domenica 25 novembre 2018

POPPER E L'INDUZIONE


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Il problema di Hume

Il problema della inferenza induttiva è vecchio quanto la filosofia, o quasi. Si tratta innanzitutto di un problema logico. Per vederlo più da vicino basta confrontare due forme di sillogismo.


Sillogismo A

Tutti gli uomini sono mortali
Socrate è un uomo
Quindi Socrate è mortale

Questo tipo di sillogismo, il sillogismo perfetto di Aristotele, è sicuramente corretto e porta a conseguenze certe. Se è vero che tutti gli uomini sono mortali e se è vero che Socrate è un uomo è di certo vero che Socrate è mortale.


Sillogismo B

Tutti i corvi visti in Italia sono neri
Tutti i corvi visti in Francia sono neri
Tutti i corvi visti negli USA sono neri
Nessuno ha mai visto un corvo non nero
Quindi tutti i corvi sono neri.

A differenza che
A, B non costituisce una inferenza corretta. B non contiene alcuna contraddizione, ma in questo sillogismo la conclusione non deriva in maniera certa dalle premesse. Dal fatto che tutti i corvi sinora osservati siano neri e che nessuno abbia mai osservato un corvo bianco non deriva che tutti i corvi siano neri. Malgrado tutte le osservazioni resta sempre logicamente possibile che un domani si possa osservare un animale con tutte le caratteristiche del corvo ma di colore bianco invece che nero. A differenza della inferenza deduttiva esemplificata in A nella inferenza induttiva esemplificata in B fra premesse e conclusione esiste sempre un salto che toglie certezza alla conclusione stessa. La cosa non deve in alcun modo stupire. A è infatti un tipo di ragionamento solo analitico. La conclusione non fa altro che esplicitare ciò che era già implicitamente contenuto nelle premesse. Il fatto che Socrate sia mortale è già per intero contenuto nelle premesse “tutti gli uomini sono mortali” e “Socrate è un uomo”. In B invece la conclusione va oltre le premesse, vuole farci sapere qualcosa sul mondo che le premesse non esplicitano, ma è proprio questo "andare oltre" che pone un salto fra premesse e conclusione, togliendo a questa la certezza logica.

Dietro alla inferenza induttiva sta un presupposto: quello della stabilità, almeno relativa, del mondo. Nel mondo esistono alcune regolarità. Non siamo circondati dal caos, la nostra esperienza non è un informe susseguirsi di percezioni disordinate. Il mondo è, almeno in parte, ordinato e questo ordine rende possibile una esperienza comunicabile. Su questo si basa la inferenza induttiva: il salto dalle premesse alla conclusione è fondato perché il mondo è regolare, il futuro è simile al passato.
A questo punto si pone però il problema di come giustificare il presupposto della regolarità del mondo. David Hume lo affrontò con acutissimo rigore logico e giunse alla conclusione che un simile presupposto non è dimostrabile. Non lo si può fondare sui principi della logica formale perché nessuno di questi consente il passaggio dalla osservazione del presente alla predizione del futuro. Se invece si cerca di dimostrarlo facendo ricorso alla esperienza si cade inevitabilmente in un circolo vizioso. Il principio della regolarità del mondo si basa sulla inferenza induttiva e questa si basa a sua volta su questo principio. Il mondo è regolare perché osserviamo nel mondo delle regolarità. Possiamo dire che queste regolarità continueranno a ripetersi anche in futuro perché presupponiamo un mondo regolare.
Hume tuttavia non nega il ruolo fondamentale che l'induzione, e con lei il principio di causa, hanno nella vita di ognuno di noi. Si limita a sottolineare che l'uno e l'altra non sono razionalmente fondate; si basano su una arazionale associazione di idee. Constatiamo che ogni  mattino sorge il sole e giungiamo alla conclusione logicamente non fondata che
tutte le mattine il sole sorgerà. Ogni volta che ci avviciniamo al fuoco proviamo la sensazione del calore e stabiliamo che il fuoco è causa del calore. Se si lascia cadere un bambino dalla finestra di casa non c'è nessuna ragione logica, sostiene Hume, per aspettarsi che il bambino precipiti al suolo invece di rimanere sospeso in aria. Tuttavia le madri non gettano i bambini dalla finestra. E fanno bene, conclude il filosofo scozzese.
Non la logica ma l'associazione di idee fonda quindi l'inferenza induttiva, il principio di causa e con questi le scienze della natura. Ma fondando sulla associazione di idee il principio della regolarità del mondo e con esso la causalità lo stesso Hume ragiona in maniera causale: l'associazionismo causa la nascita nella nostra mente del principio di causa e con esso la convinzione che la natura non sia caotica. La stessa filosofia di Hume diventa in questo modo la risultante di un associazionismo arazionale e perde gran parte del suo valore euristico. Inoltre una scienza che si basi su una mera associazione di idee sembra incapace anche solo di avvicinarsi al vero, appare a qualcuno fondata sulla sabbia.


La risposta di Popper

Non è assolutamente possibile esaminare le risposte che la filosofia successiva ha dato al problema di Hume. Malgrado il grandioso tentativo kantiano di fondare la scienza, insieme, sulla ricerca empirica ed indiscutibili principi razionali a priori questo problema ha continuato a restare aperto e a porre domande alla speculazione filosofica. Domande che hanno trovato numerose risposte, ovviamente. Una delle più radicali è quella di karl Raimund Popper.

