giovedì 27 ottobre 2016

INTEGRAZIONE

Il Vocabolario Treccani della lingua italiana così definisce la integrazione, in senso sociale:

Inserzione, incorporazione, assimilazione di un individuo, di una categoria, di un gruppo etnico in un ambiente sociale, in un’organizzazione, in una comunità etnica, in una società costituita

Si ha integrazione quando un individuo o un gruppo diventano a tutti gli effetti membri di una certa comunità, o società. Un italiano, per fare un esempio, emigra in Argentina e dopo un certo numero di anni può a pieno titolo definirsi argentino. Parla correttamente lo spagnolo, conosce i principali eventi della storia argentina, è informato e segue la politica del suo nuovo paese. Certo, il nostro ipotetico emigrante conserva un legame con l'Italia, si sente in qualche modo ancora italiano, ma questo non contrasta col fatto che è argentino, e non solo formalmente.
L'integrazione è
inserimento, condivisione di alcuni valori e sentimenti, sviluppo di un senso di appartenenza. Se queste cose mancano non si ha integrazione e coloro che si dovevano integrare, ma integrati non si sono, vivono, nella migliore delle ipotesi, accanto agli altri, nella peggiore, contro gli altri.

Per chiarire ancora meglio le cose val la pena di confrontare il concetto di integrazione con altri due che apparentemente sembrano assomigliargli.
In primo luogo il cosiddetto
melting pot.
Si parla di melting pot, letteralmente crogiuolo, calderone, per indicare il processo di fusione di popoli, razze od etnie. La differenza fra melting pot ed integrazione è abbastanza chiara. Si ha integrazione quando gruppi ed individui entrano a far parte
a pieno titolo di una cultura o di una società già esistenti, si ha melting pot quando più gruppi ed individui, fondendosi, danno vita ad una nuova cultura o, più modestamente, si mischiano fra loro a livello puramente etnico e razziale.
Nel melting pot c'è una componente etnica: la fusione di etnie e razze diverse, ed una culturale: la formazione di una nuova cultura, ma non è detto che questa seconda componente sia sempre presente. Si tratta comunque, in tutti i casi, di qualcosa di radicalmente diverso dalla integrazione.
I barbari che determinarono il crollo dell'impero romano si fusero in qualche modo con le popolazioni latine, ma non ci fu una loro integrazione nelle istituzioni dell'impero romano. Gli spagnoli che conquistarono il sud America in parte si mischiarono, più che altro a livello etnico e razziale, con le popolazioni locali, ma non ci fu alcuna fusione fra la cultura dei conquistadores e quella degli Aztechi, dei maya e degli Incas. Meno che mai si può parlare di integrazione di queste popolazioni nella cultura degli spagnoli e dei portghesi. Ci può essere fusione etnica e razziale fra conquistati e conquistatori, addirittura fra schiavisti e schiavi, senza che vi sia fra gli uni e gli altri alcun processo di formazione di una nuova cultura, meno che mai di integrazione.
La differenza fra melting pot ed integrazione risulta con particolare evidenza nel processo di formazione degli Stati Uniti d'America. Nel corso di quel processo le diverse popolazioni emigrate in nord America si fusero sia culturalmente che etnicamente fra loro, dando vita ad una nuova nazione con la sua specifica cultura, ma non vi fu alcuna integrazione di questa nuova cultura in quella degli indiani d'America. Il melting pot da cui doveva nascere il popolo americano si formò in un processo che vide contrapposti senza possibilità di mediazioni, purtroppo, gli emigranti europei e gli originari abitanti d'America. Si possono fare le considerazioni più svariate su quel processo. Si può dire che sia stato storicamente progressivo e si possono condannare le violenze e le ingiustizie che lo accompagnarono, in ogni caso non lo si può spacciare come esempio di “integrazione”.
Neppure si può confondere l'integrazione con quel processo, avvenuto svariate volte nella storia, che porta i conquistatori ad assimilare la cultura dei conquistati.
Capita spesso che i vinti conquistino culturalmente i vincitori, ma si tratta di una amara vittoria. I vincitori fanno proprie parti della cultura dei vinti distruggendo però la loro indipendenza e la loro organizzazione politica.
I Romani assimilarono molto della cultura greca, ma lo fecero trasformando la Grecia in una loro provincia. I barbari che determinarono la caduta dell'impero romano di occidente fecero propri alcuni spezzoni della cultura latina, ma lo fecero dopo aver più volte saccheggiato Roma ed il nord Italia e distrutto la struttura politica dell'impero. Quando una grande civiltà crolla alcuni frammenti della sua cultura sono sempre, in qualche modo, assimilati dai suoi nemici, ma solo mistificando al massimo il senso dei concetti questo può essere spacciato per integrazione. Se i nazisti avessero vinto la seconda guerra mondiale nei teatri di Berlino si sarebbero, probabilmente, continuate a rappresentare le tragedie di Shakespeare, questo non vuol dire che i nazisti si sarebbero integrati nella democrazia liberale britannica.

