sabato 2 novembre 2019

ELIMINARE L'ODIO?

Una premessa: non mi interessa qui discutere in concreto la famosa mozione della senatrice Segre. Cerco di affrontare a livello generale il problema che questa pone, perché, al di là delle formulazioni, delle parole e delle limature del testo, si tratta di un problema di portata generale.

SENTIRE IMMEDIATO

Prendiamo il toro per le corna: Ha senso una campagna contro l'odio, lo si può punire? Parlare di odio fra amici può essere considerato un reato? Se dico a Tizio: “il tale è una orribile persona, lo odio” incorro nel reato di “istigazione all'odio? Vediamo, partendo un po' da lontano.
L'odio è, come tutti i sentimenti, qualcosa di immediato. Lo si può paragonare alla intuizione sensibile. Se vedo una macchia rossa sul tavolo la vedo e basta. Uno scienziato mi potrà spiegare che il vedere rosso deriva da onde luminose di una certa ampiezza, uno psicanalista collegherà il mio veder rosso ad un trauma infantile, un marxista mi dirà che il veder rosso dimostra che la mia coscienza di classe si sta risvegliando. Vere o false che siano queste affermazioni, io continuo a vedere il rosso. La sensazione, diceva Aristotele, è sempre vera. Posso sbagliare nel giudizio: posso pensare che quel rosso sia sangue invece è vernice, o nello stabilire le cause del mio veder rosso, ma di certo sto vedendo rosso.
L'odio, come i sentimenti ingenerale, è qualcosa di molto simile. Non si può odiare, o amare, a comando; si odia, o si ama, e basta. Posso simulare, fingere, dire, mentendo, di non odiare, o, sempre mentendo, posso dire di amare ma non posso provare ciò che non provo, esattamente come non posso non vedere quello che vedo. Proibire o reprimere l'odio è impossibile. Si può evitare che l'odio abbia certe conseguenze. “Tu odi quella persona”, si può dire a Tizio, “ma non devi azzardarti a farle del male”. E, anche senza imposizioni esterne, una persona può contenersi, evitare le conseguenze del suo odio. Tizio può odiare Caio, ma si rende conto che non ha il diritto di ucciderlo. La sua ragione, la kantiana “ragion pratica”, glielo impedisce. Ma continua ad odiarlo.

UNA OBIEZIONE

A questo punto qualcuno potrebbe obiettare: “E' vero, l'odio è qualcosa che si sente, ma il sentire si può modificare. Si approfondisca la conoscenza di una persona e l'odio che proviamo per questa verrà meno, si potrà anche trasformare in amore”.
Cosa rispondere ad una simile obiezione? Molto semplicemente che è vera, ma gravemente incompleta.
La conoscenza può essere un antidoto nei confronti dell'odio, è vero, ma è vero anche il contrario. Conoscere meglio una persona, un popolo, una ideologia può farci abbandonare sentimenti negativi che proviamo nei loro confronti, ma può farci abbandonare anche gli eventuali sentimenti positivi. “Più ti conosco più ti amo” può essere vero esattamente come “più ti conosco più ti odio”.
Per il “Pierino” politicamente corretto l'odio, e la paura, e tanti altri sentimenti “negativi” sono “frutto dell'ignoranza”. Questo però è completamente indimostrabile. L'odio può essere frutto dell'ignoranza come della conoscenza e la stessa cosa si può dire dell'amore. Prima dell'undici settembre 2001 pochi detestavano l'Islam. Era opinione abbastanza diffusa che si trattasse di una religione come le altre, anche se criticabile per il suo atteggiamento nei confronti delle donne. Era diffusa una grande ignoranza sull'argomento, l'attenzione di tutti era focalizzata sullo scontro fra comunismo e democrazia liberale, pianificazione ed economia di mercato. A pochi passava per la mente che ci fosse all'orizzonte uno scontro fra Islam ed occidente. Col crollo del comunismo, il crescere impetuoso del fondamentalismo islamico e l'attacco diretto da questo mosso agli Stati Uniti le cose sono rapidamente cambiate. Molti hanno cominciato ad interessarsi all'islam, a conoscerlo. E a temerlo. E più d'uno ha iniziato a detestarlo.

DALLA CONOSCENZA ALLA IMPOSIZIONE

Non è affatto vero che una migliore conoscenza sia sempre e comunque un antidoto nei confronti dell'odio, spesso avviene esattamente il contrario: si arriva a detestare, addirittura ad odiare, qualcuno o qualcosa proprio perché lo si conosce meglio. Si tratta di un fatto molto diffuso che mette in crisi alcune certezze dei “Pierini” politicamente corretti. E li spinge ad una reazione che ha davvero poco da spartire coi dolci sentimenti amorosi di cui si dicono paladini.
Visto che la conoscenza non elimina i “cattivi sentimenti” si passa alla loro repressione. Se chi odia non si emancipa autonomamente dal suo cattivo sentimento lo si cerca di costringere a farlo.
Qui però sorge immediatamente una contraddizione. Si, perché se si reprime qualcuno di certo non lo si ama, spesso lo si detesta, a volte lo si odia.
Volete mettere in imbarazzo chi organizza campagne contro l'”odio”? Chiedetegli quali sono i suoi sentimenti nei confronti di chi non condivide le sue iniziative. Chi lotta contro l'odio lo ODIA e cade in questo modo inevitabilmente nel celebre paradosso del mentitore. Obbligare qualcuno a non odiare non è solo psicologicamente, ma anche logicamente impossibile.

Non è casuale questa caduta nel paradosso. In realtà nulla è tanto stupido e, nel profondo, immorale quanto la pretesa di un rifiuto generalizzato dell'odio.
Gli ebrei che venivano condotti alle camere a gas avevano o non avevano il diritto di odiare i loro aguzzini? I contadini che venivano costretti alla morte per fame dagli sgherri di Stalin avevano o no il diritto di odiare i loro affamatori? Una adultera condannata alla lapidazione, un gay alla impiccagione, un apostata alla decapitazione in varie parti del mondo islamico hanno o non hanno il diritto di odiare i loro carnefici?
Parlare di “odio” in generale è del tutto fuorviante. Ci sono diversi tipi di odio. C'è l'odio verso i carnefici ed i tiranni e c'è l'odio nei confronti delle loro vittime. Hitler odiava gli ebrei e questi di certo non amavano Hitler. C'era odio da entrambe le parti, è forse moralmente accettabile equipararle? .
In realtà molto spesso l'odio è l'altra faccia dell'amore. Se davvero si ama qualcosa si odia, quanto meno si può odiare chi a questo qualcosa si oppone. Chi ama la libertà odia la schiavitù, amare la democrazia vuol dire odiare la tirannide, chi è per la tolleranza non tollera gli intolleranti. Il “vogliamoci tutti bene” elimina l'amore, non l'odio.

Non a caso coloro che strillano contro l'odio sono degli odiatori seriali, basta dare una occhiata in rete per rendersene conto. L'odio che questi signori condannano è sempre quello degli altri, non il proprio. E' quello di chi difende l'occidente, non quello di chi all'occidente ha dichiarato guerra. Le torri gemelle erano ancora fumanti quando questi angelici personaggi hanno iniziato a belare che “l'Islam è una religione di pace”. Ed hanno cominciato a strillare contro l'odio e la violenza... degli americani! Basta questo direi a qualificarli per quello che realmente sono. E... non ad odiarli, l'odio è un sentimento che si riserva per i malvagi che hanno una loro torbida, demoniaca grandezza. Semplicemente a disprezzarli.

UN ORRIBILE SOGNO TOTALITARIO

Lo stato di Israele è praticamente in guerra da 70 anni. Eppure nel parlamento israeliano sono presenti partiti arabi che spesso solidarizzano con chi vorrebbe che lo stato di Israele cessasse semplicemente di esistere.
Israele ci da un esempio da manuale di come devono comportarsi le democrazie.
Una stato democratico, almeno in periodi normali, non mette fuori legge i partiti anti sistema, ne impedisce, nel caso dovessero vincere, la possibilità di stravolgere la costituzione. Un simile stato reprime le azioni, non le idee, punisce i reati, non i peccati. Meno che mai punisce o censura le chiacchiere. Certo, fra le azioni considerate reati ci possono essere l'istigazione alla violenza, vari tipi di apologia del crimine, gli insulti e la diffamazione; tutte cose degne di condanna non in quanto idee ma in quanto azioni. Insultare, calunniare, incitare ad uccidere sono azioni criminose. E la legge le punisce. La legge, dopo regolari processi in cui al presunto violento siano date tutte le possibilità di difesa, NON una commissione parlamentare.

Gli stati dittatoriali si comportano in maniera completamente diversa. Considerano criminali azioni che altro non sono che atti di opposizione politica e reprimono qualsiasi idea dissenziente.
Gli stati totalitari vanno oltre. Cercano di controllare non solo le azioni e le idee politiche delle persone, ma la totalità della loro vita. Non si limitano a reprimere chi critica il dittatore ed il suo governo, vogliono che anche la vita privata dei cittadini si adegui ai dettami della ideologia dominante. I rapporti fra genitori e fogli, mogli e mariti. professori e studenti sono sottoposti al controllo più rigido possibile. Si controllano non solo le idee politiche ma, almeno potenzialmente, le idee nella loro totalità. Credere o non credere in Dio, avere certi gusti sessuali, considerare in un certo modo la natura, leggere certi romanzi o certe poesie, ascoltare certi brani musicali può essere oggetto di censura.
E non ci si ferma alle sole azioni ed idee. Si cerca di controllare i sentimenti, addirittura le pulsioni degli esseri umani. Non si deve solo obbedire al dittatore, né astenersi da qualsiasi azione od idea lo possa danneggiare. Si deve essere interiormente convinti della correttezza del suo pensiero e della bontà delle sue azioni. E non ci si deve solo sentire idealmente d'accordo con lui, lo deve anche amare. E si devono odiare quelli che non lo amano. Si passa dalla obbedienza formale, coatta, alla condivisione, si parte dalle azioni e si arriva ai sentimenti, alle stesse pulsioni. Scompare ogni autonomia, l'uomo diventa immagine della ideologia dominante, mera appendice non pensante, né senziente della totalità socio politica.

