venerdì 2 agosto 2019

UNIVERSALISMO E NON DIFFERENZA

L'universale. E' uno degli argomenti più discussi nella storia del pensiero occidentale. Dalle idee di Platone alla forma aristotelica, dalla disputa medioevale fra realisti e nominalisti fino alle categorie kantiane si tratta di un tema ricorrente, sempre affrontato, da numerosi e mutevoli punti di vista. Trattare con un minimo, solo un minimo, di profondità di un simile percorso storico è impresa nettamente superiore alle forze di chi scrive. Mi limiterò quindi a discutere non degli universali ma dell'universalismo, cioè di una specifica dottrina socio-politica e filosofica, e lo farò in maniera molto limitata, con riferimento al dibattito politico attuale, nulla di più.

Il vero dell'universalismo. 


Da un certo punto di vista un liberale democratico non può che essere universalista.
Per universalismo possiamo intendere quella concezione secondo cui esistono alcune norme razionali, alcuni valori etici e, forse, alcuni criteri di giudizio estetico che valgono per gli esseri umani in quanto tali, indipendentemente dal loro sesso, dalla loro razza od etnia, dalla cultura o civiltà di appartenenza e dal periodo storico in cui vivono o sono vissuti.
Se non esistessero norme razionali interculturali, valide per gli esseri umani
in quanto tali, non potremmo capire nulla che vada oltre il nostro tempo e la nostra cultura. Ci sarebbe inesorabilmente preclusa la comprensione delle filosofie di Aristotele o di Confucio, espressioni di epoche storiche e civiltà lontanissime da noi nel tempo e nello spazio. Non potremmo neppure paragonare differenti civiltà e periodi storici; al limite non potremmo neppure dire che la attuale civiltà occidentale è diversa dalla civiltà cinese classica. Posso dire che il Monte bianco è più alto del Cervino solo se applico ad entrambi lo stesso strumento di misura. Posso affermare che la civiltà occidentale è diversa da quella cinese solo se per lo meno termini come “civiltà” o “diverso” hanno lo stesso significato in entrambe. Se “civiltà” significasse in occidente ciò che noi attribuiamo in maniera immediata a questo termine e significasse invece “torta alla crema” nella civiltà cinese qualsiasi paragone fra le due sarebbe impossibile compreso il semplice stabilirne la diversità.
Se non esistessero alcuni, pochi, valori etici
potenzialmente in grado di interessare gli esseri umani in quanto tali noi non potremmo, letteralmente, dare alcun giudizio etico su nulla.
Tutto ciò che gli esseri umani fanno è interno a qualche cultura. Se questo rendesse impossibile ogni giudizio etico dovremmo accettare tutto, ma proprio tutto.
Una società schiavista dovrebbe essere giudicata non “peggiore” ma solo “diversa” da una in cui lo schiavismo sia stato abolito. La lapidazione delle adultere sarebbe sullo stesso piano di una pratica di divorzio. Gli stessi crimini nazisti perderebbero il loro carattere mostruoso. In fondo il nazismo è stato, a modo suo, una cultura e, nel suo ambito, il genocidio del popolo ebraico era considerato non un crimine orrendo ma una positiva misura di igiene razziale.
Val la pena su questo punto di fare una rapida precisazione. Il fatto che noi oggi possiamo condannare usi e costumi di civiltà lontane nel tempo
non implica che siamo autorizzati a considerare “criminali” gli esseri umani che vissero in epoche storiche remote e che quelle pratiche invece le accettavano. Proprio perché in possesso di norme razionali sovra culturali possiamo capire le ragioni di questa accettazione, i motivi che potevano spingere gli esseri umani a rendersi schiavi a vicenda. Lo schiavismo è eticamente sbagliato, oggi come ai tempi di Aristotele, questo però non può spingerci a considerare “criminale” lo stagirita perché giustifica filosoficamente la schiavitù. Farlo vuol dire ignorare completamente i condizionamenti che l'ambiente socio economico e culturale pone al pensiero umano. Il discorso è, ovviamente, radicalmente diverso nel caso dei crimini di un Hitler, di uno Stalin o di un Mao, vissuti in epoche successive alla universale affermazione dei diritti dell'uomo. Loro possono, anzi, devono essere considerati criminali a tutti gli effetti, senza sconti o giustificazioni.
Infine, anche se è difficile giustificare teoricamente la cosa, sembra che esistano criteri sovraculturali di valutazione estetica. I poemi omerici sono espressione di una cultura definitivamente tramontata, eppure sono incredibilmente belli, conservano intatto il loro fascino anche a secoli, millenni di distanza. Considerazioni simili possono farsi per la poesia di Dante o le tragedie di Shakespeare.

