mercoledì 10 dicembre 2014

SUL MATERIALISMO STORICO E LA, PRESUNTA, ASSOLUTA CENTRALITA' DELL'ECONOMIA



Che alla base di tutti gli aspetti della vita umana ci sia l'economia è una vecchia idea marxista che la crisi del marxismo ha, almeno in parte, risparmiato. Ultimamente questa idea si è diffusa e rinforzata e, val la pensa di rilevarlo, ha subito, rispetto alla originaria impostazione marxiana, un notevole processo di banalizzazione. Ad essere basilare era per Marx la produzione dei beni che consentono la esistenza materiale degli esseri umani, il livello di sviluppo delle forze produttive sociali ed i corrispondenti rapporti di produzione. Nelle teorizzazioni degli attuali emuli e banalizzatori del marxismo la complessa dialettica marxiana viene ridotta agli “interessi delle multinazionali” ed alle loro relative “manovre oscure”.
Ma, banalizzazioni a parte, è proprio vero che l'economia sia sempre e comunque la base di tutto? Val la pena di approfondire il problema perché è denso di risvolti assai importanti ed attuali.


SULLA CENTRALITA' DELL'ECONOMIA

Cosa è “economico”?
Innanzitutto una precisazione, piuttosto importante. Molti confondono attività economica con attività produttiva. Si tratta però di cose diverse. Se io costruisco una sedia non è detto che la mia attività produttiva sia ipso facto anche una attività economica. Potrei dedicarmi alla costruzione della sedia perché la cosa mi diverte o mi aiuta a passare il tempo. Produrre una sedia, o qualsiasi altra cosa, diventa attività economica quando entra nel calcolo costi benefici. Produco quella sedia perché mi è utile e la sua utilità mi procura vantaggi che superano i costi (in questo caso il dispendio di tempo e di energia) connessi alla sua produzione.
Il grande economista austriaco Ludwig Von Mises, contesta questa impostazione. Per Von Mises l'attività umana è, in senso lato, sempre economica. Se costruisco una sedia per gioco svolgo una attività economica: godo del piacere del gioco senza dover sostenere alcun costo. Il calcolo costi benefici è sotteso in tutte le attività umane. Il ragazzo disposto ad acquistare ad un prezzo spropositato un paio di scarpe solo perché queste sono reclamizzate da un grande calciatore non compie un'azione anti economica: per lui il piacere che gli procura indossare quelle scarpe compensa il disagio derivante dal dover pagare un prezzo più alto.
C'è molto di vero nell'analisi di Von Mises che, tra le altre cose, sembra fatta apposta per confutare le stucchevoli teorie sui “bisogni falsi o indotti” che ciclicamente conoscono in occidente i loro momenti di fortuna. Non esistono falsi bisogni per il semplicissimo motivo che i bisogni sono, sempre, soggettivi. Quale che sia l'origine di un bisogno questo, per il solo fatto di manifestarsi, è un bisogno autentico. Quanto al fatto che sia “indotto”, si può solo dire che la stragrande maggioranza dei bisogni umani sono “indotti”. Siamo sempre inseriti in qualche contesto, sociale o naturale, e questo induce in noi dei bisogni. Un uomo che viva in uno sperduto paesino di montagna, senza aver mai visto il mare, non sentirà il bisogno di farsi una bella nuotata in acque cristalline. Questo però può sorgere in lui se per caso vede la foto di una spiaggia, o se qualcuno gli parla di quella cosa che si chiama “mare”.
La posizione di Von Mises è quindi, per molti aspetti, condivisibile, però può indurre in gravi errori. Definire sempre e tutta “economica” l'azione umana porta infatti al risultato paradossale di non poter più fare distinzioni fra le azioni umane. E' economico cercare di investire nella maniera più redditizia una somma di denaro come struggersi d'amore, vendere un immobile come meditare vendetta per un affronto subito. Estendere a dismisura il concetto di “economico” porta a fargli perdere molto del suo significato, con la conseguenza di renderlo praticamente inservibile. Lo stesso Mises sente la difficoltà e distingue infatti ciò che sarebbe economico in senso lato da ciò che lo sarebbe in senso stretto.
Non è il caso di dedicare troppo spazio a questioni terminologiche. Penso che si possano definire economiche in senso stretto, o economiche tout court, le azioni umane che possano essere valutate in termini di calcolo costi – benefici, economiche in senso lato, o, semplicemente extra economiche, le altre. Si presta al calcolo costi benefici, quindi è economica, la vendita di un immobile, non si presta a questo calcolo il desiderio di vendicare un'offesa. Calcolo è sempre qualcosa di esprimibile in termini quantitativi, numerici. Chi uccide colui che lo ha offeso compie un delitto “passionale”, non agisce dopo aver ponderato attentamente i vantaggi e gli svantaggi del suo gesto. Se lo avesse fatto avrebbe rinunciato, con tutta probabilità, alla vendetta.

