giovedì 9 luglio 2015

VIOLENZA, DENARO E RELIGIONE





Un po' di logica, molto alla buona.


Non si uccide in nome di Dio”. Dopo ogni grosso attentato, cioè, più o meno ogni due, tre mesi, tutti ripetono questa filastrocca. Da Matteo Renzi a papa Francesco, dal capo dello stato all'ultimo utente di FB è un coro: “non si uccide in nome di Dio”. Quelli che dicono di uccidere in nome di Dio mentono, è chiaro, evidente, lapalissiano. Perché? Ma è semplice, mentono perché … “non si uccide in nome di Dio”. Semplice vero?

L'enunciato “non si uccide in nome di Dio” può essere inteso in due modi diversi. Può essere un enunciato normativo o descrittivo. Nel primo caso andrebbe meglio espresso con: “non si deve uccidere in nome di Dio” o “è male uccidere in nome di Dio”, nel secondo sarebbe più corretto sostituire al generico: “non si uccide in nome di Dio” il meno fuorviante: “nessuno uccide in nome di Dio”. Con un simile enunciato non si esprime un imperativo etico, si constata uno stato di cose: gli uomini non uccidono in nome di Dio, esattamente come non vivono senza respirare o non possono volare senza l'ausilio di mezzi meccanici.
Abili sofisti però lasciano indeterminata la forma dell'enunciato di cui stiamo parlando e costruiscono con questo allettanti sillogismi. Vediamoli un po'.
Prendiamo l'enunciato nella sua forma normativa e costruiamo con questo il
Sillogismo 1
Premessa maggiore: Non si deve uccidere in nome di Dio.
Premessa minore: Tizio uccide in nome di Dio.
Conclusione: Tizio ha violato l'imperativo etico che vieta di uccidere in nome di Dio.
Tutto a posto, niente da aggiungere.
Proviamo ora ad usare in un sillogismo il nostro enunciato nella sua forma descrittiva.
Sillogismo 2
Premessa maggiore: Non si uccide in nome di Dio (le cose stanno così e così: nessun uomo uccide in nome di Dio)
Premessa minore: Tizio uccide in nome di Dio
Conclusione: Tizio non è un uomo (oppure, se vogliamo essere formalmente meno rigorosi, Tizio mente quando dice di uccidere in nome di Dio)
Come l'uno anche il due è formalmente corretto, tanto che da esso astuti sofisti ricavano il
Sillogismo 3
Premessa maggiore: L'Islam è una religione di pace e amore
Premessa minore: I militanti dell'Isis odiano e fanno guerre
Conclusione: L'Isis non ha nulla a che fare con l'Islam.
Evviva! Evviva! La pace, il dialogo, l'amore sono salvi!!!

I sillogismi due e tre sono, come l'uno, formalmente corretti, ma, descrivono anche stati di cose veri? il problema sta tutto nelle premesse. Se è vero che nessun uomo uccide in nome di Dio allora è vero che, se Tizio afferma di assassinare Caio in nome di Dio, mente o non è un uomo, esattamente come è vero che, se l'Islam è una religione di pace e amore, allora l'Isis con l'Islam non ha nulla a che vedere Ma, sono vere le premesse? Il problemino sta tutto qui. Problemino non da poco.
In materia empirica le premesse di un sillogismo si ricavano dalla esperienza sensibile. “Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, quindi Socrate è mortale”, recita il più noto dei sillogismi. Ma, chi ci autorizza a dire che “tutti gli uomini sono mortali”? E' forse logicamente impossibile che tutti o alcuni uomini siano immortali? No, ovviamente, sono l'esperienza e l'inferenza induttiva a spingerci a ritenere mortali tutti gli uomini. Chi dice che “non si uccide in nome di Dio” o che “l'Islam è una religione di pace ed amore” ha quindi l'obbligo di esibire i fatti empirici che confermano la sua asserzione. Se non lo fa le sue sono semplici affermazioni apodittiche, mera espressione di desideri. Hanno lo stesso valore di verità di un pugno sbattuto sul tavolo.
Eppure è proprio questo confronto con i fatti ciò che gli occidentali politicamente corretti si rifiutano di fare. Invece di esibire i dati dell'esperienza che dovrebbero confermare l'affermazione secondo cui “l'Islam è una religione di pace ed amore” costoro privano di valore probatorio i dati che smentiscono tale affermazione.. precisamente perché la smentiscono! Non è più l'esperienza a conferire valore di verità alle affermazioni a priori, sono le affermazioni a priori a conferire valore di verità all'esperienza. L'Islam è una religione di pace, dicono, “quindi” se un islamico spara a casaccio sulla folla non è un vero islamico. Un po' come dire: “i leoni non sono carnivori, se un leone divora una gazzella non è un vero leone”. Logica davvero ineccepibile!

