lunedì 9 gennaio 2023

LA FOLLIA DELLA "DISCRIMINAZIONE POSITIVA"

E’ una delle tante follie dell’occidente in crisi, e di certo non la meno grave.
Si chiama “azione positiva” e si presenta come tentativo di “riparare” le ingiustizie di cui l’occidente si è reso responsabile nel corso della sua storia. I gruppi etnici, razziali, sessuali o di altro tipo che in passato hanno dovuto subire o ancora subiscono ingiustizie e discriminazioni andrebbero compensati con discriminazioni positive a loro favore. Un certo numero di posti nelle università, nelle istituzioni, nelle assunzioni andrebbe riservato ai membri di tali gruppi, indipendentemente da ogni valutazione su professionalità e merito. In questo modo non solo si consentirebbe di rimediare, in ritardo, a vecchie ingiustizie, ma si ristabilirebbe, oggi, una certa uguaglianza fra i membri della società.
Ma la filosofia dei teorici dell’azione, meglio, della discriminazione positiva va oltre. Alle richieste di “azioni positive” si affiancano richieste di risarcimenti che andrebbero riconosciuti ai lontani discendenti di chi decenni o secoli fa ha dovuto subire ingiuste discriminazioni. Si assiste oggi alla continua richiesta di “scuse” avanzate da rappresentanti di popoli e gruppi etnici che in passato hanno dovuto subire l’egemonia occidentale. E, va da se, l’occidente in crisi risponde spesso in maniera affermativa a tali richieste, Per farla breve: scuse, risarcimenti e, soprattutto, discriminazioni positive messe in atto oggi dovrebbero compensare discriminazioni ingiuste di decenni o secoli fa. Solo così l’equilibrio potrebbe essere ricostituito. Ha un senso, un senso positivo, una simile politica? La risposta è NO.
Dovrebbe essere intuitivo, addirittura scontato, che, se ci sono state, o, peggio, ci sono ingiuste discriminazioni ai danni di singoli e gruppi la via maestra per uscirne è una sola: cercare di costruire società il più giuste ed il meno discriminatorie possibile. Non si tratta di punire i lontani discendenti dei mercanti di schiavi, ma di porre a base della società il rispetto per la dignità che spetta incondizionatamente ad ogni essere umano. Un simile approccio al problema appare però troppo “semplice” ai sostenitori della “discriminazione positiva”. Val la pena quindi di sottoporre a critica il più possibile esaustiva la loro dottrina.

Anche limitando l’analisi al solo loro aspetto utilitaristico le varie teorie della “discriminazione positiva” appaiono insostenibili. E’ intuitivo che simili teorie sono quanto di più lontano si possa immaginare dal concetto di merito. I posti di responsabilità andrebbero assegnati non in base alle competenze che i singoli dimostrano di avere, ma al loro sesso, al colore della loro pelle o ad altre loro caratteristiche accidentali. Se devo farmi operare al cuore in base a quale criterio scelgo il chirurgo? Mi interessa la sua professionalità o il suo sesso, o il colore della sua pelle? Mi sento sicuro se volo su un aereo il cui pilota è stato scelto non perché ha superato brillantemente difficili esami ma perché ha determinati gusti sessuali? Basta fare queste domande per avere la risposta. Anche prescindendo da ogni considerazione sulla palese ingiustizia che deve subire chi in un pubblico concorso si vede superato da persone che hanno meno metriti di lui ma che appartengono a categorie protette, anche prescindendo da questo e limitando l’analisi a puri concetti utilitaristici, appare del tutto evidente che se applicate con un minimo di coerenza ed ampiezza le teorie della discriminazione positiva contribuiscono a creare qualcosa di inaccettabile: società in cui il merito è negletto, con conseguente abbassamento del tenore di vita e della sicurezza di tutti, indipendentemente da sesso, colore della pelle o credo religioso.

Quello utilitaristico è però solo uno degli aspetti negativi della “discriminazione positiva”.
Questa teoria si caratterizza per la costante ricerca di “risarcimenti” che spetterebbero ai membri di determinasti gruppi per le discriminazioni ed ingiustizie, spesso assai lontane nel tempo, che questi hanno dovuto subire. Però anche ad un esame superficiale emerge chiaramente una cosa: coloro che dovrebbero risarcire appartengono tutti ad una determinata civiltà o sesso, o credo religioso, i risarciti invece appartengono ad altre civiltà, sesso, credo religiosi. Chi deve risarcire è di norma maschio, bianco, occidentale, eterosessuale, cristiano. I risarciti sono non occidentali, non bianchi, non cristiani, femmine od omosessuali. Ma, ha un minimo di senso una simile ripartizione? I colonialisti occidentali hanno ridotto a protettorati molti stati islamici, è vero, ma in precedenza l’Islam aveva conquistato mezza Europa. Se l’occidente deve “risarcire” l’Islam questo deve a sua volta “risarcire” l’occidente. E che dire delle donne o degli omosessuali che di certo non se la passano troppo bene in paesi come l’Iran? Sono alleati di chi impone loro il velo, li tortura o li impicca contro il maschio bianco occidentale ed eterosessuale?
