domenica 7 febbraio 2016

LA NATURA DIVINIZZATA E NEGATA

L'atteggiamento prevalente in occidente nei confronti della natura è semplicemente schizofrenico.
Da un lato la natura è divinizzata. A sentire certi discorsi si avrebbe la sensazione di riascoltare vecchie speculazioni panteistiche, se non fosse per l'abisso che separa, ad esempio, la filosofia di un Bruno o di uno Spinoza dalle sciocchezze che tanti presunti intellettuali si divertono a sparare in qualche talk show televisivo. La natura è la nostra buona madre, una sorta di benigna divinità che si prende amorevolmente cura di noi. Vivere secondo natura dovrebbe essere la massima aspirazione dell'uomo, che purtroppo, preso dalla sua folle sete di dominio, rifiuta di “stare al suo posto” ed infligge alla sua mamma affettuosa terribili ferite; e non capisce, lo stolto, che in questo modo danneggia irreparabilmente se stesso.
D'altro lato si riduce spesso e volentieri la natura a mera “convenzione sociale”. La natura non esiste indipendentemente dall'uomo, non si tratta di un “prius” ontologico in cui
ci troviamo e che ci condiziona. No, la natura è sempre e solo in rapporto con noi e non esiste al di fuori di questo rapporto. Anche qui, se non fosse per la differenza abissale che separa le speculazioni elevate dalle idiozie, tornerebbero alla mente le parole di Marx sulla natura intesa come “corpo inorganico dell'uomo”, o sulla “unità dialettica” fra “uomo naturalizzato” e “natura umanizzata”.
Da un lato la natura come divinità, quindi, dall'altro la stessa natura come “fatto antropologico” o “convenzione sociale”. Apparentemente si tratta di due concezioni inconciliabili, in realtà sono talmente conciliabili da essere spesso sostenute dalle stesse persone. Cosa rende possibile una simile, stranissima conciliazione? Semplice, la sostituzione della natura vera con la sua melensa immagine ideologica,
il rifiuto della realtà.

“L'uomo distrugge la natura”. Lo si sente ripetere in continuazione, come si sente ripetere in continuazione l'esortazione a tornare a vivere in armonia con la natura o con il “creato”. C'è un grumo di verità in simili affermazioni e di senso in certe esortazioni, ma si tratta di quel grumo di senso e verità che da sempre riesce a rendere digeribili le sciocchezze.
Noi tutti attribuiamo una valenza quasi sempre negativa al termine “distruzione della natura”, dimenticando però che quel termine ha valenza negativa solo se inteso nel suo significato
umano.
Se partiamo da un punto di vista umano ha un senso parlare di “distruzione della natura” ed ha senso la valenza negativa che spesso,
spesso, non sempre, attribuiamo ad una simile attività. Diciamo “distruggere la natura” e pensiamo con riprovazione ai vandali che radono al suolo un bosco di abeti o versano petrolio in un mare cristallino. Solo i più estremisti estendono la condanna agli operai che costruiscono una casa o una strada. Ma, a parte ogni distinzione fra chi è fanaticamente estremista e chi non lo è, è chiaro che ogni discorso sulla “distruzione della natura” è sensato solo se parte da un punto di vista umano. Si abbandoni questo, si provi a guardare le cose da un presunto “punto di vista della natura”, ed il discorso perde qualsiasi senso. Per noi è “distruzione” l'inquinamento di un bel mare cristallino, per la “natura” questa è solo una “trasformazione”. Per noi è negativo che un bosco di abeti sia raso al suolo, per la “natura” in questo non c'è assolutamente nulla di negativo. In natura la “distruzione” riguarda solo il passaggio dall'essere al nulla, evento misterioso, di cui poco o nulla siamo in grado di dire, come poco o nulla siamo in grado di dire del passaggio opposto, dal nulla all'essere. Entro la sfera dell'essere in natura ci sono trasformazioni, non distruzioni ed è la natura stessa ad operare le trasformazioni che noi definiremmo più catastrofiche. Un tempo i ghiacci arrivavano quasi all'equatore, poi si sono ritirati, poi si sono di nuovo estesi. Dove ora ci sono montagne un tempo si estendevano i mari, ed i grandi giacimenti di petrolio e carbone sono stati un tempo rigogliose foreste. Se dalla nostra piccola, insignificante, terra, allarghiamo lo sguardo agli spazi cosmici le cose diventano ancora più inquietanti. Ogni secondo nascono o muoiono nell'universo nuove stelle e pianeti, fra un po' di tempo, qualche milione di anni, pare, un attimo nella vita del cosmo, il sole, tanto amato dagli ecologisti mistici, collasserà e distruggerà la terra o almeno, ogni traccia di vita sulla terra, con tanti saluti a chi afferma che “Dio ci ha concesso l'uso del pianeta solo quali suoi rispettosi ospiti”. Anche ammettendo che spesso siamo ospiti poco rispettosi direi che farci sloggiare con un bel disastro cosmico non sembra molto adatto ad una divinità benigna.
