giovedì 17 marzo 2016

SUL (MOLTO) PRESUNTO VEGANISMO DEI GRANDI FILOSOFI





Qualche considerazione, per iniziare


Basta navigare un po' in rete per fare una interessante scoperta. In molti siti “filosofici” si sostiene che una enorme quantità di filosofi, o comunque di uomini eminenti di tutte le epoche storiche, sarebbero stati vegetariani o addirittura vegani ed “antispecisti”. Pitagora, Socrate, Platone, Aristotele (per alcuni) Spinoza, Newton, Pascal, Michelangelo, Leonardo, Schopenhauer, Einstein e tantissimi altri sarebbero stati teorici e difensori dei diritti degli animali. La cosa è poco conosciuta perché le “multinazionali del farmaco e della alimentazione” si oppongono alla verità. In “Dionidream”, un giornale on line, compare un articolo di un tal Riccardo Lautizi, esperto in naturoterapia, in cui si legge:
Purtroppo viviamo in una società al rovescio dove l’unico interesse è quello di mantenere lo status quo che conviene alle case farmaceutiche e al Codex Alimentarius. L’alimentazione vegetale, studi alla mano, è l’alimentazione naturale dell’uomo che promuove il benessere e la forza del corpo e della mente. La cecità moderna mette i brividi, milioni di zombie che credono di pensare autonomamente ma che in realtà sono solo splendidi cloni pappagalli di un sistema che non ammette libertà di pensiero, pena l’esclusione.” (1)
Molto interessante. Il mondo umano si divide in due categorie. Una è formata da milioni di zombie che neppure sanno ciò che dicono, poveri sotto uomini manovrati dagli oscuri signori delle multinazionali. L'altra da pochi eletti che, come il dottor Lautizi, possono sfuggire a questo triste ed universale condizionamento. La cosa divertente è che chi scrive simili amenità pensa di essere uno strenuo oppositore del “razzismo”.
La quasi totalità degli esseri umani si è nutrita per millenni di carne, e questo in periodi in cui delle “multinazionali” non esisteva neppure l'ombra. Da sempre alcuni uomini superiori, Pitagora ad esempio, hanno compreso che questo era un errore ed un crimine, però sulla loro preziosa testimonianza è calata una cortina di silenzio.
“Perché osannare Pitagora solo per il teorema o quello che ci conviene?” (2) si chiede angosciato il dottor Lautizi. Già, perché? Per il semplicissimo motivo che lo stile di vita o la dieta di un filosofo, uno scienziato o un artista non hanno nessuna importanza al fine di stabilire la validità delle loro opere. Il veganismo di un filosofo ha rilevanza quando è parte della sua visione del mondo, elaborazione teorica da valutarsi in rapporto con la totalità del suo pensiero. In se e per se non ha valore teorico alcuno, come non aveva alcun valore musicale il fatto che Mozart fosse, pare, un puttaniere.

Prima di proseguire val la pena di fare qualche chiarimento, se no tutto resta avvolto nell'equivoco.
Innanzitutto, cosa deve intendersi per “specismo” ed “antispecismo”? La domanda è di basilare importanza perché il veganismo, quando è teoria filosofica e non soggettiva abitudine alimentare, è strettamente legato alla lotta allo “specismo”.
Non ho intenzione di dilungarmi su questo argomento; mi permetto di rinviare chi fosse interessato al mio scritto “sul radicalismo animalista” apparso sul blog “secondo Giovanni”. Qui basta citare uno dei massimi teorici dei diritti animali e dell'antispecismo: il filosofo australiano Peter Singer:
Il razzista viola il principio di eguaglianza attribuendo maggior peso agli interessi dei membri della sua razza qualora si verifichi un conflitto tra gli interessi di questi ultimi e quelli dei membri di un’altra razza. Il sessista viola il principio di eguaglianza favorendo gli interessi del proprio sesso. Analogamente, lo specista permette che gli interessi della sua specie prevalgano su interessi superiori dei membri di altre specie. Lo schema è lo stesso in ciascun caso” (3)
Il discorso è chiarissimo: tutte le specie animali hanno gli stessi diritti, all'uomo non è riservato alcun trattamento etico privilegiato. Chi mangia un animale commette un crimine allo stesso modo di chi mangia un bambino. Ci sarebbe da chiedersi se Singer voglia
spedire all'ergastolo macellai, salumieri, calzolai, medici, farmacisti e pescivendoli, in compagnia di squali, leoni, orsi, iene, aquile e pitoni, ma... tralasciamo. Mi limito a sottolineare che chi è d'accordo con simili concezioni non può limitarsi ad essere vegetariano, deve essere rigorosamente vegano.

