E’ una delle tante follie dell’occidente in crisi, e di certo non
la meno grave.
Si chiama “azione positiva” e si presenta
come tentativo di “riparare” le ingiustizie di cui l’occidente
si è reso responsabile nel corso della sua storia. I gruppi etnici,
razziali, sessuali o di altro tipo che in passato hanno dovuto
subire o ancora subiscono ingiustizie e discriminazioni andrebbero
compensati con discriminazioni positive a loro favore. Un certo
numero di posti nelle università, nelle istituzioni, nelle
assunzioni andrebbe riservato ai membri di tali gruppi,
indipendentemente da ogni valutazione su professionalità e merito.
In questo modo non solo si consentirebbe di rimediare, in ritardo, a
vecchie ingiustizie, ma si ristabilirebbe, oggi, una certa
uguaglianza fra i membri della società.
Ma la filosofia dei
teorici dell’azione, meglio, della discriminazione positiva va
oltre. Alle richieste di “azioni positive” si affiancano
richieste di risarcimenti che andrebbero riconosciuti ai lontani
discendenti di chi decenni o secoli fa ha dovuto subire ingiuste
discriminazioni. Si assiste oggi alla continua richiesta di “scuse”
avanzate da rappresentanti di popoli e gruppi etnici che in passato
hanno dovuto subire l’egemonia occidentale. E, va da se,
l’occidente in crisi risponde spesso in maniera affermativa a tali
richieste, Per farla breve: scuse, risarcimenti e, soprattutto,
discriminazioni positive messe in atto oggi dovrebbero compensare discriminazioni
ingiuste di decenni o secoli fa. Solo così l’equilibrio potrebbe
essere ricostituito. Ha un senso, un senso positivo, una simile
politica? La risposta è NO.
Dovrebbe essere intuitivo,
addirittura scontato, che, se ci sono state, o, peggio, ci sono
ingiuste discriminazioni ai danni di singoli e gruppi la via maestra
per uscirne è una sola: cercare di costruire società il più giuste
ed il meno discriminatorie possibile. Non si tratta di punire i
lontani discendenti dei mercanti di schiavi, ma di porre a base della
società il rispetto per la dignità che spetta incondizionatamente
ad ogni essere umano. Un simile approccio al problema appare però
troppo “semplice” ai sostenitori della “discriminazione
positiva”. Val la pena quindi di sottoporre a critica il più
possibile esaustiva la loro dottrina.
Anche limitando
l’analisi al solo loro aspetto utilitaristico le varie teorie della
“discriminazione positiva” appaiono insostenibili. E’ intuitivo
che simili teorie sono quanto di più lontano si possa immaginare dal
concetto di merito. I posti di responsabilità andrebbero assegnati
non in base alle competenze che i singoli dimostrano di avere, ma al
loro sesso, al colore della loro pelle o ad altre loro
caratteristiche accidentali. Se devo farmi operare al cuore in base a
quale criterio scelgo il chirurgo? Mi interessa la sua
professionalità o il suo sesso, o il colore della sua pelle? Mi
sento sicuro se volo su un aereo il cui pilota è stato scelto non
perché ha superato brillantemente difficili esami ma perché ha
determinati gusti sessuali? Basta fare queste domande per avere la
risposta. Anche prescindendo da ogni considerazione sulla palese
ingiustizia che deve subire chi in un pubblico concorso si vede
superato da persone che hanno meno metriti di lui ma che appartengono
a categorie protette, anche prescindendo da questo e limitando
l’analisi a puri concetti utilitaristici, appare del tutto evidente
che se applicate con un minimo di coerenza ed ampiezza le teorie
della discriminazione positiva contribuiscono a creare qualcosa di
inaccettabile: società in cui il merito è negletto, con conseguente
abbassamento del tenore di vita e della sicurezza di tutti,
indipendentemente da sesso, colore della pelle o credo religioso.
Quello utilitaristico è però solo uno degli aspetti
negativi della “discriminazione positiva”.
