giovedì 27 ottobre 2016

INTEGRAZIONE

Il Vocabolario Treccani della lingua italiana così definisce la integrazione, in senso sociale:

Inserzione, incorporazione, assimilazione di un individuo, di una categoria, di un gruppo etnico in un ambiente sociale, in un’organizzazione, in una comunità etnica, in una società costituita

Si ha integrazione quando un individuo o un gruppo diventano a tutti gli effetti membri di una certa comunità, o società. Un italiano, per fare un esempio, emigra in Argentina e dopo un certo numero di anni può a pieno titolo definirsi argentino. Parla correttamente lo spagnolo, conosce i principali eventi della storia argentina, è informato e segue la politica del suo nuovo paese. Certo, il nostro ipotetico emigrante conserva un legame con l'Italia, si sente in qualche modo ancora italiano, ma questo non contrasta col fatto che è argentino, e non solo formalmente.
L'integrazione è
inserimento, condivisione di alcuni valori e sentimenti, sviluppo di un senso di appartenenza. Se queste cose mancano non si ha integrazione e coloro che si dovevano integrare, ma integrati non si sono, vivono, nella migliore delle ipotesi, accanto agli altri, nella peggiore, contro gli altri.

Per chiarire ancora meglio le cose val la pena di confrontare il concetto di integrazione con altri due che apparentemente sembrano assomigliargli.
In primo luogo il cosiddetto
melting pot.
Si parla di melting pot, letteralmente crogiuolo, calderone, per indicare il processo di fusione di popoli, razze od etnie. La differenza fra melting pot ed integrazione è abbastanza chiara. Si ha integrazione quando gruppi ed individui entrano a far parte
a pieno titolo di una cultura o di una società già esistenti, si ha melting pot quando più gruppi ed individui, fondendosi, danno vita ad una nuova cultura o, più modestamente, si mischiano fra loro a livello puramente etnico e razziale.
Nel melting pot c'è una componente etnica: la fusione di etnie e razze diverse, ed una culturale: la formazione di una nuova cultura, ma non è detto che questa seconda componente sia sempre presente. Si tratta comunque, in tutti i casi, di qualcosa di radicalmente diverso dalla integrazione.
I barbari che determinarono il crollo dell'impero romano si fusero in qualche modo con le popolazioni latine, ma non ci fu una loro integrazione nelle istituzioni dell'impero romano. Gli spagnoli che conquistarono il sud America in parte si mischiarono, più che altro a livello etnico e razziale, con le popolazioni locali, ma non ci fu alcuna fusione fra la cultura dei conquistadores e quella degli Aztechi, dei maya e degli Incas. Meno che mai si può parlare di integrazione di queste popolazioni nella cultura degli spagnoli e dei portghesi. Ci può essere fusione etnica e razziale fra conquistati e conquistatori, addirittura fra schiavisti e schiavi, senza che vi sia fra gli uni e gli altri alcun processo di formazione di una nuova cultura, meno che mai di integrazione.
La differenza fra melting pot ed integrazione risulta con particolare evidenza nel processo di formazione degli Stati Uniti d'America. Nel corso di quel processo le diverse popolazioni emigrate in nord America si fusero sia culturalmente che etnicamente fra loro, dando vita ad una nuova nazione con la sua specifica cultura, ma non vi fu alcuna integrazione di questa nuova cultura in quella degli indiani d'America. Il melting pot da cui doveva nascere il popolo americano si formò in un processo che vide contrapposti senza possibilità di mediazioni, purtroppo, gli emigranti europei e gli originari abitanti d'America. Si possono fare le considerazioni più svariate su quel processo. Si può dire che sia stato storicamente progressivo e si possono condannare le violenze e le ingiustizie che lo accompagnarono, in ogni caso non lo si può spacciare come esempio di “integrazione”.
Neppure si può confondere l'integrazione con quel processo, avvenuto svariate volte nella storia, che porta i conquistatori ad assimilare la cultura dei conquistati.
Capita spesso che i vinti conquistino culturalmente i vincitori, ma si tratta di una amara vittoria. I vincitori fanno proprie parti della cultura dei vinti distruggendo però la loro indipendenza e la loro organizzazione politica.
I Romani assimilarono molto della cultura greca, ma lo fecero trasformando la Grecia in una loro provincia. I barbari che determinarono la caduta dell'impero romano di occidente fecero propri alcuni spezzoni della cultura latina, ma lo fecero dopo aver più volte saccheggiato Roma ed il nord Italia e distrutto la struttura politica dell'impero. Quando una grande civiltà crolla alcuni frammenti della sua cultura sono sempre, in qualche modo, assimilati dai suoi nemici, ma solo mistificando al massimo il senso dei concetti questo può essere spacciato per integrazione. Se i nazisti avessero vinto la seconda guerra mondiale nei teatri di Berlino si sarebbero, probabilmente, continuate a rappresentare le tragedie di Shakespeare, questo non vuol dire che i nazisti si sarebbero integrati nella democrazia liberale britannica.

