lunedì 13 ottobre 2014

LIBERTA' PRIVATA E LIBERTA' PUBBLICA






Democrazia e libertà


Nell’uso comune i termini “libertà” e “democrazia” sono considerati quasi equivalenti. Un partito politico tempo fa coniò come proprio lo slogan: “libertà è democrazia”, proprio così, con la è accentata e sottolineata, a rimarcare l’identità fra i due termini. A parte questi eccessi, rivelatori quanto meno di una forte confusione mentale, si sente spesso parlare del valore di libertà e democrazia senza che fra esse venga fatta alcuna distinzione. Sembra a molti quasi ovvio affermare che dove vi è libertà là vi è democrazia e viceversa. Le cose però non sono tanto semplici: anche se collegate libertà e democrazia non sono coincidenti; almeno in teoria è possibile concepire una democrazia senza libertà ed una libertà senza democrazia. A prima vista la cosa può apparire paradossale ma non lo è.
Essere liberi significa poter disporre di uno spazio proprio. Io sono libero se posso decidere, scegliere; la mia libertà coincide con lo spazio al cui interno posso decidere e scegliere senza che altri mi  impongano nulla.
La democrazia invece non riguarda l’area al cui interno il singolo è padrone di decidere, riguarda il governo della cosa pubblica. La libertà ha a che fare con la domanda: “fin dove io ho il potere di decidere?” la democrazia con un’altra domanda, piuttosto diversa: “chi deve prendere le decisioni inerenti le scelte collettive? Chi deve governare la vita pubblica?”.
La democrazia ha a che fare con politica e nella politica è sempre presente un momento coercitivo. Si può vivere nella più ampia e tollerante democrazia del mondo, l’approvazione di una legge può essere la risultante del più libero dibattito, della più approfondita discussione che si possano immaginare, ma alla fine la legge è obbligatoria ed è obbligatoria per tutti. La democrazia vuole che a decidere sia la maggioranza, ma  le decisioni che la maggioranza prende sono imposte anche a chi non è d’accordo. In questo non c’è nulla di particolarmente negativo. Se occorre prendere decisioni che vincolino tutti e se non è possibile che su queste decisioni tutti concordino è inevitabile che queste assumano carattere coercitivo. Se questo non avvenisse non esisterebbe legge né regola alcuna ed i rapporti fra esseri umani sarebbero caratterizzati con ogni probabilità dalla più cruda violenza. Tutto questo però dimostra che il campo d’azione della democrazia è diverso da quello della libertà. E’ radicalmente diverso, potremmo dire, perché, in senso proprio, la libertà, inizia esattamente laddove finisce l’area delle decisioni collettive. Nell’area in cui io solo sono padrone la maggioranza non ha voce in capitolo, la discussione pubblica non è richiesta, le elezioni non hanno alcuna rilevanza.
Qualcuno potrebbe obbiettare che non si tratta tanto di differenza fra libertà e democrazia quanto fra diversi tipi di libertà: la libertà privata e la libertà pubblica o, come afferma Isaiah Berlin fra libertà positiva e libertà negativa. La democrazia, intesa in questo senso, coincide con la libertà pubblica, la libertà di decidere sulle questioni che riguardano tutti. Non si può che essere d’accordo, ovviamente. Questo però non elimina la sostanza del problema: chiamiamo pure libertà pubblica la democrazia e libertà privata la libertà, le cose non cambiano molto. Ed il mutamento terminologico non rende affatto veritiero, ad esempio, lo slogan: “libertà è democrazia”, non lo rende veritiero perché, in primo luogo, tale slogan instaura fra libertà pubblica e libertà privata una identità che non esiste e, in secondo luogo, perchè tale proclamata identità fa passare del tutto in secondo piano il problema delle garanzie che devono esistere a tutela della libertà privata. Se la libertà pubblica coincide con la libertà privata come proteggere la seconda dalle incursioni della prima che ha, non dimentichiamolo, il potere di imporre con la forza le sue decisioni? E’ il grande problema del garantismo liberale.