“Amava il grande fratello”. Con queste parole si conclude il capolavoro di George Orwell: 1984. Sottoposto ad orribili torture il protagonista si convince, si convince davvero, che tutto ciò che il partito afferma è vero. Due più due fa cinque se così dice il partito. E il protagonista del romanzo ci crede, alla fine. Ed ama davvero il grande fratello. “Noi non vogliamo costringere, vogliamo conquistare le menti, avere il dominio totale dei cervelli, prima di farli esplodere” dice l'inquisitore al suo prigioniero. Ed alla fine riesce nel suo intento.
Costringere qualcuno a non odiare, o ad amare, vuol dire proprio questo: impadronirsi della sua anima. Un orribile sogno, per fortuna impossibile, almeno oggi e nel futuro prevedibile. Per quanti sforzi faccia il potere non può farmi vedere ciò che non vedo, provare ciò che non provo.
Può riuscirci in un un domani più o meno remoto, magari usando mostruose manipolazioni genetiche? Impossibile dirlo. Ma se ci riuscisse non avrebbe, a rigore, costretto gli uomini a provare ciò che non provano, avrebbe cambiato gli uomini. Se io amassi chi non amo, o odiassi chi non odio, non sarei più io, sarei altro da me.
In fondo è proprio questo il sogno di ogni riformatore radicale e totalitario del mondo. Rovesciare la natura umana, creare uomini completamente nuovi ed altri, perfetti alieni.
Dietro a tanti belati amorosi, a tante condanne dell'odio, si cela in realtà la aspirazione prometeica ad una torsione orribile della natura umana. L'uomo a cui guardano i teorici del politicamente corretto, almeno, quelli fra loro in grado di pensare, è proprio questo: un misero essere senza identità, senza tradizioni, senza stato, senza sesso, senza famiglia e senza radici. Un mostro alieno.
Speriamo che l'incubo di questi fanatici non si realizzi mai.

lunedì 21 ottobre 2019

GRILLO, GLI ANZIANI, IL VOTO.

Raccolgo qui, con lievi modifiche vari post che ho scritto sulla demenziale proposta di Grillo volta a togliere o a ridurre il diritto d voto agli anziani (io uso spesso il termine "vecchi" perché detesto la moda politicamente corretta di abellire le cose, quasi chela vecchiaia sia una colpa).

VECCHI E GIOVANI


Beppe Grillo vuole togliere il voto agli “anziani”. Perché? Semplice. Chi è vecchio, dice il buffone genovese, è grettamente legato al presente, non ha una visione ampia, proiettata al futuro del mondo. Quindi non è giusto che col suo voto comprometta le aspettative di chi è giovane e nel futuro ci vivrà.
Fantastico! Cosa controbattere a tanta profonda filosofia politica? Vediamo un po'...
“Ragionando” (si fa per dire) come Grillo si dovrebbe attribuire un diverso valore al voto a seconda dell'età dei votanti. Perché limitarsi a togliere il voto ai vecchi? Un ventenne ha prospettive di vita più lunghe che non un quarantene, quindi il suo voto dovrebbe valere 10 e quello del quarantenne solo 5. Il voto del sessantenne dovrebbe valere due, quello del settantenne zero. Interessante...
Chi ha detto che i vecchi non pensano al futuro? I vecchi hanno figli e nipoti e votando pensano a loro più che a se stessi. Non solo, con l'avanzare degli anni si riduce non solo l'aspettativa di vita ma anche la quantità di piaceri che la vita può offrire. Tutto questo spinge il vecchio, anche quello senza figli, a pensare più al futuro che al passato. Chi è più giovane può votare pensando più che altro alle conseguenze immediate del suo voto. Chi giovane non è più ha meno prospettive immediate che lo attirano ed è spinto a pensare a chi verrà dopo di lui.
Ma questi sono dettagli. Il vero problema è: si può contrapporre il presente al futuro? La riposta è un NO grande come una casa.
Il futuro di oggi è il presente di domani ed il passato di dopodomani. Si lavora per un buon futuro costruendo un presente almeno decente. Non esistono fratture insanabili fra generazioni. Risolvere alcuni problemi che ci assillano oggi vuol dire anche lasciare qualche problema in meno ai nostri figli e nipoti.
Esistono però filosofie politiche che si basano tutte sulla contrapposizione assoluta fra presente e futuro. Sono le filosofia futuriste. Il marxismo - leninismo è forse la più importante.
Per queste filosofie le esigenze di chi vive nel presente non contano nulla e devono essere sacrificate alla felicità delle generazioni future. Il sacrificio di intere generazioni è stato in questo modo giustificato con l'argomento che questo preparava la assoluta felicità di chi vivrà fra cento o mille anni.
Si tratta di filosofia irrazionali ed immorali.
Irrazionali perché, si risolvono in un continuo rinvio al futuro. Fino a che esisterà il mondo esisterà un futuro, quindi un domani indeterminato a cui rinviare l'assoluta felicità di persone che mai conosceremo, che mai NESSUNO conoscerà. Le sofferenze di chi vive nel presente continueranno in eterno ad essere sacrificate ad una sempre sfuggente felicità futura.
Immorali perché nessuna generazione ha più diritti di un'altra. Perché le esigenze della generazione di oggi devono essere sacrificate a quelle della prossima? (vale anche l'opposto, ovviamente). Le generazioni vecchie hanno gli stessi diritti di quelle giovani, e viceversa. I vecchi devono veder tutelati tutti i loro diritti, compreso quello di voto. Punto.
Il futurismo spezza il legame fra generazioni ma in questo modo sacrifica qualche generazione a qualche altra. Per questo, ricorda Popper in “La società aperta e i suoi nemici” è profondamente immorale.
Ma pretendere che un buffone conosca Popper è davvero esagerato.


Nel suo scritto Grillo dice che visto che tutti diventeremo anziani non c'è discriminazione nel togliere il voto agli anziani. E' una idiozia.
I soggetti della discriminazione sono gli esseri umani, NON le classi di età. “Ragionando” come grillo si potrebbe sostenere che una legge che stabilisse l'eliminazione fisica degli extra sessantenni non sarebbe mostruosa visto che tutti diventeranno extra sessantenni.
La proposta di Grillo, se attuata, farebbe si che tutti, raggiunta una certa età, sarebbero discriminati, diventerebbero cittadini di serie B o C. Il fatto che un simile destino riguardi tutti non lo rende meno mostruoso, al contrario, ne amplifica la portata.

GRANDI VECCHI

Kant scrisse la “Critica del giudizio” a 66 anni. Morì a quasi 80 anni. Fino a poche settimane dalla morte lavorò al'”opus postumum”, una serie di manoscritti che, nelle sue intenzioni, dovevano dar vita ad una nuova grande opera teorica.
Galileo scrisse i “discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”, la sua opera scientificamente più importante, a 74 anni, quattro prima di morire.
Michelangelo Buonarroti morì a 89 anni. Fino a pochi giorni dalla morte lavorò alla splendida “Pietà Rondanini”, la sua ultima opera.
Ludwig Wittgenstein morì di cancro a 62 anni. Fino a due giorni prima di morire lavorò a “della certezza”, acutissima analisi del linguaggio ordinario.
Si potrebbe continuare.
Per Beppe Grillo persone di questo calibro oggi dovrebbero essere escluse dal voto. Chissà, domani potrebbe proporre la loro soppressione, per non gravare sui conti dell'INPS e del sistema sanitario nazionale.
In compenso dovrebbe poter votare Greta Thunberg.
Tanto basta, direi...


LOGICA

Grillo, e non solo lui, parlano di togliere il voto ai vecchi.
I vecchi, dicono, votano avendo prospettive di vita minori, quindi prendono decisioni di breve periodo che danneggiano chi è giovane e sopravviverà a loro.
Si tratta di stronzate, da tutti i punti di vista.
Non è vero che i membri di una certa fascia di età votino per fare gli interessi esclusivi di quella fascia, non è vero che chi è vecchio voti senza pensare al futuro (esistono i figli ed i nipoti), non è vero che non debbano essere tutelati i diritti e gli interessi di chi ha una aspettativa di vita più breve. Si potrebbe continuare.
Ma, a parte tutto questo, la proposta di Grillo è insostenibile anche dal punto di vista puramente LOGICO.
Facciamo un esempio estremamente semplificato, con cifre poco realistiche, per non complicare troppo le cose.
La classe dei sessantenni ha una aspettativa di vita di 10 anni. Quella dei cinquantenni una aspettativa di 20 anni.
I sessantenni votano (secondo Grillo) per provvedimenti che influenzeranno la vita della collettività per dieci anni. In questo modo, sempre secondo Grillo, influiscono negativamente sui cinquantenni che dovranno vivere non dieci ma venti anni.
Ma questa è, LOGICAMENTE, una idiozia. Per i primi dieci anni i cinquantenni non saranno danneggiati dalle scelte dei sessantenni. E per i secondi? Per i secondi nemmeno. A quel punto i cinquantenni saranno diventati sessantenni e difenderanno i loro residui interessi con scelte che riguarderanno i residui dieci anni di vita attesa.
Per farla breve: le conseguenze negative delle scelte di più breve respiro dei vecchi riguarderanno non i giovani ma i futuri vecchi. Che a loro volta potranno porvi riparo.
Se si moltiplicano le classi di età, se ne prendiamo in considerazione non due ma quattro o dieci, le cose non cambiano, si complica solo la loro esposizione.
E' solo logica.
Ma ai buffoni la logica non piace. Proprio non possono capirla.