Se è possibile trarre una conclusione da quanto sinora detto questa è:
si possono integrare individui e gruppi, non interi popoli.
Il perché è molto semplice. Singoli individui o gruppi che emigrano in un un paese subiscono inevitabilmente il condizionamento del nuovo ambiente sociale. La nuova cultura in cui sono inseriti penetra in loro come l'aria che respirano. A meno che non sorgano gravi problemi economici o di altro tipo in un certo lasso di tempo i nuovi venuti diventano a tutti gli effetti cittadini del paese ospitante. Cittadini particolari, certo, che portano nel cuore l'amore per il luogo da cui provengono, ma non per questo meno leali nei confronti della loro seconda patria.
Ma se a trasferirsi non sono singoli o gruppi, ma un interi popoli questo non avviene. I singoli ed i gruppi subiscono l'influenza dell'ambiente in cui si inseriscono,
trasferendosi i popoli modificano l'ambiente, ne creano uno del tutto nuovo. Il contesto sociale influisce sui singoli, ma i popoli influiscono, addirittura creano i contesti sociali. Per questo è semplicemente assurdo parlare di integrazione di interi popoli.
Mai nella storia trasferimenti di interi popoli o comunque di enormi dimensioni, hanno dato vita a processi di integrazione. Goti e visigoti, Unni e Vandali non si sono integrati nell'impero romano, gli europei non sono stati integrati dagli indiani d'America, né gli spagnoli dagli Atztechi. Le migrazioni di massa hanno distrutto civiltà ed altre ne hanno create. Migliori a volte delle precedenti, ma non è questo il punto in discussione. Di certo non hanno innescato alcun processo di integrazione. Le grandi migrazioni hanno creato un rimescolamento di etnie e razze ed anche di culture, dato vita a processi di assimilazione da parte dei nuovi arrivati di spezzoni delle culture delle civiltà soggiogate. Ma questo, lo si è visto, ha poco o nulla a che vedere con l'integrazione.

La domanda che dobbiamo porci oggi, di fronte ai processi migratori in corso, è molto semplice. Abbiamo a che fare con normali flussi di migratori o con un esodo massiccio che riguarda intere popolazioni? Dobbiamo parlare di numerosi stranieri che vengono a lavorare qui da noi o di intere popolazioni che si stanno trasferendo sul nostro territorio? Basta porre la domanda giusta per avere la risposta.
Solo dei perfetti mistificatori possono spacciare i processi in corso per normai flussi migratori. Il flusso continuo di clandestini dall'Africa e dal medio oriente, e non solo, verso l'Europa è un “normale” processo di emigrazione più o meno come era un normale processo migratorio il trasferimento di parte della popolazione europea in nord America.
E' inutile mistificare: quella che sta avvenendo sotto i nostri occhi è la
sostituzione della popolazione europea, un processo massiccio, che riguarda milioni, decine di milioni di esseri umani ed è destinato a cambiare radicalmente il contesto sociale, politico, economico e culturale del nostro continente. Qualcuno ha dei dubbi in proposito? Beh, faccia un giro per le vie del centro di qualsiasi città italiana e si guardi in giro. Poi, se non è troppo giovane, cerchi di ricordare come erano quelle stesse vie qualche decennio fa. Avrà subito la risposta.
Inoltre, ad aggravare non poco le cose, c'è il fatto che le migrazioni cui oggi dobbiamo far fronte riguardano masse umane con idee, valori, usi e costumi del tutto incompatibili con i nostri.
Una cosa è subire massicce migrazioni di popoli a noi simili. In questo caso, se non integrazione, è possibile, forse, un rimescolamento non solo etnico e razziale ma anche culturale fra i vecchi abitanti e nuovi venuti, ed è possibile che ci siano in questo anche aspetti positivi. Ma se chi arriva appartiene ad una cultura del tutto incompatibile con la nostra anche un simile processo, comunque lento, difficile e doloroso, diventa impossibile. Poligamia, lapidazione, identificazione di politica e religione, intolleranza, disprezzo per la democrazia non possono integrarsi e neppure mischiarsi con il laicismo, la pari dignità dei sessi, il libero pensiero. Quello di cui molti occidentali non si rendono, o non
vogliono rendersi, conto è un fatto notissimo: nell'Islam il principale fattore aggregante fra le persone, è la religione, non il principio di nazionalità. Questo non solo rende impossibile l'integrazione di massa, a livello di popoli, rende molto difficile la stessa integrazione nella nostra cultura di individui e gruppi di fede musulmana.
Pensare che un musulmano, un musulmano vero, possa sul serio integrarsi in una società di "infedeli" vuol dire essere molto ottimisti. Certo ci possono essere casi di questo genere, a livello di individui e piccoli gruppi, ma si tratta di casi come minimo molto rari.