Un po' di storia, molto alla buona.

Una cosa va subito sottolineata. Coloro che annoiano mezzo mondo ripetendo la litania secondo cui l'Islam è una religione di pace, o non si uccide in nome di Dio, non si limitano spesso ad affermare che i terroristi sbagliano o interpretano male il loro credo. No, affermano che quelli con questo non hanno proprio nulla a che fare. Una cosa è l'Islam altra cosa il terrorismo, dicono. Fra una religione, qualunque essa sia, ed i crimini commessi in nome di Dio non esisterebbe nesso alcuno. Il deputato grillino Manlio di Stefano lo ha detto chiaramente: il terrorismo islamico non esiste. Molti hanno preso le distanze dalle sue affermazioni, ma queste hanno per lo meno il merito della coerenza: se davvero l'Islam è, nella sua interezza, una religione di pace come può esistere il terrorismo islamico? Più in generale, se davvero non si uccide in nome di Dio le innumerevoli guerre di religione che hanno insanguinato mezzo mondo, i massacri di eretici, i roghi, le torture diventano qualcosa di estraneo alla religione, la storia va riscritta.
La guerra dei 30 anni, le guerre di religione in Francia, l'editto di Nantes e la sua revoca, la strage degli Ugonotti, la sacra Inquisizione, il Torquemada che controlla sulla sincerità delle conversioni degli ebrei al cristianesimo, e ne fa bruciare un sacco; e poi le crociate l'espansione dell'Islam in Europa le battaglie di Poitiers e di Lepanto, l'assedio di Vienna del 1529, i massacri fra sciiti e sunniti, e quelli fra musulmani ed induisti, le guerre fra India e Pakistan... ingenuamente credevamo che tutto questo con la religione avesse qualcosa a che fare. Sbagliavamo. In nome di Dio non si uccide, mai. La violenza religiosa non esiste, non è mai esistita.
“Crociate, strage degli Ugonotti, inquisizione, roghi, davvero credete che la religione c'entri qualcosa in tutto questo?” domandano beffardi coloro che affermano che non si uccide in nome di Dio. “Siete ingenui”, proseguono, “dietro a roghi, inquisizioni e massacri per la religione c'è... il Dio denaro, svegliatevi ingenui!”

Si, il Dio denaro, come mai non ci avevamo pensato prima? Roghi inquisizioni, guerre massacri, tutta roba che riguarda non la religione ma il profitto, più semplice di così...
Però, la cosa appare un po' strana. Si, strana, perché non appena la borghesia diventa classe egemone ed il capitalismo si espande in Europa i massacri di questo tipo cessano o si riducono in maniera esponenziale. Nell'Inghilterra della rivoluzione industriale non si bruciano gli eretici sulla pubblica piazza, né si mandano le streghe al rogo nell'Italia post risorgimentale. E oggi nelle liberal democrazie affamate di profitto non si taglia la testa agli apostati ed ai bestemmiatori né si lapidano le adultere. Alla base di ogni crimine c'è il “Dio denaro”, però, stranamente, nei paesi in cui il “Dio denaro” domina incontrastato certi crimini non si commettono. Li si commette invece in quei paesi in cui la gente passa gran parte del suo tempo impegnata a pregare. Stranezze, coincidenze.
Sarcasmi a parte, eliminando la violenza religiosa dalla storia si trasforma la storia reale in un mistero metafisico. I fatti con la loro concretezza scompaiono e vengono sostituiti da fumose generalizzazioni che sfuggono ad ogni possibilità di controllo e verifica. Il “denaro” starebbe dietro alle guerre di religione in Francia, all'espansione dell'Islam in Europa o ai tribunali della Santa inquisizione. Peccato che il denaro circolasse anche nella Grecia antica e non abbia mai dato origine a fenomeni di questo genere.