Uno schema
L'uomo è un essere limitato, finito. E' penosamente dipendente dall'ambiente circostante che ha bisogno di modificare per migliorare la propria condizione, ma anche solo per sopravvivere. Il lavoro è il prezzo, duro prezzo, che dobbiamo pagare per cercare di rendere un po' migliore la nostra esistenza. L'economia è figlia dell'umana limitatezza e, nel contempo, della capacità umana di operare per rendere tale limitatezza il meno penosa possibile. Non esiste economia in paradiso, e neppure all'inferno. L'economia riguarda l'uomo ed il suo mondo.
Il lavoro è un mezzo, una attività spesso sgradevole che si mette in atto in vista del raggiungimento di un fine. Nelle moderne società basate sullo scambio lo schema è: lavoro – conseguimento di una certa quantità di strumenti finanziari – possesso di beni o godimento di servizi che soddisfano alcune nostre esigenze. Si va dalla penosità del lavoro al soddisfacimento di alcuni bisogni passando per l'intermediazione del denaro e dello scambio.

Questo schema riguarda la vita di praticamente tutti gli esseri umani e la riguarda in maniera preponderante per moltissimi di loro. Anche chi vive di rendita gli è comunque debitore. Chi vive di rendita vive del lavoro altrui (ad esempio, dei genitori che gli hanno lasciato una ricca eredità) o del proprio passato lavoro: in questo mondo non ci sono pasti gratis, qualcuno deve produrre ciò che consumiamo.
Questo schema non dice nulla sul tipo di fini che gli esseri umani vogliono conseguire col loro lavoro. Certo, alcuni di questi sono determinati dalla conformazione naturale dell'animale uomo: tutti dobbiamo mangiare, vestirci, ripararci dalle intemperie, ma lo schema vale per qualsiasi fine l'uomo si ponga. Col denaro guadagnato lavorando si può acquistare il pane come un libro, comprare una casa o fare un viaggio, seguire un corso di meditazione trascendentale o sbronzarsi. Si possono realizzare fini egoistici o altruistici, spirituali o volgarmente materiali, le cose non cambiano: si va sempre dal lavoro, inteso come mezzo, al soddisfacimento di un bisogno, quale che questo sia. Ad essere decisivi, in questo schema, non sono i fini particolari degli esseri umani ma il generico incremento di denaro e di beni in grado di soddisfare una quantità crescente di fini. Per dirla in parole povere: gli esseri umani mirano a diventare ricchi o ad evitare di diventare poveri. In cosa poi consista la loro ricchezza è di scarsa rilevanza.
Parimenti, in questo schema il lavoro non deve necessariamente accordarsi con le aspirazioni ed i desideri degli esseri umani. Certo, tutti preferiscono fare un lavoro che in qualche modo a loro piaccia, o per il quale si sentono più portati, ma se il lavoro è un mezzo, il fatto che possa o meno piacerci o corrispondere alle nostre aspirazioni è secondario. Chiunque cercherà il mezzo meno faticoso, la attività meno stressante o più in linea con le proprie aspirazioni e capacità: questo fa parte del calcolo economico, mira a ridurre la componente “costi” di tale calcolo. Ma, appunto, della componente “costi” si tratta. Nessuno lavorerebbe gratis o pagherebbe il suo datore di lavoro per avere il “piacere” di lavorare per lui. Il lavoro inteso come mezzo, cioè il lavoro vero e proprio, non si identifica con la realizzazione delle nostre aspirazioni.

