giovedì 30 ottobre 2014

SOCRATE GLI ISRAELIANI ED I PALESTINESI









GIANNI FATTIMO: Salve o nobile Socrate!
SOCRATE: O carissimo Gianni, che piacere vederti! Mi sembri assai contento. Un sorriso di soddisfazione è stampato sul tuo volto intelligente.
F. Beh, si, ho appena terminato un pubblico dibattito e ho messo in chiara difficoltà il mio nemico.
S. Nemico? Ma, nei dibattiti non ci sono nemici. Si discute per cercare, insieme, la verità che è sempre una, la stessa per tutti; e tutti siamo felici quando ci avviciniamo al vero.
F. Sai, il mio era un dibattito su un argomento particolare, che divide fra amici e nemici, inevitabilmente.
S. Davvero? E di cosa si trattava?
F. Dello stato di Israele e della sua politica aggressiva, criminale.
S. Politica aggressiva, criminale? Da parte di uno stato non più grande della Lombardia? Circondato da stati enormi, popolatissimi?
F. O Socrate, cosa contano le dimensioni? Israele è armato fino ai denti, grazie all'appoggio degli imperialisti americani. Forte di questo appoggio da decenni mette in atto una politica di aggressione e massacri. E' sotto gli occhi di tutti.
S. Ma non erano gli attivisti di Hammas a far piovere ogni giorno su Israele un sacco di missili?
F. O Socrate, che delusione! Parli come il mio nemico di oggi! Un grande filosofo come te!
S. Sei tu il grande filosofo nobile Fattimo. Io sono solo un uomo ignorante che cerca la verità...
F. Comunque, i missili di cui tu parli sono armi giocattolo, che non uccidono nessuno.
S. Strano però, per neutralizzare queste armi giocattolo Israele si è dovuto dotare di un costosissimo sistema anti missile.
F. Con l'aiuto dei suoi complici, gli imperialisti americani, come io dicevo.
S. Non era questo l'oggetto del contendere...
F. Smettila coi dettagli, o Socrate. Prova a confrontare il numero dei morti palestinesi ed israeliani e non potrai che convenire con me.
S. Fammi capire. Gli israeliani sono aggressori e criminali perché riescono a neutralizzare gli attacchi di Hammas, mentre i palestinesi sono delle vittime perché non riescono a neutralizzare la risposta israeliana?
F. I palestinesi sono vittime perché i loro morti si contano a migliaia, gli Israeliani aggressori perché solo pochissimi di loro cadono.
S. Dunque chi ha la peggio ha, per definizione, ragione?
F. Ha ragione chi viene massacrato da nemici più potenti. E' una cosa che tutti possono capire o Socrate.
S. Forse, però a me non risulta del tutto chiara. Mi permetti qualche domanda, per chiarirmi le idee?
F. E come no?
S. Allora dimmi, o uomo eccellente, tu sei abile nel combattimento?
F. Non credo, sono avanti negli anni...
S. Beh, se per questo anche io. Però, poniamo che tu sia un eccellente lottatore, giovane e forte. Un giorno quattro giovinastri israeliani, imbestialiti per le cose che scrivi e che loro, da perfetti nazisti, giudicano oscene, ti aggrediscono sotto casa. Sono armati, vorrebbero ucciderti. Anche tu però sei armato e ti difendi egregiamente. Ne mandi uno al cimitero e tre all'ospedale; quanto a te, te la cavi con poche ferite superficiali. Dimmi, chi è in questo caso il brutale aggressore, tu o i quattro giovinastri?
F. I quattro giovinastri, sembrerebbe.
S. E non ti pare che ciò che si può dire dei singoli valga anche per gli stati?
F. Stai barando o Socrate! Mi deludi sempre più!
S. La cosa mi spiace moltissimo, nobile amico, ma, perché starei barando?
F. Dimentichi la cosa più importante! Gli Israeliani sono armati sino ai denti mentre i poveri palestinesi dispongono solo di armi giocattolo. Qui non si tratta di una scazzottata con dei giovinastri ma della politica di uno stato, politica criminale, genocida.
S. Quindi tu dici che se uno stato ben armato si scontra con uno male armato quello male armato ha ragione, a priori, indipendentemente dagli atti che compie?
F. Basta coi sofismi! Io affermo che chi bombarda con aerei sofisticatissimi ed attacca con possenti carri armati un povero popolo armato di armi giocattolo è un nazista che sta compiendo un genocidio, chiaro?
S. Non ti scaldare caro Gianni, stiamo solo discutendo, pacatamente. Dimmi piuttosto: se sono armati solo di inoffensive armi giocattolo perché mai i militanti di Hammas attaccano Israele?
F. Cosa vuoi dire? Non ti seguo.
S. Come giudicheresti un ometto di quaranta chili che cerca di colpire con i suoi inoffensivi pugnetti il campione del mondo dei pesi massimi?
F. Lo giudicherei un folle
S. Magari con pulsioni suicide?
F. Forse...
S. E allora, perché mai i poveri, inoffensivi, palestinesi di Hammas, armati solo di armi giocattolo, attaccano un nemico tanto potente come Israele? Perché lanciano i loro miseri razzi contro questo gigante potentissimo, alleato di un altro gigante, ancora più potente? E perché mai lo fanno, se sanno che i criminali israeliani si vendicheranno colpendo senza ritegno innocenti civili? C'è chi dice che la loro è una cultura di morte, che cercano il martirio e son disposti a morire a migliaia pur di uccidere un solo israeliano. Altri dicono che sono ben lieti di avere tante perdite, perché, non potendo vincere sul piano militare, cercano di vincere su quello della propaganda, e piazzano volutamente rampe di missili giocattolo nelle vicinanze di scuole ed ospedali.
F. Menzogne, pure invenzioni della propaganda imperialista e sionista! In realtà i poveri palestinesi sono costretti ad una lotta tanto impari perché questo è l'unico modo che hanno di ribellarsi contro i nazisti israeliani che li tengono in schiavitù.
S. Fammi capire. Tu dici che gli Israeliani tengono in una condizione di schiavitù i palestinesi e questi, per cercare di uscire da una situazione tanto tragica, sono costretti ad accettare uno scontro impari, e a morire eroicamente. Questo tu dici?
F. Si, questo dico.
S. Chissà, può essere che tu abbia ragione...
F. Finalmente rinsavisci o Socrate! Iniziavo a pensare che anche tu fossi diventato schiavo della propaganda sionista!
S. Però... ho qualche dubbio, cerca di chiarirmi un po' le idee, nobile amico.
F. Altri dubbi? Strano, mi sembravi rinsavito. Comunque sarò ben lieto di chiarirti le idee.
S. Dimmi allora, o eccelso filosofo. Esisteva in America la schiavitù fino alla guerra di secessione?
F. Che domande, si.
S. Infatti, ed in molti paesi mussulmani la schiavitù è esistita fino alla metà dello scorso secolo, e c'è chi dice che in molti di quei paesi le donne siano di fatto, ancora oggi, schiave...
F. Basta con la propaganda o Socrate!
