venerdì 23 settembre 2016

SUL MONDIALISMO - 1) UNIVERSALISMO O MONDIALISMO?

L'universalismo è quella concezione tipicamente liberale e democratica secondo cui ognuno di noi vale soprattutto in quanto uomo, generico appartenente alla specie umana. Chi è universalista ritiene che esista, al di la di ogni differenza storica, sociale o culturale una razionalità universalmente umana, quella che ci permette di comprendere oggi, malgrado le enormi distanze spaziali, temporali e culturali, sia la filosofia di Aristotele che quella di Confucio. E ritiene che esistano alcuni fondamentali valori che riguardano le persone in quanto tali, indipendentemente dal loro sesso, dal colore della loro pelle o dalla loro collocazione sociale. L'universalismo ritiene che ogni essere umano abbia la sua dignità e che abbia diritto al rispetto, sempre, al di là di ogni sua particolarità.
L'universalismo è figlio dell'illuminismo, della democrazia e del liberalismo e si oppone con forza a tutte quelle filosofie politiche che mettono il particolare al primo posto, sia questo un particolare etnico o razziale, sessuale, culturale o sociale. E' quindi quanto meno strano che a difendere l'universalismo siano oggi molti di coloro che hanno simpatizzato in passato per concezioni politiche lontanissime da questo. Il comunismo innanzitutto. Il comunismo è universalista nel fine, ma colloca questo in un lontanissimo ed indeterminato futuro e mette al centro per intanto non l'uomo ma il membro di una certa classe sociale. L'uomo non esiste, esistono il borghese o il proletario, e non esistono valori umani, né una generica razionalità umana; meno che mai esistono un'etica ed una estetica umane. Il fine è universale, ma sarà una particolare classe sociale a realizzarlo. Come poi possa una classe particolare, mossa unicamente dai suoi particolari interessi di classe, realizzare un fine universale, e come possa quel fine universale esser riconosciuto come tale visto che mancano dei valori ed una razionalità genericamente umani che ci permettano di riconoscerlo, è e resta un mistero della dialettica marxiana.

Ma non è del mistero della dialettica marxiana che mi interessa ora discutere, ma di una mistificazione oggi estremamente di moda, creata e propagandata, guarda caso, proprio da coloro che fino a ieri erano i sacerdoti di quel mistero. Detto telegraficamente la mistificazione consiste in questo: si usa il concetto di universalismo per giustificare la politica delle porte aperte alla immigrazione senza limiti e controlli. Siamo tutti uomini, si dice, quindi ognuno di noi deve aprire benevolmente le braccia a tutti. Bianchi, neri o gialli, cristiani, buddisti o musulmani siamo tutti comunque persone, esseri umani. Perché allora innalzare muri, sorvegliare confini? Perché parlare di nazionalità, culture, civiltà? Siamo esseri umani ed ogni essere umano ha diritto di vivere dove crede, di spostarsi come e quando gli pare, e nessuno può limitare questo suo sacrosanto diritto. Il mondo è la casa di tutti. L'universalismo si trasforma in mondialismo, pretesa che il genere umano possa formare un'unica, indistinta comunità priva di barriere, vincoli o confini.
I mondialisti esaltano l'universalità fino ad eliminare, o a depotenziare rendendola irrilevante, la particolarità. Un errore speculare a quello commesso da chi mette il particolare al posto dell'universale. Non a caso questi errori, simili anche se contrapposti, sono spesso commessi dalle stesse persone.
L'universale ha in effetti enorme importanza, ma non esiste mai come "puro" universale. L'universale è sempre particolarizzato ed individualizzato. Non esiste l'astratta “persona”, esiste quella certa persona, col suo sesso, le sue peculiarità individuali, nata in un certo paese, in un determinato momento storico, all'interno di una determinata società, in una certa cultura, e civiltà. Si eliminino le caratteristiche individuali degli esseri umani, le loro particolarità storiche, sociali e culturali e non ci resta che una astrazione vuota, una idea platonica inafferrabile ed indefinibile. Lo aveva ben compreso Aristotele, per il quale l'universale, la “forma”, ha importanza decisiva, ma è sempre una forma indissolubilmente fusa con la materia, un universale che appare concretamente in una determinata particolarità ed individualità.