Se è possibile trarre una conclusione da quanto sinora detto questa è:
si possono integrare individui e gruppi, non interi popoli.
Il perché è molto semplice. Singoli individui o gruppi che emigrano in un un paese subiscono inevitabilmente il condizionamento del nuovo ambiente sociale. La nuova cultura in cui sono inseriti penetra in loro come l'aria che respirano. A meno che non sorgano gravi problemi economici o di altro tipo in un certo lasso di tempo i nuovi venuti diventano a tutti gli effetti cittadini del paese ospitante. Cittadini particolari, certo, che portano nel cuore l'amore per il luogo da cui provengono, ma non per questo meno leali nei confronti della loro seconda patria.
Ma se a trasferirsi non sono singoli o gruppi, ma un interi popoli questo non avviene. I singoli ed i gruppi subiscono l'influenza dell'ambiente in cui si inseriscono,
trasferendosi i popoli modificano l'ambiente, ne creano uno del tutto nuovo. Il contesto sociale influisce sui singoli, ma i popoli influiscono, addirittura creano i contesti sociali. Per questo è semplicemente assurdo parlare di integrazione di interi popoli.
Mai nella storia trasferimenti di interi popoli o comunque di enormi dimensioni, hanno dato vita a processi di integrazione. Goti e visigoti, Unni e Vandali non si sono integrati nell'impero romano, gli europei non sono stati integrati dagli indiani d'America, né gli spagnoli dagli Atztechi. Le migrazioni di massa hanno distrutto civiltà ed altre ne hanno create. Migliori a volte delle precedenti, ma non è questo il punto in discussione. Di certo non hanno innescato alcun processo di integrazione. Le grandi migrazioni hanno creato un rimescolamento di etnie e razze ed anche di culture, dato vita a processi di assimilazione da parte dei nuovi arrivati di spezzoni delle culture delle civiltà soggiogate. Ma questo, lo si è visto, ha poco o nulla a che vedere con l'integrazione.