Popper è d'accordo con Hume quando il filosofo scozzese nega fondamento logico alla induzione, è però in disaccordo con lui quando sottolinea l'importanza che l'inferenza induttiva ha nella ricerca scientifica e, prima ancora, nella vita di tutti i giorni. Per Hume la scienza e la vita devono molto all'induzione, per questo vita e scienza mancano, in ultima analisi, di una solida base razionale. Popper non accetta la radicale derazionalizzazione operata da Hume, per questo nega radicalmente ogni importanza alla inferenza induttiva. Non è vero, afferma, che gli esseri umani usano l'induzione. Non lo fanno né nella scienza né nella vita.
L'induzione è solo un mito.
“L'induzione, cioè l'inferenza fondata su numerose osservazioni, è un mito. Non è né un fatto psicologico, né un fatto della vita quotidiana, e nemmeno una procedura scientifica (…) Il procedimento effettivo della scienza consiste nell'operare attraverso congetture, nel saltare alle conclusioni spesso dopo una sola osservazione (…). Le osservazioni e gli esperimenti reiterati fungono, nella scienza, da
controlli delle nostre congetture (…) costituiscono cioè dei tentativi di falsificazione” (1)
Come si vede il rifiuto della induzione è legato in Popper al rifiuto delle concezioni della epistemologia verificazionista. Le teorie scientifiche non possono essere verificate, considerate cioè vere, e questo per il semplicissimo motivo che non si può mai logicamente escludere che un domani si possano verificare fenomeni che le smentiscono.
Popper estende con grande coerenza alla logica probabilistica il suo rifiuto dell'induzione. In effetti il calcolo delle probabilità si basa, esattamente come la inferenza induttiva classica, sul presupposto di un mondo almeno relativamente ordinato, ma è proprio questo presupposto ad essere infondato. Non a caso quindi, dopo aver definito “un mito” l'induzione Popper aggiunge: “nulla di quanto detto sopra risulta minimamente alterato se affermiamo che l'induzione rende le teorie solo probabili, anziché certe” (2)
Se non possono essere verificate le teorie scientifiche possono però essere falsificate. Possono esserlo perché assumono la forma di enunciati universali del tipo “tutti i corvi sono neri” e questi, se non possono mai essere considerati confermati definitivamente dall'esperienza, possono essere falsificati dalla stessa. La scoperta di un solo corvo bianco falsifica l'asserzione secondo cui tutti i corvi sono neri.
Lo scienziato parte dai problemi, cercando di risolverli fa delle congetture, avanza delle ipotesi, elabora delle teorie. Infine sottopone tutto ciò a rigorosi controlli empirici. Se i controlli confutano le sue ipotesi, congetture e teorie queste vengono abbandonate, in caso contrario le si considerano corroborate dall'esperienza e vengono provvisoriamente conservate. In questo modo la scienza, e con lei la vita, quotidiana si liberano della fastidiosa dipendenza dalla inferenza induttiva che, anche se non contiene contraddizione alcuna, abbiamo visto essere logicamente non fondata. La scienza come la vita si basano sul gioco delle congetture e delle confutazioni, l'unico tipo di inferenza che mettiamo in atto è quella deduttiva. Faccio l'ipotesi che tutti gli uomini siano mortali e controllo se Socrate, che è un uomo, lo sia. Solo la deduzione conta. “...è possibile per mezzo di inferenze puramente deduttive (…) concludere dalla verità di asserzioni singolari alla falsità di asserzioni universali” (3)

Val la pena di sottolineare che Popper, anche se il suo interesse è prevalentemente gnoseologico, non si riferisce solo alla scienza. Parla invece, più in generale, della struttura della conoscenza. Gli esseri umani riescono a conoscere il mondo seguendo il metodo delle congetture e confutazioni. Fanno congetture e ne controllano i riscontri. Questo processo non è sempre cosciente, spesso è al contrario istintivo o semi istintivo. Popper lo estende addirittura a tutto il mondo animale. Ogni animale nasce con delle aspettative innate in base alle quali si rapporta al mondo circostante. In seguito alla risposta che l'ambiente da a queste aspettative si avrà un processo di adattamento o di non adattamento ambientale. Dall'animale all'uomo il processo è, nella sua struttura basilare, lo stesso. Al fine di risolvere determinati problemi si lanciano imput all'ambiente, ci si comporta cioè in un determinato modo. In base alle risposte che l'ambiente fornisce agli imput si scartano certi comportamenti e se ne confermano altri.
“Dall'emeba ad Einstein lo sviluppo della conoscenza è sempre il medesimo: tentiamo di risolvere i nostri problemi e di ottenere, con un processo di eliminazione, qualcosa che appaia più adeguato ai nostri tentativi di soluzione” (4)
A differenza di quella animale la conoscenza umana è razionalmente mediata ed espressa in un linguaggio simbolico. C'è una certa differenza fra una ipotesi scientifica ed il tentativo di aggredire una preda che si rivela troppo difficile da uccidere. Ma il procedimento è sempre lo stesso. Si fa un tentativo e si reagisce alla risposta che l'ambiente fornisce a questo. Dalla formica a Galileo, dall'emeba ad Einstein le cose sostanzialmente non cambiano. La natura, quanto meno quella animale, è fatta così.
Giusta o sbagliata che sia questa teoria di Popper, stupisce che un uomo del suo ingegno non si sia reso conto di fare, nel formularla, una classica inferenza induttiva. Per Popper infatti
tutti gli esseri umani, anzi, tutti gli animali, operano col metodo “prova ed errore”, o, per gli uomini, delle “congetture e confutazioni”. Cosa è una simile tesi se non una inferenza induttiva?
Qualcuno potrebbe rispondere che potremmo considerare la teoria di Popper a sua volta come una pura congettura falsificabile. Se lo facessimo dovremmo però ammettere che è stata ampiamente falsificata. Della induzione si può dire e pensare tutto ciò che si vuole, ma una cosa è certa: la quasi totalità delle persone comuni, moltissimi scienziati e molti filosofi, alcuni di enorme rilevanza, si pensi ad Aristotele, hanno creduto nella induzione e la hanno usata sia nelle loro ricerche che nella vita di tutti i giorni. Questo basta a falsificare la tesi secondo cui la induzione è solo un mito senza importanza alcuna,
neppure psicologica, nella vita e nel processo conoscitivo. Forse Aristotele e Bacone, Newton e Carnap sbagliavano a fidarsi delle inferenze induttive, ma di certo le usavano.