Tizio può astenersi dai rapporti sessuali per veri motivi: può essere uno sfigato che, malgrado ce la metta tutta, non riesce a trovare, neppure a pagamento, qualcuno che voglia far sesso con lui. Oppure può soffrire di una forma gravissima e cronica di impotenza, o essere malato di ADS. Oppure può essere il seguace di una religione che proibisce il sesso in quanto immondo ed impuro. Se Tizio non fa sesso solo perché non trova partner è piuttosto fuorviante cercare di farlo passare per seguace di una religione che proibisce le pratiche sessuali. Considerazioni analoghe si possono fare sul consumo di carne. Tizio può non mangiare carne perché la ritiene un cibo “impuro” e sgradito a Dio, oppure perché pensa sia dannosa alla salute, oppure perché non gli piace, oppure ancora perché ritiene che gli animali siano soggetti etici e che mangiarli sia immorale. Dovrebbe essere chiaro che se Tizio non mangia carne perché non gli piace o la ritiene dannosa alla salute non può essere spacciato per un difensore dei diritti animali. Se qualcuno mi dicesse: “non mangio bambini arrosto perché li digerisco con difficoltà” non lo considererei un difensore dei diritti dei bambini . Gli indiani d'America si sono nutriti per millenni quasi esclusivamente di carne di bisonte, praticavano solo in maniera ridottissima l'agricoltura e consideravano una pratica come l'aratura una “ferita inferta alla madre terra”. Sarebbe difficile farli passare per difensori dei diritti delle piante. Eppure i moderni antispecisti vegani fanno proprio questo: mettono tutto in un gran calderone e trasformano chiunque non mangi carne (e i formaggi, il latte le uva?) in un “antispecista”, magari ante litteram se si tratta di persona vissuta secoli fa.
Non ho la voglia, né le capacità, di esaminare il pensiero di tutti i filosofi che qualcuno si diverte a far passare per difensori del veganismo o del vegetarianismo, termini tra l'altro spesso usati come sinonimi dai loro sostenitori, e già questo è indice di scarsa serietà. Di seguito mi limiterò ad analizzare l'antispecismo, vero o presunto, di quattro grandi pensatori: Pitagora, Socrate, Platone e Schopenhauer.