A parte l'ironia,
per la “natura” in simili trasformazioni non c'è nulla di terrificante o catastrofico. Per la natura che i mari siano “cristallini” o “inquinati”, che l'aria sia “salubre” o “velenosa”, che esistano o non esistano la vita ed il genere umano non fa differenza alcuna. Per noi, per noi uomini, la cosa ha una certa importanza, solo per noi. Se si tiene conto di questo, è chiaro che le lamentele moralistiche di chi si erge a difensore della natura contro la “umana volontà di potenza” equivalgono a pura idiozia. La cosa appare tanto più evidente se si pensa che anche l'uomo è parte e prodotto della natura. Ci sono voluti milioni di anni di spietata selezione naturale per produrre l'animale uomo. Chi accusa l'uomo di essere un cancro, il malefico distruttore dell'ambiente, con chi se la prende, di preciso? Se siamo un cancro è nella nostra natura comportarci come un cancro. Non ci si può mettere dal punto di vista della natura e condannare uno dei suoi prodotti più complessi ed elaborati. Fra le varie armi di distruzione di massa, oltre a terremoti, uragani e buchi neri che inghiottono stelle e pianeti, la natura ha costruito anche l'uomo. Lamentarsene ha poco senso per chi crede nella sua infinita saggezza.

E quale è, con precisione, il senso dei continui, pressanti inviti a tornare a vivere “in armonia” ed “in pace” con la natura? Se con questo si intende che l'ambiente è un bene prezioso da tutelare, si tratta di ovvie verità. Chi scrive ama la natura, possibilmente incontaminata e selvaggia, e si trova benissimo quando è al suo cospetto. Ma star bene in un ambiente incontaminato non equivale affatto a vivere nei limiti di un ecosistema, al contrario. A parte il fatto che ci si trova a proprio agio in un ambiente selvaggio solo se si sa che si può far ritorno, al momento opportuno, in altri ambienti, per niente selvaggi, a parte un simile, piccolo, dettaglio, la conservazione dell'ambiente è, a ben vedere le cose, quanto di meno “naturale” posso immaginarsi. La storia naturale è storia di continue, spesso catastrofiche, modifiche ambientali, e la lotta per la sopravvivenza che caratterizza tutta la natura vivente non è guidata, per quel che ne possiamo sapere, da nessuna provvida mano che abbia di mira la superiore “armonia del tutto”. La tutela dell'ambiente è, di nuovo, un valore
umano, qualcosa a cui noi, in quanto umani teniamo o possiamo tenere e che va armonizzato (questa volta è lecito usare questo verbo spesso abusato) con altri nostri valori ed esigenze.
Noi abbiamo interesse alla natura, ma non siamo mere componenti di qualche ecosistema, non possiamo vivere come parti subordinate di una totalità che ci sovrasta e determina le nostre azioni. L'uomo è l'ente che
va oltre, oltre l'immediatezza puramente naturale, oltre l'ecosistema in cui si trova, oltre i risultati del suo stesso operare. E' nella sua natura essere così. L'uomo non può adeguarsi semplicemente all'ambiente, lo modifica. E se deve stare attento alle conseguenze negative (per lui) di tale modifica, non vi può rinunciare. Se lo facesse non sarebbe uomo, non ci sarebbero un linguaggio, una storia, una civiltà. Se lo avesse fatto nessuno oggi parlerebbe di “armonia con la natura” né di necessità, umana necessità, di salvaguardare l'ambiente.