Uno degli argomenti preferiti a favore della esclusione degli anziani dal voto è la Brexit. “Vedete?” dicono. La Brexit è passata perché la hanno votata i vecchi, rovinando così il futuro delle giovani generazioni. Favoloso argomento! Prima stabiliscono che la Brexit rovina il futuro dei giovani, poi usano il voto degli anziani per la brexit come "prova" che gli anziani rovinano il futuro dei giovani quindi non meritano di votare. La Brexit è ignobile perché i vecchi la votano. I vecchi sono ignobili perché votano la brexit! Esempio perfetto di ragionamento circolare! A “dimostra” B e B “dimostra” A.


CI RITORNO ANCORA SU, SCUSATEMI.

Scusatemi se ci ritorno su, ma su questa faccenda del negare il voto agli anziani ne vengono fuori sempre di nuove.
Giorgio Gori, sindaco di Bergamo (poveri bergamaschi) afferma in un tweet:
“una popolazione con forte prevalenza di anziani vota e voterà sempre di più contro gli interessi delle giovani generazioni”.
Quindi... niente voto agli anziani. Poi ha spiegato che no, lui non vuole questo e ha affermato che quella di Grillo è solo una provocazione. Veramente NON lo è: sono anni che Grillo ne parla!
E cosa propone, il geniale Giorgio Gori? Ecco quanto scrive su FB:
“Girano altre proposte, tipo quella di far pesare di più – con l’attribuzione di un coefficiente superiore a 1 – il voto di alcune categorie di cittadini, per esempio i genitori con figli minorenni. Non so dire se siamo ragionevoli e fattibili. Ma il problema c’è tutto, fidatevi”.
FAVOLOSO!!!!! Lui non è per toglier il voto agli anziani, vuole solo farlo valere la metà. Il mio voto conta uno, quello di un sedicenne conta due, quello di un trentenne uno e mezzo. Che bello!!!
Ma veniamo al sodo.
Dire che la prevalenza degli anziani dovrebbe esser corretta togliendo loro il voto, o, il che è lo stesso, riducendone il peso, equivale a dire che in un paese a maggioranza contadina bisognerebbe togliere il diritto di voto ai contadini perché questi potrebbero usarlo contro gli operai. E' quello che fecero i bolscevichi con i voti differenziati fra operai e contadini nei Soviet, prima di imporre a tutti, operai e contadini, il lavoro coatto.
In una democrazia liberale TUTTI, ma proprio TUTTI, hanno diritto di contribuire alle scelte politiche, di difendere i loro interessi, i loro valori, le loro idee. Naturalmente rispettando i diritti degli altri e senza annichilire idee, valori, interessi diversi dai loro.
Per il signor Gori invece il voto va differenziato a seconda delle caratteristiche dei votanti. Non è mica una novità. Un tempo non poteva votare chi non aveva un certo reddito, né potevano votare le donne. Ora non potrebbero votare gli anziani (o i vecchi). Domani non potrebbero votare i malati, che hanno una aspettativa di vita ridotta, o gli invalidi che, per usare le parole di Gori, sono come le vecchie generazioni: “naturalmente meno orientate al cambiamento e all’innovazione".
E perché limitarsi a toglier loro il voto? Gori fa accenno al debito pubblico eccessivo... beh... gasando vecchi e malati si ridurrebbero le spese e si metterebbero “al riparo i conti”...
Aggiungo solo una considerazione.
Si fa l'interesse delle nuove generazioni con politiche che incoraggino le nascite, favoriscano la crescita economica, difendano la civiltà in cui le nuove generazioni vivranno.
Il PD oggi è alleato coi teorici della decrescita felice, difende la filosofia gender, apre le porte del paese ad una immigrazione incontrollata destinata a far collassare la nostra civiltà.
E pretende di esser preso sul serio quando parla di “difesa delle nuove generazioni”.
RIDICOLO!!!! 

Voto ai sedicenni, cittadinanza regalata con lo “ius soli”, ribattezzato “ius culture”, eliminazione del diritto di voto per gli anziani. In un possibile domani potrebbe votare un senegalese di sedici anni che ha conseguito in Italia la licenza elementare ma non uno scienziato di fama mondiale come Zichichi, "reo" di essere novantenne.
E' chiaro il tentativo. Sanno che il popolo li detesta, quindi cercano di cambiare il popolo.





martedì 15 ottobre 2019

DENARO

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Il denaro è un po’ come il sesso. Tutti o quasi ne sono attirati ma tutti o quasi mostrano una certa repulsione nei suoi confronti. Come il sesso il denaro è, dicono i moralisti, intrinsecamente un po’ sporco: è qualcosa che si desidera, che è bene avere, ma è anche corruttore, spinge l’uomo ad azioni spregevoli ed è esso stesso, in fondo, abbastanza spregevole. Il denaro appartiene alla dimensione dell’avere, anzi, ad una forma particolarmente alienante di questa dimensione. Grazie al denaro l’avere prevale sull’essere. Col denaro l’uomo può acquistare ciò che non ha e grazie a questa acquisizione diventa ciò che non è. Parafrasando Shakespeare e Goethe Marx afferma, nei Manoscritti economico filosofici: “Ciò che posso pagare, ciò che il mio denaro può comprare quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo. (…) le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche (..) ciò che io sono e posso non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto ma posso comprarmi la più bella fra le donne. E quindi non sono brutto (..) io, considerato come individuo, sono storpio ma il denaro mi procura ventiquattro gambe; quindi non sono storpio”.  
Il denaro fa di me ciò che io non sono, c’è del vero in questa affermazione, ma cosa significa realmente? Una cosa molto semplice ed importante: l'essere dell'uomo non è determinato unicamente dalle sue caratteristiche psicofisiche. Una fondamentale caratteristica dell’uomo è la sua capacità di modificare a propri fini il mondo circostante e questo influisce sulla sua stessa natura. Un tempo se un uomo nasceva privo di un arto era per sempre condannato ad una vita molto difficile, a volte invivibile. Oggi grazie alla tecnologia si possono costruire arti artificiali che permettono ai loro portatori una esistenza quasi normale. Questo significa che l’uomo odierno ha alienato da se la sua essenza autentica? Che l’avere ha prevalso sull’essere? No, significa che nell’essere dell’uomo è presente la dimensione dell’avere. Io sono ciò che sono anche grazie a ciò che ho, così come ho ciò che ho anche grazie a ciò che sono. L’avere non si identifica con l’essere ma non è neppure assolutamente contrapposto a questo. Il fatto di poter leggere, viaggiare, ascoltare musica, quindi avere dei libri, dei CD, dei mezzi di trasporto contribuisce a sviluppare le mie potenzialità, a bloccarne altre magari, quindi a fare di me ciò che sono.
Il denaro spinge l’uomo ad azioni spregevoli, è vero. Si uccide per denaro, ma si uccide anche per amore, passione, sesso. Si uccide per ideologia, religione, addirittura per noia. Si uccide perché si odia ma anche perché si ama, si ammazzano i nostri simili per freddo e lucido interesse ma anche per spassionato disinteresse. L’uomo compie azioni spregevoli quando egoisticamente antepone in maniera assoluta sé stesso agli altri e non obbedisce all’imperativo che ci obbliga a rispettare i nostri simili, ma compie azioni altrettanto se non ancora più spregevoli quando, spinto da idealistico e nobile altruismo, vorrebbe rendere felici tutti gli esseri umani. Alcuni fra i peggiori delitti della storia sono stati compiuti da uomini assolutamente disinteressati, pronti a sacrificare la propria vita, insieme a quella di milioni di altri, per quello che consideravano il bene dell’umanità.
L’uomo è capace di fare il male, è molto bravo a farlo. Pensare che sia la diabolica forza del denaro a spingere l’uomo al male significa scambiare l’effetto con la causa. L’uomo compie delitti (anche) per impossessarsi di denaro ma non è il denaro la causa dei delitti, la causa è la nostra capacità di compiere azioni malvagie. Addossare le nostre colpe allo “sterco del demonio” è solo un ingegnoso tentativo di auto assolverci.


Nessuno ha inventato il denaro. Secondo molti autorevoli studiosi il denaro è sorto spontaneamente dall’interagire degli uomini; nessun governo ne ha programmato la comparsa. Forse per questo è tanto antipatico a chi crede nella assoluta superiorità della pianificazione sul mercato.
Gli esseri umani sono passati gradualmente dall’economia di auto consumo a quella di scambio (il che tra l’altro ha prodotto una considerevole diminuzione della violenza) e successivamente dal baratto all’uso di certi beni in funzione di denaro. Il processo che porta dal baratto al denaro è spontaneo: esistono dei beni che servono a tutti o quasi gli individui e che hanno caratteristiche che ne rendono particolarmente agevole la trasferibilità. Poniamo che A e B posseggano rispettivamente conigli e galline da scambiare e che sia A che B posseggano e desiderino avere pelli di castoro. Prima o poi A e B inizieranno a scambiare non galline con conigli ma galline e conigli con pelli di castoro. Un bene di largo consumo che tutti accettano diventa in questo modo gradualmente denaro. Nessuno ha deciso che le pelli di castoro diventino denaro, nessuno obbliga A e B ad accettarle come strumenti di pagamento, eppure gradualmente le normali transazioni fra gli esseri umani portano a questo risultato in partenza non voluto né programmato da nessuno. Un bene diventa denaro se è accettato come tale dalla grande maggioranza delle persone interessate agli scambi. E non si tratta di un processo che riguarda solo tempi antichissimi, avviene spesso sotto i nostri occhi ai giorni nostri. Un tempo non troppo lontano divennero nei fatti denaro i gettoni telefonici, oggi potrebbero diventarlo i ticket restourant che molte aziende distribuiscono ai loro dipendenti. Per andare su strumenti di pagamento più usati: assegni, bancomat, carte di credito sono ormai a pieno titolo sostituiti del denaro. Fino a quando non è consegnato per l’incasso e fino a che viene accettato come strumento di pagamento un assegno libero è a qualcosa di molto simile ad una banconota. Il fenomeno è tanto accentuato che le banconote legali ormai più che da strumento di pagamento assolvono al ruolo di riserva a garanzia della moneta bancaria in circolazione. E’ stata la graduale espansione del credito e dei depositi bancari a condurre a questo risultato.