Pitagora

Ha un minimo di senso fare passere il grande filosofo e matematico per vegano antispecista? Assolutamente NO.
Innanzitutto va ricordato che di Pitagora non ci è rimasto nulla di scritto e che ciò che sappiamo di lui si basa solo su testimonianze successive e faticose ricostruzioni. Scrive nella “storia della filosofia antica” il professor Francesco Adorno, uno dei massimi studiosi della filosofia antica e medioevale, di certo leggermente più informato di qualche blogger:
“Di quello che può essere stato il Pitagora storico (…) non sappiamo altro dalle fonti più antiche se non ch'egli, figlio di Mnesarco, nativo di Samo, si sarebbe occupato di una quantità di studi” (4)
Appaiono invece in rete, su siti pseudo filosofici, nientemeno che sue “citazioni”, basta questo a dimostrare la loro serietà ed attendibilità.
Proseguiamo. Pitagora era un mistico convinto che tutto fosse regolato dalle leggi del numero e dell'armonia ed i suoi seguaci seguivano uno stile di vita piuttosto rigoroso, in accordo con la dottrina del maestro. Scrive ancora il professor Adorno:
“Il sodalizi pitagorico a Crotone potrebbe così delinearsi come una specie di scuola medica, in cui se da un lato il maestro iniziava ai mathemata purificatori, dall'altro mediante diete, proscrizioni di cibi (fave carni ecc), austerità di vita tendeva alla cura dell'anima, a far si che l'uomo scandisse la propria vita all'unisono con quella del cosmo” (5)
Il discorso è chiaro. Le regole e le proibizioni dietetiche, che comprendevano “carni” ed alcuni vegetali (fave) miravano a regolare la vita dell'uomo sul “respiro del cosmo”. Infatti, prosegue Adorno “A Pitagora sembra che si possa far risalire la visione del cosmo scandentesi nei dieci contrari (da cui poi prese le mosse la concezione aritmo geometrica e musicale) e vivente del respiro (da cui la cosmologia); la concezione dell'anima e della presenza dell'anima là dove ci sono esseri” (6)
Alla base del vegetarianismo (o del veganismo? Non lo si sa...) pitagorico stava una concezione metafisica che vede il cosmo, tutto il cosmo, dall'uomo alle pietre, come qualcosa di animato ed armonioso. In concezioni simili non ha senso la nozione stessa di diritti, siano essi umani, animali o, perché no? Vegetali. Qualsiasi ente non ha una propria autonomia, diritti da far valere, né doveri da osservare; è parte di un tutto e, come tale, deve solo adattarsi al “respiro del cosmo”. Interpretare tutto questo una sorta di antispecismo ante litteram è pura mistificazione.
Il carattere mistificatorio di simili interpretazioni del pitagorismo risulta ancora più chiaro se si esaminano meglio le caratteristiche delle sette pitagoriche. Oltre a non poter mangiare carni e fave, gli aderenti a tali sette dovevano fare ogni sera un “esame di coscienza” ed ogni mattino un “programma della giornata”. Non dovevano raccogliere ciò che cadeva al suolo, né attizzare il fuoco con oggetti di metallo. Occorreva praticare la comunione dei beni e la regola del silenzio: era proibito divulgare all'esterno ciò di cui si discuteva fra gli adepti. Il maestro non si mostrava mai ai novizi e parlava nascosto da una tenda.
Secondo la tradizione Ippaso di Metaponto, seguace di Pitagora, pagò con la vita la scoperta che il lato e la diagonale di un quadrato sono incommensurabili. Si trattava di una scoperta che metteva in crisi la concezione pitagorica secondo cui nel cosmo tutto è armonia. Il povero Ippaso violò, probabilmente, la regola del silenzio e divulgò fuori dalla setta di appartenenza questa scomoda verità. Per questo, sembra, fu assassinato.
Non è mia intenzione emettere affrettati giudizi morali, ma dovrebbe essere chiaro che, osservato in un ambito un po' più ampio, il vegetarianismo di Pitagora appare per quello che è: una fra le tante norme che regolavano la vita delle sette pitagoriche, lontano da ogni considerazione degli animali quali presunti soggetti etici e giuridici. Il vegetarianismo di Pitagora può semmai essere accostato a quello che caratterizzò varie utopie razziste ariane, precorritrici a livello culturale del nazionalsocialismo. Ci sono in effetti accenti che ricordano le sette pitagoriche nella esaltazione nazional patriottica, e poi nazista, della terra madre e dell'unità armoniosa fra il cosmo ed il “volk” germanico razzialmente definito. Se tutto questo a qualcuno provoca imbarazzo, si tratta di un suo problema.


Socrate

Come Pitagora anche Socrate non ci ha lasciato nulla di scritto. Ciò che si sa di lui e del suo pensiero lo si deve a successive testimonianze, spesso in contrasto fra loro. Soprattutto lo si ricava dai dialoghi platonici del primo periodo, quelli non a caso definiti “socratici”, nei quali il Socrate storico non è ancora diventato il portavoce del pensiero platonico.
Basta conoscere anche in maniera molto superficiale il pensiero di Socrate per capire che ogni tentativo di fare di lui un teorico dei diritti animali è del tutto insensato. Tutta la speculazione socratica è centrata sull'uomo. Sono i temi umani ad appassionare Socrate, le virtù ed i vizi degli uomini l'oggetto della sua speculazione. “Cos'è la virtù?” si chiede Socrate. Cosa sono il coraggio, la santità, l'amore, l'amicizia, il bello, la giustizia? Come deve essere organizzata la città, come deve agire il politico?
Socrate è il primo ad identificare l'anima con la coscienza razionale. “Conosci te stesso” è il motto socratico, e conoscere se stessi significa interrogarsi razionalmente, sottoporre le proprie azioni e le proprie convinzioni al vaglio intransigente della ragione; per questo, a parere di Socrate, la virtù può essere insegnata.
Per i teorici dei diritti animali la grande discriminante nel mondo è costituita dalla sensibilità. L'importante, afferma Geremia Bentham, lui si un pensatore animalista, non è stabilire se gli animali possano parlare o pensare, l'importante è che possono soffrire. La capacità di provare piacere o dolore costituisce il criterio per stabilire chi è soggetto etico e chi non lo è. Partendo da simili considerazioni Peter Singer riconosce diritti a topi e pinguini ma non ai feti umani, il cui sistema nervoso non è abbastanza sviluppato da permetter loro di provare piacere o dolore, e giunge addirittura a teorizzare l'infanticidio, almeno dei piccoli mal formati. Anche in un neonato la capacità di provar dolore sarebbe, a parere del filosofo australiano, alquanto ridotta. Non intendo dilungarmi in commenti di simili posizioni, ciò che mi interessa sottolineare è la distanza stellare che le separa dalla speculazione socratica. Per Socrate, come, dopo di lui, per Platone, Aristotele, Kant e la totalità del razionalismo filosofico, è la ragione la grande discriminante, il faro che deve illuminare le nostre azioni. Socrate si atterrà a questo principio nel corso di tutta la sua vita. Non lo abbandonerà neppure di fronte alla morte: berrà tranquillamente la cicuta senza farsi prendere da emozione, paure o ritorsioni istintive. C'è chi, come Nietzsche, lo ha aspramente rimproverato per questo, ha giudicato fredda, disumana la razionalità socratica. Comunque la si voglia giudicare essa impedisce qualsiasi accostamento fra Socrate e l'animalismo filosofico.