Questa teoria si
caratterizza per la costante ricerca di “risarcimenti” che
spetterebbero ai membri di determinasti gruppi per le discriminazioni
ed ingiustizie, spesso assai lontane nel tempo, che questi hanno
dovuto subire. Però anche ad un esame superficiale emerge
chiaramente una cosa: coloro che dovrebbero risarcire appartengono
tutti ad una determinata civiltà o sesso, o credo religioso, i
risarciti invece appartengono ad altre civiltà, sesso, credo
religiosi. Chi deve risarcire è di norma maschio, bianco,
occidentale, eterosessuale, cristiano. I risarciti sono non
occidentali, non bianchi, non cristiani, femmine od omosessuali. Ma,
ha un minimo di senso una simile ripartizione? I colonialisti
occidentali hanno ridotto a protettorati molti stati islamici, è
vero, ma in precedenza l’Islam aveva conquistato mezza Europa. Se
l’occidente deve “risarcire” l’Islam questo deve a sua volta
“risarcire” l’occidente. E che dire delle donne o degli
omosessuali che di certo non se la passano troppo bene in paesi come
l’Iran? Sono alleati di chi impone loro il velo, li tortura o li
impicca contro il maschio bianco occidentale ed eterosessuale?
La
logica “risarcitoria”, se non vuole essere una mera forma di odio
dell’occidente nei confronti di se stesso, dovrebbe riguardare
tutti: gli imperialisti occidentali come quelli orientali o medio
orientali, i maschi come le femmine, gli omo come gli eterosessuali.
E non dovrebbe essere limitata nel tempo. Se ha senso chiedere
“discriminazioni positive” per riparare ingiustizie di un paio di
secoli fa dovrebbe aver senso chiederne per riparare altre
ingiustizie, probabilmente più gravi, di un paio di millenni fa. I
discendenti degli antichi Galli e Britanni, conquistati armi alla
mano dalle legioni romane, dovrebbero chiedere “discriminazioni
positive” ai danni degli italiani, questi le dovrebbero chiedere ai
tedeschi per le invasioni del Barbarossa, i polacchi dovrebbero
chiederle ai russi, questi ai mongoli; gli ebrei dovrebbero chiedere
risarcimenti a mezzo mondo però anche loro, millenni fa, qualche
ingiustizia nei confronti di altri popoli la hanno commessa. Tutti
nella storia hanno commesso o subito ingiustizie, non esistono
singoli o gruppi senza peccato. La logica della “discriminazione
positiva”, se applicata in maniera non faziosa, aprirebbe la via ad
un rimando infinito di “discriminazioni positive” e richieste di
scuse e risarcimenti.
E questo rimando all’infinito non
riguarda solo il passato, si proietta nel futuro. Per “riparare”
ad ingiustizie di 20 o 200 anni fa bisognerebbe discriminare i
discendenti di coloro che hanno commesso in passato tali ingiustizie,
solo così si potrebbe creare una situazione giusta, si dice. Però
in questo modo non si fa altro che aggiungere ingiustizia ad
ingiustizia: nulla è infatti tanto palesemente ingiusto quanto far
pagare a figli, nipoti e pronipoti le colpe dei padri, nonni e
bisnonni. Né l’ingiustizia di oggi serve a ricostituire una
situazione più giusta od equa. Il danno che deve subire chi è
vittima oggi della “discriminazione positiva” è infatti molto
maggiore delle conseguenze negative che sempre oggi devono subire i
discendenti di coloro che hanno subito ingiustizie due o tre secoli
fa. Seguendo la logica dei teorici della “discriminazione
positiva” queste nuove ingiustizie andrebbero riparate con nuove
“discriminazioni positive” e così via, di nuovo all’infinito.
La ricerca di sempre nuove ingiustizie passate cui occorre metter
riparo si combina in questo modo col continuo ricrearsi nel futuro di
situazioni ingiuste cui occorre metter riparo. Una follia.