Lasciamo Platone ed Aristotele nell'Olimpo che loro compete. Non è del resto necessario scomodarli per rendersi conto della insostenibilità delle tesi mondialiste. L'universalismo sostiene, a ragione, che ogni essere umano ha la sua essenziale dignità, che tutti siamo tenuti a rispettare. Le persone valgono in quanto tali, quale che sia il loro sesso, il colore della loro pelle o la loro nazionalità. Da questo però non deriva che tutte le persone debbano dar vita ad un'unica, indistinta, comunità, priva di confini, che abbracci, come diceva il noto canto degli anarchici, “il mondo intero”. Io sono moralmente obbligato a rispettare tutti, non ad essere amico di tutti, meno che mai a dover convivere con tutti. Ho il dovere di rispettare la autonomia di ognuno, ma fa parte di questa autonomia la possibilità di sentirsi particolarmente legato ad alcuni esseri umani e non ad altri. Preferisco formare una comunità con persone di cui condivido idee, valori e modo di intendere la vita. Provo simpatia per certe persone e non per altre, rispetto tutte le donne, ma non cerco di trasformare ognuna di loro in mia moglie. E quello che vale per gli individui vale per le comunità, i popoli. Anzi, un popolo esiste proprio perché un certo numero di esseri umani riconosce che esistono fra loro legami storici, culturali, linguistici che non esistono invece con altri. Ci sono un popolo ed una nazione dove ci sono sentimenti unificanti che in qualche modo trasformano un indistinto insieme di uomini e donne in una comunità. Lingua, storia, attaccamento ad un certo territorio, tradizioni sono fattori che uniscono e nel contempo dividono. Uniscono chi fa parte di una certa comunità e dividono da chi non ne fa parte. Certo, non si tratta di una divisione assoluta, che possa cancellare l'importanza della nostra comune appartenenza al genere umano. Ma si tratta comunque di un diversità essenziale, che contribuisce a definire la identità di ognuno di noi.

Identità, una brutta parola, quasi un insulto per i mondialisti. Però un individuo, un popolo, una nazione sono tali solo se hanno la loro identità. Un essere umano privo di identità non è un essere umano, è al massimo un aggregato di funzioni vitali puramente animali. Un popolo ed una nazione non sono tali se mancano della loro identità, sono al massimo un insieme disorganico di individui, non uniti da nulla. E lo stesso dialogo, a partire dal famoso “dialogo interculturale” oggi tanto do moda, è impossibile se non esistono delle identità. Che dialogo può mai svilupparsi fra culture prive di caratteristiche, valori, identità? Che arricchimento reciproco può mai venire dall'incontro fra entità non identitarie, amorfe, prive di contenuto? Affinché un dialogo possa esistere devono esistere norme razionali universali, infra culturali, che permettano agli esseri umani di parlare e di comprendersi, ma devono esistere anche identità capaci di confrontarsi, ed eventualmente di trasformarsi nel confronto, proprio perché diverse, dotata ognuna delle proprie caratteristiche essenziali.
Proviamo ad immaginare un dialogo fra Aristotele e Confucio. I due grandi filosofi avrebbero potuto capirsi, una volta superati gli ostacoli linguistici? Sicuramente si perché entrambi condividevano una universale razionalità umana. Si sarebbero vicendevolmente trasformati nel corso del loro confronto? Forse si, non lo possiamo sapere, ma, almeno a livello teorico, la cosa appare possibile. Però, avrebbero potuto dialogare ed eventualmente cambiare alcuni dei loro punti di vista proprio perché quei punti di vista esistevano, ed esistono, proprio perché entrambi erano dotati della propria fortissima identità. Chi non ha identità, chi non è se stesso, non può dialogare, ne trasformarsi, né contribuire ad alcuna altrui trasformazione. E' un essere privo di forma, un contenitore vuoto. E ciò vale per i singoli come per i popoli, le culture, le civiltà.