Nella vita di ognuno di noi esiste una fondamentale dimensione pubblica, non a caso Aristotele ha definito l’uomo animale politico e sociale oltre che razionale, ed è importante che ad ognuno di noi sia garantita la libertà pubblica. La democrazia consente a tutti di partecipare alla vita politica ed è perciò un valore ed un bene prezioso; non è l’unico però. Se è bene disporre della libertà politica è molto pericoloso ampliare senza limiti l’area delle decisioni politiche ed è ancora più pericoloso non rendersi conto dell’esigenza di tutelare la libertà privata dalle incursioni della politica, sia pure della più democratica delle politiche.
“Vi sino alcuni” scrive Alexis de Tocqueville “che hanno osato affermare che un popolo, nelle questioni che interessano lui solo, non può mai, per definizione, uscire dai limiti della giustizia e della ragione, e quindi non si deve temere di dare tutto il potere alla maggioranza che lo rappresenta. Ma questo è un linguaggio da schiavi. Cos’è infatti una maggioranza, presa collettivamente, se non un individuo che ha opinioni e più spesso interessi contrari a quelli di un altro individuo che si chiama minoranza? Ora, se si ammette che un uomo, investito di potere assoluto, può abusarne contro i suoi avversari perché non ammettere la stessa cosa per una maggioranza? (…) un potere onnipotente, che io rifiuto a uno dei miei simili, non l’accorderei mai a parecchi” (1). La maggioranza deve avere potere, deve poter legiferare, ma non può disporre di un potere assoluto, senza limiti. Deve rispettare i diritti delle minoranze e degli individui. “L’onnipotenza è in sé cosa cattiva e pericolosa.” prosegue Tocqueville “Il suo esercizio mi sembra al di sopra delle forze dell’uomo, chiunque egli sia; e non vedo che Dio che possa senza pericolo essere onnipotente. (…) Non vi è dunque sulla terra autorità tanto rispettabile in sé stessa o rivestita di un diritto tanto sacro, che io vorrei lasciar agire senza controllo e dominare senza ostacoli. Quando io vedo accordare il diritto e la facoltà di far tanto ad una qualsiasi potenza, chiamasi essa popolo o Re, democrazia o aristocrazia, sia che esso si eserciti in una democrazia o in una repubblica, io affermo che là vi è il germe della tirannide.” (2)
Il potere, anche il potere della maggioranza, deve essere limitato. Deve incontrare limiti all’interno dell’area politica (la maggioranza non può ledere i diritti delle minoranze), e deve rispettare norme che delimitino l’area stessa della politica. C’è chi ha affermato che queste posizioni di Tocqueville riflettono il suo carattere conservatore, la sua nostalgia per il regime aristocratico, ma si tratta di una distorsione del suo pensiero. Tocqueville ha sempre dimostrato simpatia per l’aristocrazia, era lui stesso un nobile, ma ciò che contrappone al pericolo di un governo assoluto della maggioranza è la democrazia liberale, non un impossibile ritorno al vecchio regime. L’ideale del grande pensatore francese è il governo costituzionale, limitato, non il predominio della casta aristocratica, di cui comunque riconosce i meriti storici.

Molto tempo dopo la pubblicazione della “Democrazia in America” in cui sono contenute le critiche di Tocqueville al potere illimitato della maggioranza, il già citato filosofo liberale Isaiah Berlin si faceva promotore di posizioni simili. “Alcuni dei miei critici” afferma Berlin “si indignano al pensiero che una persona (..) possa godere di maggior libertà negativa sotto il dominio di un despota indolente o inefficiente che in una democrazia decisamente egualitaria, ma rigida. Me esiste un significato ben preciso in cui si può dire che Socrate avrebbe avuto maggiore libertà – almeno di parola ma anche di azione – se, come Aristotele, fosse fuggito da Atene invece di accettane le leggi, quelle buone e quelle cattive emanate ed applicate dai suoi concittadini nella democrazia di cui faceva parte a pieno titolo e che accettava coscientemente. Allo stesso modo un individuo può abbandonare uno stato a democrazia realmente partecipata, in cui le pressioni sociali e politiche siano per lui soffocanti e preferire un clima in cui può darsi minor partecipazione civile ma più privacy, una vita comunitaria meno dinamica e coinvolgente, meno socievolezza ma anche minor sorveglianza.” (3)
La pacata ma severa critica di Berlin ad ogni tipo di potere che soffochi l’autonomia dell’individuo non spinge il filosofo liberale a negare il valore positivo della libertà politica o a non vedere quanto la stessa libertà privata sia fragile ed instabile in regimi politicamente autoritari: “Il dispotismo in quanto tale è irrazionale e ingiusto e degradante perché nega i diritti umani, anche se i suo sudditi sono contenti” (4), inoltre “qualunque libertà negativa di cui si possa godere in un dispotismo tollerante e inefficiente è precaria o limitata a una minoranza” (5). Resta il fatto che la situazione descritta, quella cioè di una democrazia onnipotente che soffoca o riduce in maniera soffocante l’autonomia individuale è non solo possibile ma anche decisamente poco gradevole. La soluzione passa, ancora una volta, per la via stretta ma realistica della convivenza di principi e valori non contraddittori ma diversi: una libertà individuale ampia ma non anarchica si accorda perfettamente con una democrazia forte ma non onnipotente. E’ la strada percorsa dalle grandi democrazie dell’occidente, la strada della democrazia liberale.





Note

1) Alexis de Tocqueville: La democrazia in America. In I Grandi filosofi, Tocqueville. Ed Il sole 24 ore. 2006 pag. 480-481.

2) Alexis de Tocqueville: Opera citata pag. 482.