C’è
però anche un altro aspetto di queste tematiche che occorre
approfondire.
Certi usi e costumi, certe istituzioni dei nostro
antenati ci appaiono oggi ripugnanti. E sono davvero tali. Lo
schiavismo era moralmente orripilante ai tempi dell’antica Roma
come lo è oggi. E’ del tutto inaccettabile il relativismo di chi
ritiene che lo schiavismo fosse “giusto” un tempo o che
l’oppressione della donna sia “giusta “ oggi in certe
situazioni socio culturali mentre l’uno e l’altra sarebbero state
ingiuste in altri tempi e lo sono in altre situazioni culturali. Da
questo però non segue che chi visse in tempi in cui certe pratiche
erano ritenute “normali” sia assimilabile ad un criminale; in
realtà si trattava solo di persone che condividevano usi, costumi e
norme etiche dei loro tempi e delle loro civiltà. Il fatto che si
trattasse di usi, costumi e norme inaccettabili non trasforma in
mostri chi le seguiva, meno che mai trasforma i loro discendenti in
mostri o criminali da punire. E’ proprio questa invece la logica
profonda, anche se non sempre chiaramente espressa, di chi teorizza
la “discriminazione positiva”. L’occidentale bianco,
discretamente benestante, di oggi sarebbe in qualche modo
responsabile del comportamento di persone vissute spesso molto tempo
fa e che si comportavano conformemente a quelli che erano gli usi ed
i costumi del loro tempo. L’economista austriaco Von Mises,
parlando dell’origine della proprietà privata ammette senza
esitazioni che l’acquisizione delle prime proprietà è stata in
molti casi violenta ed illegale. La cosa non deve stupire, aggiunge,
perché tale acquisizione è stata in moltissimi casi anteriore allo
stabilirsi della legge. Pretendere di riparare a tali violenze
originarie è quanto mai stupido non solo per l’impossibilità
empirica di tale riparazione, ma anche perché non si può pretendere
una legalità anteriore alla legge. Oggi i teorici della
“discriminazione positiva” sembrano voler incolpare chi discende
da persone che ai loro tempi agivano in maniera conforme ad usi,
costumi e norme condivise. Io sarei da discriminare perché il mio
tris nonno non si comportava come una persona che vive nel
ventunesimo secolo. Si tratta di qualcosa ancora peggiore della
pretesa illiberale di incolpare i figli per le colpe dei padri. Di
nuovo, una follia.
Finora abbiamo dato per scontato che i
discendenti di coloro che hanno subito ingiuste discriminazioni siano
oggi danneggiati per ciò che è successo ai loro avi, ma stanno
davvero, sempre e comunque, così le cose? Per i teorici della
“discriminazione positiva” non ci sono dubbi in proposito, la
loro risposta è sempre SI. Ma sbagliano. Il loro errore deriva da
una sorta di illusione ottica: esaminano la situazione, ad esempio,
dei neri americani, vedono che spesso, anche se ormai molto meno che
in passato, questa è peggiore di quella di molti bianchi e
concludono che la causa di una tale situazione deriva dalle orribili
ingiustizie che i neri hanno dovuto subire quando altro non erano che
schiavi. Ma un simile modo di affrontare il problema è sbagliato per
il semplice motivo che i discendenti di coloro che furono schiavi
usufruiscono anch’essi, sia pure in misura minore e grazie anche
alle loro lotte, dei benefici della società che rese schiavi i loro
avi. Chi venne ridotto in schiavitù ha subito una orribile
ingiustizia, un nero campione di basket che guadagna milioni di
dollari all’anno, o un musicista jazz che guadagna altrettanto, o
un nero che diventa presidente degli Stati Uniti godono anch’essi
di quanto ha saputo edificare di positivo una società che pure si è
macchiata del crimine dello schiavismo. La storia è davvero
complessa, una volta tanto val la pena di usare questa parola. Nella
storia ci sono crimini ed ingiustizie ma anche miglioramenti
economici, conquiste democratiche, affermazioni della libertà.