Questo carattere spontaneo è stata la caratteristica di tutte le più importanti trasformazioni del denaro. Il passaggio dalla moneta aurea alla carta moneta è avvenuto in diverse fasi, non decise in anticipo da alcun governo. Ricchi mercanti depositavano nelle banche grosse quantità di monete auree e le banche rilasciavano loro dei biglietti che ne attestavano la proprietà. Lentamente i mercanti iniziarono ad usare questi biglietti per regolare le loro transazioni. Tizio vendeva certi beni a Caio per 100 monete d’oro e Caio dava a Tizio non 100 monete ma un biglietto attestante che nella banca X egli aveva in deposito 100 monete; presentandosi alla banca Tizio esibiva il biglietto e poteva ottenere il rilascio delle monete. In questo modo, lentamente, la circolazione dei biglietti affiancò quella delle monete. Il passo veramente decisivo però fu un altro. I banchieri si resero conto che le monete che dovevano effettivamente restituire ai loro legittimi proprietari erano solo una piccola parte di quelle conservate nei loro forzieri. Iniziarono allora a dare in prestito il denaro dei loro depositanti. X, Y e Z depositavano monete per 100 e la banca concedeva prestiti a W, K ed R per un importo pari a 80. Il 20 che restava era sufficiente per far fronte alle eventuali domande di rimborso dell’oro da parte dei depositanti. Inoltre anche coloro che avevano ottenuto credito non portavano con se l’oro ma lo lasciavano depositato ed avevano biglietti che attestavano la loro proprietà di certe quantità di monete auree. Era iniziato quello che in gergo tecnico si chiama effetto leva: l’attività di intermediazione creditizia moltiplica la liquidità che circola in un paese, gli strumenti di pagamento hanno un valore facciale superiore al valore dell’oro che essi rappresentano. Questo processo non ha fatto che ampliarsi fino ai nostri giorni. Oggi la funzione che fu ieri dall’oro è svolta in parte dalla carta moneta. La moneta bancaria in circolazione (assegni, carte di credito ecc) supera il valore delle banconote depositate presso le banche. Se per ipotesi tutti i depositanti dovessero presentarsi agli sportelli per ritirare il loro denaro le banche non potrebbero far fronte alle loro richieste, la porta sarebbe aperta al fallimento e fallendo le banche trascinerebbero nella rovina molte altre imprese.


E’ quasi un luogo comune legare il denaro al più crasso materialismo eppure nulla è più immateriale del denaro, se si escludono, naturalmente, le anime di noi poveri peccatori. Un tempo facevano funzione di denaro i più svariati oggetti: pelli, pesci essiccati, conchiglie, balle di tabacco. Poi questo ruolo è stato svolto dai metalli preziosi, poi dalle banconote cartacee e poi ancora dagli assegni e dalle varie forme di moneta bancaria. Oggi il denaro quasi non esiste, o meglio, esiste assai spesso nella forma eterea di un segnale elettronico, di una cifra che compare nel monitor di un computer. Una cifra, un numero bianco o azzurrino e davanti a quel numero una D o una A, un segno + o un segno – e quel segno, quella lettera, stanno ad indicare se sei ricco o sei povero, se hai un debito o un credito. Cosa potrebbe esserci di meno materiale? Cosa di più genuinamente spirituale? Il denaro è l’essenza pura della ricchezza, la sua anima; è ricchezza che non ha forma alcuna perché nello scambio può assumere ogni forma. Non solo, questa ricchezza spiritualizzata è molto vicina all’anima di ognuno di noi, alla nostra psiche. I nostri stati mentali influiscono profondamente sul valore del denaro, nel denaro si riflettono molte nostre paure, molte nostre speranze, progetti, aspettative. Si pensi alla borsa: se tutti o molti pensano che si sia alla vigilia di una fase espansiva il valore dei titoli sale, se invece prevale la sensazione che una crisi sia alle porte possono verificarsi disastrosi crolli. La stabilità del sistema bancario, quindi delle borse, quindi dell’economia nel suo complesso è intimamente legata ad un fattore psicologico, ad una propensione dell’animo umano e questa si chiama fiducia. Se per un qualsiasi motivo una banca perde la fiducia dei suoi depositanti la via al fallimento è aperta. E il fallimento di una banca, o almeno di una grande banca, è qualcosa di molto pericoloso. La sfiducia determina la corsa al prelievo: i depositanti temono che la banca non possa far fronte ai propri debiti e ritirano il denaro che hanno depositato. Ma nessuna banca può far fronte all’assalto ai propri sportelli, non esiste in nessuna banca una liquidità che le permetta di restituire tutti i depositi. Per cercare di far fronte all’assalto agli sportelli la banca deve chiedere la restituzione delle somme date in prestito agli investitori. Neppure questi però possono disporre di tali somme: esse sono state investite, con quelle somme si sono acquistati macchinari, materie prime, si sono pagarti operai e impiegati. Il fallimento della banca porta con se il fallimento di altre imprese e questo contagia altre banche e così via. Può scatenarsi un incontrollabile effetto domino dalle conseguenze imprevedibili. Le autorità monetarie naturalmente (e giustamente) non lasciano che le cose vadano in questo modo, intervengono iniettando liquidità nel sistema, si accollano una parte delle perdite, contribuiscono a ricreare un clima di fiducia.

Le considerazioni appena fatte gettano luce sulle recenti proposte relative al controllo, ed in prospettiva alla abolizione, del contante. Una economia in cui il contante fosse abolito, o comunque ridotto ai minimi termini, sarebbe immune dalla corsa agli sportelli, le banche, almeno teoricamente, non potrebbero fallire e si eviterebbero tutte le drammatiche conseguenze dei fallimenti bancari. Apparentemente questo sembra un bene, ma lo è davvero?

Dietro alle varie proposte di abolizione del contante si nasconde, in primo luogo, una mentalità forcaiola che fa paura. Chi usa il contante è, per definizione, un evasore, quindi tassiamo il contante o addirittura eliminiamolo, questo il succo di tante elucubrazioni Un po' come dire: chi compra un'automobile lo fa per rapinare una banca, non lo posso provare ma intanto tasso la vendita delle auto, o magari abolisco le stesse. Che trovata!
Evitiamo, in secondo luogo, di dilungarci troppo sulle conseguenze politiche e sociali della abolizione o della riduzione ai minimi termini del contante, sulla possibilità che questa darebbe ad organismi occulti di controllare la totalità della vita dei cittadini. Nulla più delle spese che faccio mostra ciò che sono. Abolire il contante vuol dire dare a dei burocrati che non conosco e di cui non so nulla la possibilità di sapere, contro il mio volere, moltissimo di me, su tutti o quasi gli aspetti della mia vita. E questo rappresenta una limitazione enorme della mia libertà.
Ma... lasciamo perdere: solo chi ama la libertà può capire quanto negativi siano vincoli eccessivi alla stessa. Limitiamoci ad accennare alle conseguenze economiche di una presunta, ma non troppo, abolizione del contante.
Il fatto che i correntisti possano prelevare il loro denaro espone le banche, lo si è già detto, al pericolo della corsa agli sportelli, ma ne limita nel contempo il potere. Le banche non possono avventurarsi in speculazioni troppo rischiose perché una crisi scatenerebbe una corsa agli sportelli di cui nessuna banca può reggere l'impatto.
Se il contante venisse del tutto abolito questo limite e questo pericolo sparirebbero. Il “moltiplicatore dei depositi” potrebbe agire all'infinito, la moneta bancaria espandersi sino a livelli siderali. Si realizzerebbe il sogno della finanza che in quanto tale crea ricchezza. Ma si tratterebbe di vera ricchezza? NO, ovviamente. L'espansione del credito sarebbe slegata dallo sviluppo della economia reale. La presenza di una riserva dietro alla moneta creditizia costituisce un legame fra finanza ed economia reale. Eliminata questa riserva il legame si allenta fino a scomparire.
In linea di principio non ci sarebbero limiti alle politiche inflattive. L'inflazione non sarebbe più rappresentata da carrette piene di banconote ma da numeri spropositati scritti sui monitor dei computer.
Sarebbero le autorità monetarie a tenerla sotto controllo, si potrebbe dire. Alla fiducia come base del sistema si sostituirebbe la politica di questo o quel leader.
Sappiamo come vanno a finire le cose in casi simili....

Solo le economie di mercato sono in senso proprio economie monetarie.
L’economia sovietica, o quella della Cina di Mao, non erano economie monetarie. Quando una autorità centrale decide cosa, quanto e come produrre il denaro non è strumento di scambio e misura del valore, è solo un mezzo per rendere più agevole la distribuzione dei prodotti. Il pianificatore decide di produrre tot beni e decide di distribuirli in un certo modo alla popolazione; potrebbe effettuare direttamente la distribuzione ma ciò è troppo complesso, dà allora ai cittadini dei buoni merce (impropriamente in questo caso chiamati denaro) con cui questi possono ottenere ciò che il pianificatore ha deciso che deve spettare loro.
In una economia libera il mercato seleziona gli investimenti indirizzandoli verso i settori in cui essi si riveleranno più produttivi. Chi investe in beni e servizi che non incontrano i gusti dei consumatori vedrà inesorabilmente svalorizzarsi il suo capitale. Nel caso di un’economia pianificata centralmente le cose sono ben diverse. Qui lo stato è padrone di tutto e non teme le scelte dei consumatori, non può andare incontro a fallimenti o crisi. Lo stato pianificatore non ha bisogno di vendere ciò che produce e neppure ha bisogno di fare degli utili: ha già in mano tutto, nessun imprenditore concorrente lo insidia, il suo capitale non può essere svalorizzato perché il valore riguarda gli scambi e lo stato centralizzato non deve scambiare nulla con nessuno. Se lo stato decide di produrre beni che non piacciono ai consumatori a star male saranno solo loro. E’ capitato nella Russia staliniana che alcune fabbriche di scarpe producessero paia di scarpe entrambe sinistre o destre. Per un imprenditore privato questo sarebbe stata una tragedia, nella Russia staliniana la tragedia c’è stata solo per i consumatori: questi potevano scegliere solo se calzare scarpe destre nei piedi sinistri o non avere scarpe.
Dotato di un potere enorme lo stato pianificatore non è in grado di sapere quali sono le effettive preferenze dei consumatori, non esiste il meccanismo del mercato che lo indirizza in questo senso. E anche se fosse in grado di conoscere queste preferenze allo stato pianificatore ciò non interesserebbe più di tanto. Ciò che è avvenuto nella vecchia Unione sovietica, in Cina e in pressoché tutti i paesi comunisti è a questo proposito indicativo. Scelte economiche che hanno di fatto condannato a morte milioni di persone sono state prese nelle stanze del politboureau, con assoluta nonchalance. Stalin decide che tot milioni di tonnellate di grano devono essere trasferite dalle campagne alle città e questo viene fatto. E se i contadini non intendono trasferire il loro grano? Se chiedono che venga pagato loro ad un certo prezzo? Peggio per loro. L’economia centralmente e totalmente pianificata è una economia di comando, slegata da ogni considerazione sui gusti e le preferenze del pubblico. Non conosce, è vero, fallimenti, squilibri, crisi, ma questo solo perché è totalmente indifferente ai bisogni dei consumatori. Le sofferenze che una siffatta economia riserva agli esseri umani si sono dimostrate enormemente più gravi di quelle che può provocare la peggiore delle crisi capitalistiche.
Forse il denaro è davvero lo sterco del demonio. Ma, pur dando il giusto peso ai problemi spesso molto gravi cui vanno incontro le economie monetarie, possiamo dire: ben vanga un tale sterco.