Certo, il desiderio di denaro e ricchezza è una motivazione importante dell'agire umano e una spiegazione di molti eventi storici. Ma si tratta, appunto, di una delle motivazioni e delle spiegazioni. Farne l'unica, o sempre e comunque la più importante, o peggio, quella che riduce tutte le altre al ruolo di “mascherature” costituisce una mistificazione colossale. Una mistificazione che, fra le altre cose, rende incomprensibile la stessa storia della Chiesa.
Come tutti sanno (a parte forse il deputato grillino Manlio di Stefano) fra i suoi santi la Chiesa cattolica annovera Ignazio di Layola, Roberto Ballarmino e Tommaso d'Aquino. Ora, Ignazio di Layola fondò nel 1534 la compagnia di Gesù e ne divenne generale. E' noto quale sia stato il ruolo della compagnia di Gesù nella caccia a streghe, ebrei ed eretici. Roberto Ballarmino, educato dai gesuiti, è l'uomo che, sia pure di malavoglia, fece bruciare vivo Giordano Bruno e condannare Galileo. Tommaso d'Aquino non ha colpe di questo genere, ma non era certo contrario ad ogni forma di violenza religiosa. Scrive infatti l'aquinate sugli eretici:
“Alla Chiesa è presente la misericordia, che tende a convertire gli erranti. Essa perciò non condanna subito, ma "dopo la prima e la seconda ammonizione", come insegna l'Apostolo. Dopo di che, se l'eretico rimane ostinato, la Chiesa, disperando della sua conversione, provvede alla salvezza degli altri, separandolo da sé con la sentenza di scomunica; e finalmente lo abbandona al giudizio civile, o secolare, per toglierlo dal mondo con la morte.
Non è mia intenzione, ovviamente, emettere frettolose ed antistoriche condanne etiche contro personaggi come Tommaso o Ignazio. Quello che mi preme sottolineare è che questi santi ancora oggi celebrati dalla Chiesa, e la cui dottrina, nel caso di Tommaso, costituisce ancora la base della filosofia cristiana, teorizzano, o addirittura praticano, la violenza in nome di Dio. Si tratta di “falsi” cristiani? Ballardino era un finanziere travestito da cardinale? E Tommaso era un avido capitalista? Non scherziamo. Si riduca la violenza in nome di Dio a finzione o mascheratura e la stessa Chiesa, la sua storia, la sua dottrina diventano un enigma insolubile.

Sotto c'è sempre qualche complotto...