Luci ed ombre

Il falsificazionismo popperiano ha sicuramente molti meriti. Le teorie scientifiche devono poter essere falsificate dalla esperienza. Una teoria scientifica degna di questo nome deve indicare una classe di falsificatori potenziali, proibire certi fenomeni. Se qualcuno dei fenomeni che la teoria proibisce dovesse verificarsi questa andrebbe rifiutata o quanto meno seriamente ridiscussa.
La inconfutabilità non è un pregio ma un difetto: una teoria non può essere costruita in maniera tale da essere vera qualsiasi cosa accada. Le pagine de ”la società aperta e i suoi nemici” e “miseria dello storicismo” che Popper dedica alla critica di teorie inconfutabili sono probabilmente fra le migliori della sua vasta produzione teorica. Come si sa Popper considera teorie inconfutabili, quindi non scientifiche, il marxismo e la psicanalisi, oggi potrebbero esserlo le varie teorizzazioni del “riscaldamento globale” di origine antropica; più in generale, considera pure mitologie tutte quelle concezioni secondo cui la storia sarebbe retta da fatali leggi di sviluppo o di crisi.
E' anche apprezzabile la critica popperiana ad un certo neopositivismo dogmatico, quello che fa coincidere il significato di una proposizione col metodo della sua verificazione e ritiene quindi insensata la metafisica, tutta la metafisica. Popper ritiene non scientifica la metafisica, e la cosa è in fondo piuttosto ovvia, ma rifiuta di considerarla insensata. A domande sull'esistenza di Dio e dell'anima, il destino dell'uomo o la composizione ultima della materia non si può certo rispondere con metodologie verificazioniste. Ciò non le rende però prive di senso, al contrario.

Tuttavia nella sua polemica contro gli induttivisti Popper cade spesso a sua volta in posizioni dogmatiche. Non solo, leggendo le sue considerazioni polemiche si ha a volte la sgradevole impressione che sfondi delle porte aperte e polemizzi contro dei fantocci polemici.

Popper afferma che i sostenitori di una certa teoria dovrebbero cercare smentite, non conferme della stessa. E' facilissimo trovare conferme, afferma, meno facile, ma di assoluta preminenza, cercare le smentite di una teoria, metterla alla prova. Una simile polemica però è valida solo se riferita a coloro che cercano di costruire teorie che siano vere qualsiasi cosa accada, un po' come certe teorie del riscaldamento globale che vengono “confermate” dalle siccità come dalle alluvioni, dal crescere come dal decrescere delle temperature. Ma i verificazionisti seri non si comportano in maniera simile. Non costruiscono teorie tautologiche, vere per definizione. Affermano, esattamente come Popper, che in base a certe teorie si devono poter fare previsioni che l'esperienza può confermare o smentire. La ricerca seria di una conferma è, allo stesso tempo, ricerca di una falsificazione. Se dico che tutti i corvi sono neri e controllo i vari corvi che incontro cerco conferme al mio enunciato, ma cerco nel contempo delle possibili falsificazioni. La eventuale scoperta di un corvo bianco indurrà sia il verificazionista che il falsificazionista quanto meno a ridiscutere l'enunciato.


Asimmetria

Un altro punto debole della epistemologia di Popper riguarda la presunta asimmetria fra verificazione e falsificazione.
Verifica e falsificazione non si collocano per Popper sullo stesso piano. Nessun enunciato universale può essere confermato dall'esperienza, ma può da questa essere falsificato. Questa asimmetria di fondo permette di costruire una epistemologia libera dalle debolezze logiche della inferenza induttiva e permette anche di interpretare la vita degli esseri umani (e non solo) senza fastidiosi richiami alla stessa. Ma è davvero tale questa asimmetria? Mi permetto di dubitarne. A mio avviso esiste invece una notevole simmetria fra verifica e falsificazione. Alle difficoltà cui vanno incontro, a diversi livelli, i verificazionisti si possono infatti opporre simili difficoltà che affliggono i falsificazionisti.