giovedì 26 settembre 2019

CONTRO IL MISTICISMO ECOLOGICO


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Una nuova ideologia

Insieme al mondialismo ed alla filosofia gender il misticismo ecologico è la grande ideologia del nostro tempo.
Onnipresente su tutti i media, al centro della pubblicità, il misticismo ecologico è l'oggetto privilegiato di una campagna martellante, continua, che copre un po' tutti gli aspetti della nostra vita.
E' bene chiarire subito una cosa: il misticismo ecologico ha poco o nulla a che vedere con la preoccupazione per l'ambiente, l'amore per la natura. E' piuttosto il risultato di una ideologizzazione della natura. Nessuno è tanto lontano dalla natura vera quanto il mistico dell'ecologia. La natura del mistico è una natura umanizzata, premurosa, armonica. Tutto ciò che è “naturale” è bello e dolce, unica eccezione in questo quadretto edificante: l'uomo. Spinto dalla sua perversa volontà di potenza l'uomo distrugge la natura e così facendo distrugge se stesso.
Non occorre un grande acume logico per scoprire le incongruenze di simili concezioni. L'uomo è il prodotto di una selezione naturale durata milioni di anni, è esso stesso un ente naturale. Non ha molto senso ridurre l'uomo a mera naturalità e poi lamentarsi perché l'uomo distruggerebbe la natura. Se la integrale naturalizzazione dell'uomo ha un senso l'uomo che distrugge la natura altro non è in fondo che la natura che distrugge se stessa.

Il misticismo ecologico è, insieme, una ideologia della catastrofe e della assoluta rigenerazione dell'umanità. Da un lato, se l'umana superbia non viene sconfitta, c'è la catastrofe. La terra diventerà una landa desolata, o una distesa di acque putride e prive di vita. Dall'altro, se vinceranno gli angeli dell'ecologia si aprirà un'era di profonda felicità. Tutti saremo rigenerati, vivremo in armonia con l'ambiente e tutte le specie viventi. Il nostro stile di vita sarà radicalmente rinnovato, non saremo più tormentati da desideri insani, non cercheremo di avere cose inutili e dannose. Saremo radicalmente “altri” rispetto a ciò che ora siamo. Come si vede il misticismo ecologico non si differenzia affatto da altre ideologie. Suo fine non è tanto la soddisfazione di bisogni, desideri, aspirazioni dell'uomo empirico, di colui che vive qui ed ora nel mondo, quanto la sua integrale rigenerazione. L'uomo nuovo, l'uomo ecologico è il suo fine, come ieri era fine dei comunisti l'uomo comunista in cui si realizza la piena integrazione di io e tu, individuo e genere. O come era fine dei nazisti il dominatore ariano, la bestia bionda che si lascia alle spalle mollezze e sentimentalismi per adempire al suo destino storico di predominio razziale. Obiettivi diversi, a volte addirittura opposti, ma tutti caratterizzati dalla alterità radicale, assoluta, nei confronti del mondo dato, della natura e dell'uomo reali.
Non a caso, si tratta di obiettivi ideologici e nulla quanto l'ideologia detesta il reale.

Non è mia intenzione fare un discorso compiuto che copra tutti i molteplici aspetti del misticismo ecologico. Mi limito ad analizzare alcune idee guida di questa ideologia, le principali mistificazioni che la sostengono.

La mistificazione antropomorfica. Il pianeta è una buona persona
 

“La terra è malata”, esclama la piccola Greta, leader mondiale del misticismo ecologico. “Dobbiamo salvare il pianeta” le fa eco papa Bergoglio, altro sostenitore senza riserve della stessa ideologia. E tutti i media non fanno che ripetere costantemente simili espressioni.
Il pianeta è “malato”, “sporco”, “inquinato”, “soffre”, “subisce offese ed abusi”, “potrebbe vendicarsi”. E' un coro che unisce tutti o quasi. Il pianeta è una super persona, un essere vivente, e, ovviamente, si tratta di un essere vivente
buono. Una madre affettuosa che si prende cura di tutti i suoi figli. 


Si tratta di scemenze.
Parole come sano o malato, sporco o pulito, limpido o inquinato hanno senso solo in una prospettiva umana. Su Marte pare sia esistita un tempo una qualche forma di vita. Ora Marte, per quel che se ne sa, è un deserto privo di vita. Questo ci autorizza a dire che un tempo Marte era “sano” ed ora si è “ammalato”? Per l'uomo l'acqua limpida è bella, ma lo è altrettanto per il “pianeta”? Petrolio e carbone sono “naturali” quanto il ghiaccio. E' l'uomo a definire “sporca” o “inquinata” una distesa di neve su cui sia stato versato del petrolio. Per il pianeta si tratta in ogni caso solo di petrolio e neve. Un pianeta senza atmosfera, o con una atmosfera velenosa (velenosa per
noi umani) è “naturale” come uno in cui l'aria sia salubre (sempre per noi umani) e tersa.
La terra non è una super persona. Per “lei” non esistono il bello ed il brutto, lo sporco ed il pulito, il limpido e l'inquinato. Si tratta solo di valori e concetti
umani, come è qualcosa di profondamente umano la preoccupazione non tanto di “salvare il pianeta” quanto di conservare sullo stesso condizioni di vita buone, o almeno accettabili. Mari e monti puliti, fiumi ricchi di acque, foreste e boschi rigogliosi.

Quanto alla presunta “bontà” di quella super persona che sarebbe la terra, e più in generale della natura tutta... c'è solo da sorridere.
La malattia è naturale come la salute, e nulla è tanto naturale come la
morte. Se diamo un'occhiata all'universo siamo costretti a concludere che è la vita ad essere una piccola eccezione, che la vita senziente è molto meno diffusa di quella non senziente e che la vita intelligente costituisce una eccezione nella natura, importantissima per noi, ma praticamente priva di importanza nella totalità dell'essere.
In pagine bellissime del “
mondo come volontà e rappresentazione” Shopenhauer descrive la natura come un enorme campo di battaglia in cui la vita si afferma costantemente tramite la morte. Esagera probabilmente. La sua concezione generale dell'essere lo porta ad accentuare gli aspetti tragici dell'esistenza, di ogni esistenza, ma la sua posizione è di certo molto più realistica della indigeribile melassa pseudo ecologica di moda ai nostri giorni. Però... pretendere che i mistici dell'ecologismo radicale conoscano Shopenhauer è davvero una esagerazione.
La terra non è una super persona, meno che mai una super persona giusta e buona. E noi non siamo i medici del pianeta. Non possiamo esserlo perché il pianeta non è mai, per definizione, sano o ammalato. I medici riguardano gli umani, al massimo quegli animali di cui gli umani si prendono cura, non i pianeti.

Qualcuno potrebbe dire che le espressioni di cui stiamo parlando sono solo metaforiche. Certo, sono metaforiche, ma solo in certi casi, ed hanno comunque un forte impatto su modi di pensare assai diffusi.
L'antico mito di Gaia, il pianeta vivente, è oggi tornato di moda e, malgrado sia in totale contrasto con la fede cristiana, c'è chi guarda ad esso con benevolenza anche negli ambienti cattolici.
Negli Stati uniti esiste un movimento per l'estinzione volontaria della specie umana. Sempre negli stati uniti è stato fondato nel 1992 il “movimento per la liberazione della terra”. I suoi militanti, gli “ecoguerrieri”, hanno stilato nientemeno che una “
dichiarazione dei diritti del pianeta” in cui i “diritti” di animali, piante, monti e fiumi vengono equiparati a quelli dell'uomo.
Ma, a parte quelli che possono essere definiti estremismi minoritari, anche se diffusi, è l'equiparazione dell'uomo a “cancro del pianeta” che sta quasi diventando un luogo comune . Città e strade, navi, treni ed aerei, allevamento ed agricoltura sono messi costantemente sotto processo, perché “attentano alla salute del pianeta”. Forse molte sciocchezze che i media diffondono in continuazione sono solo metafore. Ma si tratta di metafore molto, molto dannose.
 


La mistificazione dello stato finale ed ottimale.
 

