martedì 6 agosto 2013

NIETZSCHE E LA MODERNITA'



Le reazioni della filosofia alla modernità ed alla crisi dei valori tradizionali che questa ha provocato sono state svariate. C’è chi ha accettato la modernità e la società aperta di cui essa è il correlato, rendendosi conto tuttavia di quanto fossero, e siano, reali i problemi che la sua vittoria ha creato. La reazione di gran lunga prevalente però è stata negativa. Il pensiero filosofico ha reagito alla perdita di centralità dell’uomo indotta dalla modernità cercando, molto semplicemente, di restaurare quella centralità. Che tale tentativo si sia concretizzato in un sistema che sostanzialmente giustifica l’esistente come quello di Hegel o in uno, quello di Marx, che colloca nel futuro la palingenesi globale del mondo e dell’uomo non ha poi, dal punto di vista strettamente speculativo, una importanza eccessiva. Tramite le filosofie della totalità l’assoluto rientra nel mondo e nella storia, l’uomo torna ad essere il protagonista di un disegno provvidenzialistico che gli restituisce, o gli restituirà, quel ruolo centrale che la rivoluzione scientifica gli aveva tolto; lo smembramento atomistico della società viene superato: la società torna, o tornerà, ad essere qualcosa di radicalmente diverso e superiore rispetto ai suoi membri, i comuni esseri umani.
Esiste un pensatore però che da un lato accetta senza riserve la sfida della modernità, anzi, considera positiva la crisi dei valori “sacri” che la modernità ha determinato. D’altro lato rifiuta decisamente tutte le “idee moderne”, tutti i valori di libertà, democrazia, eguaglianza, di cui la modernità si è fatta portatrice. Si tratta, com’è evidente, di Friedrich Nietzsche.

“Dio è morto” afferma Nietzsche e questa affermazione segna per il grande filosofo l’entrata nell’arena della storia dell’occidente del più inquietante degli ospiti: il nichilismo. “Dov’è Dio? Voglio dirvelo! Noi l’abbiamo ucciso, voi e io! Noi tutti siamo i suoi assassini! Ma come abbiamo potuto farlo? Come abbiamo potuto bere tutto il mare? Chi ci ha dato la spugna per poter cancellare via l’intero orizzonte? Quale atto abbiamo compiuto per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Per dove si muove ora la terra? Per dove ci muoviamo noi? Non continuiamo a precipitare? E all’indietro, e di lato e per tutti i lati? C’è ancora un sopra e un sotto? Non andiamo errando come per un nulla infinito? Non alita su di noi lo spazio vuoto?” (1) Dio è morto, tutti i valori sono crollati. Siamo entrati nell’epoca del nichilismo. Cos’è il nichilismo? E’ la perdita di senso e di valore. “Cosa significa nichilismo?” si chiede Nietzsche in “la volontà di potenza” e risponde: “Significa che i valori supremi si svalutano. Manca uno scopo, manca una risposta al: perché?” (2)
Per secoli l’uomo ha pensato di essere il centro dell’universo, le sue azioni erano sanzionate come buone o cattive da una legge morale avente fondamento divino, è vissuto in comunità semi organiche in cui il posto di ognuno era sanzionato dalla autorità indiscutibile della tradizione. La rivoluzione scientifica e gli sviluppi successivi delle scienze da un lato, l’affermazione della società aperta di mercato dall’altro hanno messo in crisi questo insieme di certezze, opprimenti forse ma senza dubbio consolatorie. La crisi di queste certezze lascia letteralmente privo di punti di riferimento l’uomo. Quando Nietzsche, nel brano sopra citato si chiede se esistono ancora un sopra ed un sotto ha, letteralmente, ragione. La rivoluzione astronomica ha cancellato dall’universo il sopra ed il sotto e l’affermarsi della società individualistica di mercato ha cancellato il sopra ed il sotto dalla società. L’uomo deve fare da sé; in una società radicalmente desacralizzata avanza a tentoni privo di bussole e punti di riferimento. Soprattutto è ormai privo del più importante punto di riferimento, della fonte stessa del valore e della verità: il trascendente. Se Dio è la fonte suprema del bene, della verità e del senso la sua morte priva il mondo del senso, della verità e del bene. Irrimediabilmente.