Popper afferma, giustamente, che l'esperienza non può confermare gli enunciati universali. Per quanti corvi neri si possano trovare l'enunciato “tutti i corvi sono neri” non potrà mai dirsi interamente confermato, non lo si potrà mai dichiarare, senza riserve,
vero.
L'esperienza non può quindi confermare gli enunciati universali, ma non può neppure falsificare gli enunciati esistenziali. Può l'esperienza falsificare l'enunciato “esiste un leone verde”? Con tutta evidenza no. Il fatto che nessuno abbia mai visto un leone verde non falsifica l'enunciato “esiste un leone verde” perché un bel giorno potrebbe essere avvistato un grosso felino, con la criniera e poderosi canini come tutti i leoni, ma di colore verde. L'enunciato “esiste un leone verde” potrebbe essere falsificato solo se fosse confermato l'enunciato universale “tutti i leoni non sono verdi” ma è precisamente questa verifica ad essere negata da Popper. Popper si rende conto della difficoltà ma non sa rispondere ad essa se non con la proposta di considerare metafisici gli enunciati esistenziali: “dovrò pertanto trattare le asserzioni strettamente esistenziali come non empiriche o metafisiche” (5). In questo modo le difficoltà sembrano superate, ma francamente non si vede come sia possibile considerare metafisica una asserzione del tipo: “esiste un leone verde”.

Un'altra asimmetria riguarda quelle che Popper definisce le difficoltà dell'induttivista. Per i verificazionisti il processo di conoscenza inizia con le osservazioni. Si osservano certi fenomeni, si riscontrano delle regolarità e si passa da queste alla formulazione di enunciati universali. Ma, si chiede Popper, come iniziare un processo simile? Cosa si deve cominciare ad osservare? Dei corvi che volano? Il cielo stellato? Un gruppo di ragazzi che giocano al pallone? Legato com'è alle osservazioni l'induttivista non può scegliere
cosa osservare.
Qui sembra che Popper polemizzi con un induttivista, non troppo intelligente, che nega ogni rilevanza al soggetto osservante. Ma, accantoniamo pure, per ora, questo discorso. Quello che mi preme sottolineare è che anche un eventuale falsificazionista poco intelligente (uno che nega qualsiasi rilevanza al mondo esterno) si trova di fronte ad una difficoltà simile. Il falsificazionista inizia con le congetture e cerca poi di sottoporle a controlli empirici rigorosi, dice Popper. Ma gli si potrebbe chiedere: “con
quali congetture inizia a lavorare il falsificazionista”? “La luna è una forma di formaggio”, “tutti i corvi sono bianchi”, “la terra gira su se stessa” sono tutte congetture che possono essere sottoposte a controllo empirico. Quale scegliere? Se il verificazionista (poco intelligente) non sa cosa osservare il falsificazionista (poco intelligente) non sa quale congettura avanzare. Siamo di fronte, di nuovo ad una difficoltà abbastanza simmetrica.

E veniamo alla asimmetria più importante, quella davvero fondamentale per Popper. Le teorie scientifiche ci dicono quali sono le leggi che governano i fenomeni naturali. Esistono, è vero, teorie che non parlano delle leggi di natura, ad esempio la teoria darwiniana della selezione naturale, ma in questa sede possiamo non tenerne conto. Le teorie che individuano, o cercano di individuare, determinate leggi di natura sono espresse tutte in termini generali. Non si riferiscono ad un singolo evento ma ad una serie indefinita di eventi, passati, presenti e futuri. Il principio di inerzia ad esempio vale per qualsiasi corpo, riguarda qualsiasi tempo e qualsiasi parte dello spazio. Queste leggi non possono per Popper trovare una conferma definitiva per i motivi che abbiamo già esaminato. Non possiamo dire che un giorno il movimento di un certo corpo non sia tale da contraddire il principio di inerzia. Possono però essere falsificate anche da una sola esperienza contraria. Se davvero il movimento di un corpo contraddicesse il principio di inerzia dovremmo rivedere tale principio. Qui la asimmetria appare nettissima.
La falsificazione è logicamente possibile, la verificazione no.
“la mia proposta” dice Popper, “si basa su una
asimmetria fra verificabilità e falsificabilità, asimmetria che risulta dalla forma logica delle asserzioni universali. Queste, infatti, non possono mai essere derivate da asserzioni singolari, ma possono essere contraddette da asserzioni singolari” (6).
Le teorie che parlano delle leggi di natura possono essere falsificate ma non verificate. La asimmetria qui è forte e riguarda il cuore della gnoseologia popperiana. Ma... è proprio vero che le teorie scientifiche espresse in asserzioni universali, cioè praticamente tutte, sono falsificabili dall'esperienza? In realtà le cose non stanno così, ed è lo stesso Popper ad ammetterlo.

