domenica 15 maggio 2016

GAIA, LA GRANDE MADRE



L'ideologia “antispecista” sposta verso il basso la linea di demarcazione che separa nella natura chi è soggetto etico da chi non lo è. Rompe in questo modo una tradizione che parte da Platone ed Aristotele per arrivare sino ai giorni nostri ed attraversa trasversalmente un po' tutte le correnti del pensiero occidentale. Un simile spostamento verso il basso ridimensiona drasticamente il valore di tutto ciò che è umano, elimina quella che Aristotele chiamava “differenza specifica” per diluirla in una somiglianza generica fra l'uomo e tutte le altre creature senzienti. Ad essere svalutati non sono solo il pensiero e la libertà, ammesso che questa esista. Tutto ciò, ed è molto, che nel sentire è umano viene ad essere ridotto a fattore secondario, comunque non in grado di fondare alcun tipo di differenza di status. Il pensiero si riduce al sistema nervoso, ed il sistema nervoso umano viene assimilato, più o meno, a quello animale. Gli “antispecisti” possono essere tali solo perché sono uomini, ma la loro stessa dottrina li porta inesorabilmente a distruggere il valore della loro appartenenza al genere umano.

L'allargamento dei confini dell'etica tentato dagli “antispecisti” si rivela però, ben presto, insufficiente.
Innanzitutto è davvero molto difficile svalutare in maniera tanto radicale il peso della ragione e del pensiero. Alla fin dei conti è proprio grazie alla ragione ed al pensiero che è possibile teorizzare l'eguaglianza di status fra uomini ed animali. Gli antispecisti non si limitano così a sostituire la sensazione al pensiero quale confine dell'etica, cercano di rafforzare questa sostituzione con altri argomenti, non troppo in linea con la loro impostazione fondamentale.
Bentham e Singer non si limitano, ad esempio, a sottolineare la comune capacità di sentire che accomuna uomini ed animali. Affermano che molti animali hanno un livello di coscienza e di intelligenza superiore a quello di molte categorie di umani. Un primate adulto è sicuramente più cosciente ed intelligente di un neonato umano o anche di un bambino di sei mesi. Un cane è in grado di fare molte cose che un portatore di handicap non è in grado di fare. Alcuni si improvvisano scienziati e sottolineano la comunanza di patrimonio genetico fra uomini e primati superiori. Dopo aver cacciato coscienza e pensiero dalla porta questi signori li fanno rientrare dalla finestra e, concedendo molto al detestato antropocentrismo, cercano di fondare l'eguaglianza di status fra uomini ed animali precisamente su quelle caratteristiche di cui avevano contestato la validità.
Ma i loro tentativi sono fallimentari. Il fatto che due enti abbiano in comune gran parte del loro patrimonio genetico non dice assolutamente nulla sulla loro identità di status. Ad essere decisiva è sempre la
differenza specifica, il poco che essi non hanno in comune. La terra è composta in larga misura dagli stessi minerali di cui è composto marte, i due pianeti sono sottoposti alle stesse leggi fisiche, ruotano entrambi attorno al sole, hanno molti elementi chimici in comune. Si tratta di pianeti simili, è vero, ma sulla terra esistono l'acqua, l'aria e quindi la vita, cose che su marte oggi non ci sono o ci sono in quantità minimali ed embrionali. Questo fa della terra qualcosa di radicalmente diverso da marte.
Quanto alle altre argomentazioni, in parte sono la riproposizione della concezione funzionalista della persona secondo cui non è importante l'appartenenza di un ente ad una certa specie, ma la qualità della vita che questi attualmente vive: un cane adulto è più intelligente di un umano neonato, "quindi" il cane ha gli stessi, se non più diritti del neonato.
Semplice vero? No, per niente! E' vero che un cane è più intelligente di un neonato ma è assurdo considerare gli enti solo nel loro stato attuale, senza alcuna considerazione sulle loro potenzialità intrinseche. Un ente conta non solo per ciò che é, ma anche per ciò che sarà, o è stato, o avrebbe potuto essere.  Un boa od uno squalo appena nati sono molto più attivi ed autonomi dei neonati di cane e gatto, li si può definire più “intelligenti” di loro. Eppure tutti considerano cani e gatti animali superiori, o meno primitivi, di squali e boa. E' tipico degli animali più primitivi un livello di autonomia immediato che gli animali superiori non possiedono. Ad essere decisive sono le potenzialità di crescita e miglioramento. Lo squalo nasce praticamente perfetto, ma resta per tutta la vita uguale a come e nato, dimensioni a parte. Alla nascita l'uomo è un essere del tutto dipendente da altri, muore in poco tempo se non viene curato ed assistito, però ha incredibili potenzialità di arricchimento fisico e spirituale. Ignorarle è semplicemente stupido.
Un'altra parte di queste argomentazioni è invece più seria: si tratta dell'esame dei famosi “casi di confine” cui si è interessato anche un pensatore importante come Robert Nozick. In effetti è vero, un primate adulto è più intelligente di molti umani portatori di handicap e, per ciò che possiamo saperne, molti portatori di hamdicap non hanno, purtroppo, possibilità alcuna di miglioramento. Perché allora escludere il primo ed includere i secondi nella sfera dell'etica?
L'argomento dei casi di confine è interessante ma sostanzialmente fallace. E' vero, i confini fra specie umana e specie animali sono spesso confusi, a volte è difficile disegnare linee di demarcazione chiare e nette, ma si possono fare le stesse considerazioni per i confini fra mondo animale e mondo vegetale, e per quelli fra esseri viventi ed enti non viventi. Cozze, vongole, coralli sono considerati animali, ma esistono vegetali che hanno capacità assai superiori alle loro. E' più attiva una pianta carnivora o una cozza? Si muove di più un rampicante od un corallo? Un grande abete che espande in tutte le direzioni le sue radici ha una attività minore a quella di un lombrico? Ed ancora, muschi e licheni non si confondono a volte con le rocce cui sono legati? Chi non sia uno scienziato è davvero in grado di distinguere certe forme di vita vegetale dalla materia non vivente? I casi incerti sono assai più numerosi nei confini fra mondi animale, vegetale e minerale che non fra mondo umano e mondo animale. Nel caso dei rapporti uomo - animale si può almeno dire che i casi dubbi riguardano i
singoli e non le specie e che spesso simili casi derivano da eventi traumatici. Un portatore di handicap può avere fratelli e sorelle assolutamente normali, diversissimi dai primati più intelligenti. Ogni corallo invece è assai simile ad una pianta. Se l'argomento dei casi di confine dovesse spingerci ad unificare lo status etico ed ontologico di uomini ed animali la conclusione logica sarebbe l'unificazione di status etico ed ontologico di tutta la natura. TUTTI, ma proprio tutti saremmo soggetti etici e giuridici, dall'uomo al gorilla, dal gorilla al corallo, dal corallo al muschio, dal muschio alla vetta ghiacciata del monte Bianco.

Questa è la scelta che hanno fatto molti “antispecisti”, o che è comunque implicata dalle loro teorizzazioni. Il radicalismo animalista e l'”antispecismo” sono parte del più generale radicalismo ecologico. Nelle teorizzazioni dei mistici dell'ecologia la natura è una sorta di divinità, o un grande organismo vivente. Il radicalismo animalista cerca di introdurre gli animali nel mondo umano lasciando il resto della natura così come tradizionalmente questa viene vista in occidente. Ma si tratta di un tentativo destinato a fallire. Non si può seriamente equiparare l'uomo al toporagno e pretendere che tutto il resto rimanga immutato. La concezione scientifica della natura non può piacere a chi non sa cogliere la differenza di status fra uomini e toporagni, ed infatti quella concezione vene abbandonata, e sostituita dal mito.