Se Socrate è stato vegetariano o vegano questo riguarda unicamente la sua vita privata ed i suoi gusti in fatto di alimentazione, non ha rilevanza teorica alcuna. Ci sono tuttavia almeno un paio di testimonianze che ci inducono a pensare che Socrate non sia affatto stato vegetariano né, tanto meno, vegano.
La prima la possiamo ricavare dal “Simposio”. In questo dialogo Platone colloca Socrate in una allegra cena con un gruppo di amici e discepoli. Terminato il banchetto si discuterà di un certo tema, l'amore, e tutti a turno, potranno dire la loro. Ecco una descrizione del banchetto:
“Quando Socrate, sdraiatosi, ebbe cenato insieme con gli altri essi fecero le libagioni e, cantati gli inni in onore del Dio e compiuti gli atti di rito, passarono al bere; e allora Pausania cominciò a parlare press'a poco così: beh amici, come potremmo fare in modo di bere adagio? Per mio conto vi dico che davvero mi sento proprio male dal bere di ieri” (7).
I simpatici amici iniziano a discutere sul bere, l'importanza di moderarsi e la capacità di ognuno di reggere il vino. Alcuni preferiscono le cene in cui si beve senza ritegno, altri quelle in cui ci si modera, però “Fa eccezione Socrate che è sempre all'altezza tanto nell'una quanto nell'altra situazione, di modo che gli andrà bene in qualsiasi modo facciamo” (8)
Socrate non è un mistico, ama la compagnia, la buona tavola ed il vino. E' sempre controllato ovviamente, non perde mai la capacità di pensare razionalmente, ma non è per questo obbligato ad una particolare moderazione nel bere, perché regge benissimo il vino. Nel “Simposio” Platone non ci dice cosa mangino gli amici nel corso della cena, ma che giovani uomini partecipino ad un banchetto bevendo in abbondanza e cantando, mangiando però solo sedani, spinaci e mele è quanto meno poco, molto poco, credibile.
La seconda testimonianza è contenuta nel “Fedone”, lo splendido dialogo in cui Platone descrive le ultime ore di Socrate. Dopo aver bevutola cicuta, ormai freddo in quasi tutto il corpo Socrate si rivolse al suo allievo Critone.
“O Critone, disse, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non ve ne dimenticate” (9). Sono le sue ultime parole.
Non sappiamo se il gallo che Socrate ed i suoi allievi dovevano ad Asclepio fosse stato sacrificato agli dei o arrostito e mangiato. Di certo la sua presenza non quadra con la storiella di un Socrate vegetariano ed “antispecista”.


Platone.