Per Marx questo schema costituisce la chiave per comprendere l'intero corso della storia umana. Produzione delle condizioni materiali di esistenza, sviluppo delle forze produttive sociali, divisione del lavoro, formazione delle classi e lotta fra le classi, tutto questo forma la struttura, il nucleo essenziale delle società, del loro sviluppo e delle loro crisi. Tutto il resto, istituzioni politiche e giuridiche, arte e scienza, religione e filosofia sono una mera determinazione della “struttura”, una “sovrastruttura” che, anche laddove goda di una sua parziale autonomia, influisce solo marginalmente sul corso della storia, il cui andamento si può prevedere con scientifica precisione. Dal lungo percorso di sviluppo e crisi delle società , esito finale della lotta fra le classi, sorgerà alla fine una comunità, in cui il lavoro cesserà di essere un mezzo per diventare, a sua volta, un fine, il più gratificante, liberatorio ed umano dei fini.
Sarebbe relativamente facile dimostrare come questa concezione si dimostri, nella migliore delle ipotesi, inadeguata ad interpretare moltissimi eventi della storia. Quello che ci preme evidenziare è che non regge neppure ad una analisi approfondita dello schema economico di cui sì è parlato.

Modifiche e rovesciamento dello schema
Quasi tutti i bisogni umani, per essere soddisfatti, necessitano di beni materiali. Occorrono beni materiali, ed il denaro necessario ad acquistarli, per soddisfare i bisogni più immediatamente corporali dell'uomo, ma anche, in larga misura, quelli più "spirituali”.
Tutti gli esseri umani devono soddisfare bisogni primari. Cibo, vestiti ed una casa interessano a tutti. Lo ha detto Aristotele oltre due millenni prima di Marx: anche l'uomo che si dedica alla pura attività speculativa ha bisogno di una certa quantità di beni materiali, se vuole continuare a vivere, anche lui è interessato allo schema economico che si è esaminato nel punto precedente.
Ma anche il soddisfacimento dei bisogni più spirituali dell'uomo è legato alla presenza di alcuni beni materiali. Un poeta ed un filosofo hanno bisogno quanto meno di penna e carta, oggi del PC e di un programma di videoscrittura. Al musicista occorrono quelle cose spesso assai costose che sono gli strumenti musicali. Lo scienziato poi ha bisogno di apparecchiature il cui prezzo è insostenibile per la maggioranza degli esseri umani, non a caso sono gli stati o grandi istituzioni private a fornirgliele. Qualsiasi predica contro il “Dio denaro”, qualsiasi sottovalutazione dell'importanza dei beni materiali nella vita umana è, appunto, solo una predica, una sterile, e sbagliata, invettiva moralistica.