Nella sua prima formulazione l'ipotesi Gaia, che altro non è che il nome del pianeta vivente (derivato da quello dell'omonima divinità femminile greca, nota anche col nome di Gea), si basa sull'assunto che gli oceani, i mari, l'atmosfera, la crosta terrestre e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta terra si mantengano in condizioni idonee alla presenza della vita proprio grazie al comportamento e all'azione degli organismi viventi, vegetali e animali. Ad esempio la temperatura, lo stato d'ossidazione, l'acidità, la salinità e altri parametri chimico-fisici fondamentali per la presenza della vita sulla terra presentano valori costanti. Questa omeostasi è l'effetto dei processi di feedback attivo svolto in maniera autonoma e inconsapevole dal biota. Inoltre tutte queste variabili non mantengono un equilibrio costante nel tempo ma evolvono in sincronia con il biota. Quindi i fenomeni evoluzionistici non riguardano solo gli organismi o l'ambiente naturale ma l'intera Gaia.” (1)
Questa la definizione che Wikipedia dà della celebre “ipotesi Gaia” elaborata dal chimico inglese James Lovelock e diventata una sorta di dogma del misticismo ecologico. Quella che viene proposta, celata da un linguaggio apparentemente scientifico, è la vecchia concezione organicista della natura. La terra, ma forse anche l'intero universo, sarebbe un tutto organico in cui ogni parte è finalizzata al perpetuarsi del tutto. Così come cuore, reni e polmoni servono alla vita dell'organismo di cui sono parti, atmosfera e mari, piante, animali ed uomo servono alla vita del pianete vivente, Gaia. Ogni ente ha una funzione, ed un valore, solo nel suo rapporto col tutto armonico in cui è inserito.
Una ipotesi simile ha il grosso vantaggio di apparire a prima vista plausibile per il semplice motivo che si presta ad interpretazioni deboli abbastanza ragionevoli. Che ogni ente abbia un qualche rapporto con tutti gli altri è quasi una ovvietà. Non è invece affatto ovvio, né ragionevole, pensare che ogni ente abbia rapporti organici con gli altri, sia cioè finalizzato alla vita del tutto, né che il tutto agisca per conservare i singoli enti che lo compongono. Che poi tutti gli enti siano “viventi” e che sia “vivente” la terra è solo una ipotesi mitologica priva di ogni valore scientifico.
Per essere più chiari, io posso dire di essere in rapporto con tutti gli esseri umani presenti sul pianeta. Forse in Cina esiste un uomo chiamato Ping col quale io ho certamente dei rapporti spaziali e con cui sono comunque nel rapporto di non conoscenza. Però, che Ping esista o non esista, o che sia esistito fino ieri e sia passato oggi a miglior vita non determina alcun evento della mia vita, quanto meno, di nessun evento della mia vita posso dire che sia stato determinato dal fatto che Ping esista davvero, o sia esistito, o non sia mai esistito. Se si fanno ipotesi fantasiose sui mille fili che ci legherebbero tutti senza riuscire poi a stabilire il modo in cui questi agiscono e gli eventi che determinano, si può facilmente dimostrare tutto ed il contrario di tutto.
Considerazioni analoghe si possono fare sulla pretesa di considerare “viventi” tutti gli enti. Certo, posso dire che un monte “vive” una vita “diversa” dalla nostra, ma in questo modo il termine “vita” perde ogni significato determinato. Se “vive” il fiume Nilo allora, forse, “vivono” anche Giulio Cesare e Napoleone, e ad essere “non viventi” sono coloro che oggi passeggiano allegramente per strada.
Infine, che “ossidazione, acidità, salinità” dipendano dal “biota” è una ipotesi talmente generica da non poter essere seriamente sottoposta ad alcun tentativo di verifica o falsificazione. Si tratta di una teoria metafisica che con la scienza ha molto poco da spartire

Non occorre comunque essere scienziati, e neppure particolarmente ferrati in materie scientifiche, per constatare quanto l'ipotesi Gaia sia in totale contrasto con i dati elementari dell'esperienza sensibile. La terra sarebbe un armonioso tutto organico? Ma sulla terra la vita si perpetua costantemente tramite la morte. Ammettiamo pure che la morte dei singoli sia necessaria alla sopravvivenza delle specie, ebbene, sarebbe organico, sarebbe armonico un sistema in cui il singolo deve morire perché altri singoli, che tutti insieme formano la specie, possano vivere? E chi ha detto che il corso della natura salvaguardi la vita delle specie? Innumerevoli specie animali si sono estinte per cause del tutto naturali. C'è chi ha affermato che in natura si estinguono, è vero, innumerevoli specie, ma solo quando altre, più evolute, sono pronte a rimpiazzarle. Ridicolo tentativo di sovrapporre un edificante schemino al corso effettivo della natura. Moltissime specie si sono estinte senza essere state sostituite da nulla, animali molto primitivi esistono ancora ed altri, assai più evoluti hanno dovuto uscire di scena. La spietata selezione naturale non premia i “migliori” ma solo quelli in grado di sopravvivere in certi ambienti. Fra un po' di tempo il nostro amico sole collasserà ed ogni traccia di vita sparirà dal nostro pianeta, senza essere sostituita da nulla. C'è chi afferma che forse, un tempo, è esistita vita sul pianeta Marte, ora pare non ne esistano più tracce. Ogni istante innumerevoli stelle e pianeti muoiono nell'universo. L'ipotesi Gaia vale solo per la nostra “madre terra”?
Ma, anche prescindendo dalle precedenti considerazioni, esiste un ente che obbliga l'ideatore dell'ipotesi Gaia ad abbandonare, almeno in parte, il suo sereno ed armonico organicismo, e questo ente è
l'uomo.
“Gli umani” afferma James Lovelock, “sulla terra si comportano per certi versi come un organismo patogeno, o come le cellule di un tumore o di una neoplasia (…) la specie umana è talmente numerosa da costituire una grave malattia planetaria: Gaia soffre di primatemaia disseminata, un’epidemia di genti” (2)
L'uomo è un tumore, una malattia. Non vuole stare al suo posto, non si accontenta di essere mera componente di un armonico ecosistema, si espande, inquina, distrugge. Ma
l'uomo è un prodotto della natura, il risultato di un processo di selezione naturale durata milioni di anni. Se questo processo è finalizzato alla vita del tutto da dove è mai venuto fuori questo mostro orribile che sarebbe l'uomo? E' vero, nella vita sociale esistono processi autoregolativi che possono incrinarsi e dar vita a contrasti e crisi, il mercato è uno di questi. Ma l'equilibrio di mercato è la risultante di una miriade di relazioni fra individui autonomi, per questo è soggetto a rotture e crisi. Il mercato non è un organismo, Gaia invece lo è, ed è un organismo che comprende la totalità del mondo. Se questo organismo produce un tumore vuol dire che il suo fine immanente non è la vita ma la propria autodistruzione.
Lovelock ed i suoi fans non possono ovviamente ammettere una cosa tanto sgradevole, e si sfogano prendendosela con l'uomo.
Lo scrittore ambientalista William Aiken ha affermato che “una mortalità di massa sarebbe una buona cosa. E’ nostro dovere provocarla. E’ un dovere della nostra specie, nel rispetto dell’ambiente, eliminare il 90% dei suoi componenti” (3). Negli Stati Uniti esiste un
movimento per l’estinzione umana volontaria che teorizza cose come questa: “L’alternativa all’estinzione di milioni, forse di miliardi di specie di piante ed animali è la volontaria estinzione di una specie, quella dell’homo sapiens. Ogni volta che uno di noi decide di non aggiungersi agli altri miliardi di persone che popolano il pianeta, ogni volta che un essere umano decide di non riprodursi la biosfera ritorna alla sua gloria primordiale. La salute della terra sarà ristabilita dall’ecologia nella forma conosciuta come Gaia” (4)
Evitiamo reazioni emotive e limitiamoci ad un sospiro di sollievo per il fatto che la nostra estinzione dovrebbe essere “volontaria”. A parte ogni altra considerazione, quella che salta agli occhi è la totale mancanza di logica di simili posizioni. Lovelock ed i suoi seguaci sono organicisti, naturalisti, affermano che l'uomo è un tumore... e pretendono che non lo sia, vorrebbero che rinnegasse la propria natura! Ma questo è impossibile, lo è proprio se accettiamo l'ipotesi Gaia. Non si può ridurre l'uomo a mera natura, farne uno dei risultati di un processo organico e pretendere poi che non si comporti di conseguenza.
Se siamo un tumore è nella nostra natura esserlo, non possiamo comportarci diversamente. Dare all'uomo lezioncine di ecologia è un po' come pretendere di curare i tumori impartendo alle cellule tumorali lezioni di etica kantiana. E' vero che le cellule tumorali distruggendo l'organismo che le ospita distruggono infine se stesse, ma questo è per loro l'unico modo di vivere, affretterebbero la loro fine se si comportassero diversamente. L'uomo è la grande, definitiva, confutazione dell'ipotesi Gaia. Possiamo giudicarci in mille modi, possiamo pensarla come vogliamo sul nostro operare, di certo non siamo mera componente di qualche ecosistema, il mero risultato di un armonico sviluppo organico.