Un fenomeno che potrebbe falsificare una teoria scientifica può essere spiegato in maniera tale da evitare la falsificazione della stessa. Poniamo che una teoria preveda che i pianeti del sistema solare debbano muoversi secondo certe orbite. Un giorno si scopre che un pianeta si muove in un'orbita diversa da quella che prevista. Questo falsifica la teoria? No. E sempre possibile infatti elaborare una teoria che spieghi la deviazione senza che sia necessario abbandonare la teoria originaria. La deviazione potrebbe essere conseguenza dell'influenza gravitazionale di un pianeta sconosciuto, o della presenza di un campo di forze non ancora esaminato o di altre cose. Si tratta delle famose “ipotesi ad hoc” che permettono di evitare la falsificazione di teorie da tempo accettate. Le ipotesi ad hoc sono state usate spesso nella storia della scienza, a volte con risultati soddisfacenti. Alcune deviazioni dell'orbita di Urano ad esempio sono state spiegate con l'ipotesi ad hoc secondo cui doveva esistere un altro, o altri, pianeti responsabili delle stesse. Poi è risultato che le ipotesi erano corrette e si sono scoperti Nettuno e Plutone. Altre volte le ipotesi ad hoc sono servite solo a ritardare lo sviluppo della scienza, ad esempio le ipotesi dei sempre più numerosi epicicli con cui i sostenitori del sistema tolemaico cercavano di spiegare fenomeni sempre più in contrasto con questo. A parte comunque ogni considerazione sul ruolo e l'importanza delle ipotesi ad hoc, quello che val la pena di sottolineare è il loro peso logico. Non è vero che le asserzioni universali possono essere falsificate da asserzioni singolari relative a fenomeni che le smentiscono, e questo per il semplice motivo che è sempre logicamente possibile elaborare teorie che spieghino quei fenomeni senza che occorra considerare falsificate le asserzioni universali. Le innumerevoli conferme di una teoria possono sempre essere smentite da un singolo fenomeno che le contraddica, ma quello stesso fenomeno può sempre essere spiegato in maniera tale da salvare la teoria che questo sembra contraddire. E come la conferma di una teoria non è mai definitiva non è mai definitiva la sua falsificazione. Ulteriori ricerche possono scoprire fenomeni che falsifichino la falsificazione e “riabilitino” la teoria originaria.

Popper si rende conto della importanza delle ipotesi ad hoc e fa l'esplicita proposta di non usarle. Dietro alla formulazione di ipotesi ad hoc per salvare determinate teorie si nasconde una concezione conservatrice della scienza. La scienza invece è in continuo movimento, conosce autentiche rivoluzioni. Salvare a tutti i costi teorie che l'esperienza dimostra fallaci blocca lo sviluppo scientifico. In seguito Popper assunse una posizione più moderata sulle ipotesi ad hoc. Nella scienza occorre anche una certa dose di conservatorismo. Prima di dichiarare falsificata una teoria è corretto esaminare le varie ipotesi che possono salvarla. Tuttavia il processo non può proseguire all'infinito. E' insensato continuare a proporre ipotesi sempre nuove e sempre meno plausibili al fine di salvare una teoria dalla falsificazione. La posizione di Popper è ragionevole, ma qui si sta affrontando il problema della
sostenibilità logica di ipotesi ad hoc, sempre nuove e sempre meno plausibili, formulate al solo fine di evitare la falsificazione di una teoria scientifica. Logicamente questo è sempre possibile. Certo, appare irragionevole la risposta che Simplicio da a Salviati alla conclusione del celebre “dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”: tutte le evidenze razionali ed empiriche sembrano confermare la teoria eliocentrica, ma può darsi che Dio abbia predisposto le cose in modo da farla sembrare vera mentre invece è falsa. Si tratta di una raffazzonata ipotesi ad hoc che Galileo finge di prendere sul serio, ma che tratta invece con sottile ironia. Altrettanto poco ragionevole appare però la pretesa che il fatto di aver sempre visto il sole sorgere al mattino non induca in me ragione alcuna per ritenere che anche domani mattina il sole sorgerà. Di nuovo, ci troviamo di fronte ad una sostanziale simmetria.

Popper induttivista?

