giovedì 5 maggio 2016

ANTISPECISMO E RAZZISMO

I sostenitori del radicalismo animalista, gli antispecisti, paragonano spesso e volentieri il cosiddetto “specismo” al razzismo. Affermare che l'uomo ha uno stato etico ed ontologico diverso e superiore a quello di un serpente o di una aringa è per loro una pericolosissima forma di razzismo. Lo ha detto e ripetuto il guru massimo degli antispecisti, Peter Singer: il razzista viola il principio di uguaglianza fra le razze, lo specista quello fra le specie animali. Dire che un bianco è superiore ad un nero è lo stesso che dire che un uomo è superiore ad un gorilla o ad un lombrico. Tutti gli animali sono uguali, dall'uomo che è solo un animale fra gli altri, al lombrico. Chi mette in dubbio la validità di una simile affermazione è un “razzista” quindi, quanto meno, una persona poco raccomandabile. L'analisi filosofica cede il passo al furore ideologico: nulla è infatti tanto degradante quanto essere considerati razzisti. Fai passare per “razzista” chi ti critica ed il gioco è fatto: non avrai l'onere di confutare le sue teorie, ti basterà unirti al coro di folle urlanti. In realtà non solo chi rifiuta i concetti di “specismo” ed “antispecismo” non è razzista, ma ad essere, nel profondo, razzisti sono loro, quelli che hanno inventato questi concetti. Di seguito cercheremo di argomentare, argomentare, non strillare, questa affermazione.

Il primo ad accusare di “razzismo” chi non equipara sul piano etico uomini ed animali è stato Jeremy Bentham nella già citata “
introduzione ai principi della morale e della legislazione”:
“C'è stato un giorno, e mi rattrista dire che in molti posti non è ancora passato, in cui la maggior parte del genere umano, grazie all'istituzione della schiavitù è stata trattata dalla legge esattamente nello stesso modo in cui, per esempio in Inghilterra, sono trattate ancora le razze inferiori di animali.
Forse verrà il giorno in cui tutte le altre creature animali si vedranno riconosciuti quei diritti che nessuno, che non sia un tiranno, avrebbe dovuto negar loro.” (1)
Bentham prosegue dicendo che chi differenzia sul piano etico animali ed uomini lo farebbe basandosi su particolarità empiriche assolutamente inessenziali come “il numero delle gambe, la villosità della pelle o l'estremità dell'osso sacro” (2). Esattamente come ci si è resi conto che il colore della pelle non è una buona ragione per tenere in schiavitù un essere umano si arriverà, prima o poi, a capire che il numero delle gambe non giustifica l'uso che, per fare solo un esempio, facciamo dei buoi quando li usiamo per arare i campi. Le argomentazioni di Bentham sono state riprese, amplificate, spesso portate a conseguenze estreme da altri dopo di lui; come si è visto costituiscono il centro delle teorizzazioni di Singer. Lo specismo sarebbe una prosecuzione del razzismo, chi è seriamente contro il razzismo non può essere “specista”.
Il paragone fra “specismo” e razzismo sembra a prima vista avere qualche fondamento. In effetti, se abbiamo stabilito che tutti gli esseri umani hanno pari dignità perché non stabilire che hanno pari dignità tutti gli animali, compreso l'uomo che senza dubbio è, per lo meno è
anche, animale? La apparente plausibilità di simili tesi è però frutto di un abbaglio, fondato, fra le altre cose, sul travisamento o sulla totale ignoranza delle tesi di quei numerosissimi pensatori che rifiutano di equiparare lo status etico delle persone umane a quello di passeri, bufali e cernie.