Esistono quindi una razionalità genericamente umana, alcuni, pochi, valori etici che, almeno potenzialmente, possono interessare gli esseri umani in quanto tali ed alcuni criteri di valutazione estetica semplicemente umani. Negare cose simili vuol dire cadere in un relativismo nichilista che distrugge alla radice ogni possibilità di confronto ed intesa fra gli uomini, trasformare ogni civiltà, cultura, nazione, al limite ogni individuo, in una monade senza finestre sul mondo. Ben lungi dal rendere possibili il confronto ed il dialogo col diverso il relativismo “forte” li rende impossibili. In questo senso ben venga l'universalismo.
 


L'eliminazione del particolare.  

Non è questo però il senso di ciò che oggi molti chiamano, con una certa approssimazione, “universalismo”.
L'universalismo vero non distrugge il particolare e l'individuale, non elimina le differenze fra gli esseri umani, meno che mai li rende intercambiabili
. Correttamente inteso l'universalismo consente il relazionamento delle differenze, che è cosa completamente diversa dalla loro scomparsa.
Mai, in nessuna epoca storica, in nessuna parte del mondo qualcosa è stata fatta “
dall'uomo”. Ogni cosa, sempre, ovunque è stata fatta da quel certo uomo o da quei certi uomini. Nel concreto l'uomo non esiste, esiste quel certo uomo, con determinate caratteristiche fisiche e biologiche, nato in una certa parte del mondo, in un determinato periodo storico, dentro determinati rapporti sociali, in una certa nazione, cultura, civiltà. Si eliminino l'individuale ed il particolare e l'uomo scompare.

Il vero universale non nega, non può negare, l'individuale ed il particolare perché l'esistenza di individuale e particolare ed è il presupposto stesso della universalità. Semplicemente li trascende. Di me si può dire che sono nato in un certo posto, in una certa epoca storica, in una certa famiglia, dentro determinati rapporti sociali, collocati a loro volta in una certa nazione, cultura, civiltà. E,
in più, si può dire che sono un uomo.
Si possono fare considerazioni analoghe trattando delle realizzazioni della umana creatività. La filosofia greca è, appunto,
greca. Perderemmo molto della sua comprensione se cercassimo di trascurare questo particolare essenziale. Ma i dialoghi di Platone o la metafisica di Aristotele non sono solo qualcosa di greco. Parlano anche all'uomo di oggi. Sono greci, ma vanno oltre il loro essere greci, sono universali, universali di un universalismo correttamente inteso, quello che va oltre il particolare senza pretendere di negarlo. Nulla è più stupido, a ben vedere le cose, di una simile negazione. Visto che la filosofia di Platone parla anche all'uomo di oggi, potrebbe dire qualcuno, allora il suo appartenere alla cultura greca è solo un dettaglio privo di importanza. E' vero esattamente il contrario: il fatto che la cultura greca abbia prodotto una filosofia capace di parlare anche all'uomo di oggi dimostra la grandezza di quella cultura. Una cultura che riesce ad andare oltre se stessa non nega ma esalta la propria particolarità.