La domanda che dobbiamo porci oggi, di fronte ai processi migratori in corso, è molto semplice. Abbiamo a che fare con normali flussi di migratori o con un esodo massiccio che riguarda intere popolazioni? Dobbiamo parlare di numerosi stranieri che vengono a lavorare qui da noi o di intere popolazioni che si stanno trasferendo sul nostro territorio? Basta porre la domanda giusta per avere la risposta.
Solo dei perfetti mistificatori possono spacciare i processi in corso per normai flussi migratori. Il flusso continuo di clandestini dall'Africa e dal medio oriente, e non solo, verso l'Europa è un “normale” processo di emigrazione più o meno come era un normale processo migratorio il trasferimento di parte della popolazione europea in nord America.
E' inutile mistificare: quella che sta avvenendo sotto i nostri occhi è la
sostituzione della popolazione europea, un processo massiccio, che riguarda milioni, decine di milioni di esseri umani ed è destinato a cambiare radicalmente il contesto sociale, politico, economico e culturale del nostro continente. Qualcuno ha dei dubbi in proposito? Beh, faccia un giro per le vie del centro di qualsiasi città italiana e si guardi in giro. Poi, se non è troppo giovane, cerchi di ricordare come erano quelle stesse vie qualche decennio fa. Avrà subito la risposta.
Inoltre, ad aggravare non poco le cose, c'è il fatto che le migrazioni cui oggi dobbiamo far fronte riguardano masse umane con idee, valori, usi e costumi del tutto incompatibili con i nostri.
Una cosa è subire massicce migrazioni di popoli a noi simili. In questo caso, se non integrazione, è possibile, forse, un rimescolamento non solo etnico e razziale ma anche culturale fra i vecchi abitanti e nuovi venuti, ed è possibile che ci siano in questo anche aspetti positivi. Ma se chi arriva appartiene ad una cultura del tutto incompatibile con la nostra anche un simile processo, comunque lento, difficile e doloroso, diventa impossibile. Poligamia, lapidazione, identificazione di politica e religione, intolleranza, disprezzo per la democrazia non possono integrarsi e neppure mischiarsi con il laicismo, la pari dignità dei sessi, il libero pensiero. Quello di cui molti occidentali non si rendono, o non
vogliono rendersi, conto è un fatto notissimo: nell'Islam il principale fattore aggregante fra le persone, è la religione, non il principio di nazionalità. Questo non solo rende impossibile l'integrazione di massa, a livello di popoli, rende molto difficile la stessa integrazione nella nostra cultura di individui e gruppi di fede musulmana.
Pensare che un musulmano, un musulmano vero, possa sul serio integrarsi in una società di "infedeli" vuol dire essere molto ottimisti. Certo ci possono essere casi di questo genere, a livello di individui e piccoli gruppi, ma si tratta di casi come minimo molto rari.

Del resto sono proprio loro, i “buoni”, gli “accoglienti” a dimostrare, con tutta la loro politica che l'integrazione è solo un ingannevole miraggio. Da tempo ormai in tutto l'occidente si prendono provvedimenti, si mettono in atto comportamenti che di fatto sostituiscono i diritti delle persone con quelli dei gruppi. Il patto sociale da noi è scritto in termini individuali. Esistono diritti e doveri che valgono per tutti, indipendentemente dal colore della pelle, dal sesso, dal credo religioso; in conseguenza di questo la legge è uguale per tutti. Da tempo però le cose stanno cambiando. In certi gruppi etnici o religiosi esistono usi e costumi che la nostra legge sanziona, e sono in netto contrasto con quelli che per noi sono diritti essenziali delle persone. Questi usi e costumi però sono accettati, o quanto meno tollerati, perché fanno parte della cultura di un certo gruppo.
In occidente vige il principio della pari dignità dei sessi. Le donne musulmane sono costrette a velarsi più o meno integralmente e cosa fanno gli occidentali “accoglienti”? Fingono che veli e burka siano il frutto di una “libera scelta”.
In occidente è vietata la poligamia. La gran maggioranza dei migranti ha invece tre o quattro mogli. I “buoni” di casa nostra fingono di non vedere questo piccolo fenomeno. Qualcuno addirittura propone che la poligamia sia legalizzata.
In certi quartieri di Londra, e non solo, una donna non può passeggiare per strada vestita alla occidentale. Invece di reprimere simili situazioni cosa si fa? Le donne poliziotto incaricate di operare in simili quartieri devono velarsi.
Per noi la infibulazione è un crimine, ma viene allegramente praticata da molti “migranti” e le autorità occidentali si tappano gli occhi, qualcuno ha addirittura proposto che si faccia negli ospedali una infibulazione soft, con un po' di anestesia, per evitare scene troppo cruente.
Per farla breve, ovunque, con azioni o con omissioni, si avallano comportamenti, usi e costumi che sono la negazione di quelli che per noi, e non solo per noi, sono valori e diritti essenziali.
Non esistono, questo si teorizza sempre più spesso, i diritti delle persone, esistono i diritti dei gruppi etnici e religiosi. La legge non è uguale per tutti, ma ogni gruppo ha la sua legge e le persone che fanno parte di gruppi diversi sono soggette a leggi diverse. La società tende sempre più a spezzettarsi lungo linee etniche, cessa di essere qualcosa di unitario per trasformarsi in una accozzaglia di formazioni tribali.
Esattamente l'opposto della integrazione. Questo non è un caso: visto che l'integrazione di interi popoli è impossibile e visto che non ci si vuole opporre alle migrazioni di massa si accetta che la società si trasformi in un disorganico insieme di tribù.
Voglio dirlo telegraficamente, con la massima chiarezza.
Nel nostro futuro prevedibile non è in vista alcuna integrazione. Chi pensa, per restare al nostro paese, ad una Italia in cui cristiani, non credenti e musulmani si sentiranno prima di tutto italiani e saranno uniti da forti vincoli di solidarietà sbaglia completamente. Quella che ci attende è una crisi sempre più grave della nostra civiltà, prima una sua sempre più accentuata frammentazione su linee etniche e religiose, poi, forse, la scomparsa.
Qualcuno può obiettare che ciò che affermo dimostra un pessimismo troppo accentuato. Beh,
proviamo a fare due calcoli. Ultimamente i clandestini arrivano a casa nostra al ritmo di due, tremila al giorno. Tremila al giorno vuol dire novantamila al mese, un milione e novantacinquemila all'anno, quasi undici milioni dieci anni. Estremizzo? Faccio indebite estrapolazioni? Generalizzo dei picchi di arrivi? Forse, anche se è innegabile che più passa il tempo e più numerosi sono gli sbarchi. Comunque, anche dimezzando le cifre, se si tiene conto che i nuovi venuti si aggiungono ai molti che già sono qui da noi, e che il tasso di natalità fra i migranti è almeno triplo rispetto a quello dei residenti italiani, la conclusione è tragicamente semplice: se la attuale tendenza non viene bloccata, nel giro di venti, massimo trenta anni
l'Italia sarà morta come paese occidentale. Sarà diventata qualcosa di simile all'Algeria, nella migliore delle ipotesi al Marocco. Qualcuno può giudicare positivo un simile processo, personalmente lo giudico catastrofico, quello che comunque è certo e che non ha assolutamente niente a che vedere con l'integrazione.
Ovviamente spero di sbagliare, clamorosamente.