Il razzismo è in effetti una dottrina che lega le differenze di status e di dignità fra gli esseri umani a caratteristiche fisiche inessenziali. Il colore della pelle, il tipo di capelli, la forma del naso o degli occhi cessano di essere, aristotelicamente, accidenti secondari per diventare caratteristiche fondamentali degli uomini, tanto fondamentali che ad esse sono legate l'umana libertà e dignità. Non tutti i teorici del razzismo sono, a dire il vero, tanto rozzi. Per alcuni le vere differenze fra gli uomini sono di tipo etico ed intellettuale. Un bianco non sarebbe superiore ad un nero per il colore della sua pelle, ma per la maggiore acutezza del suo ingegno. Però questa “maggiore acutezza” sarebbe, a sua volta, legata al colore della pelle, alla forma del naso e così via. Le doti intellettuali dipenderebbero da inessenziali caratteristiche fisiche. Cacciate dalla porta queste rientrano, trionfanti, dalla finestra.
Per i teorici dell'antispecismo chi teorizza una differenza di status etico ed ontologico fra uomo ed animale farebbe, più o meno, lo stesso. Il richiamo di Bentham allo schiavismo è a questo proposito molto significativo. Ma si tratta di un richiamo completamente infondato.
In primo luogo Bentham dimostra, con questo richiamo, di conoscere poco la storia. Non sempre lo schiavismo è stato infatti legato al razzismo ed alle caratteristiche fisiche inessenziali degli esseri umani. Ci sono stati schiavi e padroni di tutte le razze e molto spesso schiavo e padrone appartenevano alla identica razza. Nella antichità venivano ridotti in schiavitù i prigionieri di guerra, indipendentemente dal colore della pelle o dall'estremità dell'osso sacro.
In secondo luogo, e soprattutto, Bentham, che a dire il vero non è stato un grande genio speculativo, dimostra di conoscere poco la storia della filosofia. Nessun pensatore serio ha infatti mai cercato di fondare la differenza di status etico fra uomo ed animale su inessenziali caratteristiche fisiche. Non ho intenzione di allungare troppo il discorso e mi limito quindi al caso di Kant. Per Kant l'uomo ha uno status etico particolare perché è in grado di obbedire alla propria coscienza, di fare anche ciò che sensibilmente non lo attrae e di non fare ciò che invece lo attrae dal punto di vista sensibile. L'uomo è in grado,
solo in grado, di obbedire all'imperativo categorico, per questo è un ente morale, radicalmente diverso da tutti gli altri. Ma non solo l'uomo gode per Kant di un simile status.
Nella “fondazione della metafisica dei costumi” Kant aggiunge alle precedenti questa definizione della legge morale: “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona che in quella di ogni altro, sempre anche come un fine e mai semplicemente come un mezzo” (3). Sembrerebbe che il filosofo prussiano, superato l'astratto formalismo delle precedenti versioni dell'imperativo categorico, leghi qui la morale a determinate caratteristiche empiriche di un certo ente. Ma le cose stanno ben diversamente. Kant infatti si affretta ad aggiungere che “Questo principio dell’umanità non ha origine empirica; prima di tutto per la sua universalità, perché comprende tutti gli esseri ragionevoli in generale” (4)
Hanno diritto ad uno status etico particolare
gli esseri razionali in generale. L'uomo è, per ciò che ne sappiamo, l'unico essere razionale, ma questo è solo un evento empirico accidentale. Se in una galassia lontana vivesse un essere razionale questo per Kant sarebbe in grado di obbedire all'imperativo categorico. Potrebbe avere forma di lucertola od ippopotamo, potrebbe anche essere incorporeo, avrebbe lo stesso status etico ed ontologico dell'uomo. Si può criticare una simile concezione, ma di certo è completamente insensato accusarla di razzismo. In Kant la legge morale può basarsi su tutto meno che sul colore della pelle o la forma degli occhi!