Tutti gli argomenti che si sono usati contro l'ipotesi di un Socrate animalista antispecista valgono anche per Platone. Anzi, nel caso di Platone vanno semmai moltiplicati.
Al pensiero platonico è estranea ogni forma di individualismo. Si ha vera giustizia quando ognuno occupa il posto che per natura gli spetta. Nella città ideale i filosofi devono governare, i guardiani custodire e far si che tutto funzioni a dovere, i cittadini comuni svolgere i lavori manuali utili al sostentamento di tutti. Ognuno deve stare al suo posto: questo è per Platone il diritto fondamentale che ad ognuno spetta. L'idea che il singolo sia padrone della sua vita e che cerchi di fare ciò che a suo parere è meglio per lui è per Platone semplicemente blasfema; che un simile diritto potesse essere esteso anche agli animali gli sarebbe con tutta probabilità apparso mostruoso.
Anche prescindendo da queste considerazioni, fare di Platone un teorico della sensibilità come fattore che separa nel mondo chi può da chi non può essere titolare di un qualsiasi tipo di diritto è semplicemente ridicolo. Per lui la sensibilità ingenerale ed, in particolare, i sentimenti di piacere e di dolore non ci possono indicare ciò che è vero, o bello, o giusto o virtuoso.
Nel “Teeteto” il Socrate platonico polemizza con Protagora che sosteneva, com'è noto, che è l'uomo la misura di tutte le cose. Socrate si chiede, discutendo le tesi di Protagora, “come mai principiando quel suo libro su la verità (Protagora) non abbia detto così che di tutte le cose è principio il porco o il cinocefalo o qualunque altro anche più strano essere capace di sensazione. In codesto modo fin dal principio egli ci avrebbe parlato con un magnifico e grandioso dispregio, mostrandoci che mentre noi lo ammiravamo per il suo sapere come un dio, in realtà egli non valeva per intelligenza niente di meglio non dico di altr'uomo qualsiasi, ma nemmeno di un girino o di una ranocchia” (10).
Platone si fa beffe del relativismo di Protagora sostenendo che se è vero che la verità dipende dalla soggettiva impressione sensibile dovremmo dedurre che, come l'uomo, anche il porco sia la misura di tutte le cose, il che gli appare, prima ancora che orribile, del tutto ridicolo. Qualcuno, ragionando in buona fede, riesce seriamente a vedere simili tesi in bocca ad un animalista antispecista? In realtà
nessun filosofo è forse tanto lontano da un Bentham o da un Singer quanto Platone di Atene.

I tentativi di spacciare Platone per vegetariano animalista si basano su due citazioni. Vediamole.
La prima è un brano delle “Leggi”, l'ultima opera di Platone:
"E ancora oggi vediamo che presso molti popoli si è conservata l'usanza dei sacrifici umani: e, al contrario, sentiamo che presso altri popoli non vi era, un tempo, neppure il coraggio di gustare la carne di bue, e agli dèi non si sacrificavano animali, ma focacce, e frutti inzuppati nel miele, e simili altre incontaminate offerte, e non si toccava carne, quasi fosse empio mangiarne, e così macchiare di sangue gli altari degli dèi, ma quelli che di noi allora vivevano seguivano le cosiddette regole orfiche, nutrendosi di esseri inanimati e astenendosi al contrario da tutto ciò che era animato." (11)
Il tentativo di far passare questo brano come prova del vegetarianismo di Platone è ridicolo. Qui Platone sta semplicemente
raccontando ciò che avveniva in un'epoca imprecisata presso imprecisati popoli. Alcuni compiono sacrifici umani, altri si astenevano anche dai sacrifici animali e seguivano le “cosiddette regole orfiche”. Parla di persone che si astenevano dal mangiar carne “quasi fosse empio mangiarne” e non dice se, a suo parere, questo sia o non sia empio. Spacciare una descrizione per una valutazione non è una maniera seria di fare analisi filosofica.
La seconda citazione è tratta da “
La repubblica”.
“Ci vorranno anche molti altri animali da pascolo, se c'è chi ne mangia. Non è vero?
Come no? E con questo tenore di vita non ci serviranno molto più di prima anche i medici? Sì, molto di più.