S. Non mi sembra propaganda, comunque... dimmi, è mai successo che un proprietario di schiavi abbia abbandonato la sua tenuta ed abbia lasciato i campi e la casa e le stalle con cavalli e buoi, e le galline ed i maiali ai suo schiavi?
F. Che io sappia no.
S. E se lo avesse fatto li si dovrebbe considerare ancora schiavi?
F. Mi sembrerebbe di no
S. E, hai mai saputo di schiavi che hanno un loro territorio e da quello lanciano razzi, contro le terre dei loro padroni?
F. Non ricordo un simile fatto.
S. E di schiavi che, nelle terre dei padroni, hanno loro chiese, loro partiti politici, loro giornali?
F. No, neppure questo ricordo.
S. E di padroni che non possono entrare in casa degli schiavi?
F. No, non mi pare sia mai successo nulla di simile
S. Ti sbagli nobile Fattimo. Questo succede a Gaza e in Cisgiordania ed in Israele.
F. Che dici mai o Socrate?
S. I palestinesi sono tenuti in schiavitù dagli Israeliani, dici. Però in Israele ci sono partiti Arabi, e deputati filo palestinesi siedono in parlamento. A suo tempo i padroni israeliani hanno abbandonato Gaza lasciandola ai loro schiavi palestinesi. E gli schiavi palestinesi amministrano anche una parte rilevante della Cisgiordania. Oggi da Gaza gli schiavi palestinesi bombardano i padroni israeliani. Ed a Gaza non c'è una sinagoga in cui i padroni possano pregare, mentre in Israele quasi duecento moschee sono a disposizione degli schiavi per le loro preghiere. E se qualcuno a Gaza, e forse anche nelle zone della Cisgordania controllate dai palestinesi, viene sospettato di essere amico dei padroni israeliani viene linciato dagli schiavi palestinesi. Si tratta di uno strano tipo di schiavi e di padroni, non ti pare?
F. O Socrate, confondi le carte in tavola e per farlo ti appiccichi alle parole, le interpreti in senso letterale...
S. Beh, le parole hanno un senso e schiavo vuol dire schiavo, tu hai usato questa parola...
F. In senso lato, metaforico e tu subito ti ci aggrappi perché sei a corto di argomenti. Io intendevo dire che i palestinesi sono oppressi, discriminati dagli israeliani, come lo erano i neri nel sud Africa razzista.
S. Quindi non di schiavitù ma di discriminazione si tratta.
F. Così è.
S. Benissimo. Mi permetti di farti qualche piccola domanda, così, per capirci meglio?
F. Permetto.
S. Dimmi allora, o sapiente. Cosa intendi tu per discriminazione?
F. Intendo il trattamento non paritario riservato ad individui o gruppi. I palestinesi ad esempio vengono costretti a vivere dietro ad un orribile muro, i loro movimenti sono limitati. Cosa si può pensare di più discriminante?
S. Se permetti del muro parleremo fra un attimo. Intanto devo dire che la tua definizione mi trova concorde. Si discrimina quando si trattano individui e gruppi in maniera non paritaria, quando ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B.
F. Benissimo, vedo che alla fine sei costretto a concordare con me.
S. Mah... non saprei. Dimmi o Fattimo, se per professare la mia fede io dovessi pagare una tassa mentre chi professa una fede diversa non ha simile obbligo, saremmo di fronte ad una discriminazione?
F. Non mi risulta che questo avvenga a Gaza.
S. E' avvenuto ed avviene in parti del mondo islamico, ma, lasciamo perdere. Non avviene a Gaza, dici, ma a Gaza è possibile costruire sinagoghe?
F. Mi pare di no.
S. Ed in Israele ci sono moschee?
F. Sembra di si
S. Sembrerebbe allora che siano i palestinesi a discriminare...
F. Propaganda, sofismi!!
S. Tralasciamo. Dimmi ora, a Gaza è possibile far propaganda filo israeliana?
F Ci mancherebbe altro.
S. Ed in Israele è consentita la propaganda filo palestinese?
F. Forse...
S. Di nuovo sono gli israeliani a non discriminare, ed i palestinesi a farlo...
F. Propaganda, sofismi!!
S. Tralasciamo. Dimmi ora, cosa succede a Gaza ad un apostata?
F. Forse rischia qualcosa
S. Si, forse, e, ad un omosessuale?
F. Beh, forse non se la vede bella...
S. Si, forse. E, ad una adultera?
F. Avrebbe dei problemi...
S. Si, probabilmente. Dimmi ora, rischiano qualcosa in Israele adultere, omosessuali e apostati?
F. Non mi pare...
S. E non rischia neppure chi è amico dei palestinesi e fa propaganda filo palestinese?
F. Non saprei.
S. Mettiamola così allora. Rischia di più un amico di Israele a Gaza o un amico dei palestinesi in Israele?
F. Non so... però... forse un amico di Israele a Gaza.
S. Allora, chi fa discriminazioni? Chi tratta l'altro in maniera non paritaria? I palestinesi o gli israeliani?
F. Basta o Socrate! Tu mistifichi, cambi le carte in tavola! Fai girare i concetti come trottole! I palestinesi sono discriminati perché sono segregati, costretti a vivere dietro ad un muro. Possibile che un simile orrore non susciti la tua indignazione?
S. Non ti agitare nobile amico. Ti vedo fremente e rosso in volto. Ma, noi stiamo solo discutendo, cerchiamo, insieme, la verità, quale che essa sia.
F. E nessuno può negare il dramma di un popolo costretto a vivere dietro ad un muro.
S. Dimmi, o Fattimo, perché a tuo parere si costruiscono i muri?
F. Che domande, o Socrate. Sembra quasi che tu dimentichi che stai parlando con un intellettuale, un filosofo.
S. Non lo dimentico affatto. Conosco la formidabile potenza del tuo ingegno, e per questo voglio, con te, approfondire le cose. Dimmi dunque, perché si costruiscono i muri?
F. E sia! Per delimitare degli spazi.
S. Ed anche per ripararli, difenderli, dai venti ad esempio, o dagli attacchi di animali selvaggi?
F. Si, anche per questo.
S. Ed anche per difendere certi territori da incursioni di individui o popoli nemici?
F. Si, anche per questo.
S. Ed è vero o falso che prima della costruzione del muro moltissimi palestinesi si sono fatti esplodere in autobu, pizzerie, asili e discoteche?
F. Si, pare che simili episodi siano avvenuti.
S. Non si potrebbe allora definire il muro una semplicissima opera difensiva?
F. No, assolutamente, perché gli attentati dei palestinesi erano solo una comprensibile reazione agli atti discriminatori di Israele.
S. Ma, abbiamo visto che sono semmai i palestinesi a compiere atti di discriminazione, mi riferisco agli apostati ammazzati, alle presunte spie israeliane linciate a Gaza, e a tante altre simili atrocità...
F. Ma no! Lo ripeto, il massimo atto di discriminazione è stato quello di costruire il muro! Dopo un simile gesto anche gli attentati si spiegano!
S. Quindi sarebbe stato il muro la causa degli attentati?
F. E' così.
S. Ma il muro è stato costruito dopo numerosi attentati, questo non puoi negarlo.
F. Attentati causati dalla discriminazione!