I terroristi islamici rendono la vita difficile agli occidentali politicamente corretti. Questi vorrebbero assolvere l'Islam da ogni addebito, ridurre i crimini che periodicamente insanguinano il mondo ad una serie di atti isolati, finanziati e resi possibili da chi mira solo al “Dio denaro”. I terroristi però sembrano divertirsi a mettere ostacoli all'azione disinteressata degli occidentali trasudanti “bontà”. I terroristi firmano i loro attentati, dicono chiaramente di aver di mira gli infedeli in quanto tali, di perseguire l'espansione dell'Islam.
Gli occidentali “buoni” parlano di “disagio sociale” e loro, i tagliagole, affermano chiaramente di non sentire alcun “disagio”, ma solo una gran rabbia contro il corrotto occidente. I “buoni” parlano di dialogo ed integrazione e loro, i terroristi, affermano a chiare lettere di non voler alcun dialogo ed alcuna integrazione, gli angioletti occidentali dicono che sotto al terrorismo agisce il “Dio denaro” e loro, i fondamentalisti assassini, gridano che dietro alle loro azioni c'è solo l'unico vero Dio, che di certo
non coincide col “Dio denaro”. I fondamentalisti assomigliano moltissimo ad un imputato che non vuole essere difeso ma rivendica orgogliosamente le sue azioni e si prende gioco del suo povero e volonteroso avvocato.
Il quale tuttavia non cessa i suoi sforzi. Apparentemente il suo compito è disperato. Come negare il legame fra Islam e fondamentalismo quando questo è affermato, gridato dagli interessati? Gridato, si badi bene, non da singoli individui o sparuti gruppi. No, gridato in alcune occasioni da grandi masse fanatizzate. Un giornale pubblica vignette sgradite e nel mondo islamico scendono in piazza a milioni, vengono assalite ambasciate, uccisi occidentali, bruciate chiese. Papa Benedetto avanza alcune critiche al concetto di guerra santa ed enormi folle urlano il loro sdegno. Dopo gli attentati dell'undici settembre a Gaza si sono festeggiati i tremila e passa morti americani. Si potrebbe continuare ma sono fatti abbastanza noti.
Ma loro, i volonterosi avvocati, non demordono. Hanno in mano un'ottima carta. Tutto sembra confermare che il terrorismo islamico esiste ed è proprio quello che è:
terrorismo islamico, ma le cose stanno diversamente. Oscuri personaggi tramano nell'ombra per far si che le cose appaiano in un certo modo mentre stanno in realtà in maniera completamente diversa. Certo che “confessano” i vari attentatori islamici: in realtà si tratta di agenti della Cia e del Mossad che vogliono diffondere nel mondo l'”islamofobia”. Gli attentati dell'undici settembre sono stati organizzati dalla Cia, lo sanno tutti. E, gli altri? Chissà, forse anche quelli... e se non basta la Cia c'è il Mossad, la finanza ebraica, il sionismo internazionale. E le folle urlanti? Le ambasciate prese d'assalto? Le chiese bruciate? Reazioni rabbiose alla cui base ci sono povertà e disagio e, naturalmente, l'azione sobillatrice dei soliti agenti della Cia e del Mossad. Chissà, forse nel mondo ci sono varie centinaia di milioni, forse un buon miliardo di agenti della Cia e del Mossad.
La teoria del complotto fornisce agli occidentali buoni la chiave che apre tutte le porte. A noi, poveri ingenui, sembra che ovunque nel mondo il fondamentalismo aggredisca, distrugga, massacri. Le cose stanno ben diversamente: dietro a stragi e devastazioni ci sono i diabolici congiurati, chiaro no?
Ovviamente i paranoici angioletti della bontà non esibiscono prova alcuna delle loro teorie farneticanti, ma, cosa conta? Lo sanno tutti: la mancanza di prove dimostra solo la diabolica abilità dei congiurati. Chi teorizza complotti ovunque ha sempre ragione, per definizione. Però, chi non crede alle paranoie dei “buoni” politicamente corretti potrebbe avanzare una piccolissima obiezione: chi ci assicura che non siano
loro, i “buoni”, i veri congiurati? Che non siano loro a complottare per destabilizzare, con le loro teorie, l'occidente? Se, come recitava il titolo di un testo complottista, “tutto ciò che sai è falso” come posso considerare vera l'affermazione secondo cui è falso tutto ciò che so? La logica non è il forte degli angeli della bontà.


Le “vere cause”

Le varie teorie del complotto sono in fondo la variante paranoica di quella che potremmo definire la teoria della “vere cause”. Dietro ai fenomeni, si dice, agiscono cause profonde che non possono, in linea di principio, essere a loro volta fenomenizzate. Tizio, per fare un esempio, uccide Caio perché lo ritiene un “infedele”. Tutta l'evidenza sensibile prova la natura religiosa dell'omicidio, ma questo non impensierisce il teorico delle “vere cause”. In realtà Tizio ha ucciso Caio perché vittima di un “disagio sociale”. Serve a poco ribattere che Tizio dichiara di non provare alcun disagio o invitare chi parla di “disagio” ad esibire qualche prova empiricamente constatabile. Queste prove, se fossero esibite, avrebbero a loro volta qualche misteriosa “vera causa” che le spiega e così via, all'infinito. Il teorico delle “vere cause” pretende che gli si creda sulla parola: la realtà sensibile, tutto ciò che è controllabile e verificabile, conta poco, ciò che davvero conta è l'essenza profonda del mondo, di cui solo lui è a conoscenza.
Le guerre di religione sono il campo in cui la fantasia del teorico delle “vere cause” si sbizzarrisce al massimo. “Voi parlate di crociate, di guerre fra cattolici e protestanti, fra sciiti e sunniti, ma siete degli inguaribili ingenui”, dice. “Dietro a crociate e guerre di religione stanno ben precisi interessi materiali, il denaro, il commercio, il profitto.
Quelle sono le cause vere di ciò che voi, ingenuamente, attribuite alla religione”. Quando parla di queste cose il teorico delle “vere cause” è a volte tanto magnanimo da argomentare ciò che afferma, si spinge fino ad esibire qualche evidenza empirica a sostegno delle sue affermazioni. “Le crociate hanno aperto la strada a scambi col vicino oriente”, esclama trionfante; anche ammesso che ce ne fosse bisogno, quale prova migliore del carattere economico delle guerre per il Santo Sepolcro?