Ne “
Popper e la scienza sulle palafitte” l'ex presidente del senato Marcello Pera (quando avremo di nuovo un filosofo presidente del senato?) sostiene che, malgrado tutta la polemica antiinduttivista, anche la metodologia di Popper è in realtà di tipo induttivo. Popper sostiene che se una teoria viene falsificata dall'esperienza la si deve, dopo accurati controlli, considerare falsificata. Le teorie che vengono falsificate devono essere abbandonate, quelle che invece resistono ai tentativi di falsificazione devono essere, provvisoriamente, accettate. Si accetta il sistema copernicano e si rifiuta quello tolemaico perché il primo, resistendo ai tentativi di falsificazione, è stato corroborato dall'esperienza, il secondo invece è stato contraddetto dalla stessa. Ma davvero un tale procedimento è possibile se si nega ogni valore al principio della regolarità, almeno parziale, del mondo e, di conseguenza, alla inferenza induttiva?
“Accettare o preferire una teoria” afferma Marcello pera, “significa stimare che essa è più vicina alla verità, più verosimile, di un'altra. Ma fare questa stima in base alla circostanza che la teoria ha resistito ai controlli più severi, significa ritenere che questi controlli forniscano un indizio della sua verosimilitudine e quindi, di nuovo, assumere che i controlli passati non saranno smentiti in futuro. (...) La regola di accettazione del razionalismo critico, che impone di accettare o preferire la teoria meglio controllata e più corroborata, è anch'essa, come la regola del rifiuto, una regola induttiva che presuppone un principio di induzione” (7)
E' difficile non concordare con Pera. In effetti, se
nulla mi fa pensare che il mondo sia retto da almeno qualche regolarità, se niente, dalla logica alla psicologia, può spingermi a ritenere che il domani sarà simile all'oggi, o che quanto meno esiste una certa probabilità che lo sia, se parto da questi presupposti perché mai dovrei abbandonare una teoria contraddetta dall'esperienza? L'esperimento che contraddice la teoria T vale solo per l'oggi, anzi, per l'ora, per questo istante. Se lo rifacessi fra cinque minuti il risultato potrebbe essere del tutto diverso. Perché allora devo considerare corroborata una teoria che non è stata contraddetta dall'esperimento e falsificata una che invece lo è stata? Se la regolarità dell'esperienza poggia su un niente poggia sul niente anche la metodologia scientifica popperiana.
E, di conseguenza, tale metodologia non può spiegare i successi indubbi della ricerca scientifica. Ammettiamo pure che il metodo, l'unico metodo, della ricerca scientifica sia quello delle congetture e confutazioni. Se la regolarità del mondo è una ipotesi del tutto infondata, anzi, non è neppure una ipotesi, è un
mito, come mai alcune, a differenza di altre, “congetture” hanno tanto spesso successo? Se il mondo è privo di qualsiasi regolarità congetture come “la luna è il satellite della terra” e “la luna è una forma di formaggio” sono assolutamente sullo stesso piano. Come mai allora solo la prima vene continuamente corroborata dai controlli empirici?
“La sola risposta corretta” a tale quesito, afferma Popper, “è quella più semplice: perché cerchiamo la verità anche se non possiamo mai essere certi di averla trovata, e perché sappiamo o crediamo false le teorie le teorie falsificate, mentre le teorie non falsificate possono essere considerate ancora vere” (8).
Come si vede la risposta non è tale. Non spiega come mai certe congetture superano molto spesso i controlli ed altre no. Semplicemente ribadisce che vengono considerate corroborate quelle che superano i controlli empirici e falsificate le altre. Una dichiarazione di fede più che una spiegazione.

La regolarità del mondo

La filosofia di Popper, in particolare la sua insistenza sulle aspettative a priori di uomini ed animali nei confronti del mondo, pur non cadendo in forme nuove o tradizionali di soggerrivismo idealistico, da una grande rilevanza al soggetto.
Popper sottolinea spesso che il soggetto non è qualcosa di passivo, la sua mente non è qualcosa di simile ad un secchio, o a una tavoletta di cera su cui si imprime quanto viene dall'esterno. Il paragone fra la passività del soggetto ed secchio o la cera non è, a ben vedere le cose, particolarmente felice. E' grazie alle sue caratteristiche positive che il secchio può contenere l'acqua: se fosse costruito con materiale poroso o fosse tutto bucherellato non potrebbe contenere un bel niente. E una tavoletta di cera può conservare ciò che le viene impresso perché ha, di nuovo, certe caratteristiche positive: se fosse liquida come l'acqua nulla potrebbe restarle impresso, ma questi in fondo sono dettagli. Che il soggetto abbia anche un ruolo attivo nella costruzione dell'esperienza e della conoscenza è innegabile. Ma occorre stare attenti a non confondere azione positiva ed azione costitutiva. Una cosa è conservare, relazionare, unificare i dati empirici, altra cosa crearli, o, il che è quasi lo stesso, costruire da un mondo assolutamente caotico un universo ordinato. Il ruolo attivo del soggetto non elimina né dalla esperienza comune né dalla scienza un fondamentale momento di passività. Popper non lo nega. Si considera realista in filosofia e più di una volta afferma che è proprio l'esistenza di un mondo che non si identifica col soggetto a rendere possibile la falsificazione di teorie, ipotesi e congetture. Tuttavia insiste in certi momenti sul fatto che le osservazioni sono teoricamente indirizzate. I fatti sono intrisi di teoria, dice. Guardiamo sempre al mondo a partire da certe aspettative, ipotesi, teorie, in una parola, da certi punti di vista. Tutte cose ragionevoli, a condizione di non credere che guardare il mondo a partire da punti di vista o aspettative teoricamente indirizzate ci possa permettere di
plasmare i dati dell'esperienza sensibile. Se le cose stessero così lo stesso falsificazionismo andrebbe in crisi.