Non solo le accuse di razzismo che gli “antispecisti” rivolgono ai loro oppositori sono del tutto infondate, ad essere davvero razzisti sono proprio loro, gli “antispecisti”. Per rendersene conto occorre approfondire il discorso.
L'etica “antispecista” può essere collegata a quello che Giovanni Fornero in “
bioetica cattolica e bioetica laica” definisce il concetto funzionalista di persona, contrapposto a quella sostanzialista.
Le concezioni dette sostanzialiste sostengono che la persona umana sia una sostanza. L'uomo è per natura dotato di certe caratteristiche che fanno di lui un essere razionale e morale, in una parola, una
persona. Ad essere decisivo è il richiamo alla natura, all'essenza dell'uomo in generale, questa è decisiva per trasformare un ente in persona, cioè soggetto morale e giuridico. E' vero che su un altro pianeta potrebbero esserci, come ipotizzava Kant, altri esseri morali e razionali, anche loro per loro natura persone, ma questo significa solo che forse non siamo le uniche persone dell'universo.
Ci sono, è vero, esseri umani che non sono
ancora persone in senso pieno, non hanno ancora sviluppato la loro razionalità e la capacità di discernere il bene dal male. E ce ne sono altri che non lo sono più, ed altri ancora che avrebbero potuto esserlo, ma non lo sono, perché hanno subito gravi incidenti o sono nati con gravi menomazioni. In tutti questi casi però si parla di persone cui mancano certe caratteristiche, no di non persone. Un neonato avrà le caratteristiche umane, un vecchio le ha avute e le può conservare, almeno in parte, un handiccappato avrebbe potuto averle, e potrebbe, forse, recuperarle.
I sostenitori delle concezioni funzionaliste della persona rifiutano un simile approccio.
Le concezioni funzionaliste identificano la persona con la presenza effettiva di queste capacità e quindi rifiutano l'idea che si tratti di sostanze per natura dotate di quei caratteri; tutti e solo gli enti che mostrano in atto le caratteristiche delle persone sono davvero persone; quando le funzioni personali mancano, anche in un individuo che le svilupperà in seguito o che le ha definitivamente perdute, non siamo di fronte ad una persona” (5)
Insomma, visto che avere due occhi è parte essenziale della natura umana, quello a cui manchi un occhio non è un uomo menomato, è un non uomo. Qui non c'entrano i discorsi tesi a stabilire, ad esempio, se un essere umano in coma profondo debba o no essere mantenuto in vita, o se e in quali casi sia lecito abortire. Questi sono dilemmi etici che possono benissimo essere applicati alle persone. Quello che è in gioco in queste concezioni è il concetto stesso di persona, o, meglio ancora, di soggetto morale e giuridico: Chi è persona? Quindi, chi è soggetto morale e giuridico? Questa è la posta in gioco. E la risposta è chiarissima. E' soggetto morale e giuridico chi ha di fatto, e finché le ha, certe caratteristiche, lo è sia che faccia parte, sia che non faccia parte di una certa specie. Essere uomo, esser nato da un maschio ed una femmina della specie umana non conta nulla, non fa di un certo ente un soggetto etico e giuridico. Conta avere o non avere di fatto determinate qualità o caratteristiche empiriche. Tutti gli enti che queste caratteristiche le hanno sono soggetti etici e giuridici, non lo sono coloro che non le hanno ancora, o non le hanno più, o che avrebbero solo potuto averle.
Ci stiamo avvicinando, come si vede, alle filosofie “antispeciste”. Il far parte del genere umano non conferisce automaticamente alcuno status etico, questo è conferito dal possedere certi caratteri empirici che non sono automaticamente propri del solo genere umano. Di che caratteri si tratta? Peter Singer da la risposta.
A sua volta Singer propone una nozione interspecifica di persona sganciata dall'identificazione tradizionale con gli esseri umani (e quindi solidale con l'antispecismo) e considera la sensibilità come criterio minimale per l'attribuzione di diritti ad un soggetto” (6)
Il cerchio si chiude, come si vede. Essere uomini non conferisce automaticamente alcuno status etico, questo è legato al possesso di certe caratteristiche empiriche: la sensibilità in primo luogo e tutto ciò che alla sensibilità è legato. Avere ben sviluppati i cinque sensi, poter vederci bene, sentire, muoversi, magari far sesso. Questo fa di noi persone morali, soggetti etici e giuridici. E fa tali anche agnelli, polli e conigli, a condizioni che siano in buono stato di salute. Tutto insomma dipende dai muscoli e, soprattutto, dal sistema nervoso. Esattamente come i razzisti, contro i quali tanto polemizzano, gli antispecisti promuovono al rango di discriminate etica le caratteristiche empiriche, meramente fisiche ed accidentali degli enti. Certo, i razzisti sostengono, a differenza degli “antispecisti”, l'ineguaglianza fra le razze ed il dominio di alcune sulle altre, ma, se si resta sul piano delle caratteristiche empiriche, sono senza dubbio loro ad avere ragione. Le caratteristiche empiriche delle varie specie animali sono infatti piuttosto diverse e la stessa conclamata capacità di provare piacere e dolore differisce da una specie all'altra. Soprattutto le varie specie animali sono spinte dalle loro caratteristiche empiriche ad una guerra acutissima per l'esistenza che non ha nulla, ma proprio nulla, a che vedere con l'armonica uguaglianza di diritti.