E il territorio, che bastava a nutrire gli abitanti di allora, diventerà piccolo, da sufficiente che era. Non è forse così ?
E così, rispose.
Dobbiamo pertanto ritagliarci una fetta del paese confinante, se vogliamo avere terra sufficiente da pascolare e arare, e quelli devono fare altrettanto col nostro territorio, se anche loro si abbandonano a un acquisto sconfinato di ricchezze, andando oltre i limiti del necessario? E' davvero inevitabile, Socrate, rispose.
E poi faremo la guerra, Glaucone? O come andrà a finire?Andrà a finire così, disse”. (12)
In questo brano Platone non si riferisce di certo ai diritti animali. Il suo accenno al vegetarianismo è esclusivamente di tipo salutistico. Meno che mai accenna al veganismo, tra l'altro poco prima aveva consigliato di mangiare come frugale “companatico” le olive ed i formaggi, rigorosamente esclusi, come si sa, dalle diete vegane. L'obiettivo polemico di Platone comunque non è il consumo di carne in quanto tale ma il
lusso, o ciò che a lui appare tale, e l'eccessiva estensione della città che sarebbe connessa con l'allevamento e potrebbe  portare a guerre coi vicini. Platone sogna una città né troppo grande né troppo piccola, in cui non esistano né ricchezza né miseria e sia fortissima la coesione sociale. Secoli dopo Karl Raimund Popper sottoporrà la repubblica platonica ad una durissima critica, vedendo in essa, non del tutto a torto, un antecedente del moderno totalitarismo. In tutto questo però l'animalismo non ha rilevanza alcuna.
E' possibile rendersene conto se si esamina un brano del libro terzo della “
Repubblica” in cui Platone illustra cosa devono mangiare i guardiani della sua città ideale. Il brano è di grande importanza perché, come si sa, i guardiani sono l'autentico fulcro della città ideale che Platone teorizza.
“Simili concetti si potrebbero apprendere anche da Omero . Tu sai che nei banchetti degli eroi che si trovano sul campo egli non li fa desinare con pesce, anche se sono lungo la sponda del mare, sull'Ellesponto, né carni lessate, ma solo arrostite, come quelle appunto che i soldati possono procurarsi molto facilmente; perché, a dirla in breve, in qualunque luogo è è più agevole ricorrere direttamente al fuoco che andare in giro con le pentole.” (13)
La carne arrosto è quindi il cibo migliore per i guardiani. In onore alla frugalità cui è attaccatissimo Platone prescrive poi per i suoi guardiani la quasi totale astensione dai condimenti e dai dolciumi elaborati. Il senso del discorso è a questo punto ancora più chiaro. Il nemico di Platone è il lusso che infiacchisce gli spiriti e le sue regole dietetiche hanno il fine di evitarlo anche a tavola. Questo però non si traduce in vegetarianismo e veganismo, anzi, nel giro di una trentina di pagine è possibile trovare nella “
Repubblica “ platonica un accenno sia ai formaggi che alla carne, ed anche al pesce, da evitare solo perché non è possibile a dei soldati andare in giro con delle pentole. Si può fare di Platone un campione dell'antispecismo solo mistificando il senso, ed anche la lettera, dei suoi testi.