A parte le perplessità e le diverse possibili interpretazioni di questo o quell'aspetto della epistemologia popperiana esiste un punto fondamentale che occorre chiarire per dare su questa un giudizio equilibrato. Popper afferma di continuo che non esiste niente che possa fondare la credenza che il mondo sia almeno in parte regolare, che,
grosso modo, il futuro sia simile al passato. Nega addirittura che esista questa credenza ed in questo modo spoglia l'inferenza induttiva non solo di base logica ma anche di rilevanza psicologica. L'induzione è un mito e gli esseri umani non si comportano induttivamente: questo è un caposaldo del suo pensiero. E' ragionevole una simile posizione? Ed è possibile fondare, a partire da questa, un qualsiasi tipo di epistemologia, una qualsiasi teoria dell'esperienza? Credo sinceramente di NO.
Quando Popper sfida i suoi rivali a fondare in qualche modo la credenza sulla regolarità del mondo ricorda un po', lo dico col massimo rispetto, quegli scettici che chiedono a chi troppo scettico non è di “dimostrare” l'esistenza del mondo esterno. Ma esiste davvero la necessità di fondare o dimostrare cose simili? Voler “dimostrare” l'esistenza del mondo esterno è un po' come voler “dimostrare” il principio di non contraddizione. La cosa è del tutto impossibile perché qualsiasi dimostrazione presuppone l'esistenza e la validità di tale principio. Allo stesso modo, qualsiasi “dimostrazione” dell'esistenza del mondo esterno in realtà lo presuppone. Quando cerco di “dimostrare” l'esistenza del mondo parlo con una persona diversa da me, quindi che mi è esterna, e do per scontato che questa persona esista. Per cercare di “dimostrare” che il gatto che ho di fronte non è solo “sensazione in me” devo riferirmi al gatto. Se dico: “quel gatto è, o non è, solo sensazione in me” pongo già una distinzione fra me, le mie sensazioni ed il gatto, quindi presuppongo la sua esistenza autonoma. Le dimostrazioni logiche partono da certi dati assunti come premesse per giungere a certe conclusioni, ma i dati ultimi non possono essere dimostrati. “Non di tutto può darsi dimostrazione”, dice Aristotele nella “
metafisica”. Gli farà eco, circa 23 secoli dopo, Wittgenstein: “ad un certo punto la zappa si piega”, dirà il viennese. Non tutto può essere dimostrato, prima o poi la fila dei ragionamenti si deve fermare, se si cerca di proseguire “la zappa si piega”.

Si possono fare considerazioni simili sulla regolarità del mondo. Una certa regolarità del mondo è il presupposto fondamentale di ogni discorso, ogni teoria, ogni azione. Non si tratta, è bene sottolinearlo con la massima chiarezza, di una convenzione, o di una teoria, o di una ipotesi o di una congettura. Quando entro in un bar e prendo un caffè sono convintissimo che il caffè non si trasformerà, mentre lo bevo, in acido solforico. Questa non è una teoria, o una congettura, o una ipotesi, o una convenzione che stipulo col barista. E' un
dato originario della mia esperienza, è il presupposto di ogni teoria, ogni ipotesi, ogni congettura, ogni convenzione.
Siamo nel mondo, ne facciamo parte. Ed il mondo in cui siamo non è caotico, o non lo è totalmente. Il mondo in cui siamo è almeno in parte abbastanza regolare ed abbastanza regolare è anche il soggetto che è nel mondo. Tutti i discorsi sul soggetto che “ordina il mondo” dimenticano che
il soggetto è nel mondo e che per ordinare qualcosa il soggetto deve essere a sua volta abbastanza ordinato. I miei organi di senso sono parte del mondo e devono agire con una certa regolarità per potere in qualche modo ordinare i dati dell'esperienza sensibile; questi a loro volta devono avere una certa regolarità perché io possa ordinarli. Non è assolutamente possibile prescindere dal presupposto di un certo ordine del mondo e, nel mondo, del soggetto. Se si abbandona un simile presupposto tutto diventa insensato, inesprimibile, compresa la negazione di ogni ordine.
Il presupposto della regolarità del mondo può essere considerato una di quelle che il filosofo americano John Searle chiama le “posizioni predefinite”.
“Le posizioni predefinite sono quelle visioni che assumiamo in modo acritico, cioè in modo tale che qualsiasi allontanamento da esse richiede uno sforzo cosciente e un argomento convincente” (9).
Il fatto che Searle parli di accettazione “acritica” di tali posizioni non implica sulle stesse alcun giudizio negativo, al contrario. Queste posizioni sono assunte “acriticamente” perché sono spesso il presupposto della stessa formulazione delle critiche, il che non esclude, ovviamente, che si possa discutere anche delle posizioni predefinite. In effetti Searle stesso ne discute, ma lo fa in modo particolare: in qualche modo osservandole, allo stesso modo in cui Aristotele o Hegel discutono sul principio di non contraddizione: applicandolo nel momento stesso in cui ne discutono o lo criticano.