Ma in Nietzsche non c’è alcun rimpianto di ciò che è crollato. Egli non cerca di reintrodurre nel mondo gli idoli che sono caduti, di restaurare in qualche modo i vecchi valori. Nietzsche non ama la modernità, ma non la ama per ragioni diametralmente opposte a quelle dei suoi critici romantici e/o rivoluzionari. Non protesta, come Tolstoi, contro le conquiste della tecnica in nome di vetusti valori che queste hanno espulso dal mondo. Per Nietzsche il crollo dei valori apre le porte al nichilismo ma questo è un fatto inevitabile, lo è perché quegli stessi valori erano nella loro essenza nichilisti, nichilisti contro la vita. Per secoli presunte verità, religione, morale hanno impedito la spontanea e rigogliosa affermazione della vita. La vita è ribollire di forze primordiali, dionisiaca ebbrezza creativa, passione istintuale, volontà di potenza. In Nietzsche come in Schopenhauer la vita è qualcosa di essenzialmente non razionale, non comprimibile in concetti, non incanalabile in un sistema di imperativi morali. Fu Socrate colui che per primo cercò di mettere la conoscenza razionale sopra la vita e per questo peccò contro la vita, cercò di comprimerla, di soffocarla sotto il peso schiacciante di una ragione scettica ed indagatrice. “Laddove in tutti gli uomini produttivi l’istinto è una forza creativo affermativa e la coscienza si rivela critica e dissuadente, in Socrate invece il critico è l’istinto e il creatore è la coscienza: una vera mostruosità per defectum. E invero noi avvertiamo qui un mostruoso defectus di ogni disposizione mistica sicché Socrate sarebbe da definire come lo specifico non mistico, nel quale la natura logica è, per superfetazione, tanto eccessivamente sviluppata quanto è nel mistico la sapienza istintiva. (..) Codesto istinto logico (…) mostra una veemenza naturale, quale la incontriamo, con nostro stupore e raccapriccio, solo nelle massime forze dell’istinto” (3). La ragione socratica si ritiene superiore a tutto, più forte della vita, che cerca di rendere intellegibile, e più forte della stessa morte. “l’immagine del Socrate morente, come un blasone dell’uomo che la conoscenza delle cause libera dal timore della morte, è sospesa sulla porta d’entrata della scienza, e ne ricorda a ognuno l’ufficio, che è quello, cioè, di far apparire intellegibile e quindi giustificata l’esistenza” (4). La pretesa socratica però è illusoria e non si tratta di una illusione priva di conseguenze. L’invadente ragione socratica crea un altro mondo accanto e contro il mondo terreno, un mondo “ideale” che impedisce lo spontaneo sviluppo del mondo autentico. Altri mondi fittizi sorgeranno sulla via aperta da Socrate; le religioni, prima fra tutte il cristianesimo, porranno, accanto e contro il mondo terreno altri mondi “più veri”, la morale cercherà di ingabbiare il rigoglioso scorrere della vita in un sistema opprimente di regole e proibizioni: “in quanto crediamo alla morale condanniamo l’esistenza” (5) afferma Nietzsche in “la volontà di potenza” e questa massima lapidaria esprime molto bene il nocciolo del suo pensiero. Le morali, ed in particolare la morale cristiana, altro non esprimono se non il risentimento del gregge, dei malriusciti, degli scarti della natura e della vita pieni di risentimento contro i migliori. “Il cristianesimo ha preso le parti di tutto quanto è debole, abbietto, malriuscito; della contraddizione contro gli istinti di conservazione della vita forte ha fatto un ideale; ha guastato perfino la ragione delle nature intellettualmente più forti insegnando a sentire i supremi valori dell’intellettualità come peccaminosi, come fonti di traviamento, come tentazioni” (6). La morale altro non è che la volontà di potenza di coloro che non riuscendo ad affermarsi cercano di imporre ai migliori vincoli e barriere travestendole da imperativi etici. In questo la morale è il sintomo più evidente della “decadence”, cioè del progressivo traviamento della vita.
Nietzsche dunque condanna come nichilisti quei valori e quegli ideali il cui crollo ha determinato l’insorgere del nichilismo. Il crollo di quegli ideali e di quei valori ha distrutto solo un mondo spettrale, un insieme di catene che impedivano il pieno dispiegarsi dell’esistenza. Eppure l’uomo sente vuoto il mondo senza quegli spettri e quelle catene, privo di valori egli vaga ora in un nulla infinito. L’uomo, l’uomo di oggi, non è in grado di accettare il nichilismo, di vivere gioiosamente in un mondo senza Dio e valori supremi. Nietzsche irride questi timori: l’immagine di un mondo ridotto a cieca forza vitale fa orrore a Schopenhauer, per Nietzsche invece dobbiamo accettare questo mondo, accettarlo pieni di ottimismo e gioia, dobbiamo esercitare in esso, in esso ed in nessun altro, la nostra volontà di potenza, anzi, accettare un mondo simile significa già esprimere la propria volontà di potenza. Il superuomo si afferma dopo la morte di Dio e proprio questo dobbiamo proporci per Nietzsche: superare l’abisso che separa l’uomo dal super uomo, diventare super uomini.