L’antichità ci lascia grandi conquiste culturali, anche se è
stata caratterizzata dallo schiavismo, e di tali conquiste oggi
godono tutti, compresi i discendenti di chi è stato schiavo. Con
questo non si vuol dire, dovrebbe essere ovvio, che non si debba oggi
lottare per migliorare la situazione di singoli o gruppi sociali
ancora svantaggiati, si vuol dire però che questa lotta non può
essere vista come “risarcimento” per quanto hanno dovuto subire
di ingiusto gli antenati di chi oggi è socialmente svantaggiato. La
gran maggioranza dei poveri statunitensi è “ricca” se paragonata
ai poveri dell’Uganda o dell’Angola. I benefici di società
opulente e democratiche hanno interessato, sia pure non a
sufficienza, i loro membri meno fortunati. Quando cercano,
giustamente, di migliorare le loro condizioni questi si rapportano ai
problemi del presente, non alle ingiustizie del passato per cui loro
dovrebbero essere “risarciti”. Gli unici che avrebbero diritto di
avanzare richieste di “risarcimento” non sono più fra noi. Da
molto, moltissimo tempo.
Val la pena a questo punto di
fare una breve precisazione. Sinora si è spesso usata la parola
“risarcimento” per descrivere le proposte dei sostenitori
dell’azione, o della discriminazione “positive”. Questa parola
però può indurre in inganno. In effetti, se io mio padre mi lascia
in eredità una abitazione e in un secondo momento si scopre che la
stessa è stata acquisita illegalmente dal mio genitore, io sono
tenuto a restituire la casa al legittimo proprietario o a risarcirlo
adeguatamente. La figura giuridica del risarcimento non contrasta con
la giustizia ed è riconosciuta dalla legge, a condizione che le
azioni illegali per riparare alle quali il risarcimento è richiesto
non siano troppo lontane nel tempo. In fin dei conti la acquisizione
legale non è il criterio assolutamente unico per stabilire a chi
spetti una certa proprietà. E’ importante anche stabilire chi ha
curato una certa proprietà, per quanto tempo lo ha fatto, se la ha
fatta crescere e valorizzare. Non a caso quasi tutti gli ordinamenti
giuridici prevedono l’istituto dell’usucapione. Il risarcimento
in ogni caso è spesso del tutto giusto e legittimo, ma le pretese
dei sostenitori della “discriminazione positiva” vanno ben oltre
la rivendicazione di questo tipo di risarcimento. Vanno addirittura
oltre il concetto stesso di risarcimento. Ad essere intaccati dalle
pretese di “discriminazione positiva” sono i diritti fondamentali
di certi soggetti prima che la loro proprietà. Se Tizio partecipa ad
un concorso, dimostra di essere il migliore ma si vede superato da
Caio solo perché questi appartiene ad un determinato gruppo
protetto, ad essere menomati sono i diritti fondamentali di Tizio,
non la sua proprietà. La “discriminazione positiva” lede il
principio fondamentale di ogni società libera: quello della pari
dignità di tutti gli esseri umani indipendentemente da colore della
pelle, sesso, convinzioni politiche o religiose. Nessuna richiesta di
risarcimento, giusta o sbagliata che sia, riguardi fatti vicini o
lontani nel tempo, può essere soddisfatta riducendo i diritti
fondamentali di determinati esseri umani. Se devo risarcire Tizio
dovrò dargli del denaro, non perdere i miei fondamentali diritti di
cittadino. La discriminazione positiva fa invece proprio questo: in
nome di ingiustizie a volte vecchie di secoli subite da persone ormai
scomparse da tempo pretende che vengano intaccati, spesso più che
intaccati, fondamentali diritti dei cittadini. Un certo numero di
posti in parlamento deve essere riservato ai maschi, o alle femmine,
ai bianchi o ai neri, agli etero o agli omosessuali. Tutto questo
lede profondamente il diritto di voto: puoi votare ma devi votare
candidati di un certo sesso, con la pelle di un certo colore, con
determinati gusti sessuali, ed il discorso non si ferma al diritto di
voto. E’ dubbio che la democrazia possa sopravvivere a simili
follie.