La terra non è sempre stata come è adesso. Dove oggi si innalzano le vette dolomitiche un tempo c'era il mare. Più di una volta i ghiacci polari si sono estesi fin quasi all'equatore per poi ritirarsi. I continenti erano un tempo uniti fra loro. Monti e fiumi, mari e pianure si sono formati nel corso di un lunghissimo processo caratterizzato da eventi catastrofici. Ed innumerevoli specie viventi si sono estinte nel corso di questo processo.
Su queste cose sono d'accordo anche i fanatici del misticismo ecologico, loro però ritengono che, chissà perché, il processo di modifiche naturali del pianeta si sia ormai concluso. La terra ha attraversato un lungo periodo di modifiche, a volte catastrofiche, ma questo è ormai definitivamente alle nostre spalle.
Lo stato attuale del pianeta è quello finale, definitivo. Da ora in poi qualsiasi evento catastrofico, o brutto, o anche solo fastidioso che avverrà sul pianeta terra avrà un solo responsabile: l'uomo.
Cicloni ed uragani, alluvioni e siccità, terremoti, maremoti ed eruzioni vulcaniche un tempo erano fenomeni naturali, ora sono diventati risultati della insana “volontà di potenza” che caratterizza la specie umana. Anche quando il carattere naturale di certi fenomeni, come terremoti, maremoti ed eruzioni vulcaniche, è difficilmente contestabile ad essere sotto accusa è sempre l'uomo. Quando lo tzunami del 2004 ha fatto centinaia di migliaia di vittime ci sono stati giornali che hanno minimizzato il carattere naturale di una simile catastrofe. Non si sono limitati a criticare ritardi ed inefficienze dei preavvisi e dei soccorsi, no, hanno messo in discussione l'eccesso di popolazione in zone potenzialmente pericolose. Questo sarebbe stato la causa di tante vittime. Insomma, se l'Etna eruttasse e facesse migliaia di vittime a Catania la colpa sarebbe dei... catanesi. In effetti se nessuno nascesse nessuno potrebbe morire...
Per i mistici dell'ecologia la storia del pianeta, e forse dell'intero universo, si snoda quindi in linea retta. Parte da una condizione iniziale di disordine ed approda, dopo alcuni milioni di anni, ad una situazione di ordine ed equilibrio. Si tratta di concezioni che con la scienza non hanno nulla a che vedere, ovviamente. Quali che siano le ipotesi scientifiche sul futuro dell'universo nessuno scienziato degno di questo nome osa affermare che lo stato attuale del pianeta, non parliamo poi dell'intero cosmo, sia quello di un definitivo equilibrio. Un brutto giorno il sole collasserà ed allora per la terra e tutti i pianeti del sistema solare saranno guai leggermente più seri di quelli causati dall'effetto serra... altro che “equilibrio finale”!

Ma non solo di questo si tratta. Il pianeta non si muoverebbe solo verso uno stato di equilibrio finale: questo sarebbe anche
ottimale per l'uomo. Lo ripete di continuo papa Bergoglio: il buon Dio ci ha dato una casa accogliente in cui vivere, di questa casa noi siamo ospiti, non padroni. Se rinunceremo alle nostre insensate pretese vivremo felici in un mondo dolce ed accogliente.
In quest'ottica i tentativi dell'uomo per modificare il mondo, adattarlo alle sue esigenze, altro non sono che manifestazioni di perversa volontà di potenza. A ben vedere tutta la storia umana altro non sarebbe che una insana sfida agli equilibri del creato, sfida che avrebbe raggiunto livelli parossistici a partire dalla rivoluzione industriale.
Siamo come si vede in piena ideologia. Per avere case e vestiti, mezzi di trasporto e calore, carne e pesce, frutta e verdura, medicinali ed ospedali, libri, cinema e concerti occorre modificare in qualche modo il mondo, ristrutturare radicalmente la nostra “casa accogliente”. Provino, ma provino
sul serio, gli ecologisti mistici a vivere senza questi frutti della “umana superbia” e poi vedremo cosa hanno da dire.
Particolarmente ideologica appare poi la critica alla rivoluzione industriale ed alle sue conseguenze. Il lasso di tempo in cui si è alzata la vita media degli esseri umani, si sono sconfitte malattie che facevano vittime a milioni, si è ridotta considerevolmente l'area della miseria e della fame è visto come il più tragico nella storia dell'umanità. Eppure si tratta del periodo caratterizzato, oltre che dallo sviluppo economico, dalla affermazione delle idee liberali, democratiche, socialiste. Certo, non tutto in quel periodo è oro che luccica, al contrario. Basti pensare, oltre al sorgere dei problemi ambientali o allo sfruttamento minorile, ai grandi totalitarismi del '900.Tuttavia bollarlo come il trionfo di una insana e distruttiva superbia non è solo un errore, è francamente una grossa, colossale scemenza ideologica. 


La mistificazione catastrofista 

Gli ecologisti mistici non vanno tanto per il sottile. La rivoluzionaria polacca Rosa Luxembrug lanciò a suo tempo lo slogan “socialismo o barbarie”, i teorici dell'ecologia formato Greta contrappongono il paradiso ecologico alla fine del mondo. Non ci sono mezze misure, soluzioni intermedie, compromessi possibili. O l'uomo torna a vivere in amorosa armonia col “creato”, rinunciando alle diaboliche lusinghe del consumismo capitalista, o il mondo finirà. Ed anche molto presto. La piccola Greta non concede sconti: ci mancano, al massimo, una decina d'anni, forse meno. Poi sarà catastrofe.
Di fronte a simili previsioni occorre essere seri. Non serve a molto negare a priori tutto ciò che può non piacerci. Proprio chi non considera la natura una “madre benigna” ha meno ragioni di altri per cercare di non vedere la realtà. Il mondo finirà, fra un po' di milioni di anni; non potrebbe darsi che, senza aspettare tanto tempo, l'ambiente che ci circonda si riveli incompatibile con ogni tipo di sviluppo economico? L'alternativa sarebbe in questo caso non quella fra catastrofe e dolce integrazione di uomo e ambiente, ma l'altra, molto meno rassicurante, fra catastrofe climatica e catastrofe economica. Certo, i mistici continuerebbero ad avere torto, ma la cosa non consolerebbe nessuno, credo.
Ma stanno davvero così le cose? Ciò che risulta insopportabile, nella analisi dei mistici dell'ecologismo è la maniera superficiale, mistificante, in ultima analisi piattamente propagandistica con cui affrontano simili temi.

Il clima sulla terra è sempre mutato, seguendo grosso modo un andamento ciclico. A cicli di riscaldamento millenari sono seguito cicli di raffreddamento di durata simile. All'interno di questi cicli di enorme durata ci sono cicli di durata più breve, secolare o addirittura decennale. L'ultima grande glaciazione terminò 10.000 anni fa. Da allora il pianeta è entrato in una fase di graduale riscaldamento, inframezzata però da nuovi periodi di “piccola glaciazione”. L'ultima piccola glaciazione è terminata nel quindicesimo secolo, da allora si è avuto un aumento delle temperature inframezzato però da più brevi fasi di raffreddamento e successivo riscaldamento.
Insomma, cicli di riscaldamento - raffreddamento millenari, secolari e decennali si alternano da sempre. Questo dovrebbe far pensare tutti coloro che parlano ad ogni piè sospinto di “enorme accelerazione” del processo di riscaldamento. Quando si parla di “accelerazione” cosa si confronta? Un ciclo decennale con uno secolare o addirittura millenario? Non è affatto una domanda di poco conto.
Tempo fa ho sentito un TG, quindi una fonte assolutamente insospettabile, in cui si affermava che la temperatura media del pianeta negli ultimi 5 anni è più alta di
0,9 gradi rispetto a quella di 50 anni fa. Veramente ho letto che nell'ultimo secolo la temperatura media del pianeta è cresciuta di 0,8 gradi, ma... diamo pure per buona la cifra fornita dal TG. Un aumento di 0,9 gradi in mezzo secolo può essere un problema serio ma non tragico, visto che le escursioni termiche del pianeta sfiorano i 100 gradi e che, anche nelle stesse località, ci possono essere differenze di 40 o 50 gradi fra i periodi più freddi e quelli più caldi dell'anno.
Le mie sono banalità di una persona con scarse conoscenze specifiche? Può essere, però scienziati eminenti come Antonio Zichichi e Carlo Rubbia hanno più volte espresso i loro dubbi sul riscaldamento globale. Qualcuno ha obbiettato che il loro parere conta poco visto che si tratta di fisici e non di climatologi. Come se fenomeni fisici come le tempeste solari e i movimenti dell'asse terrestre non influenzassero il clima! E come se la fisica non fosse la “regina delle scienze” che influenza in profondità tutte le altre! Del resto, fa davvero ridere vedere che la autorevolezza scientifica di voci come quelle di Zichichi e Rubbia viene messa in dubbio da chi ha eletto a suo leader una “scienziata” del peso di Greta Thunberg!

Rubbia e Zichichi del resto non sono di certo i soli a non accodarsi al coro di urla allarmate contro la catastrofe climatica incombente. In occasione del recente vertice ONU sul clima, quello caratterizzato dallo show mondiale di Greta Thunberg, 500 eminenti scienziati di tutto il mondo hanno indirizzato al segretario delle Nazioni unite un appello contro l'allarmismo climatico. In tale appello, completamente ignorato dai media, si può leggere:
Non c’è emergenza climatica (…) I modelli di divulgazione generale sul clima su cui si basa attualmente la politica internazionale sono inadeguati. È pertanto crudele nonché imprudente sostenere la perdita di trilioni di dollari sulla base dei risultati di modelli così imperfetti. Le attuali politiche climatiche indeboliscono inutilmente il sistema economico, mettendo a rischio la vita nei paesi a cui è negato l’accesso all’elettricità permanente a basso costo. Vi invitiamo a seguire una politica climatica basata su solida scienza, realismo economico e reale attenzione a coloro che sono colpiti da costose e inutili politiche di mitigazione”.
Nessuna propaganda come si vede. Parole moderate che non negano l'importanza delle politiche climatiche ma invitano tutti ad uscire dai falsi allarmismi. Quasi nessuno però le ha ascoltate, l'attenzione di tutti era rivolta alle farneticazioni di una adolescente fanatica.

