islamico bestemmia ed apostasia sono spesso punite con la morte?
P. E' vero.
S. E' vero o falso che in quel mondo l'adulterio è spesso punito con la lapidazione o la fustigazione?
P. E' vero.
S. E' vero o falso che in quel mondo esiste la poligamia?
P. Vero.
S. E l'infibulazione?
P. Vero.
E dimmi ancora, è o non è vero che la gran maggioranza di chi arriva sulle nostre coste è costituita da islamici?
P. E' vero.
S. Come puoi quindi dire che le mie sono fantasiose ipotesi?
P. Basta o Socrate, la testa mi scoppia! Guarda abbiamo raggiunto la nostra meta, la scuola in cui si tengono i corsi di integrazione. Devo salutarti o Socrate.
S. Se vuoi posso partecipare anche io a quei corsi, così potremo, tutti insieme, approfondire queste tematiche.
P. No, no, è meglio di no, addio Socrate!
S. Arrivederci ottimo amico!
S. Abbiamo leggi che riconoscono la libertà personale, organizzano in maniera democratica la vita politica, garantiscono la libertà di culto, sanciscono la separazione fra stato e chiesa, affermano la assoluta parità fra i sessi. Non ti pare che queste leggi mettano in atto quelli che sono i nostri valori?
P. Può essere.
S. E dimmi ora, o Pendola, è o non è vero che il potere delle leggi si basa in larga misura sulla adesione convinta che ad esse danno i cittadini?
P. Si, mi sembra.
S. Pensi che se la stragrande maggioranza dei cittadini considerasse cosa giusta lapidare una adultera una legge che proibisse questa usanza sarebbe davvero in grado di tutelare la vita delle adultere?
P. Sembrerebbe di no.
S. Una simile legge non sarebbe osservata in moltissimi casi e prima o poi sarebbe abolita se davvero tutti o quasi i cittadini la considerassero iniqua, ne convieni?
P. Penso di poter convenire.
S. Possiamo allora sostenere che la obbedienza che i cittadini devono alle leggi è legata alla adesione diffusa e convinta ai valori ed ai principi a cui queste leggi si ispirano?
P. Si, possiamo sostenerlo.
S. Quindi, anche concedendo che la integrazione si riduca alla osservanza delle leggi siamo costretti ad ammettere che questa osservanza deve basarsi sulla adesione a qualcosa di più fondamentale e profondo, cioè ai valori in cui le leggi affondano le loro radici. In mancanza di tale adesione la osservanza delle leggi sarebbe un fatto puramente formale, qualcosa di accidentale e transitorio, incapace di fondare e garantire solidi e duraturi rapporti di civile convivenza fra i cittadini. Ne convieni?
P. Non saprei, o Socrate, anche perché mi sembra che sia tu ora a cadere in contraddizione con te stesso.
S. Spiegami perché, ottimo amico, se davvero son caduto in contraddizione vedrò di correggere il mio errore.
P. Prima tu hai affermato che la semplice obbedienza alle leggi non può identificarsi con la integrazione, hai fatto l'esempio di un turista di passaggio in Italia che non può essere considerato italiano solo perché obbedisce alle leggi italiane. Ora invece sostieni che la obbedienza alle leggi implica la adesione a valori e principi basilari, il che fa pensare che questa osservanza possa identificarsi con l'integrazione.
S. Tu ringrazio per la tua osservazione, ma mi sembra che non ci sia contraddizione alcuna nelle mie parole.
P. A me sembra invece che ci sia
S. Può essere che abbia ragione tu, ottimo amico, ma dimmi, a tuo parere il tutto si identifica con la parte?
P. No
S. E non ti pare che una casa con fondamenta debolissime, ma buone mura ed ottimo tetto corra il rischio di crollare da un momento all'altro?
P. Direi che corre questo rischio
S. Ebbene, ciò che vale per la casa vale a maggior ragione per l'integrazione. L'osservanza delle leggi è parte della integrazione ma non si identifica con essa, è ben lungi dall'essere il tutto. E il tutto è costituito dalle leggi, ma anche dalla tradizione, dalla cultura, dalla lingua. Soprattutto è costituito dai valori fondanti una certa società. Ed ancora, come una casa deve avere solide fondamenta se non vuol crollare così l'integrazione non può reggere se si identifica con una osservanza delle leggi che non sia basata sulla adesione convinta e diffusa ai valori cui le leggi sono radicate. Sono riuscito ad esplicitare il mio pensiero, amico mio?
P. Non so, non saprei, ho un gran mal di testa, e poi, tu fai discorsi che non hanno nesso alcuno con la realtà, pure ipotesi fantasiose.
S. Mi spiace per il tuo mal di testa, ma dimmi, è vero o falso che nel mondo islamico bestemmia ed apostasia sono spesso punite con la morte?
P. E' vero.
S. E' vero o falso che in quel mondo l'adulterio è spesso punito con la lapidazione o la fustigazione?
P. E' vero.
S. E' vero o falso che in quel mondo esiste la poligamia?
P. Vero.
S. E l'infibulazione?
P. Vero.
E dimmi ancora, è o non è vero che la gran maggioranza di chi arriva sulle nostre coste è costituita da islamici?
P. E' vero.
S. Come puoi quindi dire che le mie sono fantasiose ipotesi?
P. Basta o Socrate, la testa mi scoppia! Guarda abbiamo raggiunto la nostra meta, la scuola in cui si tengono i corsi di integrazione. Devo salutarti o Socrate.
S. Se vuoi posso partecipare anche io a quei corsi, così potremo, tutti insieme, approfondire queste tematiche.
P. No, no, è meglio di no, addio Socrate!
S. Arrivederci ottimo amico!
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