“Noi siamo un tumore”, strillano i teorici di Gaia, ma pretendono che non lo siamo. Gaia produce il tumore destinato a distruggerla ma
proprio questo tumore dovrebbe prendersi a cuore la salvezza di Gaia. Dopo aver ridotto l'uomo a semplice ed insignificante parte del tutto organico gli amici di Gaia antropoformizzano la loro Dea e, sulle orme degli animalisti “antispecisti”, trasformano non solo gli animali ma anche le piante ed i minerali in soggetti etici e giuridici. Alla integrale naturalizzazione dell'uomo fa seguito una altrettanto integrale, e ridicola, umanizzazione della natura. Monti e fiumi, muschi ed abeti si affiancano a lombrichi e toporagni quali nuovi soggetti etici e giuridici.
Nel 1992 viene fondato negli USA il
Movimento di liberazione della terra (ELF). I suoi militanti si definiscono “ecoguerrieri” e, abbandonate le iniziali forme non violente di lotta, mettono in atto azioni di tipo terroristico contro i responsabili dei crimini contro il pianeta. E' interessante analizzare la loro “dichiarazione dei diritti della terra”.
“Noi ecoguerrieri siamo convinti che la mancanza di attenzione e il disprezzo nei confronti dei diritti naturali della terra e delle specie siano le cause dei guai del mondo” (5)
Si passa, come si vede dai diritti degli animali a quelli della terra. Questa si contrappone all'uomo dopo essere stata trasformata a sua volta in un essere umano.
“La terra è la madre e la prima sorgente di ogni vita. Il suolo, l'acqua, l'aria, le piante e gli animali sono parte di essa (…) con cui formano una comunità. L'uomo in quanto specie è uno dei membri di questa comunità” (6)
Pietre e gorilla, uomini e fili d'erba diventano come Tizio, Caio e Sempronio membri di una comunità umana. Le parti del pianeta sono assimilate agli individui, un po' come dire che volante, leva del cambio e ruote sono parti della comunità detta “automobile”. Proseguiamo:
“Ogni governo umano deve essere organizzato in modo da garantire alla comunità il godimento degli inalienabili diritti naturali.
Tali diritti sono l'uguaglianza, la libertà, l'identità e la possibilità di resistere all'oppressione
Tutti i membri della comunità sono uguali di fronte alla natura e alla legge degli uomini.
La libertà consiste nella facoltà concessa ai membri della comunità di fare tutto ciò che non leda i diritti altrui; L'esercizio dei diritti naturali di ogni membro non conosce limiti salvo quelli che garantiscono agli altri membri della comunità il godimento degli stessi diritti.” (7)
Sembra di leggere la “
dichiarazione di indipendenza” degli Stati Uniti, solo qui è rivolta a ghiacciai e licheni, ragni e formiche. Pini marittimi e pioggia sono soggetti giuridici e devono godere dei loro diritti naturali senza impedire agli altri membri della comunità ecologica il godimento di pari diritti. Molto interessante. Bisognerebbe quindi processare i leoni che mangiano le zebre? E, con loro, le erbacce che impediscono la crescita dei fiori? E come comportarsi con maremoti, valanghe e terremoti? Occorre spedirgli un avviso di garanzia? Gli ecoguerrieri eliminano ogni discriminate dalla natura, non riconoscono alcun valore alla ragione, al linguaggio astratto e simbolico, alla capacità di distinguere il bene dal male, insomma, a tutto ciò che nella natura è umano. Il risultato di una tale eliminazione è ingenuamente paradossale: nel momento stesso in cui tolgono ogni valore a ciò che è umano gli “ecoguerrierist” umanizzano la natura, applicano a ciò che non è umano categorie umane, trasformano in uomini enti non umani, addirittura non senzienti e non viventi. C'è solo da chiedersi perché mai parlino di un governo umano che dovrebbe garantire ai membri della comunità il godimento dei loro “diritti”. La follia ideologica non ama la logica.

Gli animalisti “antispecisti” avevano abbassato il confine fra ciò che in natura è e ciò che non è soggetto morale e giuridico. Gli “ecoguerrieri” compiono, con coerenza, il passo successivo. Se la discriminante non passa per la ragione e la possibilità di concepire e distinguere il bene ed il male, non ha nessun senso farla passare per la sensibilità. E' il puro e semplice fatto di
esistere a far sorgere diritti (ma non doveri). I teorici dell'ecologia profonda ne prendono atto e ne traggono le dovute conseguenze, con logica folle.
Si può obiettare che si tratta di personaggi folcloristici, esigue minoranze a cui non val la pena di prestare troppa attenzione, ma le cose non stanno così. Si tratta di minoranze, certo, ma minoranze che hanno il coraggio, demenziale coraggio, della coerenza. Queste minoranze partono dalle stesse premesse, o da premesse molto simili a quelle da cui partono altri che giungono a conclusioni meno folli, anche se assai spesso comunque inaccettabili.
I moderati criticano movimenti come quello degli “ecoguerrieri” soprattutto per i loro mezzi violenti, come se esistesse davvero una contraddizione fra simili mezzi e le convinzioni che muovono chi vi ricorre. Tempo fa, mentre infuriava sui media una campagna contro la sperimentazione animale dei farmaci, una ragazza gravemente ammalata postò in rete la propria foto, la foto di un piccolo essere umano disteso su un letto d'ospedale, coperto di tubicini, con la scritta: “sono viva grazie alla sperimentazione animale”. Ci fu una reazione isterica. “Devi morire” scrissero in molti. “Non hai diritto di vivere uccidendo animali innocenti”, aggiunsero altri. La TV diede notizia della cosa ed un solerte annunciatore disse, con voce melliflua: “la si può pensare come si vuole sulla sperimentazione animale, ma non si deve insultare nessuno. Si deve discutere in maniera civile”.
E NO!!! Se davvero l'uomo ha lo stesso status etico di una cavia NON si può discutere civilmente con chi usa le cavie! Discuteremmo civilmente con chi mangia bambini arrosto o sperimenta farmaci su bambini e poi dice: “sono vivo grazie alla sperimentazione su bambini”? Non credo. Se le premesse degli ecoguerrieri sono, anche solo in parte, anche solo in piccola parte, condivisibili, se davvero tutti gli enti del pianeta sono eticamente sullo stesso piano allora chi scava una galleria, o costruisce un mobile in legno, o mangia un panino con la mortadella è un criminale, senza se e senza ma. E non si discute democraticamente coi criminali. La follia di movimenti come quello degli ecoguerrieri non consiste nei loro mezzi di lotta, ma nelle premesse da cui partono. Sono queste ad essere folli, queste sono da contestare, radicalmente. Per questo è profondamente sbagliato snobbarli, considerarli solo un fenomeno folcloristico, magari criminale. Si tratta di un fenomeno culturale e politico. Ignorarlo serve solo ad aggravare la crisi culturale dell'occidente.