Del resto sono proprio loro, i “buoni”, gli “accoglienti” a dimostrare, con tutta la loro politica che l'integrazione è solo un ingannevole miraggio. Da tempo ormai in tutto l'occidente si prendono provvedimenti, si mettono in atto comportamenti che di fatto sostituiscono i diritti delle persone con quelli dei gruppi. Il patto sociale da noi è scritto in termini individuali. Esistono diritti e doveri che valgono per tutti, indipendentemente dal colore della pelle, dal sesso, dal credo religioso; in conseguenza di questo la legge è uguale per tutti. Da tempo però le cose stanno cambiando. In certi gruppi etnici o religiosi esistono usi e costumi che la nostra legge sanziona, e sono in netto contrasto con quelli che per noi sono diritti essenziali delle persone. Questi usi e costumi però sono accettati, o quanto meno tollerati, perché fanno parte della cultura di un certo gruppo.
In occidente vige il principio della pari dignità dei sessi. Le donne musulmane sono costrette a velarsi più o meno integralmente e cosa fanno gli occidentali “accoglienti”? Fingono che veli e burka siano il frutto di una “libera scelta”.
In occidente è vietata la poligamia. La gran maggioranza dei migranti ha invece tre o quattro mogli. I “buoni” di casa nostra fingono di non vedere questo piccolo fenomeno. Qualcuno addirittura propone che la poligamia sia legalizzata.
In certi quartieri di Londra, e non solo, una donna non può passeggiare per strada vestita alla occidentale. Invece di reprimere simili situazioni cosa si fa? Le donne poliziotto incaricate di operare in simili quartieri devono velarsi.
Per noi la infibulazione è un crimine, ma viene allegramente praticata da molti “migranti” e le autorità occidentali si tappano gli occhi, qualcuno ha addirittura proposto che si faccia negli ospedali una infibulazione soft, con un po' di anestesia, per evitare scene troppo cruente.
Per farla breve, ovunque, con azioni o con omissioni, si avallano comportamenti, usi e costumi che sono la negazione di quelli che per noi, e non solo per noi, sono valori e diritti essenziali.
Non esistono, questo si teorizza sempre più spesso, i diritti delle persone, esistono i diritti dei gruppi etnici e religiosi. La legge non è uguale per tutti, ma ogni gruppo ha la sua legge e le persone che fanno parte di gruppi diversi sono soggette a leggi diverse. La società tende sempre più a spezzettarsi lungo linee etniche, cessa di essere qualcosa di unitario per trasformarsi in una accozzaglia di formazioni tribali.
Esattamente l'opposto della integrazione. Questo non è un caso: visto che l'integrazione di interi popoli è impossibile e visto che non ci si vuole opporre alle migrazioni di massa si accetta che la società si trasformi in un disorganico insieme di tribù.
Voglio dirlo telegraficamente, con la massima chiarezza.
Nel nostro futuro prevedibile non è in vista alcuna integrazione. Chi pensa, per restare al nostro paese, ad una Italia in cui cristiani, non credenti e musulmani si sentiranno prima di tutto italiani e saranno uniti da forti vincoli di solidarietà sbaglia completamente. Quella che ci attende è una crisi sempre più grave della nostra civiltà, prima una sua sempre più accentuata frammentazione su linee etniche e religiose, poi, forse, la scomparsa.
Qualcuno può obiettare che ciò che affermo dimostra un pessimismo troppo accentuato. Beh,
proviamo a fare due calcoli. Ultimamente i clandestini arrivano a casa nostra al ritmo di due, tremila al giorno. Tremila al giorno vuol dire novantamila al mese, un milione e novantacinquemila all'anno, quasi undici milioni dieci anni. Estremizzo? Faccio indebite estrapolazioni? Generalizzo dei picchi di arrivi? Forse, anche se è innegabile che più passa il tempo e più numerosi sono gli sbarchi. Comunque, anche dimezzando le cifre, se si tiene conto che i nuovi venuti si aggiungono ai molti che già sono qui da noi, e che il tasso di natalità fra i migranti è almeno triplo rispetto a quello dei residenti italiani, la conclusione è tragicamente semplice: se la attuale tendenza non viene bloccata, nel giro di venti, massimo trenta anni
l'Italia sarà morta come paese occidentale. Sarà diventata qualcosa di simile all'Algeria, nella migliore delle ipotesi al Marocco. Qualcuno può giudicare positivo un simile processo, personalmente lo giudico catastrofico, quello che comunque è certo e che non ha assolutamente niente a che vedere con l'integrazione.
Ovviamente spero di sbagliare, clamorosamente.

sabato 8 ottobre 2016

PERCHE'?