Schopenhauer


Fra i filosofi di cui stiamo trattando Schopenhauer è certamente il più vicino alle posizioni animaliste. Espone i suoi principi etici in “Il fondamento della morale”, un'opera in cui dedica molto spazio ed energie alla confutazione dell'etica kantiana. Alla morale kantiana, fondata sull'imperativo categorico, Schopenhauer oppone una morale che si basa sulla capacità di provare compassione, condividere l'altrui dolore.
“Questa immediata, anzi istintiva partecipazione al dolore altrui, vale a dire la pietà, è l'unica fonte di siffatte azioni, quando hanno un valore morale, quando cioè devono essere pure da ogni motivo egoistico e suscitare perciò dentro di noi quella interna soddisfazione che si chiama la coscienza pulita” (14)
La morale si basa quindi su un sentimento: la repulsione per l'altrui dolore. Ora, è chiaro che se è questo il fondamento della morale gli animali ne sono in qualche modo coinvolti, infatti è assai probabile che la vista di un animale sofferente susciti nell'uomo sentimenti di pietà e partecipazione.
“La presunta mancanza di diritto negli animali, l'illusione che le nostre azioni verso di loro siano senza importanza morale o, come si dice nel linguaggio di quella morale, non esistano doveri verso gli animali, è una rivoltante grossolanità e barbarie dell'occidente, la cui fonte sta nel giudaismo” (15).
Evitiamo di commentare l'antisemitismo che emerge da questa citazione. E' interessante notare che Schopenhauer qui pone l'accento non tanto sui diritti degli animali, quanto sui doveri dell'uomo nei loro confronti. La distinzione non è priva di importanza: io posso avere il dovere di non abbattere un abete secolare, ma da ciò non segue che l'abete, in quanto, tale sia titolare o addirittura soggetto di diritti. Malgrado la sua simpatia per gli animali Schopenhauer non giunge così a parificare questi all'uomo, non approda, per essere chiari, a posizioni simili a quelle di Singer. Non solo, se si va un po' avanti nella lettura si vede che Schopenhauer, per la grande delusione di chi lo definisce vegetariano o addirittura vegano, non teorizza affatto il vegetarianismo e, meno che mai, il veganismo.
“Se d'altra parte la pietà per gli animali non deve portarci al punto di astenerci, come fanno i bramini, dall'alimento animale, dipende dal fatto che in natura la facoltà di soffrire va di pari passo con l'intelligenza; e perciò l'uomo, privato dell'alimento animale, specialmente nel settentrione, soffrirebbe più di quanto soffre l'animale con una morte rapida e sempre imprevista, che però bisognerebbe alleviare ancora mediante il cloroformio. Senza alimento animale il genere umano non potrebbe neanche esistere nelle regioni settentrionali. Allo stessa maniera l'uomo fa anche lavorare per se l'animale, e soltanto l'eccesso dello sforzo impostogli diventa crudeltà”. (16)
Immagino la costernazione di antispecisti, vegani e vegetariani ideologici. Il filosofo che più di tutti si avvicina alle loro posizioni non era affatto “antispecista”, vegano e neppure vegetariano. Le conclusioni dell'animalismo di Schopenhauer sono in fondo del tutto condivisibili: occorre trattare con umanità gli animali e non sottoporli ad alcun tipo di gratuità crudeltà. Occorre forse astenersi dal consumo di bistecche alla fiorentina o dentici alla griglia per sottoscrivere simili raccomandazioni?
Del resto le conclusioni di Schopenhauer sono in linea con le premesse da cui era partito. Se davvero la morale si fonda sulla capacità di condividere il dolore altrui è chiaro che a diventare decisivo è il calcolo del dolore. Se condividere il dolore di A mi causa una sofferenza pari a 80, mentre un dolore che provo in prima persona mi causa una sofferenza pari a 100 io sono tenuto ad alleviare la mia sofferenza anche a scapito di quella di A. E questo vale, deve essere ben chiaro, anche quando A non è un cavallo o un maiale, ma un altro essere umano. Se non violentare una fanciulla mi causa un dolore superiore a quello che provo sentendo le sue urla disperate violentarla mi è moralmente consentito. L'etica di Schopenhauer è esposta a tutte le obiezioni che si possono avanzare nei confronti di ogni etica utilitarista e sulla conseguente pretesa di fondare la morale sul piacere e sul dolore. Una simile etica non è solo priva di vera universalità, perché nulla è tanto intimamente soggettivo quanto la capacità di provare dolore o piacere, ma può anche condurre a conclusioni francamente insostenibili.

Anche prescindendo da queste considerazioni resta comunque aperto un problema: c'è davvero posto per la morale nel sistema di Schopenhauer? La cosa è quanto meno molto dubbia. Per il filosofo di Danzica la natura è oggettivazione fenomenica della volontà. Volontà di esistere nella natura non vivente, cieca, fredda, implacabile volontà di vivere nella natura vivente. Ogni essere vivente vuole solo conservarsi vivo, comunque, ad ogni costo, senza considerazione alcuna per gli altri esseri viventi. Dal filo d'erba all'uomo lo schema non cambia: una rigorosa legge causale spinge ognuno ad una lotta per l'esistenza fine a se stessa, priva di ogni giustificazione e finalità.
“Nella natura vediamo dappertutto contesa, lotta e alternarsi della vittoria (…) Ogni grado di oggettivazione della volontà contende all’altro la materia, lo spazio, il tempo (…) Questa lotta universale diventa visibile nel modo più chiaro nel mondo animale che ha per suo stesso nutrimento il mondo vegetale e nel quale stesso ogni animale diventa a sua volta preda e nutrimento di un altro (…) potendo ogni animale conservare la propria esistenza solo con la costante soppressione di una estranea; sicché sempre la volontà di vivere si nutre di sé stessa ed è in forme diverse il suo proprio nutrimento” (17)
Altro che condivisione dell'altrui dolore! Qui siamo di fronte ad una visione disincantata, disperatamente pessimistica della natura che fa letteralmente a pugni con le visioni oggi di moda della stessa. Niente sole che ride, prati fioriti, animali simili a simpatici pupazzi di pelouche: qui tutto è lotta, contesa, volontà senza scopo o finalismo. Il pessimismo di Schopenhauer è deprimente, tanto deprimente che sorge il sospetto che con le sue considerazioni etiche abbia voluto aprire uno spiraglio di speranza in un sistema in cui questa sembra essere del tutto bandita. Non è certo questa la sede per affrontare una simile problematica. Comunque, fra il disperato e realistico pessimismo di Schopenhauer e gli agnellini umanizzati che spesso impazzano in rete io preferisco il primo, senza se e senza ma.