In realtà ad essere un inguaribile ingenuo è proprio il teorico delle “vere cause”. Egli neppure si avvede che i suoi discorsi sono perfettamente reversibili. Si, perché se è fin troppo facile affermare che le “vere cause” di una guerra religiosa sono, ad esempio, economiche, è altrettanto facile affermare che le “vere cause” di una guerra chiaramente economica sono, “in realtà”, religiose. Le crociate, si dice, hanno aperto nuove vie di scambio, quindi non di guerre religiose ma commerciali si è trattato. Però si potrebbe anche dire che le crociate hanno portato prima ad un incremento poi ad un riflusso della cristianità quindi sono state guerre solo ed unicamente religiose. In realtà ogni guerra, e, più in generale, ogni evento importante, ha cause e conseguenze molteplici. Una guerra ha conseguenze in praticamente tutti campi della vita dei popoli: politici, sociali, religiosi, economici, culturali. Invece di analizzare queste conseguenze il teorico delle “vere cause” cosa fa? Ne prende una, la isola dalle altre, ne muta il segno e la fa diventare la causa “vera” dell'evento che la ha provocata. Una guerra di religione ha avuto, fra le altre, anche la conseguenza di un incremento dei traffici? L'incremento dei traffici, quindi il commercio, quindi il “Dio denaro”, è stata in realtà la causa vera dei quella guerra. Non
una della cause, la cui importanza va analizzata empiricamente nel suo rapporto con le altre, no, la causa unica, quella che riduce le altre al ruolo di “maschere ideologiche”.

I teorici delle “vere cause” fanno a volte una distinzione molto netta fra le motivazioni di una guerra diffuse a livello di massa, ad esempio il diffondersi di ideologie irrazionali o del fanatismo religioso, e le cause “autentiche”, quelle che motivano il comportamento dei leader. Le motivazioni religiose, e più in generale ideologiche, delle guerre, sostengono, servono solo da specchietto per le allodole: inducono i popoli a massacrarsi in nome della fede mentre i caporioni pensano solo a denaro e potere. Si tratta di una analisi sostanzialmente errata. Molto spesso sono i leader più che i popoli ad essere schiavi di lugubri ossessioni ideologiche o religiose: l'antisemitismo di Hitler era di certo più violento di quello della media dei tedeschi. Ma, prendiamo pure per buona una simile analisi, e allora? Anche se fosse vero che le motivazioni religiose sono solo una “specchietto per le allodole” occorrerebbe rispondere alla domanda: perché mai questo specchietto è
necessario? Potrebbe scoppiare un conflitto senza il coinvolgimento delle masse reso possibile da questo "specchietto"? Ammettiamo pure che i caporioni dell'Isis siano sotto sotto dei miscredenti assetati di denaro e che il richiamo all'Islam serva loro solo per fare adepti. Non è vero, ma anche se lo fosse, cosa cambierebbe? E' quel richiamo a rendere possibile l'esistenza stessa del califfato e della jhiad, è il fanatismo religioso a determinare i fini della guerra che l'Isis combatte, le sue caratteristiche, la sua forma. Che i caporioni dell'Isis o di Hammas di nascosto vadano a puttane, bevano alcool o mangino carne di maiale è del tutto secondario. Arafat aveva un tesoro ben celato in banche estere, ma questo non cambiava in nulla la natura della sua guerra ideologico religiosa contro Israele. Se, per incrementare il suo tesoro, Arafat avesse riconosciuto Gerusalemme quale capitale dello stato ebraico i suoi seguaci lo avrebbero fatto a pezzi. Pensare che si possano mobilitare le masse su obiettivi religiosi e poi condurre una guerra che con questi non ha relazione alcuna è una idiozia di dimensioni galattiche.

La teoria delle vere cause altro non è che una variante del marxiano materialismo storico. Variante assai rozza, tra l'altro. Perché mentre il materialismo storico di Marx si basa su una analisi approfondita, anche se discutibilissima, del modo di produzione capitalistico, la teoria odierna delle “vere cause” poggia su una sorta di criminalizzazione dei singoli capitalisti, o dei “caporioni", o dei politici corrotti. Il teorico delle “vere cause” vede dietro ad ogni evento rilevante le manovre delle multinazionali, gli intrighi dei politicanti, la brama di petrolio di questo o quel petroliere. Il valore conoscitivo delle sue chiacchiere non è superiore a quello di una telenovela.