Ma questi sono, in fondo, semplici dettagli. Le incongruenze teoriche dei concetti di specismo ed antispecismo sono irrilevanti se paragonate alle loro conseguenze etiche. Queste sono tutte razziste. Non solo gli “antispecisti” usano, con minore coerenza di questi, le stesse categorie teoriche dei razzisti, la loro dottrina è intrinsecamente razzista e lo è in maniera spaventosa.
Per gli “antispecisti” il vero discrimine fra gli enti che sono soggetti morali e giuridici e quelli che non lo sono è costituito, lo si è detto e ripetuto, dalla sensibilità, intesa in senso ampio. La possibilità di provare piacere e dolore è legata ad un sistema nervoso ben sviluppato, sensi acuti, buna salute. Si è persone, soggetti etici se e fino a quando si hanno cose simili. Non lo si è se e quando non le si hanno. Ma un feto umano, un vecchio, un neonato non hanno, o hanno in maniera molto ridotta queste qualità. Quale è allora il loro status etico? La risposta di Singer ad una simile, ovvia, domanda è terrificante.
“Un bambino di una settimana non è un essere razionale ed autocosciente, e vi sono molti animali non umani la cui razionalità, autocoscienza, consapevolezza, capacità di sentire e così via è superiore a quella di un bambino umano di una settimana, o anche di un anno. Se il feto non ha la stessa pretesa di vita di una persona sembra che non l'abbia neanche il neonato, e che la vita di un neonato abbia meno valore della vita di un maiale, un cane o uno scimpanzè” (7)
Evitiamo i moti di ripulsa. Qui Singer usa non solo il concetto di “capacità di sentire” ma anche quelli di autocoscienza e razionalità, ma li usa allo stesso modo in cui usa la “capacità di sentire”. Autocoscienza e razionalità sono per lui qualcosa di meramente fisico, doti che si hanno finché si hanno, del tutto staccate dalle caratteristiche di una certa specie, qualcosa di simile alla buona salute, che oggi c'è e domani può non esserci. Non è
l'uomo ad essere razionale, è Tizio ad esserlo, se e finché gode di buona salute cerebrale. Per Singer conta poco che un bambino cresca ed acquisisca una razionalità ed un livello di autocoscienza enormemente superiori a quelli di un maiale. Usando le sue categorie potremmo dire che un uomo svenuto o in anestesia cessa solo per questo di essere una persona o che un vecchio sordo e semi cieco sia meno persona di un'aquila o di un formichiere. L'uomo sotto anestesia potrebbe aver scritto un capolavoro, ed il vecchio potrebbe aver compiuto opere meravigliose. Non conta, la loro situazione attuale ne fa una sorta di scarti.
Ed infatti come tali tratta Singer le persone che non hanno, a suo insindacabile giudizio, i requisiti per essere considerate soggetti etici e giuridici. Dando prova di una coerenza tanto ammirevole quanto folle, il filosofo australiano arriva a teorizzare
l'infanticidio. I bambini nati con gravi malformazioni vanno a suo parere eliminati, e a chi lo accusa di proporre cose orribili ribatte con dotte considerazioni storiche:
“La nostra attuale protezione assoluta della vita degli infanti è un atteggiamento tipicamente ebraico cristiano (…) L’infanticidio è stato praticato in società che vanno geograficamente da Thaiti alla Groenlandia e culturalmente dagli aborigeni australiani nomadi, alle sofisticate civiltà urbane dell’antica Grecia o della Cina dei Mandarini” (8)
La storia è piena di crudeltà di ogni tipo, alcune fanno ribrezzo a Singer, quelle contro gli animali ad esempio; altre il nostro pensatore le accetta senza batter ciglio, basta che non riguardino i polli ma i bambini.