S. Ma è il muro il principale atto discriminatorio, tu lo hai detto. Quindi il muro, costruito dopo gli attentati, sarebbe la causa degli attentati stessi, non ti sembra di invertire l'ordine fra la causa e l'effetto, o sapientissimo amico?
F. Basta o Socrate! I tuoi giri di parole, i tuoi sofismi mi fanno girare la testa!
S. O no amico carissimo! Una testa potente come la tua deve essere preservata da ogni dolore!
F. Comunque nessun sofisma può cancellare la verità. E la verità è che a Gaza è in corso un genocidio. Dilettati pure Socrate con i muri e le discriminazioni e la schiavitù. Le cose non cambiano.
S Veramente sei tu che hai iniziato accusando gli israeliani di schiavismo, e poi di discriminazione e poi della più grave azione discriminatoria: la costruzione del muro. Io mi sono limitato a discutere, con te, queste tue accuse.
F. E ti sei dimenticato la cosa più grave di tutte: il genocidio in corso a Gaza.
S. A Gaza è in corso un genocidio?
F. Si, è così! Oltre duemila morti non sono forse un genocidio?
S. Veramente, negli attentati dell'undici settembre ci sono state oltre tremila vittime, e nessuno, neppure il governo americano, ha parlato di genocidio.
F. Paragoni assurdi, improponibili, indegni di un filosofo.
S. Lasciamo perdere. Dimmi o Fattimo, sbaglio o tu hai detto che gli israeliani sono potentissimi?
F. Certo, e lo ribadisco.
S. Hanno armi micidiali?
F. Si.
S. E vogliono usarle per massacrare quanti più palestinesi è possibile?
F. Si.
S. Ed è vero che Gaza è molto popolosa?
F. Si, il che rende più facile il compito dei boia israeliani.
S. Ma, non ti sembra che se davvero gli Israeliani volessero uccidere il più palestinesi possibile ne avrebbero uccisi, in oltre un mese di raid, ben più di duemila?
F. Non saprei...
S. Nella seconda guerra mondiale il bombardamento su Dresda causò, in una sola notte, dalle venticinquemila alle cinquantamila vittime, e le armi che si usavano nel 1945 erano assai meno distruttive di quelle che si usano oggi.
F. Così pare.
S. Nessuno ha mai parlato di genocidio riferendosi al bombardamento di Dresda, e neppure a quello di Tokio, e neppure ai due bombardamenti atomici subiti dal Giappone. Furono atti moralmente molto discutibili ma non dei genocidi. Mi spieghi allora perché dovremmo considerare genocidio le duemila vittime causate in oltre un mese di combattimenti a Gaza?
F Scusa, dove vuoi arrivare? Ti metti a fare la contabilità sui cadaveri?
S. Mi sembra che se davvero gli israeliani fossero intenzionati a compier un genocidio ci sarebbero decine, forse centinaia di migliaia di palestinesi morti, non duemila.
F. Ma che discorsi! Israele teme la condanna della opinione pubblica democratica di tutto il mondo e le reazioni della comunità internazionale. Per questo compie il genocidio dei palestinesi a piccoli passi.
S. Interessante questo concetto di genocidio a piccoli passi! Comunque, tu dici che Israele non fa maggiori massacri per timore delle reazioni dell'opinione pubblica democratica e della comunità internazionale?
F. Si, questo dico.
S. Ma, non ti sembra che ognuno tema le reazioni negative di coloro a cui si sente vicino?
F. Non ti seguo.
S. Ai militanti di Al Qaeda interessavano le reazioni della pubblica opinione democratica e della comunità internazionale quando hanno fatto crollare le torri gemelle?
F. Non saprei... forse no.
S. Ed ai militanti dell'Isis importano qualcosa le reazioni  ai filmati degli sgozzamenti di occidentali?
F. Sembra di no.
S. Ed i militanti di Boko Aran sono interessati alle reazioni della comunità internazionale e della pubblica opinione democratica quando rapiscono le donne e le spediscono negli Harem o le fucilano se non si convertono? O quando crocifiggono cristiani?
F. Forse no...
S. Potremmo dire che è interessato alla pubblica opinione democratica chi ne condivide i valori e teme le reazioni della comunità internazionale chi è e ne vuole restare membro?
F. Forse potremmo dirlo.
S. E fra le regole della comunità internazionale è contemplato il “diritto” a commettere genocidi?
F. Certo che no.
S. E il genocidio è un valore per la pubblica opinione democratica?
F, Certo che no.
S. Quindi, Israele, che è membro della comunità internazionale e condivide i valori della pubblica opinione democratica, non può volere commettere un genocidio. Ed infatti non ne commette alcuno, a meno di identificare con atto di genocidio l'uccisione di nemici in battaglia, con gli inevitabili, tristissimi effetti collaterali sui civili.
F. Ma no! Israele teme un intervento contro di lui della comunità internazionale, ha paura delle conseguenze, ecco perché non ammazza centinaia di migliaia di palestinesi!
S. Quindi, di fatto, non compie alcun genocidio.
F. Compie dei microgenocidi...
S. Nuovo interessante concetto. Peccato che Hitler, Stalin e Pol Pot non lo conoscessero...
F. Hai poco da ironizzare! Israele teme l'intervento militare della comunità internazionale. Israele è uno stato canaglia, teme solo la forza militare. Solo questo frena la sua mano omicida! Altro che pubblica opinione democratica, i sionisti temono le armi!
S. Interessante la tua tesi. Però, dimmi, quali armi Israele teme? Forse quelle delle "brigate internazionali" che tu vorresti formare? Lo ho letto in una tua intervista.
F. Magari si formassero queste brigate! Però, per ora non credo che Israele le tema. Purtroppo.
S. Allora teme l'intervento degli stati. Quali? La Russia? Putin potrebbe far la guerra ad israele?
F. Non credo, ha le sue gatte da pelare in Ucraina.
S. L'Unione europea?
F. Ma no!
S E ce la vedi la Cina che dichiara guerra ad Israele?
F. Non molto
S. Non restano che gli USA, per esclusione. Gli israeliani temono gli Usa. Forse addirittura un loro intervento altrimenti, quanto meno, il blocco degli aiuti militari ed economici. Sarebbero gli Stati Uniti a bloccare la politica genocida dei nazisti israeliani, ad impedir loro di uccidere due, trecentomila palestinesi, è così?
F. Si, forse si.
S. Ma, all'inizio del nostro dialogo non avevi detto che gli israeliani possono mettere in atto la loro politica di massacro grazie all'appoggio degli imperialisti americani?
F. Si, mi sembra di si.
S. Ed ora ipotizzi che i briganti americani mettano paura ai loro complici, i briganti israeliani?
F. Non saprei...
S. Quindi gli americani rendono nel contempo possibile ed impossibile il genocidio dei palestinesi, così stanno le cose?
F. Basta Socrate, la testa mi scoppia! Ti lascio.
S. No, non te ne andare! E' assai piacevole discutere con un filosofo del tuo calibro.
F. Addio Socrate.

