mercoledì 10 aprile 2019

UN ORRORE ORWELLIANO

Risultati immagini per foto del papa coi migranti ed uno striscione



Lo scorso 6 aprile Papa Francesco ha festeggiato i 150 anni di vita del collegio arcivescovile San Carlo di Milano. In quella occasione ha detto a studenti e docenti cose di cui sarebbe sbagliato sottovalutare la gravità. Val la pena di esaminarle e commentarle in dettaglio.

“I migranti siamo noi”, così ha esordito il papa, “Gesù è stato migrante”.
Probabilmente quando definisce “migrante” Gesù il papa si riferisce alla fuga in Egitto: sarebbe infatti eccessivo anche per lui definire “migrazioneil viaggio di Maria e Giuseppe a Betlemme, fatto per ottemperare ad un decreto imperiale sul censimento delle popolazioni ebraiche. Anche la fuga in Egitto, di cui parla solo il vangelo di Matteo, serve poco comunque al fine di far passare per “migrante” Gesù Cristo. Quella fuga, ammesso ci sia stata, fu un breve trasferimento in un paese vicino messo in atto al fine di sfuggire ad un pericolo gravissimo. Passato il pericolo la sacra famiglia fece ritorno in tutta fretta a casa sua e li restò. Tutta la predicazione di Gesù si svolse nelle terre patria del popolo ebraico. Mai il Messia si recò in Egitto, né cercò di recarsi in Grecia o a Roma. Definirlo “migrante” è, come minimo, esagerato.
Ma questi in fondo sono dettagli. Valenza ben più importante hanno le cose che il papa dice subito dopo la sua introduzione.
“Dobbiamo ringraziare Dio perché il dialogo tra persone, culture, etnie è una ricchezza.
A chi obietta che i tuoi figli non cresceranno puri, dico che la purezza è come l’acqua distillata, non ha sapore, l’acqua della vita è la multiculturalità”.
Le culture “pure” sono come l'acqua distillata, insapori, vuote. C'è da restare allibiti. A cosa si riferisce papa Francesco quando definisce “acqua distillata” le culture “pure”? Forse la nostra cultura, la cultura occidentale, è una sorta di “acqua distillata”? Una civiltà che ha prodotto Platone ed Aristotele, Kant e Newton, Dante e Shakespeare, Galileo ed Einstein, Leonardo e Michelangelo, Mozart e Beethoven e moltissimi altri simili giganti è riducibile ad “acqua distillata”? O Francesco ritiene che Aristotele, Dante o Bach siano il risultato del dialogo fra Europa ed Africa sub sahariana?
Per papa Francesco ha valore solo la “multiculturalità”. La purezza culturale è “acqua distillata”, solo dalla mistura fra culture diverse nascerebbe l'acqua della vita. Che le culture possano mischiarsi è un'ovvia verità, come lo è che da questa mistura possano nascere (anche) cose buone. Ma la contrapposizione fra culture pure ed insapori e culture miste, vive e vitali, non solo è storicamente infondata, è' anche logicamente contraddittoria. Qualsiasi multuculturalità infatti altro non è che una mescolanza di culture pure. Ora, se queste sono “acqua distillata” anche il loro amalgama multiculturale sarà tale. Mischiando acqua con acqua non si ottiene vino, solo altra acqua. La multiculturalità è invece per Francesco una sorta di miracolo in grado di trasformare l'acqua in vino. Ma pare che un simile miracolo sia riuscito solo a Nostro Signore.
Ma, lasciamo perdere. Non approfondiamo troppo l'equiparazione papale fra la cultura “pura” e l'acqua distillata. Ammettiamo che quel riferimento “acquatico” sia stato solo un eccesso polemico e che il santo padre conceda una valenza positiva anche alle povere culture pure. Resta il fatto che per lui qualsiasi giustapposizione culturale, qualsiasi accostamento eclettico di diversità ha un grande valore positivo. E qui, di nuovo, papa Francesco incappa in un grossolano errore di logica. Cade in quella che si chiama la
fallacia della composizione che consiste nell'attribuire al tutto le stesse qualità delle parti.
"La marmellata è buona, il pesce fritto è buono,
quindi una frittura di pesce condita con marmellata è buona". Non occorre un genio della logica per capire che quel “quindi” è completamente fuori posto e che la deduzione è del tutto errata. Quando si tratta di culture però moltissimi fanno deduzioni ancora più ridicole. "Una cattedrale gotica è bella, un tempio buddista è bello, quindi una piazza in cui sorgano una cattedrale gotica ed un tempio buddista è bella". Di nuovo, il “quindi” è leggermente fuori posto.
Negli esempi mi sono limitato a mettere insieme cose buone o belle. Per il papa la fallacia della composizione va addirittura oltre: per lui il tutto è positivo anche se alcune delle sue parti non lo sono affatto. Una società in cui coesistano diritti delle donne e burka, laicità e teocrazia, libero pensiero e carcere (o peggio) per gli apostati è di certo una società molto mista, molto “multiculturale”; non assomiglia in niente alla detestabile acqua distillata delle culture “pure”. Però pochi la considererebbero una buona società, credo.