Lasciamo gli scienziati al loro importante lavoro ed occupiamoci di cose più frivole.
Siamo sull'orlo del baratro ripetono tutti. Lo ripetono da oltre 30, quasi 40, anni. Ebbene sia, diamolo pure per scontato, siamo sull'orlo del baratro, la catastrofe è alle porte, anzi, non siamo neppure sull'orlo del baratro, stiamo già precipitando. Le cose stanno proprio così, la piccola Greta ha ragione e fior di scienziati torto, torto marcio.
Ma... se le cose stanno così che senso ha agitarsi, strillare, chiedere misure straordinarie, invitare la gente a non prendere auto, treni ed aerei, invocare città fredde e buie? Se siamo sull'orlo del baratro non possiamo far altro che cascarci dentro, quali che siano le misure che possiamo prendere. Perché? Semplice, perché basteranno normali fenomeni naturali come le eruzioni vulcaniche a farci precipitare nell'abisso. Neppure la piccola Greta può bloccare l'attività vulcanica ed i vulcani immettono ogni anno nell'atmosfera centinaia di milioni di Co2 e di altri gas velenosi. Anche dando per scontato che l'uomo ne immetta molti di più, è fin troppo chiaro che se siamo ormai ad un passo, anzi, ad un centimetro dal baratro nulla ci può più salvare. Insomma, se Greta Thunberg ha ragione i suoi deliri sono solo lamentazioni inutili e leggermente fastidiose. Il fatto che, malgrado si sia “sull'orlo dell'abisso” da ormai quasi 40 anni, ci sia sempre gente che strilla costituisce invece un forte indizio che simili deliri non siano del tutto fondati. 



La mistificazione estrapolazionista 


Molto spesso i mistici dell'ecologia fanno ricorso, per difendere le loro tesi catastrofiste, a ragionamenti di tipo estrapolazionistico.
Cosa è l'estrapolazionismo? Chi è estrapolazionista?
Estrapolazionista, meglio, estrapolazionista
mistico, non è, ovviamente, chi fa estrapolazioni. Tutti facciamo estrapolazioni, continuamente. L'inferenza induttiva è in fondo una forma di estrapolazione, e l'importanza dell'inferenza induttiva, sia nella scienza che nella vita di tutti i giorni, è talmente grande che è praticamente impossibile sopravalutala. E' estrapolazionista (sottintendo il mistico, ma di questo si tratta) non chi fa estrapolazioni ma chi le proietta all'infinito, o per periodi di tempo indefiniti o comunque di lunghezza del tutto sproporzionata alla natura dei fenomeni esaminati. I fenomeni oggetto di estrapolazione non sono infatti leggi naturali  che si presume debbano avere durata infinita o comunque lunghissima, no, oggetto delle estrapolazioni sono tendenze legate a comportamenti umani o comunque fenomeni naturali variabili e transitori.
Gli estrapolazionisti mistici prendono una tendenza, non una legge di natura, una semplice tendenza, la isolano dalle altre, danno per scontato che prosegua immutata per un periodo indefinito di tempo e traggono da tutto questo delle conclusioni il più delle volte sconvolgenti. L'estrapolazionista “estrapola”, appunto, il futuro dal presente partendo dal presupposto che tutto ciò che avviene nel presente continuerà ad avvenire in futuro, senza variazioni sostanziali, rallentamenti o accelerazioni né limiti temporali. E' fin troppo chiaro come, così estrapolando, si possa arrivare a conclusioni catastrofiche. Se verso manciate di sabbia nel mare per un periodo infinito di tempo il mare alla fine si trasformerà in una immensa distesa di sabbia. Il pianeta sarà anche grande ma se continuiamo a lordarlo con sostanze inquinanti si trasformerà, prima o poi, in una palla di immondizia, le risorse saranno anche abbondanti, me se continuiamo ad usarle prima o poi finiranno e così via. Non sono argomenti nuovi, si tratta più o meno della riproposizione delle tesi del vecchio Malthus che i nuovi mistici hanno riesumato, probabilmente senza neppur rendersene conto.

Fermo restando che è assolutamente doveroso usare con oculatezza le risorse disponibili e fermare l'inquinamento ben prima che il pianeta assomigli ad una palla di immondizia, si tratta però di tesi teoricamente insostenibili, per vari motivi.
In primo luogo esistono in natura dei processi ciclici che impediscono a certi elementi di esaurirsi o di crescere indefinitamente. Il ciclo dell'acqua ad esempio fa si che la quantità di H2O presente sulla terra resti la stessa nel corso dei secoli; solo un cataclisma cosmico potrebbe distruggere l'acqua sulla terra. Ci sarà questo cataclisma, quando il sole collasserà, ma per fortuna si tratta di un evento che si colloca in un futuro abbastanza remoto. Considerazioni simili possono farsi per la tanto bistrattata CO2, che è invece essenziale alla vita e che viene emessa, ma anche riassorbita dagli oceani e dalla vegetazione. E non è detto che questo processo di emissione - assorbimento sia a somma zero, che cioè una parte della CO2 di origine antropica non possa venire riassorbita naturalmente.
A parte il discorso sui cicli, che andrebbe approfondito da chi ha conoscenze scientifiche ben superiori a quelle, modeste, in possesso di chi scrive, a parte questo, è fin troppo evidente che nessun processo di inquinamento può procedere indefinitamente o anche per periodi di tempo troppo lunghi.
Anche le sostanze inquinanti sono limitate. Se verso manciate di sabbia nel mare, per quanto a lungo proceda con questa azione insensata non riuscirò mai a trasformare il mare in una distesa di sabbia perché la sabbia a mia disposizione è limitata e la sua quantità è molto inferiore a quella dell'acqua marina. Per quanta CO2 possiamo introdurre nell'atmosfera non riusciremo mai ad elevare in maniera considerevole la percentuale di CO2 presente nell'aria che respiriamo e questo per il semplice motivo che le sostanze che bruciando producono CO2 non sono affatto illimitate. Questo NON vuol dire, val la pena di ripeterlo, che si possa inquinare allegramente il pianeta, vuol solo mostrare l'inconsistenza teorica e logica dell'estrapolazionismo. L'estrapolazionista ragiona come se certe sostanze fossero illimitate ed altre invece rigorosamente limitate. Questo però è solo un errore piuttosto stupido.

Si possono fare considerazioni simili riguardo all'uso delle risorse naturali.  L'estrapolazionista sembra convinto che l'uso di certe risorse debba continuare fino al loro esaurimento, a meno che non si rinunci a certi manufatti. Si usa legno per costruire navi? Alla fine, se non la piantiamo di costruire navi il legno finirà. O legno o navi, così, in estrema sintesi, ragiona l'estrapolazionista.
Ma le cose stanno ben diversamente. L'uomo abbatte oggi molto meno alberi che in passato (e ne pianta quasi altrettanti) ma continua a costruire navi. La tecnologia ha risolto il problema che ai malthusiani appariva insolubile. Non solo, sempre grazie alla tecnologia oggi si possono costruire navi più grandi, sicure, veloci e confortevoli usando una quantità globale di materie prime molto inferiore a quella occorrente ieri. Si risparmia sul legno e molti materiali con cui sono costruite navi, auto ed aerei sono fabbricati in laboratorio (si pensi alle plastiche o alle resine in fibrovetro) con impatto ambientale nettamente inferiore che in passato.
La tecnologia anticipa, non segue, l'esaurimento di determinate materie prime. L'età della pietra è finita ben prima che le pietre si esaurissero; grazie al nucleare l'uso di combustibili fossili può essere fortemente limitato ben prima che questi si esauriscano. Se la tecnologia cambiasse solo quando una certa risorsa si esaurisce saremmo ancora all'età della pietra.


Non sono casuali, in fondo,  gli errori e le mistificazioni dell'estrapolazionismo. Dietro a questi errori e a queste mistificazioni c'è qualcosa di profondo, quella che potremmo chiamare fame di infinito.  L'estrapolazionista parla come se dovessimo durare in eterno, e con noi dovesse durare in eterno il pianeta che ci ospita. Se continuiamo a fare X per dieci, cento, mille o più anni prima o poi si arriverà inevitabilmente ad Y, afferma. E non si chiede chi ci sarà fra 10 o cento anni, e chi ci sarà fra mille, e se qualcuno ci sarà fra più di mille anni. Il “prima o poi” dell'estrapolazionista non conosce limiti, così come non conoscono limiti le sue estrapolazioni. Proietta all'infinito le tendenze in atto perché, più o meno consciamente, rifiuta il dato della nostra finitezza.
Non solo gli individui ma l'umanità intera prima o poi cesserà di esistere e cesserà di esistere il pianeta su cui viviamo, ed il sistema di cui questo fa parte. E cesseranno, di conseguenza, i processi che l'estrapolazionista fa tendere all'infinito.
Forse l'universo è infinito, ma non lo siamo noi, e non lo è quella infinitesima parte dell'universo con cui abbiamo a che fare. Tutto questo sgomenta, sgomenta tutti. Ma l'estrapolazionista non si limita allo sgomento, passa da questo al rifiuto della finitezza. E contrappone al duro, faticoso lavoro di chi cerca di costruire società finite e decenti le sue proposte per edificare il paradiso in terra.
Ma, ormai dovremmo saperlo molto bene, chi cerca di costruire il paradiso in terra riesce solo ad edificare, sempre in terra, il peggiore degli inferni.

La mistificazione epistemologica 


Lo ha detto prima di altri Karl Raimund Popper, ma ormai si tratta di un principio metodologico universalmente accettato: una teoria scientifica non può essere vera qualsiasi cosa accada.
Una teoria scientifica deve
proibire certi fenomeni, nel senso che se certi fenomeni accadono la teoria viene ad essere falsificata, o deve essere rivista, o si devono cercare le cause di un simile scostamento fra teoria ed osservazione, cause da sottoporre, ovviamente, a nuovi stringenti controlli empirici. Una teoria che trovi sempre e solo conferme non è una teoria scientifica, si tratta nel migliore dei casi di metafisica, spesso di scadente qualità, nel peggiore di ideologia se non di volgare propaganda.
Le teorie che sono vere sempre e comunque possono essere definite tautologiche, ricordano la celebre tautologia di Wittgenstein: “piove o non piove”. Se dico “piove o non piove” ho sempre ragione, qualsiasi cosa accada, ma perché ho sempre ragione? Per il semplice fatto che non ho detto nulla di determinato. La mia proposizione fa riferimento a tutti i fenomeni empirici, quindi tutti la possono confermare.
La tautologia è sempre vera, proprio per questo non ha nulla di scientifico.