lunedì 13 ottobre 2014

LIBERTA' PRIVATA E LIBERTA' PUBBLICA






Democrazia e libertà


Nell’uso comune i termini “libertà” e “democrazia” sono considerati quasi equivalenti. Un partito politico tempo fa coniò come proprio lo slogan: “libertà è democrazia”, proprio così, con la è accentata e sottolineata, a rimarcare l’identità fra i due termini. A parte questi eccessi, rivelatori quanto meno di una forte confusione mentale, si sente spesso parlare del valore di libertà e democrazia senza che fra esse venga fatta alcuna distinzione. Sembra a molti quasi ovvio affermare che dove vi è libertà là vi è democrazia e viceversa. Le cose però non sono tanto semplici: anche se collegate libertà e democrazia non sono coincidenti; almeno in teoria è possibile concepire una democrazia senza libertà ed una libertà senza democrazia. A prima vista la cosa può apparire paradossale ma non lo è.
Essere liberi significa poter disporre di uno spazio proprio. Io sono libero se posso decidere, scegliere; la mia libertà coincide con lo spazio al cui interno posso decidere e scegliere senza che altri mi  impongano nulla.
La democrazia invece non riguarda l’area al cui interno il singolo è padrone di decidere, riguarda il governo della cosa pubblica. La libertà ha a che fare con la domanda: “fin dove io ho il potere di decidere?” la democrazia con un’altra domanda, piuttosto diversa: “chi deve prendere le decisioni inerenti le scelte collettive? Chi deve governare la vita pubblica?”.
La democrazia ha a che fare con politica e nella politica è sempre presente un momento coercitivo. Si può vivere nella più ampia e tollerante democrazia del mondo, l’approvazione di una legge può essere la risultante del più libero dibattito, della più approfondita discussione che si possano immaginare, ma alla fine la legge è obbligatoria ed è obbligatoria per tutti. La democrazia vuole che a decidere sia la maggioranza, ma  le decisioni che la maggioranza prende sono imposte anche a chi non è d’accordo. In questo non c’è nulla di particolarmente negativo. Se occorre prendere decisioni che vincolino tutti e se non è possibile che su queste decisioni tutti concordino è inevitabile che queste assumano carattere coercitivo. Se questo non avvenisse non esisterebbe legge né regola alcuna ed i rapporti fra esseri umani sarebbero caratterizzati con ogni probabilità dalla più cruda violenza. Tutto questo però dimostra che il campo d’azione della democrazia è diverso da quello della libertà. E’ radicalmente diverso, potremmo dire, perché, in senso proprio, la libertà, inizia esattamente laddove finisce l’area delle decisioni collettive. Nell’area in cui io solo sono padrone la maggioranza non ha voce in capitolo, la discussione pubblica non è richiesta, le elezioni non hanno alcuna rilevanza.
Qualcuno potrebbe obbiettare che non si tratta tanto di differenza fra libertà e democrazia quanto fra diversi tipi di libertà: la libertà privata e la libertà pubblica o, come afferma Isaiah Berlin fra libertà positiva e libertà negativa. La democrazia, intesa in questo senso, coincide con la libertà pubblica, la libertà di decidere sulle questioni che riguardano tutti. Non si può che essere d’accordo, ovviamente. Questo però non elimina la sostanza del problema: chiamiamo pure libertà pubblica la democrazia e libertà privata la libertà, le cose non cambiano molto. Ed il mutamento terminologico non rende affatto veritiero, ad esempio, lo slogan: “libertà è democrazia”, non lo rende veritiero perché, in primo luogo, tale slogan instaura fra libertà pubblica e libertà privata una identità che non esiste e, in secondo luogo, perchè tale proclamata identità fa passare del tutto in secondo piano il problema delle garanzie che devono esistere a tutela della libertà privata. Se la libertà pubblica coincide con la libertà privata come proteggere la seconda dalle incursioni della prima che ha, non dimentichiamolo, il potere di imporre con la forza le sue decisioni? E’ il grande problema del garantismo liberale.