E’ possibile allora interpretare Nietzsche come un sostenitore della modernità? Nietzsche potrebbe forse dolersi per la desacralizzazione del mondo? I valori assoluti che la modernità ha fatto crollare non sono in fondo gli stessi che Nietzsche condanna senza mezzi termini? E’ vero, la modernità è pervasa di spirito illuminista mentre Nietzsche sottopone ad una critica serrata la pretesa razionalistica di spiegare tutto, ma, in primo luogo, Nietzsche non è contrario alla scienza ma solo alle sue assolutizzazioni, in secondo luogo nella stessa modernità sono presenti posizioni scettiche e anti sistematiche non troppo distanti in fondo da quelle di Nietzsche. Eppure sarebbe un errore radicale pretendere di trasformare Nietzsche in un sostenitore della modernità, lo sarebbe per una ragione assai più importante dell’atteggiamento critico del grande filosofo nei confronti della scienza. In realtà Nietzsche detesta la modernità perché vede nell’affermarsi delle idee moderne la più piena attuazione della morale del gregge. La moderna società di massa, liberale, democratica, venata di socialismo rappresenta per Nietzsche il trionfo del risentimento sociale, la attuazione più totale e ripugnante di quegli ideali di pietà e compassione che sono propri del cristianesimo e che gli fanno letteralmente orrore.
In “così parlò Zarathustra” Nietzsche racconta dell’incontro fra Zarathustra e due re in fuga dai loro regni. Ecco cosa dicono i re fuggiaschi al profeta solitario: “Meglio in verità vivere fra eremiti e caprai che non con la nostra plebe dorata, falsa, imbellettata, sebbene si chiami buona società. Sebbene si chiami “nobiltà”. In essa tutto è falso e marcio, e innanzitutto il sangue, grazie ad antiche e brutte malattie e rappresentanti dell’arte medica ancora peggiori delle malattie (..) E’ questo schifo che mi soffoca, che anche noi re siamo diventati falsi, ci siamo travestiti e paludati nell’antica e ingiallita pompa dei padri, medaglioni per i più stupidi e i più furbi e per chiunque eserciti traffici col potere!” (7). La crisi delle vecchie società fondate sul censo e il trionfo della società individualistica di mercato permettono alle masse di abbandonare la posizione subordinata in cui per secoli erano state relegate e di diventare in qualche modo il centro della società. Anche i migliori ora devono adulare i mediocri, gli stessi re devono inchinarsi di fronte al popolo, l’uomo comune è diventato il centro di tutto, il gregge sovrano. Ne “La volontà di potenza” Nietzsche esprime concetti assai simili, con buona pace di chi considera quest’opera una sorta di mistificazione postuma della sorella del filosofo. “Il guazzabuglio sociale, conseguenza della rivoluzione, dell’aver instaurato l’uguaglianza dei diritti, della superstiziosa credenza nella uguaglianza degli uomini. I portatori degli istinti di decadenza (del risentimento, del malcontento, degli impulsi distruttivi dell’anarchia e del nichilismo) compresi gli istinti servili, della viltà, del’astuzia e della canaglieria propri degli strati sociali tenuti a lungo in soggezione, si mescolano al sangue di tutti i ceti: dopo due, tre generazioni la razza è diventata irriconoscibile, tutto è diventato plebe. Ne risulta un istinto collettivo ostile alla selezione, ai privilegi di ogni genere, così forte, sicuro, duro, crudele che ben presto gli si sottomettono persino i privilegiati: chi vuole conservare il potere adula la plebe, deve avere la plebe dalla sua parte (…) l’ascesa della plebe significa ancora una volta l’ascesa dei vecchi valori” (8).