Note
1) Definizione di ipotesi Gaia. Tratta dalla rete in Wikipedia.
2) Citato in Riccardo Cascioli Antonio Gaspari: Le bugie degli ambientalisti. Piemme 2007 pag. 40
3) Ibidem.
4) Ibidem pag. 39 40
5) Dichiarazione dei diritti della terra, citato in Laurent Larcher: Il volto oscuro dell'ecologia, Lindau 2009 pag. 111.
6) Ibidem
7) Ibidem


sabato 7 maggio 2016

ANTISPECISMO E RAZZISMO

I sostenitori del radicalismo animalista, gli antispecisti, paragonano spesso e volentieri il cosiddetto “specismo” al razzismo. Affermare che l'uomo ha uno stato etico ed ontologico diverso e superiore a quello di un serpente o di una aringa è per loro una pericolosissima forma di razzismo. Lo ha detto e ripetuto il guru massimo degli antispecisti, Peter Singer: il razzista viola il principio di uguaglianza fra le razze, lo specista quello fra le specie animali. Dire che un bianco è superiore ad un nero è lo stesso che dire che un uomo è superiore ad un gorilla o ad un lombrico. Tutti gli animali sono uguali, dall'uomo che è solo un animale fra gli altri, al lombrico. Chi mette in dubbio la validità di una simile affermazione è un “razzista” quindi, quanto meno, una persona poco raccomandabile. L'analisi filosofica cede il passo al furore ideologico: nulla è infatti tanto degradante quanto essere considerati razzisti. Fai passare per “razzista” chi ti critica ed il gioco è fatto: non avrai l'onere di confutare le sue teorie, ti basterà unirti al coro di folle urlanti. In realtà non solo chi rifiuta i concetti di “specismo” ed “antispecismo” non è razzista, ma ad essere, nel profondo, razzisti sono loro, quelli che hanno inventato questi concetti. Di seguito cercheremo di argomentare, argomentare, non strillare, questa affermazione.

Il primo ad accusare di “razzismo” chi non equipara sul piano etico uomini ed animali è stato Jeremy Bentham nella “
introduzione ai principi della morale e della legislazione”:
“C'è stato un giorno, e mi rattrista dire che in molti posti non è ancora passato, in cui la maggior parte del genere umano, grazie all'istituzione della schiavitù è stata trattata dalla legge esattamente nello stesso modo in cui, per esempio in Inghilterra, sono trattate ancora le razze inferiori di animali.
Forse verrà il giorno in cui tutte le altre creature animali si vedranno riconosciuti quei diritti che nessuno, che non sia un tiranno, avrebbe dovuto negar loro.” (1)
Bentham prosegue dicendo che chi differenzia sul piano etico animali ed uomini lo farebbe basandosi su particolarità empiriche assolutamente inessenziali come “il numero delle gambe, la villosità della pelle o l'estremità dell'osso sacro” (2). Esattamente come ci si è resi conto che il colore della pelle non è una buona ragione per tenere in schiavitù un essere umano si arriverà, prima o poi, a capire che il numero delle gambe non giustifica l'uso che, per fare solo un esempio, facciamo dei buoi quando li usiamo per arare i campi. Le argomentazioni di Bentham sono state riprese, amplificate, spesso portate a conseguenze estreme da altri dopo di lui; come si è visto costituiscono il centro delle teorizzazioni di Singer. Lo specismo sarebbe una prosecuzione del razzismo, chi è seriamente contro il razzismo non può essere “specista”.
Il paragone fra “specismo” e razzismo sembra a prima vista avere qualche fondamento. In effetti, se abbiamo stabilito che tutti gli esseri umani hanno pari dignità perché non stabilire che hanno pari dignità tutti gli animali, compreso l'uomo che senza dubbio è, per lo meno è
anche, animale? La apparente plausibilità di simili tesi è però frutto di un abbaglio, fondato, fra le altre cose, sul travisamento o sulla totale ignoranza delle tesi di quei numerosissimi pensatori che rifiutano di equiparare lo status etico delle persone umane a quello di passeri, bufali e cernie.

Il razzismo è in effetti una dottrina che lega le differenze di status e di dignità fra gli esseri umani a caratteristiche fisiche inessenziali. Il colore della pelle, il tipo di capelli, la forma del naso o degli occhi cessano di essere, aristotelicamente, accidenti secondari per diventare caratteristiche fondamentali degli uomini, tanto fondamentali che ad esse sono legate l'umana libertà e dignità. Non tutti i teorici del razzismo sono, a dire il vero, tanto rozzi. Per alcuni le vere differenze fra gli uomini sono di tipo etico ed intellettuale. Un bianco non sarebbe superiore ad un nero per il colore della sua pelle, ma per la maggiore acutezza del suo ingegno. Però questa “maggiore acutezza” sarebbe, a sua volta, legata al colore della pelle, alla forma del naso e così via. Le doti intellettuali dipenderebbero da inessenziali caratteristiche fisiche. Cacciate dalla porta queste rientrano, trionfanti, dalla finestra.
Per i teorici dell'antispecismo chi teorizza una differenza di status etico ed ontologico fra uomo ed animale farebbe, più o meno, lo stesso. Il richiamo di Bentham allo schiavismo è a questo proposito molto significativo. Ma si tratta di un richiamo completamente infondato.
In primo luogo Bentham dimostra, con questo richiamo, di conoscere poco la storia. Non sempre lo schiavismo è stato infatti legato al razzismo ed alle caratteristiche fisiche inessenziali degli esseri umani. Ci sono stati schiavi e padroni di tutte le razze e molto spesso schiavo e padrone appartenevano alla identica razza. Nella antichità venivano ridotto in schiavitù i prigionieri di guerra, indipendentemente dal colore della pelle o dall'estremità dell'osso sacro.
In secondo luogo, e soprattutto, Bentham, che a dire il vero non è stato un grande genio speculativo, dimostra di conoscere poco la storia della filosofia. Nessun pensatore serio ha infatti mai cercato di fondare la differenza di status etico fra uomo ed animale su inessenziali caratteristiche fisiche. Non ho intenzione di allungare troppo il discorso e mi limito quindi al caso di Kant. Per Kant l'uomo ha uno status etico particolare perché è in grado di obbedire alla propria coscienza, di fare anche ciò che sensibilmente non lo attrae e di non fare ciò che invece lo attrae dal punto di vista sensibile. L'uomo è in grado,
solo in grado, di obbedire all'imperativo categorico, per questo è un ente morale, radicalmente diverso da tutti gli altri. Ma non solo l'uomo gode per Kant di un simile status.
Nella “fondazione della metafisica dei costumi” Kant aggiunge alle precedenti questa definizione della legge morale: “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona che in quella di ogni altro, sempre anche come un fine e mai semplicemente come un mezzo” (3). Sembrerebbe che il filosofo prussiano, superato l'astratto formalismo delle precedenti versioni dell'imperativo categorico, leghi qui la morale a determinate caratteristiche empiriche di un certo ente. Ma le cose stanno ben diversamente. Kant infatti si affretta ad aggiungere che “Questo principio dell’umanità non ha origine empirica; prima di tutto per la sua universalità, perché comprende tutti gli esseri ragionevoli in generale” (4)
Hanno diritto ad uno status etico particolare
gli esseri razionali in generale. L'uomo è, per ciò che ne sappiamo, l'unico essere razionale, ma questo è solo un evento empirico accidentale. Se in una galassia lontana vivesse un essere razionale questo per Kant sarebbe in grado di obbedire all'imperativo categorico. Potrebbe avere forma di lucertola od ippopotamo, potrebbe anche essere incorporeo, avrebbe lo stesso status etico ed ontologico dell'uomo. Si può criticare una simile concezione, ma di certo è completamente insensato accusarla di razzismo. In Kant la legge morale può basarsi su tutto meno che sul colore della pelle o la forma degli occhi!