E' proprio questa invece la caratteristica dello pseudo universalismo in voga ai nostri giorni nell'occidente in crisi.
L'universale elimina il particolare. Visto che esistono norme razionali, valori etici, criteri di giudizio estetici genericamente umani, visto che la morale ci impone di considerare tutte egualmente degne di rispetto le persone, “allora” ciò che ci fa diversi è privo di qualsiasi importanza. Culture, civiltà, etnie, razze, nazioni o non esistono o diventano dettagli insignificanti.
L'Europa è in crisi demografica? Nessun problema, si fanno entrare nel nostro continente alcune decine (o centinaia) di milioni di africani e tutto si risolve. Il fatto che questi africani abbiano culture, tradizioni, sensi di appartenenza del tutto diversi dai nostri non ha rilevanza alcuna. Sono uomini no? Il resto non conta.
E non finisce qui. La smania di eliminare le differenze si estende oltre l'ambito socio-culturale. Le differenze fra i sessi non esistono. Il sesso non è una caratteristica essenziale degli esseri umani ma una scelta fra le tante. Si può decidere del proprio sesso più o meno come si decide se comprare o meno una certa merce al supermercato. Visto che maschi e femmine hanno la stessa dignità morale, “allora” (
ALLORA!!!) non esiste differenza alcuna fra l'essere maschi e l'essere femmine. Il ruolo diverso e complementare dei sessi nella riproduzione della specie è negato, diventa un “costrutto sociale”. In rete appaiono spesso foto di uomini barbuti con un bel pancione ed il volto sorridente tipico delle madri in dolce attesa. L'uomo non può partorire... e chi lo dice? Solo dei sessiti omofobi e reazionari possono sostenere una simile menzogna!
La famiglia segue la stessa sorte. La famiglia detta “tradizionale” formata da un uomo, da una donna e da un certo numero di figli è messa sullo stesso piano di qualsiasi altra forma di convivenza. Il padre e la madre sono sostituiti dai genitori uno e due, domani potrebbero aggiungersi i genitori tre, quattro, cinque. Già... perché attribuire tanta importanza al numero due? Alla
coppia? Se tutte le forme di convivenza fra esseri umani sono sullo stesso piano della famiglia perché non dovrebbero esistere famiglie composte da tre uomini e quattro donne? Qualcuno, un deputato del Movimento 5 stelle mi pare (ma guarda un po'), è addirittura arrivato a teorizzare il matrimonio fra uomini ed animali, ovviamente “consenzienti”. Ma si... perché no?
Già, gli animali. La distinzione fra uomo ed animale segue la stessa sorte delle altre. L'uomo non ha alcuno status etico particolare, è sullo stesso piano non solo di cani e gatti ma anche di lombrichi e sardine. Tutti gli esseri senzienti sono sullo stesso piano. Mangiare un pollo è un crimine orrendo come mangiare un bambino.
E c'è, ovviamente, chi si spinge addirittura oltre. Non solo tutti gli esseri
senzienti ma tutti gli esseri viventi sono da mettere sullo stesso piano. Per qualcuno l'eguaglianza deve estendersi ancora. Tutti gli enti esistenti hanno dignità etica, umani, animali, vegetali o minerali che siano. C'è una logica folle in questi deliri. Se non esiste differenza etica fra un uomo ed un topo perché dovrebbe esisterne una fra un topo ed un abete secolare? O fra un abete e la montagna su cui questo pianta le sue radici? E' superfluo ricordare che simili follie non hanno nulla a che vedere con la condivisibile, umana esigenza di salvaguardare mari, monti e fiumi, fauna e flora. Ovviamente.

Possiamo chiamare quella dominante oggi in occidente la
ideologia della non differenza.
Si tratta di una autentica perversione del vero universalismo. Tutto è uguagliato. Stati nazioni, culture civiltà, salute e malattia, sessi, uomini ed animali non esistono più. O meglio, esistono privi del loro spessore ontologico. La disabilità perde il suo carattere dolorosamente tragico, si trasforma in “diversa abilità”. I sessi esistono solo come strumenti del gioco erotico, privi di rilevanza in quel fatto enorme che è la riproduzione della specie. Le culture esistono solo quale fatto folcloristico. E' divertente incrociare, passeggiando, una donna in burka, un po' come ammirare un bel vestito in una elegante vetrina del centro cittadino. Gli animali esistono solo come oggetto di cinguettante ammirazione. In montagna ho visto un orso! Ma che bello! Gli ho dato da mangiare un panino... che emozione! Nella generale imbecillità si dimentica un piccolo, insignificante, particolare:
l'orso non è un uomo e forse non ama i panini. E' un formidabile predatore capace di staccare la testa ad un uomo con una zampata, fregandosene della generale, indistinta non differenza fra gli enti...
E, ovviamente, la ideologia della non differenza ha nella difesa delle migrazioni il suo centro nevralgico. Stati e nazioni non esistono, quindi non esistono, non devono esistere, confini e frontiere. “Ponti, non muri”. “L'Italia è di chi ne calpesta il suolo”. “Siamo tutti italiani”. “Nessuno è straniero”. Sono solo alcuni degli slogan strillati da baldi giovanotti nella varie manifestazioni “antirazziste”. Baldi giovanotti cui sfugge l'elementare verità logica secondo cui se “tutti siamo italiani” o se “nessuno è straniero” gli italiani, e con loro gli stranieri, semplicemente cessano di esistere. E non esiste l'Italia se questa è di chi ne calpesta il suolo. Una simile “Italia” non ha un territorio delimitato da frontiere, un popolo diverso dagli altri, un centro di comando e di governo, una tradizione, per dirla in una parola, una identità. Esiste anche qui una tragica, allucinante coerenza. Le differenze sono scomparse quindi non esistono gli stati e con loro le tradizioni, le nazioni. Le identità scompaiono, tutto è eguagliato, il mondo è una enorme area grigia in cui ognuno può andare dove gli pare. E, dove, proprio per questo, parlare ancora di stati con i loro confini, le loro leggi, le loro frontiere è solo un intollerabile anacronismo razzista.
 