Ora, parlando di riscaldamento globale, il punto è proprio questo. Non so come le varie teorie su questo fenomeno siano formulate negli ambienti scientifici seri, ma è certo che a livello mediatico e politico tutti i discorsi su questo riscaldamento, vero o presunto che sia, sono fin troppo chiaramente di tipo tautologico.
Basta ascoltare i vari TG per scoprire una casa davvero strana:
qualsiasi evento climatico “conferma” la teoria del riscaldamento globale. Piova o non piova tiri vento o non ci sia un soffio d'aria la causa è sempre il riscaldamento globale. Se un fiume è in secca la causa è il riscaldamento globale, ed è sempre il riscaldamento globale la causa del gonfiarsi e dell'uscire dagli argini di quello stesso fiume. Il riscaldamento globale causa, ovviamente, il gran caldo, ma causa, paradossalmente, anche il freddo gelido e fuori dalla norma. Chi è scettico sul riscaldamento globale ha davvero un bel darsi da fare: non riuscirà mai a trovare un fenomeno che confuti le teorie che non lo convincono.
E' possibile che una teoria spieghi fenomeni anche contrastanti fra loro. Ad esempio, a qualcuno può sembrare assai strano che il riscaldamento globale causi un gran freddo. Ma un sostenitore del riscaldamento globale può dire che il gran caldo scioglie le calotte polari, questo provoca una deviazione delle correnti marine che in certe località può provocare un gran freddo. Però è proprio qui che la teoria del “global warming”, per lo meno per come viene presentata dai media, mostra le sue caratteristiche tautologiche e non scientifiche. Questi discorsi infatti non si traducono in
previsioni controllabili che li possono confermare o confutare. I ghiacci si stanno sciogliendo davvero? sciogliendosi provocano davvero una deviazione delle correnti marine? Di quali correnti si tratta? Quale sarà il loro nuovo corso? Dove provocheranno caldo e dove freddo? Quali forme di controllo vengono proposte per controllare la validità degli asserti di partenza? In assenza di domande e previsioni di questo tipo i tentativi di attribuire al riscaldamento globale tutto ed il contrario di tutto si rivelano solo come un facile espediente per immunizzare una teoria da qualsiasi forma di controllo empirico. L'esatto contrario della scienza.

E' da molto tempo del resto che le teorie del “global warming” sfuggono ad ogni controllo empirico o non tengono conto di quanto potrebbe falsificarle. Nel 1972 venne pubblicato il libro “
i limiti dello sviluppo”, una delle prime opere dedicate al riscaldamento globale. In questa si facevano previsioni abbastanza terrificanti: entro il 2000 si sarebbero esaurite tutte le risorse petrolifere e le principali materie prime del pianeta. Sappiamo tutti come sono andate le cose. E sappiamo anche che le smentite clamorose che simili previsioni hanno dovuto subire non hanno spinto nessuno ad alcuna riconsiderazione delle proprie posizioni, queste anzi si sono fatte sempre più estremiste e catastrofiste.
E oggi? Oggi, a quanto ne sanno i comuni mortali, nessuno dei sostenitori mediatici dei mutamenti climatici (non so gli scienziati seri) fa previsioni minimamente controllabili. Si stabilisce che fra 50 o 100 anni intere città saranno sommerse dalle acque, che Piazza Duomo a Milano sarà un lago di acqua salmastra ma non si dice che ne sarà, fra uno o due anni, di Piazza De Ferrari a Genova. Il motivo di tutto questo è facilmente intuibile: fra 50 o 100 anni nessuno controllerà le previsioni (meglio sarebbe dire le profezie) di oggi, fra uno o due anni qualcuno potrebbe farlo.

Il carattere tautologico di moltissime teorie sul riscaldamento climatico risulta anche dall'evoluzione dei termini.
Inizialmente si parlava di
effetto serra, un nome che fa venir caldo solo a pronunciarlo. Se dici “effetto serra” pensi subito al caldo, ad un caldo diffuso ovunque, senza refrigerio alcuno.
Poi l'effetto serra si è trasformato in “
riscaldamento globale”. Il richiamo al caldo c'è sempre, ma è più attenuato. Si tratta di un caldo che ammette eccezioni, globalmente il pianeta si riscalda ma qua e là il freddo permane. E in qualche modo lo si può giustificare senza intaccare la teoria.
Infine il “riscaldamento globale” si è trasformato nei “
mutamenti climatici”. Il caldo scompare, resta il mutamento del clima. In questo modo però si cade in piena tautologia. Il clima muta costantemente, quindi una teoria che affermi la mutevolezza del clima è, per definizione, sempre vera. Rifacendoci a Kant possiamo dire che la proposizione: “il clima muta” è analitica, non sintetica. Dire “il clima muta” è come dire: “gli scapoli non sono sposati”. Un asserto che esplicita il significato di un termine ma non dice nulla sul mondo.
Che ci viene costantemente ripetuto da tutti i media, tutti i giorni, ad ogni ora del giorno.
 

Misticismo ecologico contro ambientalismo
 

Correttamente inteso l'ambientalismo è del tutto accettabile. Si tratta della più che legittima attenzione per l'ambiente che ci circonda, attenzione che parte da presupposti che tutto sono tranne che ideologici.
Il franco riconoscimento della limitatezza dell'uomo in primo luogo, la consapevolezza della nostra dipendenza dall'ambiente circostante e, di conseguenza, del carattere sempre ambivalente dei risultati dell'agire umano. Tutte le nostre conquiste hanno, o possono avere, anche conseguenze negative, che si tratta di valutare e, se possibile, prevenire.
Inteso in questo senso l'ambientalismo costituisce un ottimo antidoto nei confronti delle ideologie produttivistiche, dominanti sino agli anni 70 dello scorso secolo. Si tratta di ideologie che vedono nella attività produttiva qualcosa che può risolvere tutti i problemi del genere umano.
Da molti punti di vista il marxismo è una di queste ideologie. Per Marx lo sviluppo delle forze produttive, liberato dalle pastoie dei rapporti di produzione borghesi, può regalarci una sorta di paradiso in terra. La società perfetta, priva di problemi, caratterizzata da una totale, assoluta armonia.
Non ci vuole molto per rendersi conto che il misticismo ecologico costituisce l'altra faccia della medaglia rispetto a questa ideologia. Entrambe mirano alla assoluta armonia, sognano una società perfetta, in cui tutti i problemi siano risolti, nessun problema nuovo possa sorgere ed in cui regni una generalizzata, totale felicità. Per il marxismo e, più ingenerale, per le ideologie produttivistiche, questa perfezione è resa possibile dal prodigioso sviluppo delle forze produttive sociali, per il misticismo ecologico dall'abbandono della insana volontà di potenza e dal ritorno dell'uomo al posto che gli compete nell'insieme degli ecosistemi. Per onestà occorre aggiungere che il marxismo si colloca ad un livello di profondità filosofica distante anni luce dalle idiozie dell'ecologismo mistico.
Tutte le filosofie politiche non ideologiche rifiutano comunque simili utopie. Non esiste la società perfetta in cui tutti i problemi siano definitivamente risolti perché è lo stesso vivere sociale degli esseri umani che crea, di continuo, problemi nuovi. Ogni conquista positiva ha, o può avere, anche conseguenze negative. Il progresso, quando c'è, non è mai privo di rischi. L'ambientalismo mette in risalto i rischi che derivano dall'impatto delle attività umane sull'ambiente in cui viviamo. In maniera del tutto non ideologica l'ambientalismo ci ricorda che il mondo che ci circonda
non è fatto a nostra misura, che abbiamo quindi la necessità di modificarlo, se vogliamo assicurarci un livello di vita decente, o anche solo sopravvivere. Ma ci ricorda anche che, proprio per lo stesso motivo, ogni modifica dell'ambiente comporta rischi, difficoltà, crea problemi che è compito della umana ragione cercare di risolvere. L'esatto opposto di ogni ideologia, a partire da quella oggi dominante: il misticismo ecologico.

Non a caso l'ambientalismo correttamente inteso rifiuta il catastrofismo insensato proprio del misticismo ecologico. Se davvero la catastrofe fosse alle porte ogni discorso sull'ambiente sarebbe inutile. Il solo fatto che si parli di ambiente e di tutela dell'ambiente dimostra invece che non stiamo precipitando nel baratro, che i problemi che sorgono di continuo possono trovare soluzioni, parziali e non definitive, ma efficaci, che è possibile non rinunciare ai vantaggi di millenni di civilizzazione senza esser costretti a vivere in un mondo trasformato in latrina.

Per gli stessi motivi l'ambientalismo non ideologico rifiuta le “soluzioni” demenziali che i mistici dell'ecologia avanzano per “risolvere" i problemi ambientali. Azzerare in dieci anni le emissioni di CO2 è una di queste. Una “soluzione finale” che porterebbe alla barbarie ed alla morte per fame di decine, forse centinaia, di milioni di esseri umani, qualcosa che ricorda sinistramente, altre “soluzioni finali”.
E' inutile dilungarsi ancora. Il senso del discorso dovrebbe essere fin troppo chiaro: l'ambientalismo non ideologico non ha nulla a che vedere col misticismo ecologico, esattamente come l'analisi economica scientifica non ha niente a che fare con il produttivismo ideologico.
La scelta in fondo è sempre la stessa: ideologia contro scienza, tendenza all'assoluto da realizzare nel mondo contro azione faticosa per cercare di creare società imperfette ma decenti. Lasciando l'assoluto all'altro mondo, se esiste.