La logica “risarcitoria”, se non vuole essere una mera forma di odio dell’occidente nei confronti di se stesso, dovrebbe riguardare tutti: gli imperialisti occidentali come quelli orientali o medio orientali, i maschi come le femmine, gli omo come gli eterosessuali. E non dovrebbe essere limitata nel tempo. Se ha senso chiedere “discriminazioni positive” per riparare ingiustizie di un paio di secoli fa dovrebbe aver senso chiederne per riparare altre ingiustizie, probabilmente più gravi, di un paio di millenni fa. I discendenti degli antichi Galli e Britanni, conquistati armi alla mano dalle legioni romane, dovrebbero chiedere “discriminazioni positive” ai danni degli italiani, questi le dovrebbero chiedere ai tedeschi per le invasioni del Barbarossa, i polacchi dovrebbero chiederle ai russi, questi ai mongoli; gli ebrei dovrebbero chiedere risarcimenti a mezzo mondo però anche loro, millenni fa, qualche ingiustizia nei confronti di altri popoli la hanno commessa. Tutti nella storia hanno commesso o subito ingiustizie, non esistono singoli o gruppi senza peccato. La logica della “discriminazione positiva”, se applicata in maniera non faziosa, aprirebbe la via ad un rimando infinito di “discriminazioni positive” e richieste di scuse e risarcimenti.
E questo rimando all’infinito non riguarda solo il passato, si proietta nel futuro. Per “riparare” ad ingiustizie di 20 o 200 anni fa bisognerebbe discriminare i discendenti di coloro che hanno commesso in passato tali ingiustizie, solo così si potrebbe creare una situazione giusta, si dice. Però in questo modo non si fa altro che aggiungere ingiustizia ad ingiustizia: nulla è infatti tanto palesemente ingiusto quanto far pagare a figli, nipoti e pronipoti le colpe dei padri, nonni e bisnonni. Né l’ingiustizia di oggi serve a ricostituire una situazione più giusta od equa. Il danno che deve subire chi è vittima oggi della “discriminazione positiva” è infatti molto maggiore delle conseguenze negative che sempre oggi devono subire i discendenti di coloro che hanno subito ingiustizie due o tre secoli fa. Seguendo la logica dei teorici della “discriminazione positiva” queste nuove ingiustizie andrebbero riparate con nuove “discriminazioni positive” e così via, di nuovo all’infinito. La ricerca di sempre nuove ingiustizie passate cui occorre metter riparo si combina in questo modo col continuo ricrearsi nel futuro di situazioni ingiuste cui occorre metter riparo. Una follia.
C’è però anche un altro aspetto di queste tematiche che occorre approfondire.
Certi usi e costumi, certe istituzioni dei nostro antenati ci appaiono oggi ripugnanti. E sono davvero tali. Lo schiavismo era moralmente orripilante ai tempi dell’antica Roma come lo è oggi. E’ del tutto inaccettabile il relativismo di chi ritiene che lo schiavismo fosse “giusto” un tempo o che l’oppressione della donna sia “giusta “ oggi in certe situazioni socio culturali mentre l’uno e l’altra sarebbero state ingiuste in altri tempi e lo sono in altre situazioni culturali. Da questo però non segue che chi visse in tempi in cui certe pratiche erano ritenute “normali” sia assimilabile ad un criminale; in realtà si trattava solo di persone che condividevano usi, costumi e norme etiche dei loro tempi e delle loro civiltà. Il fatto che si trattasse di usi, costumi e norme inaccettabili non trasforma in mostri chi le seguiva, meno che mai trasforma i loro discendenti in mostri o criminali da punire. E’ proprio questa invece la logica profonda, anche se non sempre chiaramente espressa, di chi teorizza la “discriminazione positiva”. L’occidentale bianco, discretamente benestante, di oggi sarebbe in qualche modo responsabile del comportamento di persone vissute spesso molto tempo fa e che si comportavano conformemente a quelli che erano gli usi ed i costumi del loro tempo. L’economista austriaco Von Mises, parlando dell’origine della proprietà privata ammette senza esitazioni che l’acquisizione delle prime proprietà è stata in molti casi violenta ed illegale. La cosa non deve stupire, aggiunge, perché tale acquisizione è stata in moltissimi casi anteriore allo stabilirsi della legge. Pretendere di riparare a tali violenze originarie è quanto mai stupido non solo per l’impossibilità empirica di tale riparazione, ma anche perché non si può pretendere una legalità anteriore alla legge. Oggi i teorici della “discriminazione positiva” sembrano voler incolpare chi discende da persone che ai loro tempi agivano in maniera conforme ad usi, costumi e norme condivise. Io sarei da discriminare perché il mio tris nonno non si comportava come una persona che vive nel ventunesimo secolo. Si tratta di qualcosa ancora peggiore della pretesa illiberale di incolpare i figli per le colpe dei padri. Di nuovo, una follia.