Nella vita di ognuno di noi esiste una fondamentale dimensione pubblica, non a caso Aristotele ha definito l’uomo animale politico e sociale oltre che razionale, ed è importante che ad ognuno di noi sia garantita la libertà pubblica. La democrazia consente a tutti di partecipare alla vita politica ed è perciò un valore ed un bene prezioso; non è l’unico però. Se è bene disporre della libertà politica è molto pericoloso ampliare senza limiti l’area delle decisioni politiche ed è ancora più pericoloso non rendersi conto dell’esigenza di tutelare la libertà privata dalle incursioni della politica, sia pure della più democratica delle politiche.
“Vi sino alcuni” scrive Alexis de Tocqueville “che hanno osato affermare che un popolo, nelle questioni che interessano lui solo, non può mai, per definizione, uscire dai limiti della giustizia e della ragione, e quindi non si deve temere di dare tutto il potere alla maggioranza che lo rappresenta. Ma questo è un linguaggio da schiavi. Cos’è infatti una maggioranza, presa collettivamente, se non un individuo che ha opinioni e più spesso interessi contrari a quelli di un altro individuo che si chiama minoranza? Ora, se si ammette che un uomo, investito di potere assoluto, può abusarne contro i suoi avversari perché non ammettere la stessa cosa per una maggioranza? (…) un potere onnipotente, che io rifiuto a uno dei miei simili, non l’accorderei mai a parecchi” (1). La maggioranza deve avere potere, deve poter legiferare, ma non può disporre di un potere assoluto, senza limiti. Deve rispettare i diritti delle minoranze e degli individui. “L’onnipotenza è in sé cosa cattiva e pericolosa.” prosegue Tocqueville “Il suo esercizio mi sembra al di sopra delle forze dell’uomo, chiunque egli sia; e non vedo che Dio che possa senza pericolo essere onnipotente. (…) Non vi è dunque sulla terra autorità tanto rispettabile in sé stessa o rivestita di un diritto tanto sacro, che io vorrei lasciar agire senza controllo e dominare senza ostacoli. Quando io vedo accordare il diritto e la facoltà di far tanto ad una qualsiasi potenza, chiamasi essa popolo o Re, democrazia o aristocrazia, sia che esso si eserciti in una democrazia o in una repubblica, io affermo che là vi è il germe della tirannide.” (2)
Il potere, anche il potere della maggioranza, deve essere limitato. Deve incontrare limiti all’interno dell’area politica (la maggioranza non può ledere i diritti delle minoranze), e deve rispettare norme che delimitino l’area stessa della politica. C’è chi ha affermato che queste posizioni di Tocqueville riflettono il suo carattere conservatore, la sua nostalgia per il regime aristocratico, ma si tratta di una distorsione del suo pensiero. Tocqueville ha sempre dimostrato simpatia per l’aristocrazia, era lui stesso un nobile, ma ciò che contrappone al pericolo di un governo assoluto della maggioranza è la democrazia liberale, non un impossibile ritorno al vecchio regime. L’ideale del grande pensatore francese è il governo costituzionale, limitato, non il predominio della casta aristocratica, di cui comunque riconosce i meriti storici.

Molto tempo dopo la pubblicazione della “Democrazia in America” in cui sono contenute le critiche di Tocqueville al potere illimitato della maggioranza, il già citato filosofo liberale Isaiah Berlin si faceva promotore di posizioni simili. “Alcuni dei miei critici” afferma Berlin “si indignano al pensiero che una persona (..) possa godere di maggior libertà negativa sotto il dominio di un despota indolente o inefficiente che in una democrazia decisamente egualitaria, ma rigida. Me esiste un significato ben preciso in cui si può dire che Socrate avrebbe avuto maggiore libertà – almeno di parola ma anche di azione – se, come Aristotele, fosse fuggito da Atene invece di accettane le leggi, quelle buone e quelle cattive emanate ed applicate dai suoi concittadini nella democrazia di cui faceva parte a pieno titolo e che accettava coscientemente. Allo stesso modo un individuo può abbandonare uno stato a democrazia realmente partecipata, in cui le pressioni sociali e politiche siano per lui soffocanti e preferire un clima in cui può darsi minor partecipazione civile ma più privacy, una vita comunitaria meno dinamica e coinvolgente, meno socievolezza ma anche minor sorveglianza.” (3)
La pacata ma severa critica di Berlin ad ogni tipo di potere che soffochi l’autonomia dell’individuo non spinge il filosofo liberale a negare il valore positivo della libertà politica o a non vedere quanto la stessa libertà privata sia fragile ed instabile in regimi politicamente autoritari: “Il dispotismo in quanto tale è irrazionale e ingiusto e degradante perché nega i diritti umani, anche se i suo sudditi sono contenti” (4), inoltre “qualunque libertà negativa di cui si possa godere in un dispotismo tollerante e inefficiente è precaria o limitata a una minoranza” (5). Resta il fatto che la situazione descritta, quella cioè di una democrazia onnipotente che soffoca o riduce in maniera soffocante l’autonomia individuale è non solo possibile ma anche decisamente poco gradevole. La soluzione passa, ancora una volta, per la via stretta ma realistica della convivenza di principi e valori non contraddittori ma diversi: una libertà individuale ampia ma non anarchica si accorda perfettamente con una democrazia forte ma non onnipotente. E’ la strada percorsa dalle grandi democrazie dell’occidente, la strada della democrazia liberale.