Non solo le accuse di razzismo che gli “antispecisti” rivolgono ai loro oppositori sono del tutto infondate, ad essere davvero razzisti sono proprio loro, gli “antispecisti”. Per rendersene conto occorre approfondire il discorso.
L'etica “antispecista” può essere collegata a quello che Giovanni Fornero in “
bioetica cattolica e bioetica laica” definisce il concetto funzionalista di persona, contrapposto a quella sostanzialista.
Le concezioni dette sostanzialiste sostengono che la persona umana sia una sostanza. L'uomo è per natura dotato di certe caratteristiche che fanno di lui un essere razionale e morale, in una parola, una
persona. Ad essere decisivo è il richiamo alla natura, all'essenza dell'uomo in generale, questa è decisiva per trasformare un ente in persona, cioè soggetto morale e giuridico. E' vero che su un altro pianeta potrebbero esserci, come ipotizzava Kant, altri esseri morali e razionali, anche loro per loro natura persone, ma questo significa solo che forse non siamo le uniche persone dell'universo.
Ci sono, è vero, esseri umani che non sono
ancora persone in senso pieno, non hanno ancora sviluppato la loro razionalità e la capacità di discernere il bene dal male. E ce ne sono altri che non lo sono più, ed altri ancora che avrebbero potuto esserlo, ma non lo sono, perché hanno subito gravi incidenti o sono nati con gravi menomazioni. In tutti questi casi però si parla di persone cui mancano certe caratteristiche, no di non persone. Un neonato avrà le caratteristiche umane, un vecchio le ha avute e le può conservare, almeno in parte, un handiccappato avrebbe potuto averle, e potrebbe, forse, recuperarle.
I sostenitori delle concezioni funzionaliste della persona rifiutano un simile approccio.
“Le concezioni funzionaliste identificano la persona con la presenza effettiva di queste capacità e quindi rifiutano l'idea che si tratti di sostanze per natura dotate di quei caratteri; tutti e solo gli enti che mostrano in atto le caratteristiche delle persone sono davvero persone; quando le funzioni personali mancano, anche in un individuo che le svilupperà in seguito o che le ha definitivamente perdute, non siamo di fronte ad una persona” (5)
Insomma, visto che avere due occhi è parte essenziale della natura umana, quello a cui manchi un occhio non è un uomo menomato, è un non uomo. Qui non c'entrano i discorsi tesi a stabilire, ad esempio, se un essere umano in coma profondo debba o no essere mantenuto in vita, o se e in quali casi sia lecito abortire. Questi sono dilemmi etici che possono benissimo essere applicati alle persone. Quello che è in gioco in queste concezioni è il concetto stesso di persona, o, meglio ancora, di soggetto morale e giuridico: Chi è persona? Quindi, chi è soggetto morale e giuridico? Questa è la posta in gioco. E la risposta è chiarissima. E' soggetto morale e giuridico chi ha di fatto, e finché le ha, certe caratteristiche, lo è sia che faccia parte, sia che non faccia parte di una certa specie. Essere uomo, esser nato da un maschio ed una femmina della specie umana non conta nulla, non fa di un certo ente un soggetto etico e giuridico. Conta avere o non avere di fatto determinate qualità o caratteristiche empiriche. Tutti gli enti che queste caratteristiche le hanno sono soggetti etici e giuridici, non lo sono coloro che non le hanno ancora, o non le hanno più, o che avrebbero solo potuto averle.
Ci stiamo avvicinando, come si vede, alle filosofie “antispeciste”. Il far parte del genere umano non conferisce automaticamente alcuno status etico, questo è conferito dal possedere certi caratteri empirici che non sono automaticamente propri del solo genere umano. Di che caratteri si tratta? Peter Singer da la risposta.
“A sua volta Singer propone una nozione interspecifica di persona sganciata dall'identificazione tradizionale con gli esseri umani (e quindi solidale con l'antispecismo) e considera la sensibilità come criterio minimale per l'attribuzione di diritti ad un soggetto” (6)
Il cerchio si chiude, come si vede. Essere uomini non conferisce automaticamente alcuno status etico, questo è legato al possesso di certe caratteristiche empiriche: la sensibilità in primo luogo e tutto ciò che alla sensibilità è legato. Avere ben sviluppati i cinque sensi, poter vederci bene, sentire, muoversi, magari far sesso. Questo fa di noi persone morali, soggetti etici e giuridici. E fa tali anche agnelli, polli e conigli, a condizioni che siano in buono stato di salute. Tutto insomma dipende dai muscoli e, soprattutto, dal sistema nervoso. Esattamente come i razzisti, contro i quali tanto polemizzano, gli antispecisti promuovono al rango di discriminate etica le caratteristiche empiriche, meramente fisiche ed accidentali degli enti. Certo, i razzisti sostengono, a differenza degli “antispecisti”, l'ineguaglianza fra le razze ed il dominio di alcune sulle altre, ma, se si resta sul piano delle caratteristiche empiriche, sono senza dubbio loro ad avere ragione. Le caratteristiche empiriche delle varie specie animali sono infatti piuttosto diverse e la stessa conclamata capacità di provare piacere e dolore differisce da una specie all'altra. Soprattutto le varie specie animali sono spinte dalle loro caratteristiche empiriche ad una guerra acutissima per l'esistenza che non ha nulla, ma proprio nulla, a che vedere con l'armonica uguaglianza di diritti.

Ma questi sono, in fondo, semplici dettagli. Le incongruenze teoriche dei concetti di specismo ed antispecismo sono irrilevanti se paragonate alle loro conseguenze etiche. Queste sono tutte razziste. Non solo gli “antispecisti” usano, con minore coerenza di questi, le stesse categorie teoriche dei razzisti, la loro dottrina è intrinsecamente razzista e lo è in maniera spaventosa.
Per gli “antispecisti” il vero discrimine fra gli enti che sono soggetti morali e giuridici e quelli che non lo sono è costituito, lo si è detto e ripetuto, dalla sensibilità, intesa in senso ampio. La possibilità di provare piacere e dolore è legata ad un sistema nervoso ben sviluppato, sensi acuti, buna salute. Si è persone, soggetti etici se e fino a quando si hanno cose simili. Non lo si è se e quando non le si hanno. Ma un feto umano, un vecchio, un neonato non hanno, o hanno in maniera molto ridotta queste qualità. Quale è allora il loro status etico? La risposta di Singer ad una simile, ovvia, domanda è terrificante.
“Un bambino di una settimana non è un essere razionale ed autocosciente, e vi sono molti animali non umani la cui razionalità, autocoscienza, consapevolezza, capacità di sentire e così via è superiore a quella di un bambino umano di una settimana, o anche di un anno. Se il feto non ha la stessa pretesa di vita di una persona sembra che non l'abbia neanche il neonato, e che la vita di un neonato abbia meno valore della vita di un maiale, un cane o uno scimpanzè” (7)
Evitiamo i moti di ripulsa. Qui Singer usa non solo il concetto di “capacità di sentire” ma anche quelli di autocoscienza e razionalità, ma li usa allo stesso modo in cui usa la “capacità di sentire”. Eguaglia in maniera assurda il "sentire" all'autocoscienza e trasforma autocoscienza e razionalità in qualcosa di meramente fisico, in doti che si hanno finché si hanno, del tutto staccate dalle caratteristiche di una certa specie, qualcosa di simile alla buona salute, che oggi c'è e domani può non esserci. Non è
l'uomo ad essere razionale, è Tizio ad esserlo, se e finché gode di buona salute cerebrale. Per Singer conta poco che un bambino cresca ed acquisisca una razionalità ed un livello di autocoscienza enormemente superiori a quelli di un maiale. Usando le sue categorie potremmo dire che un uomo svenuto o in anestesia cessa solo per questo di essere una persona o che un vecchio sordo e semi cieco sia meno persona di un'aquila o di un formichiere. L'uomo sotto anestesia potrebbe aver scritto un capolavoro, ed il vecchio potrebbe aver compiuto opere meravigliose. Non conta, la loro situazione attuale ne fa una sorta di scarti.
Ed infatti come tali tratta Singer le persone che non hanno, a suo insindacabile giudizio, i requisiti per essere considerate soggetti etici e giuridici. Dando prova di una coerenza tanto ammirevole quanto folle, il filosofo australiano arriva a teorizzare
l'infanticidio. I bambini nati con gravi malformazioni vanno a suo parere eliminati, e a chi lo accusa di proporre cose orribili ribatte con dotte considerazioni storiche:
“La nostra attuale protezione assoluta della vita degli infanti è un atteggiamento tipicamente ebraico cristiano (…) L’infanticidio è stato praticato in società che vanno geograficamente da Thaiti alla Groenlandia e culturalmente dagli aborigeni australiani nomadi, alle sofisticate civiltà urbane dell’antica Grecia o della Cina dei Mandarini” (8)
La storia è piena di crudeltà di ogni tipo, alcune fanno ribrezzo a Singer, quelle contro gli animali ad esempio; altre il nostro pensatore le accetta senza batter ciglio, basta che non riguardino i polli ma i bambini.
C'è comunque da notare la logica ferrea che guida il pensiero del massimo teorico dei diritti animali. Parte contestando il concetto stesso di natura umana e nega, a partire da questa contestazione, qualsiasi status etico privilegiato per l'uomo. Prosegue sostituendo la sensibilità alla razionalità ed alla libertà quale criterio discriminante dell'etica. Fatto tutto questo il passo successivo è obbligato: quegli enti che sono privi di sensibilità o ne hanno una menomata perdono o vedono drasticamente ridimensionarsi il loro status morale. Da un lato Singer allarga indebitamente i confini dell'etica inserendo in questa tutti gli esseri senzienti, dall'altra li restringe espellendone numerosi esseri umani, più o meno potenziali: feti, neonati, vecchi, portatori di handicap, insomma tutti coloro che non sono sufficientemente sani, vispi ed arzilli. Non conta la dignità della persona, il suo appartenere ad una specie che ha nella razionalità e nella connessa possibilità di scegliere il suo carattere distintivo. Contano certe caratteristiche fisiche, in Singer come nei peggiori razzisti. Per un razzista non è importante che tu sia un uomo, ad essere veramente decisivo è il colore della tua pelle. Per Singer sono decisive le caratteristiche del tuo sistema nervoso.
A dire il vero non molti razzisti si sono spinti fino al punto di proporre l'infanticidio dei bambini con la pelle di colore non gradito, e solo pochi hanno proposto l'eliminazione di chi non ha, temporaneamente, certe caratteristiche fisiche. Singer lo fa, tranquillamente. Per il filosofo della dolcezza animalista se la tua capacità di sentire dà qualche colpo a vuoto... beh, sei fregato! A chi gli fa notare ad esempio che un feto è potenzialmente un essere sensibile, razionale, cosciente ed autocosciente l'amico di polli e conigli ribatte:
“Un X potenziale non ha tutti i diritti di X. Il principe Carlo è un potenziale re d’Inghilterra ma non ha i diritti di un re. Perché mai una persona solo potenziale dovrebbe avere i diritti di una persona?” (9).
Un bambino non ha gli stessi diritti di un adulto, ovviamente, ma ha il diritto di diventare adulto. Singer glielo nega, non vuole sentire discorsi sulle “potenzialità” di un certo ente. Gli sembrano troppo “essenzialisti”, quasi aristotelici. Ed in effetti un po' essenzialisti lo sono, e forse anche un po' “aristotelici”. L'uomo in generale ha certe caratteristiche etiche e razionali in base alle quali è persona, soggetto etico e giuridico. Anche se Tizio non ha ancora queste caratteristiche, o non le ha più, o avrebbe solo potuto averle ha comunque diritto alla dignità che gli spetta in quanto membro della specie umana. Questo non è “specismo” è etica umana, o etica tout court. Singer lo nega. Per lui un feto, un neonato, anche un bambino di un anno, ed ancora, un vecchio, un portatore di handicap non sono persone a cui manchino certe caratteristiche fisiche, non sono persone con problemi, anche gravi, tragici. Sono
non persone, scarti, esseri di cui ci si può tranquillamente liberare. La dolce, pluralista, delicata, post moderna filosofia animalista si rivela in questo modo per quella che è: una filosofia razzista, anzi, una delle peggiori filosofie razziste. Dietro alla melassa di cui grondano i discorsi sui diritti animali si intravede il viso accigliato di un omino con un bel paio di baffetti.