Finora abbiamo dato per scontato che i discendenti di coloro che hanno subito ingiuste discriminazioni siano oggi danneggiati per ciò che è successo ai loro avi, ma stanno davvero, sempre e comunque, così le cose? Per i teorici della “discriminazione positiva” non ci sono dubbi in proposito, la loro risposta è sempre SI. Ma sbagliano. Il loro errore deriva da una sorta di illusione ottica: esaminano la situazione, ad esempio, dei neri americani, vedono che spesso, anche se ormai molto meno che in passato, questa è peggiore di quella di molti bianchi e concludono che la causa di una tale situazione deriva dalle orribili ingiustizie che i neri hanno dovuto subire quando altro non erano che schiavi. Ma un simile modo di affrontare il problema è sbagliato per il semplice motivo che i discendenti di coloro che furono schiavi usufruiscono anch’essi, sia pure in misura minore e grazie anche alle loro lotte, dei benefici della società che rese schiavi i loro avi. Chi venne ridotto in schiavitù ha subito una orribile ingiustizia, un nero campione di basket che guadagna milioni di dollari all’anno, o un musicista jazz che guadagna altrettanto, o un nero che diventa presidente degli Stati Uniti godono anch’essi di quanto ha saputo edificare di positivo una società che pure si è macchiata del crimine dello schiavismo. La storia è davvero complessa, una volta tanto val la pena di usare questa parola. Nella storia ci sono crimini ed ingiustizie ma anche miglioramenti economici, conquiste democratiche, affermazioni della libertà. L’antichità ci lascia grandi conquiste culturali, anche se è stata caratterizzata dallo schiavismo, e di tali conquiste oggi godono tutti, compresi i discendenti di chi è stato schiavo. Con questo non si vuol dire, dovrebbe essere ovvio, che non si debba oggi lottare per migliorare la situazione di singoli o gruppi sociali ancora svantaggiati, si vuol dire però che questa lotta non può essere vista come “risarcimento” per quanto hanno dovuto subire di ingiusto gli antenati di chi oggi è socialmente svantaggiato. La gran maggioranza dei poveri statunitensi è “ricca” se paragonata ai poveri dell’Uganda o dell’Angola. I benefici di società opulente e democratiche hanno interessato, sia pure non a sufficienza, i loro membri meno fortunati. Quando cercano, giustamente, di migliorare le loro condizioni questi si rapportano ai problemi del presente, non alle ingiustizie del passato per cui loro dovrebbero essere “risarciti”. Gli unici che avrebbero diritto di avanzare richieste di “risarcimento” non sono più fra noi. Da molto, moltissimo tempo.