Il fatto che siano necessari beni materiali per soddisfare anche i bisogni superiori dell'uomo, quelli che con una certa approssimazione abbiamo definito “spirituali”, sembrerebbe confermare lo schema che è stato esposto al punto precedente, ma stanno davvero così le cose?
Una caratteristica di quello schema è l'indifferenza verso ciò che si produce. Gli esseri umani mirano ad avere una quantità il maggiore possibile di denaro con cui acquistare beni e servizi in grado di soddisfare bisogni crescenti e differenziati. Quali che siano questi beni e servizi e questi bisogni è, da questo punto di vista, secondario. Si tratta di uno schema che non è certamente campato in aria e che è, in misura più o meno accentuata, presente nella vita di molti, forse di tutti gli esseri umani. Ma si tratta di uno schema che vale sempre? Vale per tutti gli uomini e determina la totalità del loro agire? E vale in relazione a tutti i loro bisogni? Anticipo la risposta: NO.
Prendiamo in esame il caso di un grande, autentico musicista. Anche lui deve mangiare e vestirsi, anche lui sarà quindi interessato ad avere una certa quantità di denaro che gli serva a questi fini. Inoltre per comporre musica gli occorrono certi beni materiali e quindi, di nuovo, una certa quantità di denaro. Il musicista non si limita a mangiare, vestirsi e ad avere un rifugio. Suona strumenti musicali, frequenta scuole di musica, incontra altri musicisti, viaggia. Anche per comporre sinfonie occorre denaro dunque, ma possiamo dire che un musicista, un musicista vero, compone sinfonie per guadagnare del denaro o non piuttosto che cerca (anche) di guadagnare del denaro per comporre sinfonie? Porre la domanda in questi termini significa avere già la risposta.
E quello che vale per il musicista può valere in moltissimi altri casi. Un grande alpinista può diventare ricco scalando vette inaccessibili, ma non è questo il fine delle sue scalate, al contrario, la ricchezza guadagnata gli serve per tentare, senza assilli economici, nuove imprese. Ed un vero scrittore non scrive per guadagnare, ma semmai guadagna per scrivere e lo stesso si può dire di un filosofo, o di un pittore. Un artista, uno scrittore o uno scienziato non accetterebbero mai di scambiare la loro attività con un'altra solo perché questa consente loro maggiori guadagni. Spesso artisti e scrittori, filosofi e scienziati hanno rinunciato a grandi ricchezze, a volte anche alla vita, per poter scrivere, dipingere, o pensare.
Si tratta di casi particolari, si potrebbe dire, che non riguardano la vita e gli interessi della gran maggioranza degli esseri umani. Ma non è esatto. Considerazioni in parte simili si possono fare riguardo a molte figure sociali, compresa una pienamente inserita nel “comune” ciclo economico: l'imprenditore. Solo persone superficiali possono pensare che un grande, autentico, imprenditore lavori per guadagnare il più possibile e accumulare senza fine beni materiali. Certo, i grandi imprenditori sono molto ricchi, ma investono il grosso della loro ricchezza in sempre nuove iniziative imprenditoriali. L'imprenditore fa soldi per lavorare, non lavora per far soldi. Conquistare nuovi mercati, lanciare nuovi prodotti, sperimentare nuovi modi di produzione sono i suoi fini più autentici, molto più importanti che non accumulare auto di gran cilindrata o ville in Costa Smeralda. E di certo l'attività imprenditoriale riguarda da vicino la vita di milioni di esseri umani.
Soprattutto, le considerazioni fatte riguardo a scrittori, filosofi ed artisti valgono nei confronti di due categorie di esseri umani molto vicini, nel bene o nel male, alla vita ed agli interessi di milioni di persone: i religiosi ed i politici.
L'opera di evangelizzazione è molto costosa come lo sono le campagne elettorali e l'attività politica in genere. Un vero religioso ed un politico degno di questo nome però non hanno come fine il lucro. Le opere di evangelizzazione non servono a far soldi, sono i soldi che semmai servono ad evangelizzare. Allo stesso modo per un politico che non sia un furfante sono i soldi che devono servire alla politica, non la politica a far soldi.

Gli esempi potrebbero continuare a lungo, ma non credo valga la pena di dilungarsi ancora. Lo schema da cui eravamo partiti negava importanza ai fini dell'attività produttiva, ad essere importante era una generica massimizzazione del denaro e dei beni materiali. Approfondendo la questione ci siamo accorti che in molti casi è il fine di una certa attività ad essere davvero importante, tanto che l'acquisizione di denaro e mezzi materiali diventa un puro e semplice mezzo per realizzare tale fine. Nelle concezione materialistica della storia, politica e religione, arte e filosofia, e tante altre cose ancora, sono ridotte al rango di “sovrastrutture” determinate dalla struttura economica. Le idee, i programmi politici, le tendenze artistiche e filosofiche sarebbero, in ultima istanza, lo specchio di interessi che nascono all'interno della struttura economica, in quel campo in cui è fondamentale la produzione di bei e servizi. Approfondendo l'analisi ci imbattiamo però nel fatto che a volte è la produzione di beni e servizi ad essere finalizzata alla realizzazione di certe idee, o di certi programmi politici, o alla propaganda di una certa fede religiosa. Se milioni di persone sono disposte a rinunciare ad un quarto del loro stipendio per finanziare un partito politico o la costruzione di un tempio, un simile fenomeno è spiegabile in termini di materialismo storico? Si, solo se il materialismo storico viene ridotto alla volgare banalità secondo cui anche l'attività politica o la pratica della fede hanno bisogno di beni materiali. Ma questo nessuno lo ha mai negato.