Ovviamente il dialogo fra culture e civiltà è non solo possibile ma anche desiderabile. Ma due o più culture o civiltà possono dialogare, e nel dialogo arricchirsi a vicenda, se ognuna è
quello che è. Per dialogare occorre avere una identità, cose da dire, valori da difendere. E nel dialogo si può cambiare, certo, ma, a parte il fatto che possono cambiare tutti gli interlocutori e non solo uno di loro, a parte questo, cambiando ognuno resta se stesso. La vita di ognuno di noi è un costante cambiamento, ma cambiando ognuno di noi non si trasforma in una miscela indeterminata, in una giustapposizione di idee, sentimenti, aspirazioni priva di un centro unificante. La civiltà occidentale non è oggi quello che era duemila o più anni fa. Eppure non facciamo nessuna difficoltà a collocare entro la stessa civiltà  pensatori come Aristotele e Kant, pittori come Raffaello e Gauguin o musicisti come Bach e Beethoven. La grande cultura cinese è stata in grado di assorbire quanto di universale esiste nella cultura occidentale, ma questo non ha distrutto per i cinesi la continuità con le loro tradizioni. Culture e civiltà possono dialogare perché ogni grande cultura da un lato è legata a delle particolarità, ad una storia, a linguaggi, tradizioni, dall'altro le trascende, assume un afflato universale. Culture e civiltà non sono né acqua distillata né misture: sono identità capaci di confronto, capaci di confronto proprio perché identità.
Se culture e civiltà sono identità capaci di confronto è fin troppo chiaro che la politica dei “ponti e non muri” è pericolosa oltre che sbagliata.
Il cuore è aperto per accogliere tutti. Se io ho il cuore razzista devo capire il perché e convertirmi” ha affermato il papa nel discorso di cui stiamo parlando. Ma accogliere tutti vuol dire inevitabilmente perdere la propria identità. Se io accolgo tutti i casi sono tre: o i “tutti” che accolgo diventano più o meno come me, o io come loro o insieme formiamo una mistura indeterminata in cui nessuno è più quello che è. In ogni caso la identità originaria è persa ed il dialogo diventa impossibile. Si, impossibile, perché io non posso dialogare con Tizio se sono diventato come lui o lui come me o se entrambi siamo diventati Sempronio. Il dialogo non esiste senza identità.
E qui si parla solo una molto ipotetica ed astratta situazione ottimale: quella in cui l'accogliere tutti si riferisce a dei “tutti” desiderosi in qualche modo di integrarsi, cosa che ben difficilmente può essere detta di coloro che papa Francesco sembra amare più di ogni altra cosa al mondo: gli islamici. Di fatto la illimitata accoglienza non da vita ad alcuna integrazione. Non può farlo perché si possono integrare i singoli ed i gruppi, non interi popoli o frazioni consistenti degli stessi. Fuori dalle ipotesi di comodo, nel mondo reale, il multiculturalismo che il papa non fa che invocare disaggrega il corpo sociale lungo linee etnico tribali. La società si frantuma, diventa un insieme di tribù non unite da nulla, che nella migliore delle ipotesi si ignorano, nella peggiore scendono in guerra l'una contro l'altra armate.

E' sotto gli occhi di tutti un fatto inoppugnabile: processi disordinati ed illegali di immigrazione portano a gravi situazioni di degrado. E' sempre stato così ed oggi lo è particolarmente. Ma anche questo fatto incontestabile, che anche un sostenitore di ampi flussi migratori potrebbe riconoscere, non è ammesso da papa Francesco:
“Qualcuno potrebbe dire che sono delinquenti. Ma anche noi ne abbiamo tanti. La mafia non è stata inventata dai nigeriani, La mafia è, diciamo, un "valore" nazionale. È nostra, italiana”.