Val la pena di affrontare, per concludere, il
punto fondamentale. Quale è la filosofia, la visione dell’uomo che
sta dietro e sostiene le varie politiche di azione o discriminazione
positiva? Ogni proposta politica importante si basa, ne siano
consapevoli o meno i suoi sostenitori, su determinate teorizzazioni
che con giusta ragione possono definirsi filosofiche; quali sono
quelle che sostengono la discriminazione positiva? Per cercare di
comprenderle appieno va la pena di allargare un po’ il discorso.
Ognuno di noi ha sentito qualche volta, penso, affermazioni di
questo tipo: “il tale non ha meriti né colpe per esser nato bello
o brutto simpatico od antipatico, intelligente o stupido”. E’
facile partire da simili ovvie banalità per arrivare a conclusioni
che da un punto di vista astrattamente logico sono coerenti. La
“società”, si conclude, avrebbe il compito di riparare le
“ingiustizie” che madre natura ha commesso nel distribuire ad
ognuno di noi i suoi “doni”. Ad essere degne di critica sono,
come al solito, le premesse. Chi fa simili ragionamenti pensa che si
possano separare gli esseri umani dalle loro caratteristiche.
Ritiene che gli esseri umani siano pure essenze disincarnate, enti
asettici, privi di qualità e particolarità che dovrebbero esser
attribuite loro, in maniera “equa” da una non meglio specificata
“società” (come se la “società non fosse composta da esseri
umani). E se, per evidenti motivi empirici, la “società” non è
in grado di mettere in atto questa “equa distribuzione”, dovrebbe
far si che le differenze fra tali caratteristiche fossero in qualche
modo compensate. Tizio, non troppo intelligente dovrebbe esser
“risarcito” e reso più o meno uguale a Caio cui la “natura”
ha regalato una intelligenza fuori dal comune. Eguaglianza e pari
dignità non riguardano più gli esseri umani empiricamente dati,
insiemi sostanziali unitari di qualità e caratteristiche. No,
eguaglianza e dignità riguardano esseri disincarnati, entità
assolutamente astratte beneficiarie dei processi di azione e
discriminazione positiva. Tali teorie, se applicate coerentemente,
porterebbero a risultati mostruosi. Un individuo sano, per fare solo
un esempio, dovrebbe esser obbligato a donare un rene ad uno malato
per compensarlo del fatto che “la natura” è stata “ingiusta”
con lui. Forse non a caso nessuno sostiene simili posizioni fino in
fondo, questa però è la logica che che sta dietro a tutte.
I
sostenitori della azione o discriminazione positiva allargano il
discorso dalle caratteristiche naturali degli esseri umani a quelle
economiche e socio culturali. Ognuno di noi è dato, si trova nel
mondo. Nasce in una certa epoca storica, dentro una certa classe
sociale, famiglia, nazione, cultura, civiltà. Ognuno di noi è
l’insieme unitario delle sue caratteristiche naturali e socio
culturali. Io sono io perché ho un certo aspetto fisico, un certo
carattere, parlo una certa lingua, vivo in un certo periodo storico
dentro determinati rapporti sociali e culturali. Visto che le
caratteristiche socio culturali degli esseri umani non sono, come
quelle naturali, “distribuite” equamente fra loro i sostenitori
delle varie azioni o discriminazioni positive vorrebbero annullarle
mettendo in atto varie politiche “compensatrici”. Teorizzano
persone separate dalla propria datità socio culturale oltre che
naturale. Io sarei io indipendentemente dal periodo storico, dalla
cultura e dalla società in cui sono nato e vivo e, visto che non
posso esser separato da queste mie caratteristiche essenziali, i
generosi riformatori del mondo vorrebbero mettere in atto politiche
“compensatrici”. Ad essere preso di mira è, come al solito, il
dato del nostro esistere: si vorrebbero ricostruire gli esseri umani
mettendo riparo a quanto nel loro esser dati sembra non essere
sufficientemente equo o giusto.