I due schemi su cui ci siamo dilungati non sono, in fondo, tanto contrapposti fra loro come a prima vista si potrebbe pensare. Qualsiasi attività produttiva è volta al soddisfacimento di certi fini o bisogni umani, d'altra parte, qualsiasi fine umano può realizzarsi solo per il tramite di certi beni o servizi materiali. La differenza fra i due schemi si riduce a in fondo a tre punti.
Nel primo i fini e gli obiettivi degli esseri umani non entrano in contraddizione con l'obiettivo generico di accrescere, o conservare, o difendere, il proprio livello di benessere materiale, nel secondo invece questa contraddizione può sorgere. Se Tizio desidera auto di lusso e ville al mare, viaggi e quadri d'autore questi suoi fini non contraddicono il desiderio di accrescere o difendere il proprio benessere, al contrario, si identificano con questo. Se Tizio invece mira al trionfo di un certo programma politico potrebbe essere costretto a sacrificare a questo fine il proprio benessere materiale.
Nel primo schema i rapporti sociali e politici fra gli esseri umani sorgono direttamente dai rapporti di produzione e di scambio, a prescindere dal tipo di fini che si pone chi scambia e produce. Lavoro, guadagno e compro degli oggetti. I rapporti sociali che nascono da tutto questo sono quelli fra me ed il mio datore di lavoro, fra me ed i venditori delle merci che acquisto. Il concreto utilizzo che posso fare di un'auto o una casa riguarda l'ambito della mia vita  privata. Nel secondo schema invece è da questo concreto utilizzo che nascono importantissimi rapporti sociali e politici. Se utilizzo i soldi che guadagno per finanziare una compagna elettorale è la particolarità di questo utilizzo a far nascere fondamentali rapporti politici e sociali fra me ed altri esseri umani. 
Infine, nel primo schema il lavoro è puramente e semplicemente un mezzo in vista di un fine, nel secondo è esso stesso un fine o è comunque inestricabilmente legato al fine che si intende raggiungere. Si possono ottenere beni materiali lavorando in banca come in una impresa industriale, ma per far trionfare un programma politico occorre fare il politico.
Nel primo schema, per concludere, il benessere è un fine, indipendentemente dalle forme che può assumere, nel secondo i beni materiali, quindi un certo livello di benessere, sono un mezzo per realizzare certe idee, o assecondare certe passioni o certe attitudini. Nel primo schema, di conseguenza, il lavoro è un mezzo finalizzato alla realizzazione o alla conservazione del benessere, nel secondo un fine.


LA DIVISIONE DEL LAVORO

La concezione marxiana

Secondo il materialismo storico alla base dell'evoluzione della storia stanno i conflitti fra diverse classi sociali.
La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi.” afferma Marx nel celeberrimo “manifesto del partito comunista” e prosegue:
“Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.”
Di nuovo, sarebbe fin troppo facile dimostrare che una simile impostazione non spiega moltissimi eventi storici, anzi, la gran maggioranza di essi. Interpretare come lotta fra “oppressi ed oppressori” lo scontro fra papato ed impero, o quello fra Islam e cristianità, o ancora le guerre fra Roma e Cartagine è impossibile, a meno di non fare ricorso a colossali mistificazioni. Lo steso Marx deve essersi reso conto di aver troppo semplificato le cose se nello stesso “manifesto”, più avanti, ricorda che le precedenti rivoluzioni sono state tutte condotte da “minoranze o nell'interesse di minoranze”, cosa che francamente quadra poco con la pretesa che sinora sia stata la lotta fra “oppressori ed oppressi” la molla della storia.
Una delle radici dell'errore di Marx sta, a mio parere, nella sua concezione di divisione del lavoro e nella concezione di “classe sociale” da questa derivante. Val la pena di dedicargli un po' di attenzione.