Il mondialismo non è affatto la stessa cosa dell'universalismo. L'universalismo Si basa sul fatto che siamo persone oltre e prima di essere maschi o femmine, bianchi o neri, italiani o cinesi. Ma l'universalismo vive e si alimenta sulle insopprimibili diversità fra le persone. Diversità individuali, sociali, culturali. Permette agli esseri umani di conoscersi, dialogare, scambiarsi idee ed esperienze malgrado, o grazie, alle differenze di ogni tipo che li caratterizzano. Il mondialismo invece vorrebbe cancellare le differenze, ridurre tutto ad uno, costruire un'unica comunità mondiale che cancelli ogni caratteristica storica, culturale, sociale. L'antropologa Ida magli, di recente scomparsa, ha definito il mondialismo come il regno della non – forma. Una definizione estremamente azzeccata. Per il mondialista conta solo la generalità astratta, l'uomo in generale. Ma l'uomo in generale è l'uomo non formato perché l'uomo vive sempre come forma specifica, particolare, con il suo sesso, la sua storia, la civiltà in cui è inserito, le sue relazioni sociali, la sua cultura.
La cultura della non - forma, di cui il mondialismo è massima espressione, è del resto assai diffusa nell'occidente malato di oggi, nei più svariati ambiti della vita sociale.
Permea di se varie concezioni, oggi assai di moda, inerenti il sesso. La differenza sessuale non esiste, si dice con incredibile stupidità, o, se esiste, non ha rilevanza sociale alcuna. La differenza sessuale è ridotta a puro momento ludico nel gioco erotico. Si può far sesso da soli, a due fra uomo e donna, oppure fra uomo ed uomo, donna e donna, o a tre, a quattro o a quaranta. Il sesso è tutto lì, privo di rilevanza nella riproduzione della specie, di legami con il fisico e la psicologia di uomini e donne. Perde ogni valenza ontologica e con questa ogni ruolo nel definire la identità delle persone. Il sesso si sceglie, come si sceglie un prodotto in un centro commerciale.
Tutto è omogeneo, intercambiabile, legato ai gusti del momento. Ovunque domina la reductio ad unum, l'omissione della differenza. Gli esponenti più di spicco del radicalismo animalista hanno esteso questa eliminazione della differenza agli stessi rapporti fra mondo umano e mondo animale. Nulla di rilevante ci distingue da topi ed ippopotami che devono godere del nostro stesso status etico e giuridico. Ancora oltre si sono spinti i teorici della “ecologia profonda” che teorizzano l'eguaglianza di status etico fra tutti gli enti naturali, dall'uomo al sasso. Alla base di queste follie sta sempre l'omissione, o il “superamento”, della differenza, l'eliminazione della forma. Tutto è omogeneo perché tutto è privato delle sue particolarità e della sua individualità. Il mondo è un unicum, senza confini, barriere, muri di nessun tipo fra nessun tipo di ente. Follie...

Follie che raggiungono il loro apice quando si affronta il tema, per nulla solo teorico, dei rapporti fra le civiltà ed i processi migratori.
Che la abolizione della differenza significhi prima di ogni altra cosa equiparare tutte le culture e tutte le civiltà è cosa sin troppo ovvia. E può esser fatta risalire abbastanza indietro nel tempo, ad un'epoca in cui il mondialismo, almeno nelle sue forme spinte di oggi, non era ancora di moda. Risale alle teorizzazioni sulla non superiorità di ogni cultura nei confronti di ogni altra, al famoso contadino la cui conoscenza della natura non è inferiore ma solo diversa da quella del fisico atomico. Ed è ancora ovvio che ridurre il mondo ad un'unica, indistinta, comunità equivale ad accettare ogni spostamento di popolazioni da una parte all'altra del globo, quali che siano le sue dimensioni. Tutte le culture sono equivalenti, si dice; soprattutto non esistono culture che possono esser definite “migliori” di altre dal punto di vista etico. In un paese una donna può divorziare, in un altro viene ripudiata dal marito, le due situazioni sono moralmente sullo stesso piano; perché allora lo spostamento di una massa enorme di persone che trovano “normale” il ripudio delle mogli, o la lapidazione delle adultere, dovrebbe creare problemi in un paese in cui invece una moglie può divorziare e chiedere alimenti ed affidamento dei figli?
Io, occidentale dei giorni nostri, posso frequentare un dojo di karate, pranzare in un ristorante cinese e cenare in uno indiano, frequentare un corso di yoga o leggere “La regola celeste” di Lao Tzu. Tutto questo non mi crea problema alcuno, anzi, costituisce una fonte preziosa di arricchimento culturale. Perché mai allora, si chiede qualcuno, dovrebbe crearmi problemi vivere fianco a fianco con il signor Alì, la cui la moglie indossa il burka? Il signor Alì è convintissimo che mia moglie sia una “puttana” perché esce in minigonna, ma perché questo dovrebbe essere un problema? Mia moglie e quella in burka del signor Alì possono benissimo andare insieme a fare shopping in un centro commerciale mentre il signor Alì amplia i miei orizzonti culturali spiegandomi la tecnica della lapidazione. Tutto è semplice, facile, cristallino.
Si sostituiscano sogni grondanti melassa alla realtà e si monda la realtà da ogni problema. Peccato che i sogni non durino in eterno.