Denaro, fine e/o mezzo


Tutti i discorsi di coloro che negano qualsiasi legame fra religione e violenza, e pretendono di ricondurre le guerre sempre e comunque al “Dio denaro”, si basano in fondo su una convinzione: esiste una motivazione unica o quanto meno assolutamente preponderante del comportamento umano e questa si identifica col desiderio di denaro e ricchezza. Ora, è certo che il desiderio di denaro e benessere materiale è una motivazione potente dell'agire umano.
Tutti o quasi gli esseri umani mirano ad una certa quantità di denaro e ad un certo livello di benessere, e per alcuni questa è la motivazione prevalente, a volte assolutamente prevalente, del loro comportamento. Non è vero però che questa sia la motivazione unica, o assolutamente prevalente, per TUTTI.
Considerare il desiderio di denaro e benessere materiale la motivazione assolutamente prioritaria, se non unica, del comportamento umano, costituisce un grossolano errore che è possibile verificare empiricamente, tuttavia si tratta di un errore abbastanza spiegabile, una sorta di illusione ottica causata dalla funzione stessa che il denaro ha nella vita sociale. Cerchiamo di spiegarci.
Anche se per molti il “far soldi” costituisce il fine prevalente della propria vita, Il denaro, a ben vedere le cose,
non è un fine, ma un semplice mezzo, e questa constatazione dovrebbe spegnere gli ardori di chi lo considera la motivazione unica dell'agire umano. Si tratta però di un mezzo assolutamente necessario alla realizzazione di una enorme quantità di fini. Il denaro serve ad assicurarci un certo benessere materiale, ma serve anche a tante cose che con l'incremento del benessere individuale hanno scarse relazioni. Il denaro serve all'egoista come all'altruista, a chi mira solo al benessere materiale come a chi intende dedicare la sua vita all'arte, o alla ricerca, o alla politica. Uno scienziato, un musicista, un pittore hanno bisogno di denaro, ne hanno bisogno non solo per mangiare, avere un tetto e vestirsi, ma anche per poter svolgere l'attività di scienziato, musicista e pittore. Chi contrappone il “vile” denaro alle “superiori” attività spirituali dimentica che lo “sterco del demonio” serve anche per queste superiori attività. I romani dicevano “homo sine pecunia imago mortis”, l'uomo senza denaro è l'immagine della morte. Molti hanno visto in questo detto la prova del volgare materialismo dei romani antichi, in realtà si tratta di una descrizione forse esagerata ma tutto sommato fedele della realtà.
Quasi tutte le attività umane sono collegate in un modo o nell'altro al denaro, questo è vero. Non è vero però che tutte o quasi le attività legate al denaro abbiano nel denaro stesso, e nel benessere che questo assicura, il loro fine
. Un artista deve avere una certa quantità di denaro per svolgere la sua attività artistica, ma non svolge questa attività per denaro, quantomeno, non solo per denaro. Anche un grande imprenditore, a pensarci bene, non investe il proprio capitale per far soldi ma fa soldi per aumentare il capitale da investire. Anche se sono a volte “ricchi da far schifo” molti imprenditori pensano assai più al peso ed all'importanza della propria azienda che al benessere privato che questa assicura loro. Tutti abbiamo bisogno di denaro ed in una certa misura questo è per noi anche un fine. Ma non è per tutti solo un fine. Per molti è anche, a volte soprattutto, un mezzo che serve per raggiungere fini che col mero incremento del benessere materiale hanno poco a che vedere.

C'è chi svolge certe attività per avere del denaro, c'è invece chi vuole avere del denaro per poter svolgere certe attività, la differenza fra questi diversi atteggiamenti è importante ma non viene sempre colta. Per venire al nostro tema, un fervente religioso ha, come tutti, bisogno di denaro, ma questo è per lui, in larga misura, solo uno strumento al servizio della sua fede Considerazioni analoghe possono essere fatte per chi crede in una certa ideologia politica. Pensare che Torquemada bruciasse gli eretici soprattutto per “far soldi” è fuorviante quanto credere che Hitler, Lenin o Mao abbiano preso il potere al fine di diventare ricchi. Alcuni dei crimini più spaventosi della storia sono stati commessi da persone scarsamente interessate all'ammontare del loro conto in banca, e che agivano in perfetta buona fede. La crudeltà disinteressata è un fenomeno spaventoso ma terribilmente reale.
Difficile da cogliere però, per chi è abituato a giudicare tutto in termini di dare ed avere. Così, se si sente dire sui media che, ad esempio, l'Isis mira ad impossessarsi di certi pozzi di petrolio c'è subito qualcuno che dice: “avete visto? Altro che religione! I militanti dell'Isis mirano allo sterco del demonio! La religione è solo un pretesto, una mascheratura”. Per lo sciocco i tagliagole fanno la jihad per i proventi del petrolio, come se non ci fossero mezzi meno dispendiosi per assicurarsi questi proventi. Neppure riesce ad immaginare, lo sciocco, che i tagliagole mirino al petrolio per finanziare la Jihad.