Questo, proprio questo
ha affermato il Vescovo di Roma. Certo, in Italia esistono una delinquenza ed una mafia italiane, esattamente come esistono una mafia cinese in Cina o una mafia russa in Russia. Il problema non è ovviamente decidere se gli italiani siano o meno più bravi degli stranieri, ma di stabilire se una politica di accoglienza massiccia, indiscriminata e priva di regole contribuisca o meno a creare situazioni sociali in cui la delinquenza e le mafie possono più facilmente prosperare. Il papa sembra pensare che, visto che esiste la mafia italiana, non dobbiamo preoccuparci se ad essa si affianca la mafia nigeriana. Il fatto che circolino in Italia decine, forse centinaia di migliaia di persone prive di documenti, di cui spesso non si conosce nulla, neppure il nome o la data di nascita o il paese di provenienza non dovrebbe costituire motivo di preoccupazione alcuna.
“I migranti sono coloro che ci portano ricchezze.
Sempre.” esclama, ed aggiunge: “anche l’Europa è stata fatta da migranti”
I migranti ci arricchiscono,
sempre, punto e basta. Sarebbe commovente tanta illimitata fiducia se non fosse preoccupante. Quanto all'Europa “fatta dai migranti”... c'è solo da aggiungere che se i vari stati europei si sono formati anche in seguito a migrazioni di popoli....europei, queste migrazioni sono state molto spesso fenomeni tragici e sanguinosi (altro che arricchimento sempre e comunque!) ed hanno dato vita a diversi stati, abitati da diversi popoli, ognuno con la propria identità. Nulla di simile ad una qualche forma di universale meticciato o di generalizzata mistura “multiculturalista”.