Leggendo Popper si ha a volte l'impressione che il filosofo viennese sottovaluti le conseguenze della negazione della regolarità del mondo e si accontenti di una interpretazione debole di questa negazione.
Se il mondo non fosse almeno un po' regolare, o se io non avessi alcun motivo per crederlo tale, non potrei elaborare ipotesi, congettura o teoria alcuna perché lo stesso significato delle parole potrebbe cambiare mentre io espongo una certa congettura. Meno ancora potrei cercare di falsificare una mia teoria perché i dati della esperienza sensibile varierebbero di continuo mentre io cerca di effettuare verifiche e controlli. E, prima ancora che ipotesi, congetture e teorie, la negazione radicale di ogni regolarità renderebbe impossibile la vita. Non credo che Popper abbia mai creduto
sul serio di non avere motivo alcuno di credere che buttandosi dalla finestra precipiterebbe a terra, o abbia considerato una simile eventualità solo una congettura da controllare. Popper ripete spesso che a volte saltiamo subito alle conclusioni, senza effettuare numerose osservazioni, sia nella ricerca scientifica che nella vita di tutti i giorni. E' verissimo, ma questo prova solo che la credenza in una certa regolarità del mondo è tanto diffusa che neppure cerchiamo di verificarla. La prima volta che ho mangiato il sushi non ho fatto numerosi esperimenti prima di convincermi che non mi avrebbe ucciso. Sono entrato in un ristorante giapponese, ho ordinato e ho gustato il sushi. E mi è piaciuto.
In realtà Popper, come dice Marcella Pera, è induttivista, come tutti. Lo è allo stesso modo in cui è realista, nei fatti, anche il filosofo più scettico. Lo è anche a livello teorico. Il falsificazionismo di Popper in realtà ammette una certa regolarità nel mondo. Ci ricorda però, giustamente, che, anche dentro a questa regolarità, non possiamo mai essere
assolutamente certi di nulla. Il sole sorge tutte le mattine, diciamo. Ma un bel giorno potrebbe davvero non sorgere, anzi, un giorno, fra milioni di anni, non sorgerà. Ogni teoria scientifica è vera sempre fino a prova contraria, come è fino a prova contraria falsa, perché un giorno si potrebbero fare scoperte che mettono in crisi ciò che si riteneva vero e “riabilitano” ciò che si riteneva falso. Il mondo non è caotico ma anche ciò che nel mondo è regolare può sempre riservarci delle sorprese. Anche ammettendo che tutto nel mondo sia retto da leggi invariabili è sempre possibile che si scopra prima o poi una nuova legge invariabile che mette in crisi le nostre convinzioni ed ha, magari, pesanti conseguenze sulla nostra vita di tutti i giorni. Facciamo benissimo a credere “acriticamente” nella regolarità del mondo, ma facciamo bene a conservare sempre quello spirito critico che ci permette le riserve mentali. Inteso in questo senso il falsificazionismo di Popper è del tutto ragionevole e non contrasta con un verificazionismo altrettanto ragionevole e non dogmatico. Purtroppo spesso Popper si allontana da questa interpretazione “debole” del suo pensiero.

Resta a questo punto da rispondere ad una domanda, forse la più importante. “E' possibile”, potrebbe chiedere qualcuno “che un bel giorno il mondo cessi di essere, almeno parzialmente, regolare cessi di esserlo in maniera totale, assoluta, radicale? Se ammettiamo che possiamo avere delle sorprese non potremmo imbatterci un giorno in una sorpresa radicale come questa?”.
Che rispondere ad una simile domanda? Semplicemente che si, una simile sorpresa è possibile. Il mondo può cessare di essere ordinato, può diventare caotico, a priori è impossibile negare una simile eventualità. Ma se questo avvenisse il mondo cesserebbe, molto semplicemente, di essere pensabile, comunicabile, dicibile. Svanirebbe.  E col mondo, l'oggetto, svanirebbe anche l'io di ognuno di noi, il soggetto. La nostra esperienza diverrebbe un caos di impressioni multicolori, svanirebbe e con essa svanirebbe la coscienza che ognuno di noi ha di se stesso quale soggetto. Tutti noi smetteremmo di esperire qualcosa, ed insieme smetteremmo di dire, pensare, ricordare qualcosa. Ci immergeremmo in una sorta di nulla.
Non si tratta in fondo di una ipotesi tanto peregrina, al contrario. E' assai vicina alla premessa maggiore del sillogismo perfetto di Aristotele: “tutti gli uomini sono mortali...
Tutti gli uomini sono mortali, quindi ognuno di noi viene da “qualcosa” che non può essere pensato né detto, né esperito. E che neppure può essere ricordato. Ed un giorno tornerà in quel “qualcosa”. La morte è questo, in fondo: il non dicibile, non pensabile, non esperibile, non ricordabile. Come diceva Wittgenstein: la morte non si vive, è il puro negativo di cui nulla può essere detto. Un mondo ridotto a puro caos è lo stesso: un nulla multicolore, o privo di ogni colore, di cui nulla possiamo dire.
Non abbiamo le parole per parlare di un mondo ridotto a caos. E se le parole ci mancano, dobbiamo solo tacere.









Note
1) K. Raimund Popper: Congetture e confutazioni. Il Mulino 1972 pag. 96. Sott. di Popper.
2) Ibidem pag. 96
3) K. R. Popper: Logica della scoperta scientifica. Einaudi 1970 pag. 23.
4) K.R. Popper: la conoscenza oggettiva. Citato in: Nicola Abbagnano Storia della filosofia, la filosofia contemporanea a cura di Giovanni Fornero. TEA 2000. pag. 156.
5) K.R. Popper: Logica della scoperta scientifica. Einaudi 1970 pag. 55.
6) Ibidem pag. 23 sott di Popper.
7) Marcello Pera: Popper e la scienza sulle palafitte. Laterza 1982 pag. 186 187
8) K.R. Popper: congetture e confutazioni Il Mulino 1972 pag. 101.
9) Jhon R. Searle: mente linguaggio e società Raffaele Cortina editore 2000. pag. 10.