Note

1) Jeremy Bentham: Introduzione ai principi della morale e della legislazione. Citato in Wikipedia, alla voce : Jeremy Bentham.
2) Ibidem.
3) I. Kant: Fondazione della metafisica dei costumi. Laterza 1985 pag. 61
4) Ibidem pag. 63
5) R Mordacci: Una introduzione alle teorie morali. Citato in: Bioetica cattolica e bioetica laica. Bruno Mondadori editore 2008, pag 88.
6) Giovanni Fornero: Bioetica cattolica e bioetica laica Bruno Mondadori 2009. pag. 88.
7) Peter Singer: Etica pratica. Citato in Giovanni Fornero, op cit pag. 109
8)
P: Singer: Etica pratica. Citato in: Giovanni Fornero: Bioetica cattolica e bioetica laica. Bruno Mondadori 2009 pag. 109
9) Ibidem pag. 109 - 110





giovedì 5 maggio 2016

ANTISPECISMO E RAZZISMO

I sostenitori del radicalismo animalista, gli antispecisti, paragonano spesso e volentieri il cosiddetto “specismo” al razzismo. Affermare che l'uomo ha uno stato etico ed ontologico diverso e superiore a quello di un serpente o di una aringa è per loro una pericolosissima forma di razzismo. Lo ha detto e ripetuto il guru massimo degli antispecisti, Peter Singer: il razzista viola il principio di uguaglianza fra le razze, lo specista quello fra le specie animali. Dire che un bianco è superiore ad un nero è lo stesso che dire che un uomo è superiore ad un gorilla o ad un lombrico. Tutti gli animali sono uguali, dall'uomo che è solo un animale fra gli altri, al lombrico. Chi mette in dubbio la validità di una simile affermazione è un “razzista” quindi, quanto meno, una persona poco raccomandabile. L'analisi filosofica cede il passo al furore ideologico: nulla è infatti tanto degradante quanto essere considerati razzisti. Fai passare per “razzista” chi ti critica ed il gioco è fatto: non avrai l'onere di confutare le sue teorie, ti basterà unirti al coro di folle urlanti. In realtà non solo chi rifiuta i concetti di “specismo” ed “antispecismo” non è razzista, ma ad essere, nel profondo, razzisti sono loro, quelli che hanno inventato questi concetti. Di seguito cercheremo di argomentare, argomentare, non strillare, questa affermazione.

Il primo ad accusare di “razzismo” chi non equipara sul piano etico uomini ed animali è stato Jeremy Bentham nella già citata “
introduzione ai principi della morale e della legislazione”:
“C'è stato un giorno, e mi rattrista dire che in molti posti non è ancora passato, in cui la maggior parte del genere umano, grazie all'istituzione della schiavitù è stata trattata dalla legge esattamente nello stesso modo in cui, per esempio in Inghilterra, sono trattate ancora le razze inferiori di animali.
Forse verrà il giorno in cui tutte le altre creature animali si vedranno riconosciuti quei diritti che nessuno, che non sia un tiranno, avrebbe dovuto negar loro.” (1)
Bentham prosegue dicendo che chi differenzia sul piano etico animali ed uomini lo farebbe basandosi su particolarità empiriche assolutamente inessenziali come “il numero delle gambe, la villosità della pelle o l'estremità dell'osso sacro” (2). Esattamente come ci si è resi conto che il colore della pelle non è una buona ragione per tenere in schiavitù un essere umano si arriverà, prima o poi, a capire che il numero delle gambe non giustifica l'uso che, per fare solo un esempio, facciamo dei buoi quando li usiamo per arare i campi. Le argomentazioni di Bentham sono state riprese, amplificate, spesso portate a conseguenze estreme da altri dopo di lui; come si è visto costituiscono il centro delle teorizzazioni di Singer. Lo specismo sarebbe una prosecuzione del razzismo, chi è seriamente contro il razzismo non può essere “specista”.
Il paragone fra “specismo” e razzismo sembra a prima vista avere qualche fondamento. In effetti, se abbiamo stabilito che tutti gli esseri umani hanno pari dignità perché non stabilire che hanno pari dignità tutti gli animali, compreso l'uomo che senza dubbio è, per lo meno è
anche, animale? La apparente plausibilità di simili tesi è però frutto di un abbaglio, fondato, fra le altre cose, sul travisamento o sulla totale ignoranza delle tesi di quei numerosissimi pensatori che rifiutano di equiparare lo status etico delle persone umane a quello di passeri, bufali e cernie.