Da oltre venti anni il terrorismo islamico non fa che crescere. Colpisce ovunque nel mondo, è in guerra con l'occidente. Ed a questa guerra si affiancano sempre nuovi conflitti interislamici. In questo quadro ha assunto dimensioni mostruose la persecuzione contro i cristiani. Un orribile fenomeno che provoca tutti i giorni migliaia di vittime e su cui i media hanno steso una cortina di vergognoso silenzio. Sarebbe normale che il capo della Chiesa cattolica dicesse parole chiare su una simile tragedia. Ma così non è. Ogni tanto il papa denuncia i massacri di cristiani, ma si guarda bene dal denunciare i loro autori. Piange le vittime, ma non dice nulla sui carnefici. Non dice
CHI sono i massacratori. Un po' come se ieri qualcuno avesse condannato il genocidio degli ebrei senza mai pronunciare la parola “nazismo” o avesse denunciato l'eliminazione dei kulak in quanto classe senza mai pronunciare il nome "Stalin".
Nel discorso di cui stiamo parlando papa Francesco riesce addirittura ad andare oltre a tanta reticenza. Infatti, afferma che “Se ci sono le guerre nel mondo è perché qualcuno vende le armi per ammazzare i bambini, per ammazzare la gente.
Siamo noi a fare le differenze, sono la ricca Europa e l’America a vendere le armi”. La colpa insomma è, ancora una volta, solo nostra.
A parte il fatto che stati come l'Iran o il Pakistan le armi (anche atomiche) se le costruiscono da soli o vorrebbero farlo, con la benedizione dei “pacifisti”, a parte il fatto che la vendita di armi ai terroristi è ovviamente vietata in occidente, a parte tutto questo, è incredibile che le responsabilità di guerre e terrorismo vengano addebitate principalmente non a chi le armi le compra e le usa, ma a chi le costruisce e le vende. Certo, è criminoso vendere armi, ad esempio, all'Iran, ma questo non può farci scordare che sono gli iraniani a minacciare di distruzione Israele. Se i terroristi islamici sgozzano gente innocente sono loro gli assassini, non i costruttori di coltelli. Vendere armi all'Isis o ad Hammas è criminale perché l'Isis ed Hammas sono delle organizzazioni terroristiche e criminali. Per il papa invece l'esistenza di occidentali venditori di armi ai terroristi islamici elimina il terrorismo dalla scena mondiale. ISIS, Boko Aram, Al Qaeda, Hammas, Fratelli Musulmani, Hezbhollah, Talebani e tantissimi altri gruppi terroristici scompaiono. E con loro scompaiono gli uomini bomba, gli attentati, gli sgozzamenti. Scompaiono i cristiani massacrati, le chiese bruciate, tutto insomma. Restano solo i cattivoni occidentali che le armi le fabbricano. Si chiederà mai il santo padre come mai la Svizzera o la Finlandia non sono in guerra con nessuno malgrado che nel mondo ci siano tanti costruttori e venditori di armi? Perché mai cattolici, protestanti e buddisti non sgozzano nessuno anche se il mondo brulica di coltelli? Perché mai sono quasi sempre certi stati ed i seguaci di una certa religione a
comprarle, le armi?
Papa Francesco detesta l'occidente, questo è il punto. La sua critica ai mercanti di armi non è rivolta ad alcuni aspetti patologici della nostra società, a gruppi criminali che si arricchiscono trafficando coi terroristi. No, la sua è una condanna della civiltà occidentale, dell'economia di mercato e della democrazia liberale in quanto tali.
“Il fatto che vi siano persone che vivono in povertà? I bambini affamati? Le differenze tra la gente? Non è Dio a volerlo, ma
le fa anche questo sistema economico ingiusto dove ogni giorno ci sono più o meno ricchi con tanti soldi e tanti poveri senza nulla. Siamo noi con questo sistema economico ingiusto a fare la differenza, a fare che i bambini siano affamati”.
La colpa di tutti i mali del mondo è di una società che produce miseria, arricchisce i ricchi ed impoverisce i poveri. Questo il centro del pensiero del pontefice.
Certo, quella occidentale è ben lungi dall'essere una società perfetta, del resto non esistono società perfette, almeno in questo mondo. Ma è di certo una società che ha garantito a vaste masse umane un livello di benessere prima sconosciuto ed ha, insieme, assicurato a tutti il godimento dei fondamentali diritti civili e politici. I paesi economicamente arretrati hanno iniziato ad uscire da una povertà abbruttente quando hanno adottato almeno alcune delle istituzioni occidentali. E' la via seguita ieri dal Giappone ed oggi, con ritardi, passi indietro, errori e contraddizioni, dalla Cina, dall'India, dal Brasile, dal Cile. Paesi molto poveri, in certi casi poverissimi fino a ieri ed oggi avviati a diventare (o già diventati) grandi potenze economiche, piene di problemi certo, ma non più oppresse da una miseria generalizzata.
Certo, nella storia dell'occidente ci sono molte cose vergognose. Ma queste non sono, contrariamente a quanto sembra pensare papa Francesco, nostro monopolio. Guerre di rapina, imperialismi, schiavismo sono caratteristiche di tutte le civiltà. E' invece, sembra, nostro monopolio la critica di queste brutture e la lotta per eliminarle. Lo schiavismo non è di certo monopolio dell'occidente, lo è invece il movimento antischiavista. Il potere assoluto di re ed imperatori è comune a tutte le culture e le società. E' invece occidentale la scoperta, o l'invenzione, dei diritti umani, del garantismo, della democrazia politica. La sottomissione della donna è esistita in Inghilterra come nel mondo arabo. Ma è solo in quest'ultimo che
oggi le adultere vengono imprigionate, frustate o addirittura lapidate.
Soprattutto, il papa dovrebbe riflettere sull'esito dei tentativi di sostituire alla orribile società di mercato ed alla democrazia liberale altre forme, più “giuste” ed “avanzate”, di organizzazione sociale. Miseria generalizzata con la comparsa di carestie devastanti, in certi casi del cannibalismo, organizzazione totalitaria della società, potere assoluto del partito al potere e del suo leader, distruzione delle libertà politiche e religiose: questi gli esiti delle rivoluzioni “proletarie” dello scorso secolo. Alle
decine di milioni di vittime di quegli esperimenti sventurati il papa non dedica mai una parola.