Perché? Perché tanta cecità, tanta colpevole acquiescenza? Se lo chiedono in molti. Come è possibile che persone apparentemente capaci di pensare continuino con una politica destinata a distruggere la nostra civiltà?
Un bambino è in grado di cogliere il legame fra le migrazioni ed il crescere di degrado sociale e delinquenza, l'acutizzarsi dei problemi economici, l'espansione del terrorismo. Bisogna essere ciechi per non vedere che l'apertura incontrollata delle frontiere è destinata a distruggere la nostra civiltà e ad introdurre qui da noi costumi che pensavamo fossero solo il ricordo di un passato ormai lontano.
Eppure persone apparentemente normali non vedono queste cose che stanno li, in palmare evidenza, di fronte a tutti. Perché avviene tutto questo?
Qualcuno pensa che la risposta stia negli interessi economici. I migranti sono un business, qualcuno ha interesse ad accoglierli. E non si tratta solo della carità pelosa, delle cooperative che sui migranti fanno un sacco di soldi. Oltre a loro ci sono imprenditori poco onesti che hanno tutto l'interesse a sfruttare mano d'opera di costo infimo, organizzazioni malavitose, traffici di droga e prostituzione. Tutto vero, ma spiega solo in parte, in piccola parte, il fenomeno. Perché è vero che la mano d'opera a costo infimo può far gola a molti, ma riguarda pur sempre settori marginali dell'economia. Globalmente considerata l'economia dell'occidente ha bisogno di lavoratori qualificati, in grado di essere inseriti in settori dinamici, non di raccoglitori di pomodori o venditori ambulanti di prodotti di pessima qualità. Inoltre, se nel breve periodo molti possono far soldi sui migranti, in un'ottica temporale un po' più lunga le migrazioni incontrollate sono destinate a renderci TUTTI molto, molto più poveri. Una cosa è accogliere qualche migliaio, o qualche decina di migliaia, di migranti, altra cosa accoglierne centinaia di migliaia, milioni o decine di milioni. L'economia europea non può sostenere un simile impatto senza collassare, non occorre essere dei geni per capirlo. E se l'economia collassa ci impoveriamo tutti.
Inoltre, vale davvero la pena di diventare ricchi per vivere in una società teocratica? Una donna sarebbe disposta a vivere nel califfato in cambio di un conto in banca di qualche milione di euro? Sarebbe un po' come accettare lo scambio fra alcuni milioni di euro ed una condanna all'ergastolo. I soldi attraggono perché possono essere spesi, ma le occasioni interessanti di spesa sono poche, e riguardano poche persone, e quasi tutte di sesso maschile, nelle teocrazie islamiche.
Certo, molti di coloro che cercano di utilizzare i migranti per far soldi non fanno calcoli di lungo periodo e neppure tentano di prefigurare scenari futuri, ma possiamo seriamente pensare che un branco di persone disoneste e poco intelligenti sia alla base della acquiescenza generalizzata di fronte a fenomeni di portata, una volta tanto val la pena di usare questo termine, epocale? Ad essere favorevoli alle “migrazioni” non sono solo pochi malavitosi, ma parecchie persone comuni, numerosi uomini e donne dotate di una certa cultura, moltissimi intellettuali, veri o presunti, non conta, uomini politici, giornalisti; un sacco di gente insomma, fra cui moltissime donne, i soggetti cioè destinati a subire con maggior violenza il peso dell'affermarsi dell'Islam. E' difficile ipotizzare che siano tutti mossi da interessi personali. Ed anche se lo ammettessimo avremmo solo spostato il problema. Resterebbe infatti senza risposta la domanda essenziale: “perché mai tanti non capiscono che, favorendo le migrazioni, contribuiscono a creare una situazione di povertà generalizzata, destinata a colpire anche loro?” Le migrazioni non porteranno l'Africa al livello dell'Europa, ma questa al livello di quella, e nessuno o quasi può davvero guadagnarci in una simile situazione. Il crollo dell'impero romano non ha favorito se non settori assolutamente marginali del patriziato. Come mai tanti occidentali non arrivano a capire cose tanto semplici? Sono tutti enormemente, spaventosamente stupidi?

Per cercare di capire il perché di comportamenti che possono con giusta ragione essere ritenuti folli l'analisi erudita degli interessi in campo, siano questi economici, politici o geopolitici non basta. Quali che siano le speranze di mega imprenditori e capi di stato, la islamizzazione dell'Europa è destinata far saltare ogni calcolo, ogni equilibrio politico o geopolitico. Basta, per rendersene conto, pensare a quanto sia stupida l'illusione di molti settori della sinistra convinti che l'immigrazione incontrollata possa favorirli sul piano elettorale. Facciamo entrare un sacco di clandestini, pensa qualcuno, diamo loro la cittadinanza e questo ci assicura, a breve termine, un formidabile vantaggio elettorale. Non pensano, questi poveretti, che, una volta fatti diventare “italiani” milioni di clandestini di fede musulmana questi formeranno il loro bel partito islamico che col “progressismo” di sinistra non avrà, né vorrà avere, nulla a che fare. Non ci vuole molto a capirlo, eppure tanti sottili “analisti” non lo capiscono, come mai?
Per cercare di risolvere il mistero occorre abbandonare l'analisi degli interessi, pure corposi, connessi alle migrazioni per misurarsi col problema della coscienza, per essere più precisi, della coscienza ideologica dell'occidente.
Cosa sono l'ideologia e la coscienza ideologica? Senza addentrarci in analisi eccessivamente particolareggiate
possiamo definire l'ideologia come un insieme di idee, una concezione generale dell'uomo e del mondo che si ritiene, insieme, vera e buona al di la di ogni analisi razionale ed ogni raffronto con la realtà, e che si ritiene sia giusto realizzare, a qualsiasi costo.
La coscienza ideologica è quella di chi ha fatto propria l'ideologia, intende realizzarla ed adegua ogni suo pensiero, parola e comportamento a questo obiettivo.