Dovrebbe essere chiara l'origine di tanti errori e di tanta confusione. Sta tutta nella concezione di una natura umanizzata e personalizzata. La natura non è più la totalità dell'essere, mossa da leggi che nulla hanno a che vedere quelli che per noi sono valori. No, la natura è una super persona che parla, sente e pensa. Una persona che si prende amorevolmente cura di noi, ma che spesso si sente “offesa” da certi nostri comportamenti e che a volte ci rende pan per focaccia. Da una parte sta l'uomo, di cui si dimentica che, se
forse non è solo natura, è di certo, ed in misura preponderante, anche natura. Di fronte a questa strana creatura considerata, a seconda dei casi, semplice parte della natura o suo implacabile nemico, sta la super persona natura, con cui dobbiamo vivere in tenera armonia. Si tratta, con tutta evidenza, di una concezione prescientifica, addirittura prefilosofica della natura. Una concezione mitica.
E' chiaro come da questa concezione mitica della natura possano derivare tutti gli errori del radicalismo animalista. Se la natura è una sorta di super persona, una provvida amica umanizzata, perché mai non dovrebbero esserlo coloro che nella natura sono, tutto sommato, i più simili a noi? L'animalismo radicale trasforma in soggetti etici gli animali, elimina nella natura la differenza fra chi è capace di intendere i concetti di bene e di male, e quindi è passibile di elogio o di condanna morale, e chi invece si muove in un ambito in cui questi concetti sono semplicemente privi di senso.
In natura la vita si conserva solo grazie alla morte. In questo il bene ed il male, la innocenza e la colpevolezza, la bontà e la cattiveria non c'entrano assolutamente nulla. Il radicalismo animalista moralizza ciò che sta fuori, non sopra o sotto,
semplicemente fuori, dall'area di ciò che è etico, cadendo in insuperabili aporie. Non porta, ovviamente, gli animali al livello dell'uomo, rischia solo di di portare l'uomo al livello degli animali. Danneggia l'uomo e snatura gli animali.
Per Hegel, d'accodo su questo, una volta tanto, con Kant, la libertà inizia dove finisce la natura. La libertà non esiste almeno per quanto possiamo saperne, nella natura non umana perché la libertà significa scelta, progetto consapevole, capacità di distinguere il bene dal male e prima ancora di formulare i concetti di male e di bene. L'uomo è in larga misura un essere naturale, a tutti gli effetti, ma ha, forse (
FORSE) questa libertà. Questo non significa che sia sempre e comunque più “nobile” degli altri esseri naturali: spesso l'uomo è semplicemente ignobile. Però, qui sta il punto, ha senso definire “ignobile” un uomo e condannarlo per questo. Non ne ha nessuno invece definire in tal modo una valanga od una pianta rampicante, una mantide religiosa od un serpente a sonagli. La vera discriminante nella natura è quella che divide l'area al cui interno è sensato parlare di etica da tutto il resto. Eliminare questa distinzione distrugge l'etica e mistifica la natura.

Val la pena di ripeterlo: la natura è la nuova divinità dell'occidente in crisi. E' bella, affettuosa, armonica. Ama la vita ed è dispensatrice di vita, come se la morte non fosse uno degli eventi più naturali. Tutto sembra adeguarsi a questa visione, dal linguaggio alla pubblicità. Il termine “naturale” è diventato quasi sinonimo di “sano”, come se non fosse “naturale” anche il virus HIV, un prodotto è buono se è “naturale”, quanto al cibo, se è naturale è salubre e facilmente digeribile, come se i funghi velenosi non esistessero in natura. La vita poi... più è “naturale” più è dolce e dominata da sentimenti amichevoli, come se tutta la natura vivente non fosse caratterizzata da una feroce lotta per la sopravvivenza. E naturalmente, contrapposta a questa melassa di naturale bontà, sta la malvagità umana. Tutto ciò che è “artificiale” è guardato con sospetto. Artificiale sta per insalubre, pericoloso, prevaricatore, come se le medicine o i diritti universali non fossero una invenzione (o una scoperta?) umane.