Un nuovo totalitarismo. 

Per i suoi teorici l'eliminazione della differenza è, insieme, un fatto ed un valore.
Il mondo va inesorabilmente incontro al suo destino e questo è rappresentato dalla fine delle differenze. Stati e nazioni, culture e civiltà, sessi e differenze sessuali sono inesorabilmente destinati a sparire. Il futuro ci prospetta una felice mistura di tutto, un grande, universale cocktail. E' vano opporsi a questo processo storico ineluttabile, chi lo fa è un bieco reazionario che cerca vanamente di fermare la “ruota della storia”.
E questo fatto scientificamente rilevabile è anche, nel contempo, un valore. La fine delle differenze, il mondo della grande, universale mistura è quanto di più bello si possa augurare al genere umano. Come i loro predecessori marxisti, e come tutti i millenaristi, i filosofi della non differenza credono di essere, nel contempo, scienziati e riformatori radicali del mondo. Fino a ieri era il comunismo la tappa conclusiva della storia. Oggi, crollato il comunismo, la fine della storia cambia aspetto: si identifica col mondialismo, la filosofia gender, l'ecologismo mistico. Ma, dietro al cambiamento di bandiere l'ideologia resta sempre la stessa. La confusione fra fatti e valori, l'idea di una conclusione definitiva della storia, con la creazione di una mitica società perfetta, soprattutto l'idea di una trasformazione totale dell'uomo e della società che, grazie all'azione di illuminati riformatori radicali (o rivoluzionari) del mondo perderanno quelle che per millenni sono state le loro caratteristiche essenziali.

Naturalmente tutte le teorizzazioni dei fanatici della non differenza sono teoricamente risibili. Che si debba considerare positivamente la scomparsa di tradizioni culturali vecchie di secoli o millenni è quanto meno assai discutibile. Quanto alla “ruota della storia” che marcerebbe ineluttabilmente verso un mondo privo di nazioni, stati e frontiere, si può solo dire è che questa “ruota” molto semplicemente non esiste. Nella storia non agiscono leggi necessarie, al massimo tendenze che possono essere favorite o contrastate. E l'analisi empirica dimostra che le tendenze principali non vanno affatto nel senso di una generale unificazione del mondo. I grandi imperi sono una caratteristica dell'antichità più che della modernità. Il crollo dell'ultimo impero, quello comunista, è stato seguito dal proliferare di rivendicazioni nazionali, non da superiori livelli di mondializzazione. Gli attuali processi migratori di cui è fatta oggetto l'Europa occidentale vengono guardati con sempre crescente ostilità dalle popolazioni dei paesi interessati. E gli stessi migranti, una volta giunti a destinazione, non mirano affatto alla mistura indifferenziata coi locali. Soprattutto quelli, la gran maggioranza, di religione islamica tendono a costruire, nei paesi europei, delle isole etniche parzialmente o totalmente separate dall'ambiente circostante. Il mondialismo è tutto meno che una scienza, è una ideologia, la nuova grande ideologia che ha preso posto dei vecchi miti ideologici. E i suoi sostenitori non sono i popoli, ma, più che altro, ristrette elites economiche ed intellettuali, o pseudo tali.