Il razzismo è in effetti una dottrina che lega le differenze di status e di dignità fra gli esseri umani a caratteristiche fisiche inessenziali. Il colore della pelle, il tipo di capelli, la forma del naso o degli occhi cessano di essere, aristotelicamente, accidenti secondari per diventare caratteristiche fondamentali degli uomini, tanto fondamentali che ad esse sono legate l'umana libertà e dignità. Non tutti i teorici del razzismo sono, a dire il vero, tanto rozzi. Per alcuni le vere differenze fra gli uomini sono di tipo etico ed intellettuale. Un bianco non sarebbe superiore ad un nero per il colore della sua pelle, ma per la maggiore acutezza del suo ingegno. Però questa “maggiore acutezza” sarebbe, a sua volta, legata al colore della pelle, alla forma del naso e così via. Le doti intellettuali dipenderebbero da inessenziali caratteristiche fisiche. Cacciate dalla porta queste rientrano, trionfanti, dalla finestra.
Per i teorici dell'antispecismo chi teorizza una differenza di status etico ed ontologico fra uomo ed animale farebbe, più o meno, lo stesso. Il richiamo di Bentham allo schiavismo è a questo proposito molto significativo. Ma si tratta di un richiamo completamente infondato.
In primo luogo Bentham dimostra, con questo richiamo, di conoscere poco la storia. Non sempre lo schiavismo è stato infatti legato al razzismo ed alle caratteristiche fisiche inessenziali degli esseri umani. Ci sono stati schiavi e padroni di tutte le razze e molto spesso schiavo e padrone appartenevano alla identica razza. Nella antichità venivano ridotti in schiavitù i prigionieri di guerra, indipendentemente dal colore della pelle o dall'estremità dell'osso sacro.
In secondo luogo, e soprattutto, Bentham, che a dire il vero non è stato un grande genio speculativo, dimostra di conoscere poco la storia della filosofia. Nessun pensatore serio ha infatti mai cercato di fondare la differenza di status etico fra uomo ed animale su inessenziali caratteristiche fisiche. Non ho intenzione di allungare troppo il discorso e mi limito quindi al caso di Kant. Per Kant l'uomo ha uno status etico particolare perché è in grado di obbedire alla propria coscienza, di fare anche ciò che sensibilmente non lo attrae e di non fare ciò che invece lo attrae dal punto di vista sensibile. L'uomo è in grado,
solo in grado, di obbedire all'imperativo categorico, per questo è un ente morale, radicalmente diverso da tutti gli altri. Ma non solo l'uomo gode per Kant di un simile status.
Nella “fondazione della metafisica dei costumi” Kant aggiunge alle precedenti questa definizione della legge morale: “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona che in quella di ogni altro, sempre anche come un fine e mai semplicemente come un mezzo” (3). Sembrerebbe che il filosofo prussiano, superato l'astratto formalismo delle precedenti versioni dell'imperativo categorico, leghi qui la morale a determinate caratteristiche empiriche di un certo ente. Ma le cose stanno ben diversamente. Kant infatti si affretta ad aggiungere che “Questo principio dell’umanità non ha origine empirica; prima di tutto per la sua universalità, perché comprende tutti gli esseri ragionevoli in generale” (4)
Hanno diritto ad uno status etico particolare
gli esseri razionali in generale. L'uomo è, per ciò che ne sappiamo, l'unico essere razionale, ma questo è solo un evento empirico accidentale. Se in una galassia lontana vivesse un essere razionale questo per Kant sarebbe in grado di obbedire all'imperativo categorico. Potrebbe avere forma di lucertola od ippopotamo, potrebbe anche essere incorporeo, avrebbe lo stesso status etico ed ontologico dell'uomo. Si può criticare una simile concezione, ma di certo è completamente insensato accusarla di razzismo. In Kant la legge morale può basarsi su tutto meno che sul colore della pelle o la forma degli occhi!

Non solo le accuse di razzismo che gli “antispecisti” rivolgono ai loro oppositori sono del tutto infondate, ad essere davvero razzisti sono proprio loro, gli “antispecisti”. Per rendersene conto occorre approfondire il discorso.
L'etica “antispecista” può essere collegata a quello che Giovanni Fornero in “
bioetica cattolica e bioetica laica” definisce il concetto funzionalista di persona, contrapposto a quella sostanzialista.
Le concezioni dette sostanzialiste sostengono che la persona umana sia una sostanza. L'uomo è per natura dotato di certe caratteristiche che fanno di lui un essere razionale e morale, in una parola, una
persona. Ad essere decisivo è il richiamo alla natura, all'essenza dell'uomo in generale, questa è decisiva per trasformare un ente in persona, cioè soggetto morale e giuridico. E' vero che su un altro pianeta potrebbero esserci, come ipotizzava Kant, altri esseri morali e razionali, anche loro per loro natura persone, ma questo significa solo che forse non siamo le uniche persone dell'universo.
Ci sono, è vero, esseri umani che non sono
ancora persone in senso pieno, non hanno ancora sviluppato la loro razionalità e la capacità di discernere il bene dal male. E ce ne sono altri che non lo sono più, ed altri ancora che avrebbero potuto esserlo, ma non lo sono, perché hanno subito gravi incidenti o sono nati con gravi menomazioni. In tutti questi casi però si parla di persone cui mancano certe caratteristiche, no di non persone. Un neonato avrà le caratteristiche umane, un vecchio le ha avute e le può conservare, almeno in parte, un handiccappato avrebbe potuto averle, e potrebbe, forse, recuperarle.
I sostenitori delle concezioni funzionaliste della persona rifiutano un simile approccio.
Le concezioni funzionaliste identificano la persona con la presenza effettiva di queste capacità e quindi rifiutano l'idea che si tratti di sostanze per natura dotate di quei caratteri; tutti e solo gli enti che mostrano in atto le caratteristiche delle persone sono davvero persone; quando le funzioni personali mancano, anche in un individuo che le svilupperà in seguito o che le ha definitivamente perdute, non siamo di fronte ad una persona” (5)
Insomma, visto che avere due occhi è parte essenziale della natura umana, quello a cui manchi un occhio non è un uomo menomato, è un non uomo. Qui non c'entrano i discorsi tesi a stabilire, ad esempio, se un essere umano in coma profondo debba o no essere mantenuto in vita, o se e in quali casi sia lecito abortire. Questi sono dilemmi etici che possono benissimo essere applicati alle persone. Quello che è in gioco in queste concezioni è il concetto stesso di persona, o, meglio ancora, di soggetto morale e giuridico: Chi è persona? Quindi, chi è soggetto morale e giuridico? Questa è la posta in gioco. E la risposta è chiarissima. E' soggetto morale e giuridico chi ha di fatto, e finché le ha, certe caratteristiche, lo è sia che faccia parte, sia che non faccia parte di una certa specie. Essere uomo, esser nato da un maschio ed una femmina della specie umana non conta nulla, non fa di un certo ente un soggetto etico e giuridico. Conta avere o non avere di fatto determinate qualità o caratteristiche empiriche. Tutti gli enti che queste caratteristiche le hanno sono soggetti etici e giuridici, non lo sono coloro che non le hanno ancora, o non le hanno più, o che avrebbero solo potuto averle.
Ci stiamo avvicinando, come si vede, alle filosofie “antispeciste”. Il far parte del genere umano non conferisce automaticamente alcuno status etico, questo è conferito dal possedere certi caratteri empirici che non sono automaticamente propri del solo genere umano. Di che caratteri si tratta? Peter Singer da la risposta.
A sua volta Singer propone una nozione interspecifica di persona sganciata dall'identificazione tradizionale con gli esseri umani (e quindi solidale con l'antispecismo) e considera la sensibilità come criterio minimale per l'attribuzione di diritti ad un soggetto” (6)
Il cerchio si chiude, come si vede. Essere uomini non conferisce automaticamente alcuno status etico, questo è legato al possesso di certe caratteristiche empiriche: la sensibilità in primo luogo e tutto ciò che alla sensibilità è legato. Avere ben sviluppati i cinque sensi, poter vederci bene, sentire, muoversi, magari far sesso. Questo fa di noi persone morali, soggetti etici e giuridici. E fa tali anche agnelli, polli e conigli, a condizioni che siano in buono stato di salute. Tutto insomma dipende dai muscoli e, soprattutto, dal sistema nervoso. Esattamente come i razzisti, contro i quali tanto polemizzano, gli antispecisti promuovono al rango di discriminate etica le caratteristiche empiriche, meramente fisiche ed accidentali degli enti. Certo, i razzisti sostengono, a differenza degli “antispecisti”, l'ineguaglianza fra le razze ed il dominio di alcune sulle altre, ma, se si resta sul piano delle caratteristiche empiriche, sono senza dubbio loro ad avere ragione. Le caratteristiche empiriche delle varie specie animali sono infatti piuttosto diverse e la stessa conclamata capacità di provare piacere e dolore differisce da una specie all'altra. Soprattutto le varie specie animali sono spinte dalle loro caratteristiche empiriche ad una guerra acutissima per l'esistenza che non ha nulla, ma proprio nulla, a che vedere con l'armonica uguaglianza di diritti.