La definizione, sintetica e certamente non esaustiva, mette in rilievo tre caratteri della ideologia. L'ideologia disprezza, insieme, la
coerenza logica, il principio di realtà e la comune morale.
Il fine dei sostenitori delle ideologie si colloca nella dimensione dell'assoluto, e nell'assoluto, si sa, il principio di non contraddizione è “superato”. L'assoluto è il tutto in tutto in cui gli opposti si compenetrano fino a venire a coincidere e la coincidenza degli opposti segna la fine di quel principio di non contraddizione considerato da Aristotele la conditio sine qua non di ogni pensiero significante. I fanatici della ideologia non intendono farsi irretire da questo principio. Usandolo potrebbero scoprire incoerenze nelle loro fantastiche costruzioni mentali, per questo lo rifiutano sprezzantemente. I grandi della ideologia sono autentici costruttori di ossimori. Rousseau riteneva che si possa obbligare un uomo ad essere libero. Lenin palava di “dittatura democratica”, Marcuse e gli altri guru della scuola di Francoforte di “tolleranza repressiva”. Tutto questo è leggermente incoerente? Verissimo, ma, chi se ne frega? Viva i fini assoluti, e vada al diavolo la coerenza!
Per gli stessi motivi i fanatici della ideologia disprezzano il principio di realtà. Il mondo reale, gli esseri umani in carne ed ossa sono radicalmente diversi da come loro li immaginano? Vadano al diavolo, letteralmente, il mondo reale e gli esseri umani in carne ed ossa. La realtà
deve essere così come gli ideologi la immaginano. Quando hanno il potere i sacerdoti della idea assoluta violentano la realtà per costringerla nel letto di procuste delle loro cattive utopie; altre volte, soprattutto se privi di potere, rifiutano di vederla o di capirla, la realtà. Accade così che sottili intellettuali, uomini di cultura, raffinati analisti non vedano o non capiscano cose che qualsiasi uomo della strada vede e capisce benissimo.
Negli anni in cui la tirannide staliniana mieteva vittime in quantità industriale numerosi intellettuali europei si recarono in visita in URSS. I loro viaggi erano organizzati sin nei minimi particolari, i loro movimenti minuziosamente controllati. Qualsiasi persona normale si sarebbe accorta che ciò che veniva mostrata era una realtà posticcia, e bastava allungare un po' lo sguardo per intuire che la situazione reale era leggermente diversa dalla sua rappresentazione propagandistica. Ma persone di grande intelligenza non seppero distinguere il vero dal posticcio, rifiutarono di allungare lo sguardo.
Non volevano rinunciare alla loro bellissima, totalizzante ideologia.
E sempre per gli stessi motivi gli ideologi non accettano la morale comune. Imprigionare o giustiziare un innocente, uccidere gente a casaccio, strappare i figli ai genitori, ingannare consapevolmente i propri simili, rubare, mentire sono tutte cose che la stragrande maggioranza degli esseri umani considera cattive, immorali. Non così chi ha abbracciato una qualche ideologia. Mentire, rubare, uccidere, stuprare, far fucilare degli innocenti o premiare degli assassini, tutto è lecito se serve a realizzare l'idea assoluta. Una cosa è la morale che riguarda i rapporti fra i normali esseri umani, cosa del tutto diversa quella che deve guidare chi ha assunto su di se l'immane compito di realizzare l'assoluto. Una certa idea, un determinato progetto di trasformazione sociale non sono buoni perché si accordano con i dettami dell'etica, sono questi dettami ad essere buoni o cattivi a seconda che si accordino o meno con quella certa idea, quel certo progetto di trasformazione sociale. Il mondo viene capovolto.

Prima di proseguire occorre fare due precisazioni, indispensabili per capire la capacità che le ideologie hanno di attrarre un gran numero di esseri umani.

La prima
. Le ideologie sono quasi sempre frutto di elaborazioni intellettuali assai raffinate, nascono sul terreno della filosofia. Ma non si limitano a quel terreno. Non riguardano solo le idee ma anche i sentimenti, addirittura le pulsioni degli esseri umani. Senso di appartenenza o di estraneità, risentimento sociale, amore ed odio, paure, ansie... in tutte le ideologie è possibile trovare un mix di stati emotivi che con l'elaborazione puramente razionale hanno poco a che vedere.
La seconda
. E' possibile trasformare in ideologie anche teorie ed idee che di per se ideologiche non sono affatto. Si dice “ideologia” e subito si pensa al comunismo o al nazionalsocialismo, ma possono diventare ideologia anche molti principi liberali e democratici, di per se del tutto laici e non ideologici, basta trattarli in maniera ideologica. Si prenda la tolleranza, ad esempio. E' qualcosa di molto poco ideologico, ma si provi a trattarla ideologicamente e diventa, anch'essa, un assoluto ideologico. Da principio in grado di guidare i rapporti fra gli esseri umani che, come ogni principio, vale entro certi limiti, con determinate eccezioni, la tolleranza diventa un valore metastorico, extrasociale, un assoluto a cui tutto va subordinato. Ed altri valori liberali fanno la stessa fine. Il ripudio del razzismo, cosa accettabilissima, diventa teorizzazione del pari valore delle realizzazioni di tutte le civiltà. L'universalismo si trasforma in mondialismo, pretesa cioè che tutti i popoli del mondo possano formare un'unica comunità, sotto un solo stato planetario. La ricerca del dialogo col diverso si trasforma in autocensura, quella della pace in rifiuto di reagire alle aggressioni.
L'insieme dei valori della democrazia liberale diventa in questo modo un assemblaggio di piccoli assoluti, aggressivi, intolleranti come i grandi assoluti delle ideologie totalitarie.