La religione motiva l'agire umano?


Anche se molti lo negano la religione è una motivazione molto potente dell'agire umano, come la fede politica o ideologica. La politica, specie nella forma di
politica ideologica è considerata da molti uomini non un semplice mezzo per raggiungere certi fini, ma un fine in se. Per il militante comunista il comunismo è buono in quanto tale. Non si vuole il comunismo perché questo garantisce maggior sviluppo economico ed un benessere più diffuso, lo si vuole perché l'uguaglianza comunista crea un tipo d'uomo del tutto nuovo, immune da quanto di gretto e meschino caratterizza gli esseri umani nella società “borghese”. Il comunismo è talmente poco un mezzo per conquistare un decente livello di benessere che la diffusione di questo benessere ha rappresentato storicamente un problema per i comunisti. Lenin ha sempre praticato coscientemente la politica del “tanto peggio tanto meglio”, e non a caso. Considerazioni simili possono farsi per il fascismo ed il nazismo, ovviamente. Il caso del liberalismo è diverso. Da un lato è vero che alcuni valori liberali (dignità della persona, valore del singolo, libertà personali) sono considerati fini in se, dall'altro è anche vero che il liberalismo non si vergogna di apparire, ed essere, anche un mezzo in grado di assicurare agli esseri umani buoni livelli di benessere materiale. Proprio per questo il liberalismo è accusato dai suoi critici di destra e di sinistra di gretto  materialismo. Per gli ideologhi di tutte le salse non porsi l'obbiettivo di una radicale trasfigurazione dell'uomo, limitarsi a rispettare gli esseri umani per ciò che sono ed operare per migliorare le loro condizioni di vita costituisce una sorta di peccato mortale.
La politica motiva le azioni umane, nel bene e nel male. Spinge ad atti di sublime eroismo come di mostruosa crudeltà. Questo vale, se possibile in misura ancora maggiore, per la religione. Come ed ancor più degli ideali politici i valori religiosi sono
fini in se, non semplici mezzi. Fini in se particolarmente importanti, perché la religione è legata alla componente più intima e profonda della natura umana, dà, o cerca di dare, risposte alle nostre domande più importanti. Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Ha un senso il nostro esistere? E quale?
Non si tratta di domande lontane dalla realtà della vita, sono domande che ognuno di noi si porta dentro, intrecciate alla quotidianità, al noioso tran tran di tutti i giorni. E quando un credente crede di aver trovate nella religione la risposta a tali domande questa influisce sul suo comportamento, a tutti i livelli.