Evviva la natura quindi, ed abbasso le pretese egoistiche degli esseri umani! Questo è lo slogan dominante nel sonnacchioso occidente di questo inizio secolo. Però, però basta allargare un po' la visuale e le cose cambiano, e molto.
Tutti esaltano la natura, ma molti di coloro che si riempiono la bocca di lodi per tutto ciò che è, o si pensa sia, “naturale”, negano alcune delle caratteristiche essenziali, basilari della natura stessa.
Cosa è più intimamente, essenzialmente naturale della differenza sessuale? Si tratta di qualcosa di cui è difficile sopravalutare l'importanza, legata com'è alla riproduzione delle specie. Una differenza che negli umani e forse, chissà, anche in alcuni animali superiori, non è solo fisica ma anche psicologica. Una differenza che si fa sentire anche nel linguaggio, nella stessa logica (genere e numero, singolare e plurale, maschile e femminile...) ed ha ripercussioni di vario tipo un po' in tutti i campi della vita sociale ed individuale. Eppure questa differenza fondamentale oggi è negata a gran voce da molti, semplicemente irrisa dai politicamente corretti.
Viviamo nella società unisex, la differenza sessuale non esiste come fattore rilevante, si tratta di una differenza secondaria, priva di conseguenze importanti, una mera differenziazione nell'ambito dei giochi erotici. Un maschio ed una femmina possono fare sesso in un certo modo, due maschi o due femmine, o tre maschi e quattro femmine, o un maschio od un femmina da soli fanno sesso in maniera diversa, tutto qui. La riproduzione della specie, il rapporto coi figli, la psicologia... tutte sciocchezze! La maternità e la paternità sono un fatto antropologico, culturale: si possono avere un padre ed una madre oppure due padri o due madri. Domani, chissà, si potranno avere tre padri o quattro madri, forse tre padri
e quattro madri, tutti insieme: dipenderà dalle “convenzioni sociali”. La natura,che fino ad un attimo prima veniva riempita di osanna, cessa di esistere, viene ad essere integralmente assorbita nella cultura.
Prima tutto ciò che era umano veniva guardato con sospetto, ora la più basilare fra le differenza naturali viene ridotta a fatto “antropologico” ed il tutto con nonchalace, come se niente fosse! E naturalmente il rifiuto della differenza sessuale si trasferisce alla riproduzione della specie. Il legame fra sesso e riproduzione viene ad essere spezzato. Si possono avere figli senza sesso, basta affittare un utero o il seme di un donatore. Sono omosessuale, vivo col mio compagno ma voglio soddisfare il mio desiderio di paternità. Cosa faccio? Inietto il mio (o del mio compagno) seme nell'utero di una ragazza che generosamente, e dietro pagamento, lo mette a mia disposizione, ed il gioco è fatto... sono, insieme, padre e gay! Il mio bambino ha due padri (ne ha uno solo veramente, ed ha una madre che non conoscerà
mai, ma questi sono dettagli secondari). Alla riproduzione della specie si sostituisce la sua produzione. C'è qualcosa di “naturale” in tutto questo?
La negazione della differenza sessuale è legata alla questione omosessuale anche se non coincide con questa. La omosessualità è una forma minoritaria di sessualità, una sessualità non normale nel senso che non è di norma praticata dalla gran maggioranza degli esseri umani e che non è legata alla procreazione.
NON si tratta di qualcosa di “perverso” o “innaturale”. La omosessualità esiste in natura, quindi è ridicolo definirla “contro natura”, quanto alla “perversione”, si tratta di una sciocchezza: tutte le forme di sessualità sono accettabili se non prevaricatorie e violente. Ma gli occidentali politicamente corretti non si limitano a reclamare il sacrosanto diritto degli omosessuali a praticare la loro sessualità, vorrebbero trasformare questa in qualcosa di “normale”, tanto “normale” da essere legata alla paternità ed alla maternità. E qui la rivendicazione dei diritti diventa idiozia, perché nessuno ha “diritto” di essere padre o madre, non più di quanto ne abbia ad essere sano, bello o intelligente. E diventa, questa si, violenza alla natura, tentativo ridicolo di eliminare la dimensione naturale degli esseri umani, sostituire a questa una normalità fasulla, artificiosa, innaturale nel senso vero, peggiore, del termine.