Note

1) Alexis de Tocqueville: La democrazia in America. In I Grandi filosofi, Tocqueville. Ed Il sole 24 ore. 2006 pag. 480-481.

2) Alexis de Tocqueville: Opera citata pag. 482.

3) Isaih Berlin: Quattro saggi sulla libertà, Feltrinelli 1989, pag. 55

4) Isaiah Berlin: Opera citata pag. 55

5) Isaiah Berlin: opera citata pag. 55




 
Alcune interpretazioni

Se libertà e democrazia non coincidono non sono però neppure in contraddizione fra loro, anzi, storicamente le uniche democrazie che hanno saputo affermarsi sono le democrazie liberali. Oggi in praticamente tutti gli stati democratici i fondamentali diritti della persona vengono riconosciuti e garantiti. Laddove questo non avviene, come nei pochi paesi islamici in cui esiste un simulacro di istituzioni democratiche la democrazia è, appunto, ridotta a simulacro.
Il filosofo americano Stephen Holmes sostiene, anche in polemica con Berlin, tesi di questo genere. Per Holmes non esiste democrazia senza regole. La democrazia assembleare non è vera democrazia. Senza elezioni regolari che coinvolgano tutta la popolazione, senza regole per il dibattito, rispetto per le minoranze e gli individui non esiste democrazia. Le regole liberali poste a difesa della libertà privata si accordano perfettamente con le procedure democratiche. Potrebbe esistere democrazia se la maggioranza avesse il potere di opprimere la minoranza? O se gli esponenti della minoranza potessero essere arrestati arbitrariamente, la loro posta controllata, la loro privacy violata? E, al contrario, sarebbero solide le libertà individuali se tutto il potere fosse concentrato nelle mani di un despota non sottoposto ad alcun controllo e in grado di prendere le decisioni più arbitrarie? No, evidentemente. “Non esiste” afferma Holmes “una scelta collettiva al di fuori di tutte le procedure e le istituzioni precedentemente scelte. Le elezioni con cui i partiti politici in lizza conquistano il potere o lo perdono e il confronto pubblico condotto in larga misura mediante una stampa libera e pluralistica dipendono entrambi dal fatto che il costituzionalismo liberale ha messo solide radici. Questa considerazione suggerisce l’idea che in uno stato moderno il liberalismo è condizione necessaria, ma non sufficiente dell’esistenza di un qualche grado di democrazia” (1)
E’ difficile non concordare con queste posizioni. Solo se liberale la democrazia riesce ad essere davvero democratica, separata dal riconoscimento e dalla tutela delle libertà civili la democrazia degrada rapidamente in tirannide. Però è impossibile negare che sia esistita ed esista una fortissima tendenza a separare democrazia e libertà e siano esistite sia esperienze storiche che teorizzazioni di una democrazia non liberale. Una cosa è evidenziare la debolezza di certe teorizzazioni o constatare il carattere fallimentare di certe esperienze, altra cosa negarle: Rousseau, ad esempio, costituisce il caso tipico di un pensatore democratico ma non liberale, anzi, ferocemente antiliberale. Il ginevrino teorizza insieme la democrazia assembleare e la proibizione delle rappresentazioni teatrali, un’ampia partecipazione democratica a tutte le scelte rilevanti e la proibizione dei partiti politici, il controllo dal basso sugli eletti e una forte ingerenza dello stato nella vita privata dei cittadini. Il suo pensiero è contraddittorio? Forse, ma non necessariamente. E’ quanto meno ipotizzabile una società caratterizzata da un altissimo grado di coesione e conformismo in cui esiste una autentica partecipazione popolare alla vita pubblica e insieme una limitazione inaccettabile dell’area delle libertà private. In nessuna democrazia liberale sarebbe possibile qualcosa come il processo a Socrate ma sarebbe sbagliato negare che l’antica Atene fosse una democrazia. E, per venire a tempi meno remoti, nei territori palestinesi esiste una certa democrazia, si svolgono addirittura elezioni semi regolari, ma i disgraziati che sono sospettati di essere spie degli israeliani vengono praticamente linciati al termine di processi burla. Prima o poi queste situazioni sono destinate ad essere superate? Evolveranno verso una qualche forma di democrazia liberale o regrediranno verso forme di spietata tirannide? Probabilmente si, ciò non toglie che di esperienze reali si tratti. La democrazia liberale è il regime politico in cui forse la maggioranza degli esseri umani vorrebbero vivere, questo però non elimina il fatto che centinaia di milioni di esseri umani vivano, e a molti piaccia vivere, in regimi del tutto diversi e che in alcuni di questi regimi esistano forme distorte ed illiberali di democrazia.