Nelle società organiche e censitarie la plebe stava al suo posto. La crisi di quelle società trasforma i plebei in cittadini ma in questo modo i plebei diffondono nella società tutta i germi della “decadence”. I critici rivoluzionari o reazionari della modernità avevano protestato contro la miseria che accompagna il sorgere della società di mercato, avevano denunciato il senso di sradicamento che accompagna la nascita ed il primo sviluppo del capitalismo. Anche coloro che accettavano (e accettano) la modernità e la società aperta avevano considerato gravi e reali i problemi che sorgono dal disgregarsi delle vecchie comunità organiche e semi organiche. Miseria, senso di sradicamento, emarginazione politica e sociale erano apparsi a molti caratteristiche ineliminabili delle società aperte di mercato, altri avevano considerato questi fenomeni gravi ma risolvibili problemi che accompagnano il loro sviluppo. Nietzsche ribalta completamente queste posizioni. Con incredibile anticipo sui tempi individua la caratteristica di fondo delle società aperte di mercato. Ben lungi dal fondarsi sulla miseria e l’emarginazione economica, politica e sociale delle masse le società aperte sono le prime autentiche società di massa della storia. L’economia è finalizzata sempre più al consumo di massa, la politica eleva a rango di nuova regina la pubblica opinione: inchieste di mercato e sondaggi d’opinione accompagnano tutte le fasi della vita politica ed economica delle società aperte. Con sguardo davvero d’aquila Nietzsche comprende alla perfezione che miseria, emarginazione, sradicamento sono fenomeni reali ma tutto sommato transitori della nuova società mentre il coinvolgimento pieno delle masse nella vita sociale politica ed economica ne costituisce la caratteristica essenziale. In qualche modo su questo tema si può paragonare Nietzsche a Von Mises, il grande economista austriaco che mostra con molta chiarezza come la produzione nel capitalismo sviluppato abbia come principale referente le classi popolari. Solo, ciò che per Von Mises è un fenomeno positivo fa letteralmente orrore a Nietzsche. Nietzsche ignora completamente l’enorme valore liberatorio dell’ingresso di milioni di esseri umani nel circuito della decisione politica, della produzione e del consumo. Nella società di massa egli vede unicamente imbarbarimento dei costumi, trionfo del risentimento sociale, volgarizzazione della società. L’uomo che accetta un nichilismo attivo e virile, che accetta di vivere in un mondo senza valori deve lottare per il ritorno di una società aristocratica, contro i valori moderni. “E’ necessario che gli uomini superiori dichiarino guerra alla massa! Non c’è luogo in cui i mediocri non si radunino per diventare padroni! Tutto ciò che rammollisce, addolcisce, valorizza il popolo o il femminino agisce a favore del suffrage universel, ossia del dominio degli uomini inferiori” (9). Anche se simili affermazioni possono apparire oggi quasi intollerabili esiste un fondo di verità in queste posizioni di Nietzsche. Che la società di massa sia costantemente esposta ai vizi dell’involgarimento e del conformismo che soffoca le individualità è vero. Lo hanno riconosciuto pensatori liberali come Tocqueville e Ortega y Gasset. Ma individuare i pericoli ed i problemi di una certa società è cosa ben diversa dal liquidare quanto di buono, ed è molto, questa società ha prodotto e produce. Il pensiero di Nietzsche però non è affatto attento a questo tipo di distinguo. Il filosofo tedesco li avrebbe con tutta probabilità considerati manifestazioni di spirito filisteo.