Dietro a molte dichiarazioni di eminenti esponenti del clero cattolico sul “Dio denaro” causa di ogni bruttura del mondo c'è una evidente componente opportunistica. Accusando di tutto lo “sterco del demonio” ci si auto assolve da quanto di brutto hanno fatto le religioni, cattolica compresa, nel corso della storia. Ma si tratta di una auto assoluzione che ha gravi effetti sulla fede stessa. Perché, se l'unica motivazione umana è il desiderio di denaro e di potere che posto resta alla fede? Fa un certo effetto sentire fior di vescovi, o addirittura il santo padre, far proprie tesi che appaiono una riproposizione alquanto volgarizzata del materialismo storico marxiano. Né migliora le cose il fatto che si tratti di di un materialismo storico, per così dire, a corrente alternata, che addossa alla brama di potere e di denaro tutto ciò che di male esiste al mondo ed attribuisce alla fede ciò che invece esiste di bene. Se la fede è una motivazione potente delle azioni umane allora si
devono prendere sul serio tutti coloro che in nome della fede uccidono. Sarà una fede male interpretata, ma le cattive interpretazioni possono essere addotte a giustificazione di qualsiasi cosa spinga gli uomini ad agire: dal desiderio di benessere alla brama di assoluto.
Bisogna riconoscerlo, una volta per tutte. Come la fede politica, anche quella religiosa può indurre gli uomini tanto ad azioni sublimi quanto a comportamenti ignobili. La fede religiosa cerca di dare una risposta alla umana esigenza di assoluto, ma, proprio per questo, è sempre esposta ai rischi del dogmatismo fanatico e dell'intolleranza. Nell'Islam, vista la sua secolare incapacità di auto riformarsi, questi
non sono rischi, sono caratteristiche strutturali che non si vede come e se sia possibile estirpare, purtroppo.
E nulla ha conseguenza tanto gravi e distruttive quanto il dogmatismo intollerante. Pochi conflitti sono tanto difficili da risolvere come quelli basati sul fanatismo religioso. I proventi di un giacimento petrolifero si possono dividere, una città santa no; sulle clausole di un contratto commerciale si possono raggiungere compromessi, sui dogmi di fede a volte lo stesso termine “compromesso” appare blasfemo. Esistono forse particolari ricchezze a Gerusalemme? C'è del petrolio nello stato di Israele? Israele sorge su un lembo di terra desertica del tutto priva di ricchezze naturali. Ma è una stato ebraico circondato da milioni di musulmani fanatizzati che considerano un insulto la sua stessa presenza in una terra che è stata in passato islamica. Ecco perché quel piccolo stato è in guerra da 67 anni.


Per concludere, finalmente
.

Da qualsiasi punto di vista si considerino le cose la teoria di chi intende separare in maniera assoluta religione e violenza, attribuendo la seconda alla brama di denaro, appare insostenibile.
Non intendo dire, dovrebbe essere chiaro, che la fede religiosa debba inevitabilmente sfociare nella violenza, né mettere tutte le religioni sullo stesso piano. La violenza intollerante è un possibile esito del dogmatismo presente in ogni fede, ma non si tratta di un esito inevitabile, né impossibile da contrastare. Il cattolicesimo è stata per lungo tempo una religione profondamente intollerante e spesso anche violenta, ma ha saputo auto riformarsi, accettare le acquisizioni migliori della modernità o quanto meno convivere con esse; considerazioni simili possono farsi per altre religioni, non per l'Islam, purtroppo.
Ma se sarebbe del tutto errato equiparare religione e violenza, lo è ancora di più non vedere quanto, a volte, questa sia legata a quella. Lo è in particolare maniera oggi, di fronte all'offensiva violentissima del fondamentalismo islamico. Perché questo è in fondo il vero tema cruciale. Chi nega ogni possibile legame fra violenza e religione non mira ad altro, oggi, che ad assolvere il fondamentalismo islamico dalle sue numerosissime colpe. La causa di tutto è nella “sete di potere” e nella “brama di profitto”. Sono colpevoli i “mercanti di armi”, le “multinazionali”, la “finanza degenerata”, la “politica corrotta”, il “consumismo” e chi più ne ha più ne metta. In questa lunga ed impressionante serie di “colpevoli” qualcuno brilla per la sua assenza: il fondamentalismo islamico. Attentati suicidi, esseri umani sgozzati, bruciati vivi, crocifissi, impalati, annegati al grido di “Allah è grande”, donne lapidate, fustigate, infibulate, vendute come schiave sui pubblici mercati, gay gettati dalle torri, apostati e bestemmiatori decapitati, non ha davvero nulla a che vedere con una certa religione tutto questo? E' possibile attribuirlo al “consumismo materialistico”? Non esiste proprio alcuna differenza fra il frequentare un centro commerciale e farsi esplodere nello stesso?
Bisogna dirlo chiaramente, urlarlo: il materialismo storico da vulgata oggi diffuso in settori importanti della Chiesa cattolica e della pubblica opinione occidentale è un veleno per l'occidente, contribuisce a disarmarlo nel momento stesso in cui deve subire un attacco devastante da parte di un suo nemico mortale.
Contrastare questo materialismo storico da vulgata, lottare culturalmente contro l'ideologia terzomondista e pauperista che gli fa da sfondo non risponde solo ad elementari esigenze di ristabilimento della verità. E' oggi un fondamentale dovere politico, ed
etico.

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