Ma questi sono, in fondo, semplici dettagli. Le incongruenze teoriche dei concetti di specismo ed antispecismo sono irrilevanti se paragonate alle loro conseguenze etiche. Queste sono tutte razziste. Non solo gli “antispecisti” usano, con minore coerenza di questi, le stesse categorie teoriche dei razzisti, la loro dottrina è intrinsecamente razzista e lo è in maniera spaventosa.
Per gli “antispecisti” il vero discrimine fra gli enti che sono soggetti morali e giuridici e quelli che non lo sono è costituito, lo si è detto e ripetuto, dalla sensibilità, intesa in senso ampio. La possibilità di provare piacere e dolore è legata ad un sistema nervoso ben sviluppato, sensi acuti, buna salute. Si è persone, soggetti etici se e fino a quando si hanno cose simili. Non lo si è se e quando non le si hanno. Ma un feto umano, un vecchio, un neonato non hanno, o hanno in maniera molto ridotta queste qualità. Quale è allora il loro status etico? La risposta di Singer ad una simile, ovvia, domanda è terrificante.
“Un bambino di una settimana non è un essere razionale ed autocosciente, e vi sono molti animali non umani la cui razionalità, autocoscienza, consapevolezza, capacità di sentire e così via è superiore a quella di un bambino umano di una settimana, o anche di un anno. Se il feto non ha la stessa pretesa di vita di una persona sembra che non l'abbia neanche il neonato, e che la vita di un neonato abbia meno valore della vita di un maiale, un cane o uno scimpanzè” (7)
Evitiamo i moti di ripulsa. Qui Singer usa non solo il concetto di “capacità di sentire” ma anche quelli di autocoscienza e razionalità, ma li usa allo stesso modo in cui usa la “capacità di sentire”. Autocoscienza e razionalità sono per lui qualcosa di meramente fisico, doti che si hanno finché si hanno, del tutto staccate dalle caratteristiche di una certa specie, qualcosa di simile alla buona salute, che oggi c'è e domani può non esserci. Non è
l'uomo ad essere razionale, è Tizio ad esserlo, se e finché gode di buona salute cerebrale. Per Singer conta poco che un bambino cresca ed acquisisca una razionalità ed un livello di autocoscienza enormemente superiori a quelli di un maiale. Usando le sue categorie potremmo dire che un uomo svenuto o in anestesia cessa solo per questo di essere una persona o che un vecchio sordo e semi cieco sia meno persona di un'aquila o di un formichiere. L'uomo sotto anestesia potrebbe aver scritto un capolavoro, ed il vecchio potrebbe aver compiuto opere meravigliose. Non conta, la loro situazione attuale ne fa una sorta di scarti.
Ed infatti come tali tratta Singer le persone che non hanno, a suo insindacabile giudizio, i requisiti per essere considerate soggetti etici e giuridici. Dando prova di una coerenza tanto ammirevole quanto folle, il filosofo australiano arriva a teorizzare
l'infanticidio. I bambini nati con gravi malformazioni vanno a suo parere eliminati, e a chi lo accusa di proporre cose orribili ribatte con dotte considerazioni storiche:
“La nostra attuale protezione assoluta della vita degli infanti è un atteggiamento tipicamente ebraico cristiano (…) L’infanticidio è stato praticato in società che vanno geograficamente da Thaiti alla Groenlandia e culturalmente dagli aborigeni australiani nomadi, alle sofisticate civiltà urbane dell’antica Grecia o della Cina dei Mandarini” (8)
La storia è piena di crudeltà di ogni tipo, alcune fanno ribrezzo a Singer, quelle contro gli animali ad esempio; altre il nostro pensatore le accetta senza batter ciglio, basta che non riguardino i polli ma i bambini.
C'è comunque da notare la logica ferrea che guida il pensiero del massimo teorico dei diritti animali. Parte contestando il concetto stesso di natura umana e nega, a partire da questa contestazione, qualsiasi status etico privilegiato per l'uomo. Prosegue sostituendo la sensibilità alla razionalità ed alla libertà quale criterio discriminante dell'etica. Fatto tutto questo il passo successivo è obbligato: quegli enti che sono privi di sensibilità o ne hanno una menomata perdono o vedono drasticamente ridimensionarsi il loro status morale. Da un lato Singer allarga indebitamente i confini dell'etica inserendo in questa tutti gli esseri senzienti, dall'altra li restringe espellendone numerosi esseri umani, più o meno potenziali: feti, neonati, vecchi, portatori di handicap, insomma tutti coloro che non sono sufficientemente sani, vispi ed arzilli. Non conta la dignità della persona, il suo appartenere ad una specie che ha nella razionalità e nella connessa possibilità di scegliere il suo carattere distintivo. Contano certe caratteristiche fisiche, in Singer come nei peggiori razzisti. Per un razzista non è importante che tu sia un uomo, ad essere veramente decisivo è il colore della tua pelle. Per Singer sono decisive le caratteristiche del tuo sistema nervoso.
A dire il vero non molti razzisti si sono spinti fino al punto di proporre l'infanticidio dei bambini con la pelle di colore non gradito, e solo pochi hanno proposto l'eliminazione di chi non ha, temporaneamente, certe caratteristiche fisiche. Singer lo fa, tranquillamente. Per il filosofo della dolcezza animalista se la tua capacità di sentire dà qualche colpo a vuoto... beh, sei fregato! A chi gli fa notare ad esempio che un feto è potenzialmente un essere sensibile, razionale, cosciente ed autocosciente l'amico di polli e conigli ribatte:
“Un X potenziale non ha tutti i diritti di X. Il principe Carlo è un potenziale re d’Inghilterra ma non ha i diritti di un re. Perché mai una persona solo potenziale dovrebbe avere i diritti di una persona?” (9).
Un bambino non ha gli stessi diritti di un adulto, ovviamente, ma ha il diritto di diventare adulto. Singer glielo nega, non vuole sentire discorsi sulle “potenzialità” di un certo ente. Gli sembrano troppo “essenzialisti”, quasi aristotelici. Ed in effetti un po' essenzialisti lo sono, e forse anche un po' “aristotelici”. L'uomo in generale ha certe caratteristiche etiche e razionali in base alle quali è persona, soggetto etico e giuridico. Anche se Tizio non ha ancora queste caratteristiche, o non le ha più, o avrebbe solo potuto averle ha comunque diritto alla dignità che gli spetta in quanto membro della specie umana. Questo non è “specismo” è etica umana, o etica tout court. Singer lo nega. Per lui un feto, un neonato, anche un bambino di un anno, ed ancora, un vecchio, un portatore di handicap non sono persone a cui manchino certe caratteristiche fisiche, non sono persone con problemi, anche gravi, tragici. Sono
non persone, scarti, esseri di cui ci si può tranquillamente liberare. La dolce, pluralista, delicata, post moderna filosofia animalista si rivela in questo modo per quella che è: una filosofia razzista, anzi, una delle peggiori filosofie razziste. Dietro alla melassa di cui grondano i discorsi sui diritti animali si intravede il viso accigliato di un omino con un bel paio di baffetti.












Note

1) Jeremy Bentham: Introduzione ai principi della morale e della legislazione. Citato in Wikipedia, alla voce : Jeremy Bentham.
2) Ibidem.
3) I. Kant: Fondazione della metafisica dei costumi. Laterza 1985 pag. 61
4) Ibidem pag. 63
5) R Mordacci: Una introduzione alle teorie morali. Citato in: Bioetica cattolica e bioetica laica. Bruno Mondadori editore 2008, pag 88.
6) Giovanni Fornero: Bioetica cattolica e bioetica laica Bruno Mondadori 2009. pag. 88.
7) Peter Singer: Etica pratica. Citato in Giovanni Fornero, op cit pag. 109
8)
P: Singer: Etica pratica. Citato in: Giovanni Fornero: Bioetica cattolica e bioetica laica. Bruno Mondadori 2009 pag. 109
9) Ibidem pag. 109 - 110