Il rapporto di Nietzsche con la modernità è complesso. La modernità secolarizza il mondo, mette in crisi relazioni sociali consolidate da secoli, contribuisce potentemente alla morte di Dio ed al crollo dei valori supremi; in questo senso la modernità è l’araldo del nichilismo. Ma i valori che la modernità mette in crisi sono a loro volta nichilisti, nichilisti nel senso peggiore del termine, nichilisti contro la vita. In questo può forse intravedersi un giudizio positivo di Nietzsche sul ruolo della modernità, ma questo cauto giudizio positivo, se esiste, non porta il filosofo tedesco ad avvicinarsi in nessun modo al moderno. Non può farlo perché il moderno rappresenta per lui la più piena e intollerabile affermazione dei valori della “decadence”, cioè, di nuovo, di quanto di più nichilista, nichilista contro la vita, si possa immaginare. Il moderno secolarizza il mondo ma esalta l’umanità, mette in crisi modelli organici di società solo per creare una società democratico individualista pervasa e dominata dai valori della plebe. L’atomismo liberale rappresenta per Nietzsche il più pericoloso veicolo per la diffusione della mentalità plebea, dei valori plebei, della morale degli ultimi e dei malriusciti. L’unica alternativa possibile alla morte di Dio non è il ritorno ai vecchi valori. Nietzsche non contrappone al moderno la mielosa riproposizione di idilliache società pastorali pervase di bontà e solidarietà. Non contrappone alla vita come potenza la vita come amore, non critica l’aristocrazia del denaro perché aristocratica ma perché plebea, legata mani e piedi alle esigenze del gregge. Nell’era della morte di Dio bisogna contrapporre al nichilismo contro la vita il nichilismo della vita, ma solo un nuovo tipo umano può farsi sostenitore di questo nichilismo positivo: “deve venire alla luce una specie più forte, un tipo superiore le cui condizioni di nascita e di conservazione siano diverse da quelle dell’uomo medio. Il mio concetto, il mio simbolo per questo tipo è, come si sa, la parola superuomo (…) quest’uomo ha bisogno che gli sia ostile la massa, i livellati, ha bisogno di sentirsene distante: sta sopra di loro, vive di loro” (10). L’uomo di oggi non può vivere nel mondo privo di valori, non può accettare sino in fondo la ferrea logica della vita come volontà di potenza. “L’uomo è una corda” afferma Zarathustra “annodata tra l’animale e il superuomo, una corda tesa sopra l’abisso” (11).
E così l’alternativa di Nietzsche alla modernità si sostanzia nella proposta di una società brutalmente gerarchica, spietata con gli ultimi, lontanissima dagli ideali liberali, democratici e socialdemocratici di cui il moderno è pervaso. Una società gerarchica assai più che aristocratica, questo punto è essenziale per intendere bene il pensiero di Nietzsche. Perché gli aristocratici veri, i migliori, possono davvero affermarsi solo su una base di uguaglianza. Non esiste vero merito, autentica considerazione per i migliori senza una buona dose di uguaglianza diffusa. L’atleta migliore può essere considerato tale solo se batte i suoi avversari in una competizione giocata secondo regole uguali per tutti. Il grande imprenditore può affermarsi nella sfida concorrenziale solo se in questa tutti sono sottoposti alle stesse leggi, il grande artista, il genio possono veder riconosciuto il loro talento solo se esiste ed è garantita a tutti la libertà di pensiero ed espressione artistica. Senza base di uguaglianza non esiste competizione, concorrenza, scambio e scontro di idee, esiste solo lotta senza esclusione di colpi in cui a vincere non sono necessariamente i migliori. Ma è questo probabilmente il fondo del pensiero di Nietzsche. Migliore è ciò che la vita afferma essere tale e la vita è forza cieca, impulso non regolato da legge e regola alcuna, pura, fredda volontà, volontà di potenza (non a caso Nietzsche deve tanto a Schopenhauer). E’ questa fredda essenza del mondo che il superuomo deve accettare, senza riserve né piagnistei morali. Sarebbe ingeneroso oltre che stupido instaurare frettolosi parallelismi fra Nietzsche ed il nazismo. Tra l’altro Nietzsche, oltre a non essere per niente antisemita, detestava lo stato. Il grande filosofo era del tutto esente da quella venerazione superstiziosa per lo stato che pervade invece la filosofia di Hegel.Tuttavia non è possibile non intravedere luci sinistre dietro a molte affermazioni di Nietzsche, affermazioni che, si è cercato modestamente di dimostrarlo, non contrastano con l’essenza del suo pensiero. Per Nietzsche, come per molti altri grandi pensatori, si pensi a Marx, vale il detto che i grandi uomini commettono grandi errori. Grandi e gravidi di tragiche e devastanti conseguenze. Purtroppo.































Note

1) F. Nietzsche: La gaia scienza. Citato: in Giovanni reale Dario Antiseri: Storia della filosofia. Bompiani 2008 pag. 52 53.

2) F: Nietzsche: La volontà di potenza. Bompiani 1996 pag. 9.

3) F. Nietzsche: La nascita della tragedia. Edizioni del “sole 24 ore” 2007 pag. 358-359

4) Ibidem pag. 366

5) F. Nietzsche: La volontà di potenza. Bompiani 1996 pag. 10

6) F. Nietzsche: L’anticristo. Citato in Reale-Antiseri op. cit. pag. 37

7) F. Nietzsche: Così parlo Zarathustra Rizzoli 1997 pag. 225

8) F. Nietzsche: la volontà di potenza. Bompiani 1996 pag. 473. Sottolineature di N.

9) Ibidem pag. 470. Sottolineature di N.

10) Ibidem pag. 476

11) F: Nietzsche: Così parlò Zarathustra. Rizzoli 1997 pag. 12



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