L’uguaglianza democratica e
liberale è di tipo radicalmente diverso. Riguarda non esseri umani
disincarnati, ma le persone in carne ed ossa con tutte le loro
caratteristiche naturali e storico sociali. Sono queste persone ad
essere titolari dei fondamentali diritti umani, a queste viene
riconosciuta la pari dignità.
Certo, è giusto, è sacrosanto
lavorare per società in cui questi diritti e questa dignità siano
goduti da tutti, ma questa è cosa radicalmente diversa dal tentativo
di annullare la datità naturale e socio culturale di ognuno di noi.
Io ho certi diritti e la mia dignità, pari a quella di ogni essere
umano, in quanto sono IO, con le mie caratteristiche naturali, la mia
cultura, il dato del mio vivere in una certa epoca storica, entro
determinate coordinate culturali. Non ho diritto ad alcun “compenso”
né dovere di “compensare” qualcuno perché sono ciò che sono,
al contrario, ho il diritto al rispetto per ciò che sono ed ho il
dovere di rispettare gli altri per quello che gli altri sono.
Qualcuno potrebbe obbiettare che tutto questo non ci rende
davvero uguali. Avrebbe ragione, il vivere in società in cui i
nostri diritti fondamentali e la nostra dignità vengano tutelati ed
in cui ognuno abbia possibilità economiche reali per cercar di
realizzare i propri progetti non ci rende uguali, e con questo? Gli
esseri umani non possono essere uguali perché hanno ognuno
caratteristiche naturali e socio culturali diverse e diseguali.
Cercare di superare questa situazione per realizzare una radicale
uguaglianza sostanziale distrugge la libertà, da vita a sempre nuove
ingiustizie e a forme di disuguaglianza queste si assolutamente
intollerabili. La storia ha dato a questo proposito lezioni che solo
i fanatici o gli sciocchi possono ignorare.
La politica
della azione o discriminazione positiva non fa altro, in fondo che
riproporre il vecchio mito marxista dell’uomo nuovo, con la
differenza che in Marx l’uomo nuovo sarebbe il prodotto spontaneo
della affermazione su scala planetaria della società perfetta
comunista, per i politicamente corretti di oggi sarebbe invece la
risultante di accorte politiche “riparatrici”.
C’è
un’ultima considerazione da fare. Tutte le varie politiche
“compensatrici” sono rivolte contro l’occidente. Lo si è già
detto: il nemico è l’uomo bianco, occidentale eterosessuale,
discretamente benestante, spesso cristiano. E’ lui che sarebbe
obbligato a vivere scusandosi con mezzo mondo ed a compensare mezzo
mondo per i crimini, veri o presunti, commessi in passato dalla sua
civiltà (le altre invece sono generosamente assolte da ogni
addebito). Se analizzate da questo punto di vista le politiche della
azione o discriminazione positiva altro non sono che una forma
particolare che assume la più generale politica della cancel
culture. L’occidente è responsabile di tutti i mali del mondo. La
sua storia è riducibile ad un insieme di abomini, anche se in quella
storia ci sono Platone ed Aristotele, Newton e Kant, Dante e
Shakespeare, Leonardo e Michelangelo, Mozart e Beethoven ed insieme a
questi la scoperta dei diritti umani, l’abolizione dello
schiavismo, la democrazia, la laicità dello stato, il principio di
tolleranza, la razionalità scientifica, l’economia di mercato ed
il benessere che questa ha assicurato a masse sterminate di esseri
umani, di tutte le civiltà.
Ai teorici delle azioni e delle
discriminazioni positive tutto questo interessa a poco. Sono i nuovi
nemici della nostra civiltà. E’ bene rendersene conto, senza
pericolose illusioni.