La divisione del lavoro è con tutta probabilità sempre esistita, nessuna organizzazione sociale ne ha mai fatto a meno; una rudimentale divisione del lavoro è esistita anche nella fase tribale dello sviluppo umano. Non è stato di certo Marx a scoprire l'importanza della divisione sociale del lavoro, basti pensare a Smith e, prima di lui, addirittura a Platone. Né è stato Marx l'unico ad avere vagheggiato una futura società in cui la divisione del lavoro venisse “superata”. La peculiarità di Marx è forse un'altra: dalla divisione del lavoro nascono classi sociali con interessi irrimediabilmente contrastanti e lo scontro dei loro interessi costituisce il motore che fa muovere la storia. E' evidente il legame fra questa concezione e l'altra, di cui si è parlato, che fa dell'economia il cuore essenziale delle varie formazioni sociali. L'economia è la base di qualsiasi organizzazione sociale; le classi che sorgono nel mondo dell'economia, legate alla proprietà, od alla esclusione dalla proprietà, della terra e dei mezzi di produzione, costituiscono i fondamentali soggetti sociali, lo scontro di interessi fra questi soggetti è la molla dello sviluppo storico.



Limiti ed errori della concezione marxiana
Anche ad uno sguardo distratto questa concezione appare riduttiva e parziale. Legare tutte le classi al mondo della produzione e dello scambio trascura, molto semplicemente, il fatto che non tutti, in qualsiasi società, operano in quel mondo. In una società ci sono operai e tecnici, banchieri e mercanti, ma ci sono anche politici, magistrati, sacerdoti, intellettuali. La divisione del lavoro non riguarda solo il mondo dell'economia, né sorge solo dentro quel mondo, riguarda la società nel suo complesso. Si può dire che la fondamentale divisione del lavoro è quella che divide la società in diverse macrosfere. Una macrosfera economica, una politica, una religiosa, una intellettuale e così via. La divisione fra governanti e governati, re e sudditi, sacerdoti e fedeli precede la divisione del lavoro interna all'area della produzione e dello scambio. Marx si rende conto, probabilmente, di tutto questo ed infatti parla a volte di divisione fra lavoro intellettuale e lavoro manuale, e considera la divisione del lavoro fra i sessi come quella più antica e più duratura. Non trae però da queste intuizioni le dovute conseguenze.
O meglio, le trae, ma solo per sminuire radicalmente l'autonomia, il peso e l'importanza di ceti e classi che si collocano fuori dalla divisione del lavoro di tipo strettamente economico. Politici e magistrati, clero ed aristocrazia, intellettuali ed artisti sono collocati da Marx nell'area della “sovrastruttura”, la loro azione ed il loro pensiero non fanno altro che rispecchiare gli interessi e le aspirazioni delle classi economicamente dominanti. La politica, per fare solo un esempio, non ha una sua autonomia, le posizioni dei vari partiti non fanno altro che riflettere gli interessi e le aspirazioni delle classi economicamente dominanti. Quella che abbiamo definito divisione della società in macrosfere non sarebbe altro che il prodotto della divisione del lavoro che sorge in ambito strettamente economico.