Holmes sostiene anche che le democrazie liberali sono, al contrario di quanto comunemente si pensa, assai forti, più forti, soprattutto nei momenti davvero difficili, dei regimi autoritari e totalitari. La limitazione del potere statale non fa di questo un potere debole, al contrario lo rafforza. Il filosofo liberale americano ripropone, sul problema della forza dello stato liberale un parallelismo simile a quello fatto fra libertà e democrazia. Così come libertà e democrazia si rafforzano e si sostengono a vicenda, le istituzioni democratico liberali e la forza dello stato, ben lungi dal configgere sono complementari. La democrazia liberale rafforza lo stato ed uno stato sufficientemente forte è un ottimo presidio dei diritti liberali.
“Sorprendentemente una piccola isola non lontana dalle coste nord occidentali dell’Europa dominò oltre un terzo del globo. Non c’è alcun senso serio in cui si possa dire che la patria del liberalismo politico abbia dato prova di debolezza. La verità è anzi che la Gran Bretagna si è rivelata così forte da saper perdere il suo impero senza subire alcun collasso politico interno” (2) Non è casuale una simile manifestazione di forza da parte di uno stato il cui potere è limitato e rispettoso della libertà dei cittadini. “L’oppressione” infatti “indebolisce lo stato. L’intolleranza approfondisce i conflitti confessionali e spinge i cittadini operosi ad emigrare. La censura blocca il flusso delle informazioni, che sono un innesco vitale per il governo di un grande paese. Le punizioni eccessive e crudeli opprimono lo spirito dei comuni cittadini così privando il governo della loro attiva collaborazione. I regolamenti oppressivi sui commerci comprimono la ricchezza privata che alla fine avrebbe potuto essere drenata a vantaggio delle finanze pubbliche. Una politica liberale è molto più adatta di una tirannica a stimolare la cooperazione dei cittadini nel perseguimento di obiettivi comuni.” (3)
La libertà oltre ad essere in sé un valore è conveniente allo stato, ne accresce invece che diminuirne la forza. Nelle società libere esistono solo pochi obiettivi comuni ma su tali, limitati, obiettivi è possibile raggiungere un consenso di massa che manca in società in cui tutto o quasi è pubblico e l’area di autonomia dei singoli è terribilmente compressa. Uno stato che persegue pochi ma importanti obiettivi è più efficiente, più forte e più ricco di uno stato che pretenda di regolare tutto; governare col consenso e la fiducia dei governati è più semplice ed efficace che governare col terrore. E, anche in questo caso, il discorso si può invertire. Uno stato forte ed autorevole è un presidio insostituibile dei diritti liberali. “Violare i diritti liberali significa disobbedire allo stato liberale. In una condizione di assenza di sovranità, i diritti possono essere immaginati ma non sperimentati. In una società con uno stato debole, per esempio nel Libano del decennio appena trascorso, o virtualmente priva di uno stato, per esempio nella Somalia di oggi, (lo scritto di Holmes è del 1995, nota di B.) i diritti o non esistono o restano in larga misura lettera morta.” (4)

Ancora una volta è difficile dissentire dalle tesi di Holmes, tuttavia è bene tener presente che, se estremizzate, tali tesi possono portare a conclusioni assai discutibili. E’ vero che il riconoscimento e la tutela delle libertà individuali rafforzano e non indeboliscono lo stato, l’esempio della Gran Bretagna fatto da Holmes è a questo proposito assai convincente. Ma, il rafforzamento dello stato è il fine principale, l’obiettivo primario da perseguire o non è invece la libertà a dover essere perseguita in quanto tale? In altre parole, la libertà va tutelata per sé stessa o perché grazie ad essa lo stato diventa più forte? Non è una questione di lana caprina. Se un ulteriore rafforzamento dello stato potesse essere perseguito a spese della libertà andrebbe comunque ricercato? La separazione dei poteri, il riconoscimento delle libertà individuali, il garantismo vanno difesi perché rendono forte lo stato o al contrario è la forza dello stato ad essere desiderabile in quanto tutela più efficacemente libertà dei singoli, garantismo, separazione dei poteri? La forza di uno stato non è in quanto tale un obiettivo sempre desiderabile, è fondamentale stabilire di quale stato si desidera la forza. Se uno stato totalitario si dimostrasse più forte di uno liberal democratico, occorrerebbe aumentare la forza dello stato liberal democratico, non certo renderlo meno liberale e meno democratico per farlo più forte. Ed ancora, è vero che assai spesso gli stati liberali e democratici sono anche forti ma ciò non è vero sempre e comunque. Le democrazie occidentali hanno sconfitto il nazismo, è vero, ma lo hanno fatto solo dopo una guerra lunga ed estremamente sanguinosa e dopo che una democrazia come la Francia è stata travolta dalle armate di Hitler e un’altra come l’Inghilterra è stata costretta in una posizione di inferiorità che non le avrebbe mai consentito di vincere da sola il conflitto. Soprattutto le democrazie occidentali hanno vinto la guerra contro nazismo anche grazie all’alleanza con una potenza totalitaria come l’Unione Sovietica che è uscita trionfatrice dalla guerra e si è espansa a macchia d’olio dopo il 1945, costringendo interi popoli a gustare le delizie del comunismo staliniano.
Democrazie e libertà sono fattori di forza ma non bastano da soli a dare ai paesi liberi una superiorità decisiva sui loro nemici. Fondamentale a questo proposito è l’adesione di larga parte dei popoli liberi ai valori fondanti le loro società. Se democrazia e libertà si trasformano in relativismo culturale, se la tolleranza viene scambiata con l’accettazione di tutto, se il giusto riconoscimento degli errori, ed anche degli orrori, della propria civiltà diventa incapacità di vedere e criticare errori ed orrori altrui, la forza delle società libere declina rapidamente, molto rapidamente. L’incertezza, il balbettio confuso con cui larga parte dell’occidente ha reagito e reagisce all’attacco dell’integralismo islamista è a questo proposito un sintomo quanto mai preoccupante. La libertà è forte quando c’è gente disposta a combattere per la libertà, se questo non avviene la libertà è debole, molto debole.