Nel discorso di cui stiamo parlando papa Francesco si è reso probabilmente conto di essersi spinto un po' troppo oltre nelle sue considerazioni, infatti, subito dopo la filippica sulle ingiustizie della civiltà occidentale ha aggiunto:
“Qualcuno potrebbe dire che non sapeva che il Papa è un comunista. No, risponderei, questo ce lo ha insegnato Gesù ed è su questo che saremo giudicati”.
Non accusatemi di essere comunista, esclama il santo padre. Non lo sono. Le cose che dico le ha dette prima di me Gesù.
Non sono affatto un esperto di teologia, ma non mi sembra che Gesù abbia mai detto qualcosa di simile. Gesù
NON è mai stato un rivoluzionario, o un riformatore del mondo e neppure un politico. Gesù è figlio di Dio, meglio, è insieme, vero Dio e vero uomo, è Dio che si incarna per mondare l'uomo dal peccato originale che rende impossibile la riconciliazione fra creatore e creatura. La salvezza di cui parla Gesù non è di questo mondo; quando Gesù dice che gli ultimi saranno i primi non si riferisce alla terra ma al cielo. Gesù non avanza proposte di riforma terrena, dice chiaramente di “dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Ne lui né i primi cristiani proposero mai la abolizione dello schiavismo né cercarono di ribellarsi al dominio di Roma. La chiesa cristiana al contrario, superate le persecuzioni, si alleò col potere temporale e il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'impero romano.
Ad un non credente o ad un agnostico tutto questo può non piacere; un cristiano impegnato in politica può affiancare alla fede l'impegno per migliorare le cose del mondo, tutto perfettamente lecito, anche condivisibile. Ciò che invece non è né lecito né condivisibile, e forse neppure cristiano, è il tentativo di trasformare Cristo in ciò che non è mai stato.
Concludendo, val la pena di ripeterlo: Papa Francesco non ama l' occidente. Non lo ama non perché in esso esistano ancora sacche di povertà, ma, al contrario, per la sua opulenza, il benessere in esso diffuso. Non critica l'occidente per le sue carenze, perché in occidente le libertà personali e la democrazia liberale non sono ancora compiutamente realizzate. Lo critica proprio perché è una civiltà che si basa sui diritti personali e la democrazia liberale. La civiltà occidentale è troppo prospera, troppo individualista, consumista, troppo laica per piacere al Papa. L'attuale pontefice considera un valore la povertà ed un disvalore la ricchezza, detesta il consumismo, preferisce vincoli comunitari anche opprimenti alle libertà personali. Si sente a casa sua, lo ha ripetuto infinite volte, nelle baraccopoli . Ha un atteggiamento di rigetto nei confronti dell'arte e della grande musica. Come può non detestare l'occidente? Ed infatti
lo detesta.
Ed ama l'Islam perché, con tutti i suoi errori ed eccessi, l'Islam è una alternativa all'occidente, l'unica che abbia oggi l'estensione e la forza per mettere in crisi la nostra civiltà. E nulla è in grado di cambiare, meglio, travolgere i valori chiave su cui questa si regge quanto l'ondata migratoria attualmente in atto.
E' bene dirlo con chiarezza: nessuna persona seria è contraria alla immigrazione in quanto tale. Nessuno sogna società chiuse a riccio, la distruzione dei ponti. Ma una cosa sono processi di immigrazione ed emigrazione regolamentati da leggi, graduali, controllati. Cosa completamente diversa l'apertura incontrollata ed indiscriminata delle frontiere, la pretesa folle di accogliere tutti. Una cosa è una società che si modifica in seguito agli scambi culturali e commerciali, ai viaggi ed al al turismo, ai matrimoni misti, cosa del tutto diversa una società che viene travolta da ondate migratorie che deve solo subire. Una cosa sono i ponti che affiancano i muri, cosa del tutto diversa l'abbattimento di ogni muro.
Gli stati, le nazioni, le culture, le civiltà esistono. La loro sparizione non arricchirebbe nessuno, impoverirebbe tutti. Il che non vuol dire, ovviamente, che non sia fortemente auspicabile la sparizione di quegli aspetti di certe culture, quella islamica in primis, che sono incompatibili con la universale dignità degli esseri umani.
E' molto significativo una slogan che papa Francesco ama: “
non esistono stranieri”. Sembra molto bello, dolce, accogliente. E' al contrario il sunto di una distopia. Esistono gli stranieri perché esistono le identità. Gli stranieri sono gli altri, e gli altri esistono perché esistono gli IO. Esistono i loro perché esistiamo noi. Un mondo senza stranieri è un mondo senza altri, senza tu, senza loro. Per questo è un mondo senza io e senza noi. Un orrore orwelliano.