Val la pena a questo punto di fare una breve precisazione. Sinora si è spesso usata la parola “risarcimento” per descrivere le proposte dei sostenitori dell’azione, o della discriminazione “positive”. Questa parola però può indurre in inganno. In effetti, se io mio padre mi lascia in eredità una abitazione e in un secondo momento si scopre che la stessa è stata acquisita illegalmente dal mio genitore, io sono tenuto a restituire la casa al legittimo proprietario o a risarcirlo adeguatamente. La figura giuridica del risarcimento non contrasta con la giustizia ed è riconosciuta dalla legge, a condizione che le azioni illegali per riparare alle quali il risarcimento è richiesto non siano troppo lontane nel tempo. In fin dei conti la acquisizione legale non è il criterio assolutamente unico per stabilire a chi spetti una certa proprietà. E’ importante anche stabilire chi ha curato una certa proprietà, per quanto tempo lo ha fatto, se la ha fatta crescere e valorizzare. Non a caso quasi tutti gli ordinamenti giuridici prevedono l’istituto dell’usucapione. Il risarcimento in ogni caso è spesso del tutto giusto e legittimo, ma le pretese dei sostenitori della “discriminazione positiva” vanno ben oltre la rivendicazione di questo tipo di risarcimento. Vanno addirittura oltre il concetto stesso di risarcimento. Ad essere intaccati dalle pretese di “discriminazione positiva” sono i diritti fondamentali di certi soggetti prima che la loro proprietà. Se Tizio partecipa ad un concorso, dimostra di essere il migliore ma si vede superato da Caio solo perché questi appartiene ad un determinato gruppo protetto, ad essere menomati sono i diritti fondamentali di Tizio, non la sua proprietà. La “discriminazione positiva” lede il principio fondamentale di ogni società libera: quello della pari dignità di tutti gli esseri umani indipendentemente da colore della pelle, sesso, convinzioni politiche o religiose. Nessuna richiesta di risarcimento, giusta o sbagliata che sia, riguardi fatti vicini o lontani nel tempo, può essere soddisfatta riducendo i diritti fondamentali di determinati esseri umani. Se devo risarcire Tizio dovrò dargli del denaro, non perdere i miei fondamentali diritti di cittadino. La discriminazione positiva fa invece proprio questo: in nome di ingiustizie a volte vecchie di secoli subite da persone ormai scomparse da tempo pretende che vengano intaccati, spesso più che intaccati, fondamentali diritti dei cittadini. Un certo numero di posti in parlamento deve essere riservato ai maschi, o alle femmine, ai bianchi o ai neri, agli etero o agli omosessuali. Tutto questo lede profondamente il diritto di voto: puoi votare ma devi votare candidati di un certo sesso, con la pelle di un certo colore, con determinati gusti sessuali, ed il discorso non si ferma al diritto di voto. E’ dubbio che la democrazia possa sopravvivere a simili follie.

Val la pena di affrontare, per concludere, il punto fondamentale. Quale è la filosofia, la visione dell’uomo che sta dietro e sostiene le varie politiche di azione o discriminazione positiva? Ogni proposta politica importante si basa, ne siano consapevoli o meno i suoi sostenitori, su determinate teorizzazioni che con giusta ragione possono definirsi filosofiche; quali sono quelle che sostengono la discriminazione positiva? Per cercare di comprenderle appieno va la pena di allargare un po’ il discorso.
Ognuno di noi ha sentito qualche volta, penso, affermazioni di questo tipo: “il tale non ha meriti né colpe per esser nato bello o brutto simpatico od antipatico, intelligente o stupido”. E’ facile partire da simili ovvie banalità per arrivare a conclusioni che da un punto di vista astrattamente logico sono coerenti. La “società”, si conclude, avrebbe il compito di riparare le “ingiustizie” che madre natura ha commesso nel distribuire ad ognuno di noi i suoi “doni”. Ad essere degne di critica sono, come al solito, le premesse. Chi fa simili ragionamenti pensa che si possano separare gli esseri umani dalle loro caratteristiche. Ritiene che gli esseri umani siano pure essenze disincarnate, enti asettici, privi di qualità e particolarità che dovrebbero esser attribuite loro, in maniera “equa” da una non meglio specificata “società” (come se la “società non fosse composta da esseri umani). E se, per evidenti motivi empirici, la “società” non è in grado di mettere in atto questa “equa distribuzione”, dovrebbe far si che le differenze fra tali caratteristiche fossero in qualche modo compensate. Tizio, non troppo intelligente dovrebbe esser “risarcito” e reso più o meno uguale a Caio cui la “natura” ha regalato una intelligenza fuori dal comune. Eguaglianza e pari dignità non riguardano più gli esseri umani empiricamente dati, insiemi sostanziali unitari di qualità e caratteristiche. No, eguaglianza e dignità riguardano esseri disincarnati, entità assolutamente astratte beneficiarie dei processi di azione e discriminazione positiva. Tali teorie, se applicate coerentemente, porterebbero a risultati mostruosi. Un individuo sano, per fare solo un esempio, dovrebbe esser obbligato a donare un rene ad uno malato per compensarlo del fatto che “la natura” è stata “ingiusta” con lui. Forse non a caso nessuno sostiene simili posizioni fino in fondo, questa però è la logica che che sta dietro a tutte.