I sogni spesso diventano incubi, e questo vale anche per il sogno mondialista. Sono sotto gli occhi di tutti gli aspetti più traumatici e sanguinari di questo incubo, se ne è molto parlato e non val la pena di tornarci in questa sede. Vorrei solo accennare ad un aspetto spesso trascurato del mondialismo: la sua incompatibilità sostanziale con la democrazia, soprattutto con la democrazia liberale.
Il perché di una simile incompatibilità è piuttosto evidente: non può esistere una democrazia senza che esistano alcuni importanti valori comuni che tengano uniti gli individui e le forse sociali che formano la comunità democratica. Affinché esista una democrazia tutti o la stragrande maggioranza degli interessati devono, come minimo, accettare le regole democratiche. Se qualcuno ha delle riserve mentali, se partecipa alle elezioni pronto a cercare di ribaltare con la forza un risultato elettorale sfavorevole, o a cercare di usare l'eventuale vittoria per distruggere gli oppositori, la democrazia non può esistere. In realtà i valori alla base di una democrazia vanno assai oltre questo “minimo”. Nella democrazia governa chi riscuote la maggioranza dei consensi, ma chi accetta di partecipare a questo “gioco”? E perché lo accetta? Perché un italiano non partecipa al gioco democratico con un francese o un australiano? Perché certi si uniscono per prendere, democraticamente, decisioni in comune ed altri si trovano a far parte di diverse unioni? Dietro ad una comunità democratica non stanno solo alcuni valori forti, sta una tradizione, una storia, l'attaccamento ad un territorio, una lingua. E' su questa base che le persone stanno insieme e deliberano in maniera democratica, e si rispettano come individui e come gruppi. Ora, il mondialismo distrugge questa base, pretende di unire individui e gruppi senza che esistano fra questi autentiche tradizioni comuni. Non una comune storia, non il comune attaccamento ad una terra, non una lingua, non una religione. Persone tanto estranee fra loro non possono dar vita ad una comunità democratica. Non possono farlo perché sono una non – comunità. E una non – comunità, non può essere democratica. La democrazia di una non – comunità non può che degenerare: diventa guerra fra gruppi faziosi, o tirannia della maggioranza, quando per caso una maggioranza si forma, o degrada in dittatura, addirittura in tirannide. Per questo le varie istituzioni sovranazionali ispirate al mondialismo sono profondamente non democratiche. Mostri burocratici che cercano di imporre a popoli riluttanti quella unità che non può scaturire da un autentico processo democratico. Una unità fasulla, burocratica, che si traduce in norme assurde, spesso ridicole, molto spesso anti economiche, quasi sempre liberticide. La UE è un esempio da manuale di questa tendenza, ma lo sono anche l'ONU e le sue varie organizzazioni.

La “democrazia” mondialista è quindi, nel migliore dei casi, una democrazia fasulla. Ma è fasullo, va detto per concludere, il mondialismo stesso. Il mondialismo è fasullo perché è fasulla l'idea di una comunità fra chi non ha in comune nulla se non l'appartenenza al genere umano. Questa appartenenza, val la pena di ripeterlo, ha un enorme valore, ma può fondare l'universalismo, non il mondialismo. Ed è fasullo, il mondialismo, nei fatti. Si, perché i fatti stanno li a dimostrare che la presunta “comunità democratica sovranazionale” che i processi migratori dovrebbero contribuire a costruire non esiste. Il risultato di questi processi non è una armoniosa comunità sovra nazionale, ma la crisi di certe comunità, la sostituzione di certi popoli con altri. Soprattutto questi processi stanno mettendo in crisi, forse distruggendo, quella civiltà al cui interno è nata l'idea stessa di universalismo democratico e liberale. Al suo posto avanza un diverso tipo di civiltà, una comunità retta da principi diversi: la teocrazia, l'intolleranza, il ripudio del laicismo in tutte le sue forme. Il mondialismo è irrealizzabile, almeno per tutto il futuro prevedibile. Ad essere sinistramente realizzabile è invece l'egemonia mondiale del fondamentalismo islamico. Ma di questo sono in moltissimi a non VOLERSI accorgere.

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