Ma sono chiari i limiti e le incongruenze di una simile concezione riduttiva di tutto ciò che non è  economico. Perché la divisione del lavoro che sorge in ambito strettamente economico-produttivo dovrebbe sempre e comunque essere più importante di quella che assegna alla stessa attività economica il suo spazio ed il suo ruolo? E' vero che senza attività produttiva gli esseri umani non potrebbero vivere, ma è anche vero che l'esistenza di un potere politico, di magistrati, sacerdoti ed intellettuali è vitale per quella stessa attività. E perché re e principi, magistrati, sacerdoti ed intellettuali non dovrebbero avere interessi propri, proprie visioni del mondo ma dovrebbero puramente riflettere e tutelare gli interessi delle classi più direttamente economiche? Non c'è contraddizione nel dire che un re tutela, regnando, gli interessi dei banchieri e dei mercanti, ma non ce n'è alcuna anche nel dire che, regnando, il re piega ai propri interessi l'attività di banchieri e mercanti. Questa seconda affermazione è anzi storicamente molto più corretta.
Qualcuno potrebbe obiettare che in certi periodi storici, ad esempio, nel feudalesimo, l'essere signore feudale si identificava con l'essere proprietario terriero, le funzioni politica ed economica venivano quindi a coincidere. Ma questo è vero solo per alcune epoche storiche, ed anche per queste in maniera solo parziale. Inoltre una simile obiezione non risponde al quesito fondamentale: anche ammettendo la coincidenza fra funzione politica e funzione economica, quale delle due è la prevalente? Il signore feudale era tale perché proprietario terriero o non valeva piuttosto l'inverso? Era il rapporto fiduciario con l'imperatore a trasformare un aristocratico in signore feudale possessore prima, poi, in certi casi, proprietario di terre. Ad essere decisivo era il momento
politico, non quello economico.
E, come spiegare in termini di rigoroso materialismo storico l'importanza enorme che ha avuto nella storia un ceto come il clero cattolico? Un ceto
non legato alla proprietà privata dei mezzi di produzione, anzi, neppure proprietario dei beni di cui godeva il possesso, composto da uomini che non potevano sposarsi e quindi lasciare in eredità ai figli i propri beni ed i propri privilegi. Una non classe in senso marxiano. Una non–classe però con propri specifici interessi, una propria, importantissima visione del mondo, un peso politico, sociale, culturale ed anche economico rilevantissimo, per secoli. Di nuovo, solo a prezzo di colossali semplificazioni è possibile ridurre il ruolo di questa importantissima non-classe negli schemi precostituiti del materialismo storico.

Per il materialismo storico marxiano il momento economico produttivo è la molla dello sviluppo storico e ad attivare tale molla sono gli interessi contrapposti ed inconciliabili delle classi che nascono sul terreno specificamente economico. Ma entrambi questi presupposti si rivelano ad una analisi più approfondita errati o quantomeno gravemente insufficienti. La ricerca del benessere materiale è solo
uno degli obiettivi dell'azione umana. Importante certo, ma non unico né sempre e comunque decisivo. Altri obiettivi sono possibili e questi sono in grado di indirizzare il comportamento umano quanto o più che non la mera ricerca del benessere materiale. Allo stesso modo la divisione del lavoro che sorge nell'ambito economico-produttivo non è la sola né è sempre quella che determina o condiziona in maniera decisiva tutto. Altrettanto e, a volte, più importante è la divisione della società in una sfera economica ed in diverse sfere extra economiche in grado di condizionare in profondità lo sviluppo  sociale. Il fatto che tutte queste sfere siano collegate fra loro e che, almeno in una certa misura, interagiscano, non fa di esse un sistema organico il cui cuore starebbe nell'economia. Esistono legami fra, ad esempio, le arti figurative e lo sviluppo socio economico di un certo paese, ma sarebbe fatica sprecata cercare di spiegare la pittura di Michelangelo partendo da considerazioni socio economiche sull'Italia del cinquecento. E solo il caso di aggiungere che la storia recente delle società aperte ha dimostrato che anche la teorizzazione di una assoluta inconciliabilità di interessi fra le classi economiche si è rivelata essere più una costruzione ideologica che il risultato di una seria analisi scientifica.