Holmes riduce, come si è visto, le distanze fra libertà e democrazia dimostrando (o cercando di dimostrare) che questi valori sono complementari e non possono, se correttamente intesi, entrare in conflitto fra loro. Un grande pensatore dello scorso secolo, Karl Raimund Popper, annulla praticamente la distanza fra questi valori ma lo fa seguendo una strada del tutto diversa, da quella seguita da Holmes. Per Holmes i diritti liberali rafforzano la democrazia, per Popper tali diritti vengono praticamente ad identificarsi con la democrazia.
Si è detto che la democrazia ha a che fare con la domanda: “chi deve prendere le decisioni che riguardano tutti?” o, più celermente: “chi deve governare?” mentre la libertà riguarda la domanda: “fino a dove si estende l’area in cui io solo posso decidere?”. Si tratta come si vede di domande diverse volte a tutelare valori ed esigenze diverse: nel primo caso la partecipazione di tutti alle scelte collettive, nel secondo l’area dell’autonomia individuale. Il problema del garantismo liberale riguarda i rapporti fra questi valori e queste esigenze diverse. Il garantismo parte dal franco riconoscimento che un momento coercitivo è presente in ogni scelta politica e si preoccupa di fissare limiti volti ad impedire che tale momento possa espandersi troppo. Popper invece ritiene che il garantismo non sia tanto una dottrina dei limiti del potere democratico quanto la caratteristica fondamentale di tale potere. La domanda “Chi deve governare?” è per Popper una domanda intrinsecamente sbagliata ed il solo porsela lascia aperta la strada a involuzioni autoritarie. Coloro che si pongono la domanda: “chi deve governare?” hanno una concezione potenzialmente totalitaria della politica. “presuppongono che il potere politico sia, per essenza, sovrano. Se si parte da questo presupposto allora, evidentemente, la domanda: chi deve essere il sovrano è la sola domanda importante a cui si deve rispondere” (5). Ma il vero problema non è, per Popper, quello di stabilire chi deve governare ma come si deve governare, con quali limiti, quali controlli, quali contrappesi all’azione di governo. Occorre “sostituire alla vecchia domanda: chi deve governare? La nuova domanda: Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi e incompetenti facciano troppo danno?” (6). Il governo maggioritario non è buono in sé ma è da scegliere perché permette un controllo periodico sull’attività dei governi, la democrazia non è qualcosa di positivo in quanto tale ma solo in quanto consente di resistere alla tirannide: ”La teoria alla quale intendo riferirmi è una teoria che non discende dall’intrinseca bontà o legittimità del governo maggioritario ma piuttosto dall’illegittimità della tirannide; per essere più precisi è una teoria che si fonda sulla decisione, o sull’adozione della proposta, di evitare la tirannide, di resistere ad essa”.(7)

Da quanto precede è fin troppo evidente il legame fra il Popper politico ed il Popper epistemologo: una teoria scientifica non può mai essere definita “vera” ma al massimo non (ancora) falsificata, allo stesso modo la democrazia non è qualcosa di positivo ma una condizione per evitare qualcosa di negativo: la tirannide. Ma, ritenere provvisoriamente “non falsa” una teoria scientifica non equivale in qualche modo a ritenerla, almeno provvisoriamente, vera? E definire indesiderabile la tirannide non significa in qualche modo ritenere buona la democrazia? Poter partecipare, partecipare in positivo, alle decisioni che riguardano tutti non è un valore? Non risponde ad una esigenza umana profonda? Certo, non è l’unico valore, occorre evitare che l’area del pubblico invada e annichilisca quella del privato. Popper ha mille ragioni quando difende il garantismo liberale, si preoccupa dei limiti all’azione del governo, dei pesi e contrappesi. Il limite della concezione di Popper emerge però quando egli tenta di assorbire la domanda relativa a chi deve governare nell’altra domanda relativa al come si deve governare. Interessato, giustamente, al garantismo Popper si spinge fino a ritenere che sia poco importante stabilire chi deve governare e giunge ad affermare che porsi una tale domanda porta ad una china autoritaria. Ma le cose non stanno così. Non stanno così in primo luogo perché, come lo stesso Popper ammette, il fatto che governi qualcuno e non qualcun altro (il popolo o un principe ereditario ad esempio) non è senza conseguenza sulla possibilità o meno che esistano vincoli all’azione di governo: le elezioni periodiche sono un vincolo e nelle elezioni periodiche il popolo esprime la sua volontà. E, in secondo luogo, le cose non stanno così perché il partecipare alle scelte pubbliche è in se un valore, anche se non l’unico o l’assolutamente prioritario. Anche se possono sembrare simili le concezioni di Popper e Berlin sono diverse. Teorizzando il possibile contrasto fra libertà negativa e libertà positiva Berlin parla di due valori, due libertà, e difende la prima dalle possibili incursioni della seconda. Popper cerca invece di risolvere il problema dei possibili contrasti fra le due libertà assorbendo praticamente la seconda nella prima, ma incorre in questo modo in un errore speculare, anche se forse meno grave, a quello in cui cadono i teorici della sovranità che egli critica. Mentre per questi se è il popolo a comandare non si pongono problemi di vincoli e garanzie all’azione de governo, per Popper se questi vincoli e garanzie esistono il problema di chi governa diventa ipso facto secondario. I due problemi sono invece entrambi importanti. E’ giusto che governino coloro che sono interessati alle scelte pubbliche, in breve, il popolo decidendo a maggioranza, ed è giusto che il governo popolare non sia illimitato, sia costretto a rispettare le minoranze e gli individui. Eliminare un problema non significa risolverlo.







Note

1) Stephen Holmes: Passioni e vincoli. Edizioni di Comunità 1998. Pag. 14

2) Stephen Holmes: Opera citata pag. 26. Sottolineatura di Holmes.

3) Stephen Holmes: Opera citata pag. 27.

4) Stephen Holmes: Opera citata pag. 27.

5) Karl Raimund popper: La società aperta e i suoi nemici. Armando 1981 pag. 175.

6) Karl Raimund Popper: Opera citata pag. 174.

7) Karl Raimund Popper: Opera citata pag. 178.