Tutto ha avuto inizio negli ultimi 30 anni dello scorso secolo. In quegli anni si sono avuti prima il riflusso e la crisi del “movimento del 68”, poi quell'evento davvero epocale che è stato il crollo del comunismo. Quel crollo e quella crisi hanno lasciato privi di prospettive e punti di riferimento decine, forse centinaia di migliaia di nostalgici dell'assoluto. Il rovesciamento della storia, il passaggio dal regno della necessità a quello della libertà era svanito nel nulla, restava solo l'anelito all'assolutamente altro, alla società perfetta da realizzare nel mondo, possibilmente qui ed ora. Non bisognava perdere le speranze, rinunciare all'assoluto. Ma le grandi ideologie erano ormai in pezzi, e solo pochi fanatici, molto poco intelligenti, potevano ancora arroccarsi in loro difesa. Moltissimi hanno risposto a questa crisi conferendo, quasi inconsciamente, dimensione assoluta a spezzoni di ideologie in crisi. Si sono combinati fra loro un residuo di sempre maldigerito marxismo, il nuovo radicalismo femminista, la nascente ideologia gender, molto radicalismo ecologico e grandi dosi di di terzomondismo pauperista. Si è condito il tutto con un bel po' di relativismo, una buona manciata di valori liberaldemocratici ideologicamente modificati, una punta di antisemitismo, uno stuolo di sentimenti lacrimevoli e, soprattutto, con quel sentimento fra noi assai diffuso  che è l'antipatia fortissima che tanti occidentali provano per la loro  civiltà, ed è nata l'ideologia politicamente corretta. Una ideologia di desolante povertà teorica, priva della compattezza, della profondità ed anche di quella cupa grandezza che ha caratterizzato le grandi ideologie del secolo ventesimo, ma capace di fornire consolazioni allo stuolo dei reduci del '68, molti dei quali avevano trovato gradito riparo nelle aule universitarie, nelle redazioni di quotidiani e nelle direzioni di vari TG.
Una ideologia multiforme, valida per tutti gli usi, in grado di dire la sua, anche se in maniera completamente incoerente, su tutti gli aspetti della vita umana, dai rapporti fra i sessi a quelli con la natura non umana. Soprattutto, una ideologia capace di condizionare in maniera fortissima il rapporto dell'occidente con le altre civiltà, l'Islam soprattutto. Uno dei dogmi fondamentali del politicamente corretto è infatti quello della uguaglianza di tutte le culture. Nel momento stesso in cui l'Islam fondamentalista dichiarava guerra all'occidente, ed a se stesso, i guru del politicamente corretto difendevano a spada tratta il “dialogo” a tutti i costi. E quando masse sempre maggiori di migranti hanno cominciato a riversarsi nei paesi europei gli stessi guru, in omaggio al dogmi della “accoglienza generalizzata” e facendo leva sui sensi di colpa degli europei per il loro passato colonialista, si sono opposti ad ogni politica di contenimento o almeno di regolamentazione dei flussi. All'interno della ideologia politicamente corretta ha così acquistato sempre maggior peso quella che possiamo definire l'ideologia della resa dell'occidente all'islam fondamentalista.

Ovviamente, tutti i difetti delle ideologie classiche sono presenti in questa ideologia. Femministe e gay che amano l'Islam, intellettuali che lo definiscono una “religione di pace", sottili analisti che rifiutano di condannare i crimini che ovunque nel mondo si consumano in suo nome. Si può immaginare qualcosa di più lontano dalla coerenza, dal principio di realtà e dalla morale comune? L'ideologia della resa avanza in mezzo a cumuli di macerie, non solo teoriche. Che ci riguardano tutti.