Per concludere

L'animalismo radicale, antispecista, non ha nulla a che vedere con l'amore per la natura ed i sentimenti di ammirazione o affetto che possono legarci agli animali, o ad alcuni animali. Si tratta di una ideologia. L'ultima grande ideologia dell'occidente in crisi, basata sulla crassa ignoranza di ciò che realmente è la natura e sulla sua sciocca e melensa umanizzazione.
In realtà i tentativi di far passare per vegetariani o vegani alcuni fra i più importanti filosofi della storia si basano, nella migliore delle ipotesi, su incomprensioni del loro pensiero, nella peggiore, su autentiche falsità o mistificazioni, che raggiungono spesso le vette del ridicolo, come quando si teorizza il vegetarianismo di Gesù, negando nel contempo quello, abbastanza documentato, di Hitler.
C'è solo da chiedersi il perché di tanti sforzi. In fondo il probabile vegetarianismo di Tolstoj non dimostra la correttezza delle analisi di Peter Singer, esattamente come quello di Hitler non equipara ai nazisti i difensori dei diritti animali. Dietro a tanti, spesso ridicoli, tentativi, di trasformare tutti i grandi in vegetariani o vegani sta probabilmente il tentativo di sostenere col principio di autorità teorizzazioni e proposte di stili di vita la cui debolezza appare anche intuitivamente evidente.
E' molto difficile far accettare a normali essere umani l'idea che mangiare un agnello arrosto è criminale come divorare un bambino, o convincerli a rinunciare a carne, pesce, salumi, latte, formaggi, burro, yogurt, uova, pizze, dolciumi, farmaci, scarpe di cuoio, maglioni di lana e camicie di seta e a moltissime altre cose, a volte finalizzate al benessere di cani, gatti ed altri nostri amici a quattro zampe.
Così si fa ricorso al disprezzo per i normali esseri umani, trasformati in burattini in mano alle onnipresenti “multinazionali”, e si contrappone alla loro desolante normalità l'ingegno di un Platone o di uno Schopenhauer.
Peccato che chi compie queste disinvolte operazioni non abbia molto spesso letto un rigo di Schopenhauer o Platone. L'ingegno dei grandi della filosofia meriterebbe maggior rispetto. Ed un maggior rispetto sarebbe dovuto anche a chi non è grande, ma è solo una piccola, normale ed umanissima persona. Un essere degno di rispetto, quali che siano le sue abitudini dietetiche.











Note

1) Riccardo Lautizi: Perché Pitagora, Ippocrate Leonardo e molti altri grandi erano vegani. E nessuno lo dice.
2) Ibidem.
3) Peter Singer: Liberazione animale. Citato in rete da “Meditterranea News.” Filosofi greci vegetariani ed anti specisti.
4) Francesco Adorno: storia della filosofia antica. Feltrinelli 1981 pag. 27
5) Ibidem pag. 31
6) Ibidem pag. 32
7) Platone: Simposio in “i Grandi filosofo: Socrate” ed. Il sole 24 ore 2006. pag. 544
8) Ibidem pag. 544
9) Platone: Fedone in “I grandi filosofi” Ed Il sole 24 ore. 2006 pag. 529
10) Platone: Teeteto in “Opere complete”, vol. secondo Laterza 1982 pag.107.
11) Platone: Le leggi. Rintracciabile in rete digitando: Platone vegetariano.
12) Platone: La repubblica. In “Opere complete”, vol. sesto UL 1983 pag. 81
13) Ibidem pag. 116
14) A. Schopenhauer: Il fondamento della morale. In “i grandi filosofi: Schopenhauer. ed. il sole 24 ore. 2006. pag. 409.
15) Ibidem pag. 418
16) Ibidem pag. 423
17) A. Schopenhauer: Il mondo come volontà e rappresentazione. Appendice. RCS Bompiani 2009. pag. 141





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