4 commenti:

  1. I furbi politically correct, di proposito mescolano razza con cultura. Spesso, quando si parla di musulmani, pubblicano foto di neri, come per associare l'islam al colore della pelle per far sentire in colpa i bianchi, pur essendo, la maggior parte dei neri cristiani. Oppure accostano foto di bambini afroamericani che giocano allegramente o studentesse afroamericane accostandole alle foto degli aitanti giovinetti palestrati che vengono con i barconi, sempre fer far sentire in colpa gli occidentali, facendo l'ignobile cosa di sfruttare i bambini a scopo di propaganda (cosa che odio).

    Giusto qualche giorno fa, gli svedesi hanno fatto un video pubblicità progresso, dove gli svedesi vengono esortati di fare lo sforzo di integrarsi con gli stranieri perchè si deve crerare una nuova società. Video che è stato poi tolto dalle TV perchè i nativi svedesi hanno protestato.
    Tra l'altro gli stranieri che arrivano non sono tutti dello stesso paese, quindi oltre ad avere una cultura troppo diversa ed incompatibile con la nostra, molti di loro sono anche incompatibili tra loro essendo di zone lontane.

    La società trasformata in tribù mi fa venire in mente i nativi americani, che erano spesso della stessa razza ma avevano culture molto differenti, ed infatti tendevano a farsi la lotta tra loro. Alcuni ammettevano di preferire gli euopei a certe tribù note a loro per la brutalità.


    Non c'è solo il rischio della tribalizzazione e delle guerrette stile medievale. C'è anche il rischio del ritorno del nazismo (se prendono piede Alba Dorata, GI, Forza Nuova ecc) con tanto di camere a gas e limitazioni di viaggio anche per i nativi (es se voglio visitare un paese straniero potrò farlo, ma non potrò andarvi ad abitare), in vista dell'ideologia neonazisa sulla preservazione della purezza di tutte le razze (nonchè lo sterminio degli ebrei). E stavolta non sarà solo un passaggio.

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  2. Ciao. Uno dei titolari di questo blog https://topgonzo.wordpress.com/, in cui ho segnalato il tuo post, che non riesce a commentare qui e per questo lo faccio io, chiede se lo autorizzi a usare questo testo, con qualche leggera modifica, in altra sede (suppongo FB).