Queste elites tentano con tutti i mezzi di imporre la loro visione del mondo a popoli sempre più riluttanti. In tutto l'occidente, ma soprattutto in quello Europeo, è in atto un attacco frontale alle fondamentali libertà dei cittadini ed alla democrazia e questo attacco ha un obiettivo preciso: imporre la non differenza e la mondializzazione, criminalizzare chi non le accetta.
La non differenza viene automaticamente identificata con la virtù e chi si oppone ad essa non è considerato un essere umano con idee, interessi, valori diversi. No, si tratta nel migliore dei casi di un crasso ignorante che “ragiona con la pancia”, nel peggiore di un razzista omofobo, di un fascista, addirittura di un nazista.
Ad essere nel mirino è in primo luogo la libertà di espressione del pensiero. Qualsiasi critica a certi soggetti (migranti, omosessuali, musulmani) è ipso facto qualificata come “razzismo”, “omofobia”, “islamofobia” e chi la esprime rischia addirittura conseguenze penali. Si arriva al tentativo di criminalizzare i sentimenti: l'odio deve essere punito come un crimine: per qualcuno amare è legalmente obbligatorio, evidentemente. E la cosa è tanto più risibile se si pensa che i fanatici della non differenza sprizzano, letteralmente, odio da tutti i pori. Loro però possono odiare perché gli angeli della virtù possono odiare i biechi sostenitori del vizio. Chi incita la gente a sparare a Salvini ha diritto di farlo, ma se chi ha votato Salvini dice a questi personaggi ciò che pensa di loro rischia una incriminazione per “istigazione all'odio”.
E, insieme alla libertà di espressione, è nel mirino la memoria storica dell'occidente. Personaggi come Cristoforo Colombo o Thomas Jefferson vengono presentati come criminali solo perché non pensavano né agivano come un liberal dei nostri giorni. Su Dante pende l'accusa di “islamofobia”, per non parlare di un Tasso o di un Ariosto. E su tutti i media la propaganda a favore della non differenza è continua, martellante. Non è egemone solo negli ormai inguardabili TG: si insinua nei film, negli spettacoli di varietà, nella pubblicità, ovunque; ed investe tutti gli aspetti della vita umana. Coinvolge il linguaggio, i rapporti fra i sessi, fra genitori e figli, insegnanti e studenti. Pretende di stabilire quale debba essere il comportamento corretto di ognuno di noi nei confronti del dolore e della morte.
Ad altri livelli l'attacco alla democrazia è più diretto. La non differenza mondialista trova un formidabile ostacolo nel fatto che i vari parlamenti sono eletti su base nazionale. Le massicce migrazioni di cui l'Europa occidentale è fatta oggetto stanno modificando la base sociale di molti paesi europei, ma questo non ha ancora effetti decisivi sull'esito delle competizioni elettorali, anche per lo scarso interesse di moltissimi immigrati per la competizione democratica. Per aggirare l'ostacolo costituito dai parlamenti si cerca così di trasferire dosi sempre maggiori di sovranità a vari organismi, spesso internazionali, non eletti da nessuno. Le varie commissioni ONU, la commissione Europea, la conferenza episcopale, le ONG, il WTO, il fondo monetario sottraggono giorno dopo giorno potere ai parlamenti liberamente eletti. Visto che non è possibile, al momento, una abolizione violenta della democrazia si cerca di svuotarla gradualmente di ogni potere.
La non differenza si presenta in questo modo per quello che è: una nuova forma di totalitarismo. Meno violento, più “morbido”, per ora, dei totalitarismi classici ma comunque estremamente pericoloso.
 


L'ideologia e la realtà. 

L'ideologia della non differenza non è contraddetta solo dai fatti. Questi non ci mettono molto a smentire chi teorizza la non esistenza dei sessi o delle nazioni. E' contraddetta dalle stesse azioni dei suoi teorici.
Non esistono le nazioni e le culture, il mondo è una enorme area grigia priva di confini, in cui ognuno può andare dove vuole, affermano questi signori, e si prodigano con ogni mezzo, lecito ed illecito, per riempire l'Europa di migranti. Però, lo abbiamo già osservato, questi massicci trasferimenti di popolazioni non creano affatto situazioni di generale mistura fra culture. In generale la gran maggioranza dei nuovi arrivati, specie quelli di religione musulmana, preferiscono formare nei paesi che li hanno accolti comunità separate. In Francia ed in Belgio queste si configurano sempre più come stati negli stati, zone franche in cui valori, usi e costumi, spesso addirittura le leggi dei paesi accoglienti non hanno alcun valore.
I teorici della non differenza allora abbandonano, semplicemente, l'ideale del “superamento” di etnie e culture per proporre provvedimenti che hanno come referente proprio i gruppi etnici e culturali.
Razze e nazioni, sessi, religioni e culture esistono, ma ci sono campi in cui si deve operare come se non esistessero. Se si deve decidere chi sarà il primario del reparto di cardiologia di un grande ospedale contano, devono contare, solo le competenze mediche. Per essere premiati col nobel per la letteratura devono contare solo le qualità nello scrivere, deve andare in parlamento chi ottiene il maggior numero di voti. Colore della pelle, sesso, credo religioso non devono contare in simili circostanze,
mai.
I teorici della non differenza diventano invece in questi casi attentissimi proprio alle differenze. I sessi non esistono, ma alle donne
devono essere assegnati un certo numero di posti in parlamento. Le razze non esistono, ma chi ha la pelle nera deve avere assicurato un certo numero di accessi alle università. La religione è solo un fatto privato, ma si mettono in atto provvedimenti che riguardano solo gli appartenenti ad un certo credo, e si tratta di provvedimenti che spesso contrastano con le leggi in vigore nei vari stati. In nome della non differenza si instaura il separatismo. La società si frammenta lungo linee etnico tribali, cessa di essere un insieme di liberi cittadini, diversi ma tutti con eguale dignità, per diventare un aggregato informe di collettivi non uniti da nulla, spesso fieramente nemici fra loro.