L'atteggiamento dell'occidente politicamente corretto nei confronti della natura appare a prima vista schizofrenico. Esaltazione della natura e suo stravolgimento, pretesa che l'uomo torni ad essere la semplice componente del “suo ecosistema” e riduzione della natura a umana convenzione. Si tratta di posizioni talmente lontane che sembra impossibile che vengano sostenute, spesso, dalle stesse persone. Eppure è proprio così che vanno le cose.
Però, se ne è già accennato, la contraddizione è più apparente che reale. La natura che i mistici dell'ecologismo amano tanto è infatti ben diversa da quella reale. Si tratta non della natura ma della sua immagine ideologica. Una natura amichevole, tenera, piena di attenzioni per il nostro benessere. Una natura da cui è stato cancellato ogni elemento tragico, o anche solo conflittuale. Non la natura della scienza, immota, lontana, estranea ai valori che per noi sono importanti, e neppure la natura della filosofia, spesso organizzata in grandi sistemi in cui l'uomo ha tutto sommato una parte secondaria. A ben vedere le cose neppure la natura antropocentrica del pensiero cristiano. Perché è vero che nella concezione cristiana l'uomo, creato “ad immagine e somiglianza di Dio”, ha il diritto di servirsi della natura, ma, almeno dalla caduta in poi, il "servirsi della natura" è per l'uomo qualcosa di estremamente duro e faticoso, e aperto a rischi sempre nuovi. La natura degli odierni mistici dell'ambientalismo è ben diversa: si adatta plasticamente e senza problemi all'uomo ed ai suoi desideri. Anche se gli ecologisti mistici polemizzano costantemente contro l'antropocentrismo la loro natura è antropocentrica, e lo è nella maniera più sciocca ed ingenua che si possa concepire. Nulla è infatti più ingenuamente antropocentrico di una natura che sarebbe pronta e realizzare una benefica armonia con l'uomo, se solo l'uomo accettasse le sue generose offerte (ma l'uomo che rifiuta l'armonia non fa, pure lui, parte, della natura?). A ben vedere le cose gli ecologisti mistici ripropongono il mito dell'Eden, sognano una natura in cui l'uomo possa vivere felice, liberato dal duro fardello di guadagnarsi da vivere “col sudore della propria fronte”. Solo che quello dell'Eden è, appunto, solo un mito, il richiamo ad un'epoca lontanissima ed irreale che, se anche fosse esistita, in nessun modo può tornare ad esistere. Riproporlo trasforma semplicemente la natura in un cartone animato, e gli animali in pupazzi di peluche.
Questa natura – cartone animato può essere plasmata all'infinito, è in grado con la sua superiore “armonia” di adeguarsi d ogni nostra esigenza, realizzare ogni nostro desiderio. Non c'è contraddizione alcuna fra la divinizzazione pagana di “madre natura” e la teorizzazione del sesso come “fatto culturale”. Non c'è perché la “madre natura”degli ecologisti mistici è una natura fasulla, madre si, ma madre che vizia i suoi figli, esaudisce ogni loro capriccio. La natura – cartone animato diventa qualcosa di simile al banco di un supermercato, in cui basta allungare la mano per trovare ciò che si desidera. Una strano super mercato però, in cui non si ha l'obbligo di passare alla cassa per pagare.
Ma occorre sempre pagare, in un modo e nell'altro, ciò che si prende. Il mondo non è fatto per adeguarsi ad ogni nostra esigenza, meno che mai per soddisfare tutti i nostri desideri, anche quelli più capricciosi. Molti occidentali vivono, credono di vivere in un mondo fasullo, in un cattivo cartone animato. Sognano e rifiutano di svegliarsi, e se per caso si svegliano cercano subito di riaddormentarsi. Detestano la realtà, non la vogliono vedere.
Peccato che la realtà abbia il pessimo difetto di non tirarsi indietro per farsi sostituire dai sogni. Non può farlo, non sarebbe reale se lo facesse.

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