A questo punto è però ci si potrebbe porre una domanda. Non è sbagliato ridurre tutto ad un fatto di influenza ideale? Le idee e le stesse ideologie in fondo riguardano una minoranza di esseri umani, sono estranee alle masse ed ai loro movimenti. Dare troppa importanza alle ideologie vuol dire trasformare la storia in una sorta di dibattito intellettuale e questo spiega poco o nulla del suo movimento.
Un materialismo storico da vulgata ha contribuito a diffondere la convinzione che l'agire umano sia qualcosa di quasi immediato, una sorta di risposta semi automatica a desideri ed istinti elementari. Qualcosa di non troppo diverso, per capirci, dal comportamento animale. Ma si tratta di una concezione totalmente errata; chi la espone si contraddice da solo, in fondo, solo esponendola.
In realtà
quasi tutto il comportamento umano è mediato dal pensiero. Il pensiero non è presente solo nei cieli delle speculazioni filosofiche o scientifiche, ma anche sulla terra delle azioni umane più elementari. La ricerca del cibo, la lotta contro i nemici, i tentativi per ripararsi dalle intemperie sono nell'uomo intrisi di pensiero, se così non fosse non saremmo mai diventati la specie dominante del pianeta. Anche molto di ciò che nelle nostre azioni appare puramente istintivo ha alle spalle il pensiero. Un guidatore che cambia marcia, un pugile che schiva un sinistro e rientra di destro, un militare che si ripara dietro ad un muro per sfuggire al fuoco nemico si comportano in maniera che a prima vista sembra solo istintiva; ma dietro a quella istintività ci sono istruzioni, addestramento, pratica ripetuta. In ultima analisi, c'è il pensiero.
Anche ammettendo tutto questo il problema non è però ancora risolto. Il pensiero è fondamentale, ma questo non riduce la storia ad un dibattito intellettuale, si potrebbe ribattere, con giusta ragione.
In effetti l'influenza delle idee e delle ideologie non si manifesta affatto come un processo in cui certe concezioni teoriche conquistano, grazie alla propria intrinseca superiorità, le menti degli esseri umani. Non è affatto simile al processo che vede prevalere, in circoli ristretti, certe teorie scientifiche su altre, o confrontarsi diverse scuole di pensiero filosofico, o di espressione artistica.
Le idee, buone o cattive che siano, e quelle idee sempre cattive che sono le ideologie, non si diffondono a livello di massa grazie ad approfonditi dibattiti razionali. Questi sono e restano monopolio di minoranze, purtroppo. Si diffondono trasformandosi, perdendo profondità e complessità.
Le complesse argomentazioni marxiane sul valore ed il plusvalore diventano banalità sui padroni cattivi quando se ne parla al bar o in un metrò. Le grandi filosofie si trasformano in slogan, luoghi comuni, pillole di sapere in una discussione fra amici o nel corso di un corteo di protesta. Ma si tratta di luoghi comuni, slogan, pillole di sapere che hanno, o possono avere, una forza straordinaria, suscitare speranze, alimentare paure, indirizzare comportamenti di grandi quantità di esseri umani. C'è chi sostiene che la filosofia non "serve a nulla”, non ha conseguenza alcuna sui grandi eventi che cambiano la storia ed il destino degli uomini. Nulla di più errato. Dietro a fondamentali eventi storici è fin troppo facile trovare le teorizzazioni dei filosofi. Le si trovano chiaramente nelle idee dei gruppi dirigenti, quelli che danno fini ed obiettivi, indirizzano e spesso determinano i movimenti di massa, e le si trovano super semplificate e banalizzate nelle azioni di masse enormi di esseri umani. Senza l'illuminismo non ci sarebbe stata la rivoluzione francese, senza il marxismo, e la sua interpretazione leninista, quella russa. Senza la reazione irrazionale contro la scienza e la modernità che ha caratterizzato i primi decenni del novecento il nazional socialismo ed il fascismo diventano inspiegabili.

Le idee contano quindi, moltissimo. E contano forse ancora di più le ideologie. E conta, oggi, moltissimo, proprio quella ideologia della resa di cui stiamo parlando. Chi non ne fosse convinto provi a guardare al rapporto oggi esistente fra occidente ed Islam.
Dai punti di vista economico, militare, tecnologico, politico, culturale la superiorità dell'occidente è schiacciante. Eppure la nostra civiltà è chiaramente in crisi. Esposta ad attacchi terroristici devastanti, pressata da ondate migratorie destinate a travolgerla, sottoposta al peso di ricatti sempre più aggressivi ed arroganti la civiltà occidentale è ovunque sulla difensiva, malgrado la sua superiorità in quelli che sembrano essere i settori decisivi per stabilire chi è e chi non è egemone nel mondo. Come mai? La risposta è semplicissima: la civiltà occidentale è fortissima ma incapace di usare la sua forza perché irretita, avvelenata, dal cancro del politicamente corretto che la corrode dall'interno. Un tumore maligno che ha conquistato settori decisivi delle classi dirigenti e si diffonde anche a livello di massa. Una prova al contrario la fornisce lo stato di Israele. Israele è uno stato delle dimensioni della Lombardia, abitato da otto milioni di abitanti. Privo di risorse naturali occupa un pezzetto di deserto ed è circondato da centinaia di milioni di fanatici che non sognano altro che distruggerlo. Eppure continua ad esistere, ha vinto tutte le guerre che è stato obbligato a combattere, i suoi abitanti sono più tutelati dal terrorismo che non quelli di Francia o Spagna; cerca il negoziato ma non cede ai ricatti. Come mai? Di nuovo, la risposta è semplicissima. Gli israeliani non sono vittime, per lo meno non nella stessa misura degli altri occidentali, del cancro politicamente corretto. Sanno cosa vuol dire essere massacrati e non vogliono che la cosa si ripeta, non hanno intenzione alcuna di cedere e non si fanno irretire da sentimentalismi pelosi o remore pseudo umanitarie. Vogliono la pace ma sono disposti a fare la guerra. Non a caso tanti occidentali li detestano. La testarda, strenua volontà degli israeliani di non cedere appare pura arroganza agli occidentali in crisi di identità, e nel profondo leggermente antisemiti, che hanno identificato da tempo la tolleranza con la resa.