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  3. Una Società che sapeva integrare è stata la Roma repubblicana (non quella imperiale, ormai troppo orientalizzata). Basti pensare che nemici secolari dei Romani sono stati i Volsci (basta leggere Livio - io l'ho letto tutto). Ebbene, quel Atilio Regolo che si fece torturare e uccidere per l'onore di Roma, e quel Cicerone che si vantò di essere il salvatore di Roma, erano entrambi Volsci. Quale migliore esempio di integrazione?
    Ma non saranno due casi, pur famosi, a decidere della bontà di una politica portata avanti per secoli. Roma stessa nasce come integrazione di tre popoli diversi, e la parola stessa "tribù" altro non è (seppure qualcuno non sia d'accordo su questa mia conclusione) che l'ablativo di "tres", tre, e cioè "tribus".
    Quando Roma sconfigge Veio, i suoi dèi (Juno, Giunone, in particolare) vengono portati con onore nel pantheon romano. E questa usanza di accoglienza era una caratteristica dei Romani.
    Un console romano plebeo (per legge uno doveva essere plebeo e l'altro aristocratico) ebbe a dire (cito a memoria, potrei non essere precisissimo) a proposito dei Galli, che quelli, i Galli, erano bestie, non come il nemico solito, quello che oggi ti è nemico e domani è tuo amico.
    Cioè, i Romani vedevano nei loro nemici delle persone che sarebbero diventate amiche. I Galli avevano lasciato un pessimo ricordo fin da quando, diretti a razziare le ricche città greche del sud, incontrarono e saccheggiarono Roma ferocemente, mentre l'esercito romano, ignaro di tale pericolo, era sotto le mura di Veio.
    Un piccolo villaggetto sul confine etrusco, Roma, non avrebbe mai potuto spazzare via ogni altro concorrente se fosse stato razzista e feroce come gli Assiri.
    Ci furono re che dettero il loro regno in dono ai Romani.
    La mia città, Napoli, non ha mai combattuto contro i Romani, ma è entrata come amica, e i Napoletani avevano per legge il diritto di parlare nella loro lingua (il greco, Napoli era città greca) a Roma, nella Curia romana.
    Se poi guardiamo agli scrittori e ai poeti romani, non ne troviamo uno che sia "Romano de Roma", se non, forse, quel Giulio Cesare, il cui nome, Cesare, vuol dire "di Cere" (città etrusca).
    Ci sarebbe da dire molto di più, ma tanto basti per far pensare e rendersi conto che Roma repubblicana avrebbe ancora oggi molto da insegnare a coloro che cianciano di accoglienza, senza sapere cosa sia.
    Si fueris Romae, romano vivito more...

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  4. Ho trovato il punto.
    Da
    https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Popilio_Lenate_(console_359_a.C.)
    // Fu eletto console per la terza volta nel 350 a.C. insieme al collega console Lucio Cornelio Scipione[3]. A Popilio fu affidato il comando unificato della campagna contro i Galli, poiché il suo collega era caduto malato.
    I romani condotti da Popilio, seppur ferito ad una spalla, ebbero la meglio sui Galli in virtù della loro superiore organizzazione militare. Per questo successo, Popilio ottenne il trionfo a Roma[4].
    « A questo incitamento, i Romani si levarono insieme e fecero indietreggiare i primi manipoli dei Galli. Poi, in formazioni a cuneo, irruppero nel centro dello schieramento. E i barbari, dispersi da quell'urto, privi com'erano di ordini precisi e di comandanti, mutarono direzione, verso i loro compagni »
    (Tito Livio, Ab Urbe condita, VII, 3, 24) //

    Wikipedia non riporta il punto citato da me, che era immediatamente prima, questo
    // "quid stas, miles?" inquit; "non cum Latino Sabinoque hoste res est, quem uictum armis socium ex hoste facias; in beluas strinximus ferrum //
    cioè (mia traduzione)
    " Perché esiti (stai fermo) soldato? - disse - la faccenda non è con il nemico latino o Sabino, che, vinto con le armi, da nemico lo faresti amico; abbiamo estratto il ferro contro belve //

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