Se fossero persone serie i teorici della non differenza si renderebbero conto del carattere distruttivo di simili contraddizioni, ma persone serie non sono. Molti di loro sono dei post marxisti che, come tali, non amano troppo il principio di non contraddizione, ed hanno inoltre una formidabile capacità di mistificazione ed auto mistificazione. Per arrivare alla effettiva non differenza occorre attraversare fasi intermedie di cui la più importante è costituita dalla distruzione dei valori dell'occidente. Quando erano comunisti questi signori pensavano che si sarebbe arrivati alla società senza classi e senza stato passando per la dittatura del proletariato e la costruzione del più imponente e tirannico apparato statale di tutti i tempi. Oggi probabilmente pensano che si possa arrivare alla scomparsa di sessi, nazioni e culture passando attraverso la affermazione su scala mondiale di una cultura intollerante, che i sessi li tiene ben separati ed impone alle donne forme di oppressione mostruose. Punti di vista.
Punti di vista che svelano però cosa sta dietro la filosofia della non differenza. Il mondo unificato, armonico, arcobaleno, è solo una ridicola finzione ideologica. Non so se personaggi come Saviano od Emma Bonino ci credano davvero, la cosa del resto non ha nessuna importanza.
La filosofia della non differenza altro non è che una forma di
odio dell'occidente nei confronti di se stesso.
Non si vuole la fine delle culture ma della cultura
occidentale. Il superamento dei sessi altro non è che il superamento del legame fra eterosessualità e riproduzione. La fine degli stati e delle nazioni altro non è che la fine di certi stati e certe nazioni, quelle dell'occidente, ovviamente. Le migrazioni che si sostengono a spada tratta sono, tutte, migrazioni verso l'occidente. Le società multiculturali di cui si teorizza la ineluttabile affermazione riguardano Francia o Italia, Stati Uniti o Gran Bretagna, non l'Iran o la Nigeria. L'indistinta, illimitata tolleranza è, sempre qualcosa di cui siamo noi occidentali a doverci fare carico. Gli altri sono liberi di praticare la più assoluta intolleranza. “E' la loro cultura” cinguettano i filosofi della non differenza. Quando si recano in medio oriente donne italiane come Emma Bonino e Federica Mogherini si velano. Non chiedono di poter girare a capo scoperto in nome della tolleranza. Siamo noi a dover tollerare le donne col velo integrale.

Nessuno sostiene, ovviamente, che le varie culture siano qualcosa di immodificabile, prive di contatti fra loro. Nazioni, culture e civiltà si modificano, così come si modificano gli usi ed i costumi sessuali o i rapporti fra uomo e natura.
Ma una cosa è il modificarsi delle culture in conseguenza di scambi commerciali, processi normali e regolati di immigrazione ed emigrazione, scambi culturali, viaggi, turismo, matrimoni misti. Cosa completamente diversa è subire una immigrazione incontrollata che ci impone convivenze forzate con chi non ha, nella gran maggioranza dei casi, desiderio alcuno di rapportarsi positivamente con noi. Questo non è modifica della nostra civiltà, è la sua distruzione.
Non è il caso di dilungarsi ancora. La ideologia della non differenza favorisce lo spostamento in occidente di popolazioni che vengono da culture lontanissime dalla nostra. Sono portatrici di valori, idee ed interessi incompatibili con quelli che stanno alla base del nostro vivere civile. Per questo tale ideologia contribuisce potentemente alla crisi irreversibile della nostra civiltà. Sconfiggerla, ed in tempi brevi, è assolutamente necessario. Per la nostra sopravvivenza.