Importanza del momento extra economico
Se si guardano con attenzione e senza preconcetti gli eventi storici, ed anche politici, ci si rende inoltre conto di una cosa: obiettivi e comportamenti che sorgono nelle sfere non economiche sono quelli che spesso determinano alcuni degli eventi più importanti e, a volte, distruttivi della storia.
Poche cose hanno avuto tanta importanza nello sviluppo dell'occidente quanto la rivoluzione scientifica del cinque seicento. Una concezione del mondo e del posto dell'uomo nel mondo è radicalmente mutata in un tempo relativamente breve e questo ha avuto conseguenze immani in tutti campi, compreso quello direttamente economico produttivo. E la rivoluzione scientifica è stata soprattutto, un evento culturale teorico, ha riguardato la metafisica prima che la produzione sociale. Senza la confutazione della fisica aristotelica, la critica alla concezione aristotelica del moto e dei luoghi naturali la rivoluzione scientifica non sarebbe stata possibile, con tutte le conseguenze del caso.
Si è fatto un accenno agli eventi distruttivi. In effetti questi sorgono spesso in ambiti che con l'economia hanno relativamente poco a che fare. Che le guerra abbiano sempre origine economica è ormai un luogo comune. Comodo luogo comune che serve ad assolvere, ad esempio, ideologia e religione che invece con la guerra hanno avuto a che fare spesso e volentieri.
Perché dovrei fare la guerra a Tizio per impossessarmi del suo denaro e non perché lo considero un mostro che per il solo fatto di esistere offende i miei sentimenti più profondi? Possono convivere due stati uno dei quali considera l'altro un ricettacolo di corruzione in grado di infettare, prima o poi, i suoi stessi cittadini? Pensare che ci si possa ammazzare solo per denaro è una variante dell'idea secondo cui l'unico obiettivo che gli esseri umani perseguono è la ricerca del benessere materiale, ma questo è, molto semplicemente, falso. Il fanatismo religioso o ideologico, l'odio nei confronti di certe razze o certi popoli, la convinzione assoluta che certi pseudo ideali
debbano comunque affermarsi, costi quel che costi, son tutte cose che esistono e non riguardano solo sparuti gruppi di intellettuali. Le fedi irrazionali, gli ideali assoluti, gli stessi grandi filosofemi totalitari, debitamente banalizzati e semplificati, diventano spesso luoghi comuni popolari, sentimenti diffusi a livello di massa, esaltanti obiettivi collettivi, con le ben note conseguenze. Si elimini la componente fideistica, ideologica dalla storia ed eventi come la shoah, l'eliminazione del kulak in quanto classe o il fondamentalismo islamico diventano inspiegabili. Certo, qualcuno trova sempre qualche pozzo di petrolio o qualche contratto commerciale che spiegherebbe tutto. Però, contratti commerciali se ne fanno ovunque, e ovunque c'è qualche appetibile materia prima. Non ovunque però ci sono guerre e massacri.

L'autore del celebre bestseller “
lo scontro delle civiltà”, Samuel P. Huntington, rovescia addirittura la tesi secondo cui sono gli interessi economici la principale, se non l'unica, causa di guerra. I contrasti che hanno basi ideologiche, religiose o culturali sono anzi assai più sanguinosi e difficili da risolvere che non quelli derivanti da scontri di interessi economici. Un territorio ricco di materie prime può essere diviso, una città santa no. Quando ci si trova di fronte ad un contrasto di interessi economici il compromesso è sempre possibile, quando a scontrarsi sono ideologie o fedi contrapposte un, faticoso, compromesso è possibile solo se i fedeli non sono fanatici integralisti. Se lo sono, o lo è anche una sola delle parti in lotta, ogni compromesso diventa impossibile. La cosa può apparire strana solo a chi è ancora legato a concezioni ideologiche. L'interesse economico è misurabile, è soggetto al calcolo costi benefici e poche cose sono tanto costose, e rischiose, quanto una guerra. La fede ideologica e religiosa, se integralista e fanatica, sfugge invece ad ogni misurazione, ad ogni calcolo, quindi ad ogni ragionevole valutazione sulle possibilità ed i benefici del compromesso. Cercare sempre e comunque l'interesse economico quale spiegazione di lotte e guerre è profondamente stupido. Dobbiamo considerare un caso che il lembo di terra su cui sorge lo stato di Israele, terra arida, priva di materie prime, sia il luogo del pianeta più tormentato dalla guerra?

La concezione marxista che mette sempre e comunque l'economia al centro di tutto è, per concludere, semplicemente errata. Ed è fonte di equivoci sempre muovi, ed assai dannosi.