I sostenitori della azione o discriminazione positiva allargano il discorso dalle caratteristiche naturali degli esseri umani a quelle economiche e socio culturali. Ognuno di noi è dato, si trova nel mondo. Nasce in una certa epoca storica, dentro una certa classe sociale, famiglia, nazione, cultura, civiltà. Ognuno di noi è l’insieme unitario delle sue caratteristiche naturali e socio culturali. Io sono io perché ho un certo aspetto fisico, un certo carattere, parlo una certa lingua, vivo in un certo periodo storico dentro determinati rapporti sociali e culturali. Visto che le caratteristiche socio culturali degli esseri umani non sono, come quelle naturali, “distribuite” equamente fra loro i sostenitori delle varie azioni o discriminazioni positive vorrebbero annullarle mettendo in atto varie politiche “compensatrici”. Teorizzano persone separate dalla propria datità socio culturale oltre che naturale. Io sarei io indipendentemente dal periodo storico, dalla cultura e dalla società in cui sono nato e vivo e, visto che non posso esser separato da queste mie caratteristiche essenziali, i generosi riformatori del mondo vorrebbero mettere in atto politiche “compensatrici”. Ad essere preso di mira è, come al solito, il dato del nostro esistere: si vorrebbero ricostruire gli esseri umani mettendo riparo a quanto nel loro esser dati sembra non essere sufficientemente equo o giusto.
L’uguaglianza democratica e liberale è di tipo radicalmente diverso. Riguarda non esseri umani disincarnati, ma le persone in carne ed ossa con tutte le loro caratteristiche naturali e storico sociali. Sono queste persone ad essere titolari dei fondamentali diritti umani, a queste viene riconosciuta la pari dignità.
Certo, è giusto, è sacrosanto lavorare per società in cui questi diritti e questa dignità siano goduti da tutti, ma questa è cosa radicalmente diversa dal tentativo di annullare la datità naturale e socio culturale di ognuno di noi. Io ho certi diritti e la mia dignità, pari a quella di ogni essere umano, in quanto sono IO, con le mie caratteristiche naturali, la mia cultura, il dato del mio vivere in una certa epoca storica, entro determinate coordinate culturali. Non ho diritto ad alcun “compenso” né dovere di “compensare” qualcuno perché sono ciò che sono, al contrario, ho il diritto al rispetto per ciò che sono ed ho il dovere di rispettare gli altri per quello che gli altri sono.
Qualcuno potrebbe obbiettare che tutto questo non ci rende davvero uguali. Avrebbe ragione, il vivere in società in cui i nostri diritti fondamentali e la nostra dignità vengano tutelati ed in cui ognuno abbia possibilità economiche reali per cercar di realizzare i propri progetti non ci rende uguali, e con questo? Gli esseri umani non possono essere uguali perché hanno ognuno caratteristiche naturali e socio culturali diverse e diseguali. Cercare di superare questa situazione per realizzare una radicale uguaglianza sostanziale distrugge la libertà, da vita a sempre nuove ingiustizie e a forme di disuguaglianza queste si assolutamente intollerabili. La storia ha dato a questo proposito lezioni che solo i fanatici o gli sciocchi possono ignorare.

La politica della azione o discriminazione positiva non fa altro, in fondo che riproporre il vecchio mito marxista dell’uomo nuovo, con la differenza che in Marx l’uomo nuovo sarebbe il prodotto spontaneo della affermazione su scala planetaria della società perfetta comunista, per i politicamente corretti di oggi sarebbe invece la risultante di accorte politiche “riparatrici”.
C’è un’ultima considerazione da fare. Tutte le varie politiche “compensatrici” sono rivolte contro l’occidente. Lo si è già detto: il nemico è l’uomo bianco, occidentale eterosessuale, discretamente benestante, spesso cristiano. E’ lui che sarebbe obbligato a vivere scusandosi con mezzo mondo ed a compensare mezzo mondo per i crimini, veri o presunti, commessi in passato dalla sua civiltà (le altre invece sono generosamente assolte da ogni addebito). Se analizzate da questo punto di vista le politiche della azione o discriminazione positiva altro non sono che una forma particolare che assume la più generale politica della cancel culture. L’occidente è responsabile di tutti i mali del mondo. La sua storia è riducibile ad un insieme di abomini, anche se in quella storia ci sono Platone ed Aristotele, Newton e Kant, Dante e Shakespeare, Leonardo e Michelangelo, Mozart e Beethoven ed insieme a questi la scoperta dei diritti umani, l’abolizione dello schiavismo, la democrazia, la laicità dello stato, il principio di tolleranza, la razionalità scientifica, l’economia di mercato ed il benessere che questa ha assicurato a masse sterminate di esseri umani, di tutte le civiltà.
Ai teorici delle azioni e delle discriminazioni positive tutto questo interessa a poco. Sono i nuovi nemici della nostra civiltà. E’ bene rendersene conto, senza pericolose illusioni.