L'ideologia della resa è forte come tutte le ideologie ed ha su quelle classiche un paio di grossi, indiscutibili, vantaggi.
Il primo è costituito dalla presenza al suo interno di idee e principi in se positivi, che solo il loro trattamento ideologico rende inaccettabili. Un occidentale può trovare nella ideologia della resa tolleranza e volontà di dialogo, invocazioni di pluralismo e tutela delle minoranze; facile che si lasci irretire. Queste presenze “rassicuranti” spiegano anche qualcosa che a prima vista appare letteralmente avvolta nel mistero. Il comunismo staliniano ha attratto milioni di persone, si può dire. La cosa è orribile ma in una certa misura spiegabile, Il comunismo infatti è in qualche modo figlio dell'occidente, fa parte della nostra cultura, corrisponde a speranze, sentimenti, aspirazioni che sono cresciuti dentro la nostra civiltà. E' spiegabile che abbia potuto attrarre tante persone, comprese molte persone intelligenti. Ma che attrattiva può mai esercitare sugli occidentali una religione ideologica e dogmatica come l'Islam? Che rapporto che non sia conflittuale c'è fra questa e la nostra storia?
L'obiezione è intelligente, ma sottovaluta precisamente il fatto che nella ideologia della resa ci sono molte idee, principi e valori che sono nostri e che solo la loro deformazione ideologica trasforma in mostruosità. L'occidentale politicamente corretto non è attratto dalle lapidazioni,
vuole credere che le lapidazioni siano qualcosa di poco rilevante, non ama la teocrazia, vuole credere che la teocrazia sia nel peggiore dei casi una caratteristica di frange marginali dell'Islam, nel migliore una invenzione degli “imperialisti occidentali”. L'occidentale politicamente corretto cerca di trasformare l'Islam in una variante dell'occidente, qualcosa di diverso, ma comunque aperto e tollerante che solo la nostra “arroganza” ci impedisce di apprezzare. Gli manca la capacità di riconoscere il diverso, il radicalmente diverso da noi; pensa che le sue, le nostre categorie siano le uniche. Ritiene sia folle uccidere ed uccidersi per la fede e blatera che non la fede, ma il “Dio denaro” sta dietro al terrorismo. Cerca di razionalizzare le azioni folli, senza capire che nulla è tanto folle quanto pensare che la follia non esista.
Un secondo, fondamentale, vantaggio dell'ideologia della resa è costituito proprio dalla sua pochezza. E' questa che le permette una velocità di banalizzazione e diffusione assai superiore a quella di altre ideologie, più articolate e complesse. L'ideologia politicamente corretta della resa non ha come fondamento nessuna opera di nessun grande. Non esistono un "Capitale" od un "Contratto sociale" politicamente corretti; si tratta, senza esagerare, di “spazzatura” teorica, ma la spazzatura può inquinare rapidamente, soprattutto le menti predisposte ad assimilarla. Non sempre essere poca cosa è solo uno svantaggio.


Resta
da chiedersi, per concludere, se l'ideologia della resa sia battibile o si tratti di un mostro invincibile destinato a portare la nostra civiltà all'auto distruzione. Non è troppo pessimistico porsi simili domande. Le democrazie liberali dell'occidente hanno rischiato due volte di capitolare, durante lo scorso secolo. Nulla ci garantisce la sopravvivenza, non esiste nessuna legge fatale che indirizzi in senso progressista il corso della storia. Grandi civiltà sono crollate in passato, anche la nostra può fare la stessa fine. Di una cosa però possiamo essere certi: se la civiltà occidentale collassa, è può collassare, nulla di buono prenderà il suo posto. Non sarà sostituita da alcun “mondo multicolore” fatto da tante sorridenti persone “uguali ma diverse”. Non è in vista nessun dialogo paritario, nessuna felice integrazione. Solo il trionfo del califfato o di qualche suo equivalente.
Una considerazione può forse farci apparire meno disperata la situazione: l'ideologia della resa è un cancro le cui metastasi hanno diverse velocità. Si diffondono più rapidamente fra le persone pseudo colte che fra la gente comune. Attecchisce più fra gli strati benestanti, relativamente poco colpiti, almeno nell'immediato, dai contraccolpi devastanti delle grandi migrazioni, che non negli strati popolari. Chi non abita nei quartieri bene, chi è esposto a quella che stupidamente viene definita “microcriminalità” è meno sensibile alla sciocchezze politicamente corrette. Queste possono essere contrastate, possono esserlo perché il mondo reale non è, per fortuna, identico a quello dei talk show televisivi e la gente comune è meno erudita, ma anche meno propensa all'auto inganno dei tanti pseudo filosofi o pseudo esperti che impazzano sui teleschermi. Non è un caso che gli strilli contro il “populismo” riempiano in questo periodo i dibattiti televisivi ed i discorsi di quasi tutti i politici. I sacerdoti della nuova religione “sentono” crescere a livello di massa una certa ostilità nei loro confronti e la bollano di “populismo”, e cercano di tappare al bocca a chiunque non si adegui. Forse sono meno forti di quanto appaia a prima vista.
Quanto è avvenuto in Gran Bretagna, e sta avvenendo nell'Europa dell'est, dimostra che forse chi non si adegua non è sicuramente destinato alla sconfitta. Forse non ha torto chi dice che le ore più buie sono quelle che precedono l'alba.
FORSE...