C'è comunque da notare la logica ferrea che guida il pensiero del massimo teorico dei diritti animali. Parte contestando il concetto stesso di natura umana e nega, a partire da questa contestazione, qualsiasi status etico privilegiato per l'uomo. Prosegue sostituendo la sensibilità alla razionalità ed alla libertà quale criterio discriminante dell'etica. Fatto tutto questo il passo successivo è obbligato: quegli enti che sono privi di sensibilità o ne hanno una menomata perdono o vedono drasticamente ridimensionarsi il loro status morale. Da un lato Singer allarga indebitamente i confini dell'etica inserendo in questa tutti gli esseri senzienti, dall'altra li restringe espellendone numerosi esseri umani, più o meno potenziali: feti, neonati, vecchi, portatori di handicap, insomma tutti coloro che non sono sufficientemente sani, vispi ed arzilli. Non conta la dignità della persona, il suo appartenere ad una specie che ha nella razionalità e nella connessa possibilità di scegliere il suo carattere distintivo. Contano certe caratteristiche fisiche, in Singer come nei peggiori razzisti. Per un razzista non è importante che tu sia un uomo, ad essere veramente decisivo è il colore della tua pelle. Per Singer sono decisive le caratteristiche del tuo sistema nervoso.
A dire il vero non molti razzisti si sono spinti fino al punto di proporre l'infanticidio dei bambini con la pelle di colore non gradito, e solo pochi hanno proposto l'eliminazione di chi non ha, temporaneamente, certe caratteristiche fisiche. Singer lo fa, tranquillamente. Per il filosofo della dolcezza animalista se la tua capacità di sentire dà qualche colpo a vuoto... beh, sei fregato! A chi gli fa notare ad esempio che un feto è potenzialmente un essere sensibile, razionale, cosciente ed autocosciente l'amico di polli e conigli ribatte:
“Un X potenziale non ha tutti i diritti di X. Il principe Carlo è un potenziale re d’Inghilterra ma non ha i diritti di un re. Perché mai una persona solo potenziale dovrebbe avere i diritti di una persona?” (9).
Un bambino non ha gli stessi diritti di un adulto, ovviamente, ma ha il diritto di diventare adulto. Singer glielo nega, non vuole sentire discorsi sulle “potenzialità” di un certo ente. Gli sembrano troppo “essenzialisti”, quasi aristotelici. Ed in effetti un po' essenzialisti lo sono, e forse anche un po' “aristotelici”. L'uomo in generale ha certe caratteristiche etiche e razionali in base alle quali è persona, soggetto etico e giuridico. Anche se Tizio non ha ancora queste caratteristiche, o non le ha più, o avrebbe solo potuto averle ha comunque diritto alla dignità che gli spetta in quanto membro della specie umana. Questo non è “specismo” è etica umana, o etica tout court. Singer lo nega. Per lui un feto, un neonato, anche un bambino di un anno, ed ancora, un vecchio, un portatore di handicap non sono persone a cui manchino certe caratteristiche fisiche, non sono persone con problemi, anche gravi, tragici. Sono
non persone, scarti, esseri di cui ci si può tranquillamente liberare. La dolce, pluralista, delicata, post moderna filosofia animalista si rivela in questo modo per quella che è: una filosofia razzista, anzi, una delle peggiori filosofie razziste. Dietro alla melassa di cui grondano i discorsi sui diritti animali si intravede il viso accigliato di un omino con un bel paio di baffetti.












Note

1) Jeremy Bentham: Introduzione ai principi della morale e della legislazione. Citato in Wikipedia, alla voce : Jeremy Bentham.
2) Ibidem.
3) I. Kant: Fondazione della metafisica dei costumi. Laterza 1985 pag. 61
4) Ibidem pag. 63
5) R Mordacci: Una introduzione alle teorie morali. Citato in: Bioetica cattolica e bioetica laica. Bruno Mondadori editore 2008, pag 88.
6) Giovanni Fornero: Bioetica cattolica e bioetica laica Bruno Mondadori 2009. pag. 88.
7) Peter Singer: Etica pratica. Citato in Giovanni Fornero, op cit pag. 109
8)
P: Singer: Etica pratica. Citato in: Giovanni Fornero: Bioetica cattolica e bioetica laica. Bruno Mondadori 2009 pag. 109
9) Ibidem pag. 109 - 110

Nessun commento:

Posta un commento