3) Isaih Berlin: Quattro saggi sulla libertà, Feltrinelli 1989, pag. 55

4) Isaiah Berlin: Opera citata pag. 55

5) Isaiah Berlin: opera citata pag. 55




 
Alcune interpretazioni

Se libertà e democrazia non coincidono non sono però neppure in contraddizione fra loro, anzi, storicamente le uniche democrazie che hanno saputo affermarsi sono le democrazie liberali. Oggi in praticamente tutti gli stati democratici i fondamentali diritti della persona vengono riconosciuti e garantiti. Laddove questo non avviene, come nei pochi paesi islamici in cui esiste un simulacro di istituzioni democratiche la democrazia è, appunto, ridotta a simulacro.
Il filosofo americano Stephen Holmes sostiene, anche in polemica con Berlin, tesi di questo genere. Per Holmes non esiste democrazia senza regole. La democrazia assembleare non è vera democrazia. Senza elezioni regolari che coinvolgano tutta la popolazione, senza regole per il dibattito, rispetto per le minoranze e gli individui non esiste democrazia. Le regole liberali poste a difesa della libertà privata si accordano perfettamente con le procedure democratiche. Potrebbe esistere democrazia se la maggioranza avesse il potere di opprimere la minoranza? O se gli esponenti della minoranza potessero essere arrestati arbitrariamente, la loro posta controllata, la loro privacy violata? E, al contrario, sarebbero solide le libertà individuali se tutto il potere fosse concentrato nelle mani di un despota non sottoposto ad alcun controllo e in grado di prendere le decisioni più arbitrarie? No, evidentemente. “Non esiste” afferma Holmes “una scelta collettiva al di fuori di tutte le procedure e le istituzioni precedentemente scelte. Le elezioni con cui i partiti politici in lizza conquistano il potere o lo perdono e il confronto pubblico condotto in larga misura mediante una stampa libera e pluralistica dipendono entrambi dal fatto che il costituzionalismo liberale ha messo solide radici. Questa considerazione suggerisce l’idea che in uno stato moderno il liberalismo è condizione necessaria, ma non sufficiente dell’esistenza di un qualche grado di democrazia” (1)
E’ difficile non concordare con queste posizioni. Solo se liberale la democrazia riesce ad essere davvero democratica, separata dal riconoscimento e dalla tutela delle libertà civili la democrazia degrada rapidamente in tirannide. Però è impossibile negare che sia esistita ed esista una fortissima tendenza a separare democrazia e libertà e siano esistite sia esperienze storiche che teorizzazioni di una democrazia non liberale. Una cosa è evidenziare la debolezza di certe teorizzazioni o constatare il carattere fallimentare di certe esperienze, altra cosa negarle: Rousseau, ad esempio, costituisce il caso tipico di un pensatore democratico ma non liberale, anzi, ferocemente antiliberale. Il ginevrino teorizza insieme la democrazia assembleare e la proibizione delle rappresentazioni teatrali, un’ampia partecipazione democratica a tutte le scelte rilevanti e la proibizione dei partiti politici, il controllo dal basso sugli eletti e una forte ingerenza dello stato nella vita privata dei cittadini. Il suo pensiero è contraddittorio? Forse, ma non necessariamente. E’ quanto meno ipotizzabile una società caratterizzata da un altissimo grado di coesione e conformismo in cui esiste una autentica partecipazione popolare alla vita pubblica e insieme una limitazione inaccettabile dell’area delle libertà private. In nessuna democrazia liberale sarebbe possibile qualcosa come il processo a Socrate ma sarebbe sbagliato negare che l’antica Atene fosse una democrazia. E, per venire a tempi meno remoti, nei territori palestinesi esiste una certa democrazia, si svolgono addirittura elezioni semi regolari, ma i disgraziati che sono sospettati di essere spie degli israeliani vengono praticamente linciati al termine di processi burla. Prima o poi queste situazioni sono destinate ad essere superate? Evolveranno verso una qualche forma di democrazia liberale o regrediranno verso forme di spietata tirannide? Probabilmente si, ciò non toglie che di esperienze reali si tratti. La democrazia liberale è il regime politico in cui forse la maggioranza degli esseri umani vorrebbero vivere, questo però non elimina il fatto che centinaia di milioni di esseri umani vivano, e a molti piaccia vivere, in regimi del tutto diversi e che in alcuni di questi regimi esistano forme distorte ed illiberali di democrazia.

Holmes sostiene anche che le democrazie liberali sono, al contrario di quanto comunemente si pensa, assai forti, più forti, soprattutto nei momenti davvero difficili, dei regimi autoritari e totalitari. La limitazione del potere statale non fa di questo un potere debole, al contrario lo rafforza. Il filosofo liberale americano ripropone, sul problema della forza dello stato liberale un parallelismo simile a quello fatto fra libertà e democrazia. Così come libertà e democrazia si rafforzano e si sostengono a vicenda, le istituzioni democratico liberali e la forza dello stato, ben lungi dal configgere sono complementari. La democrazia liberale rafforza lo stato ed uno stato sufficientemente forte è un ottimo presidio dei diritti liberali.
“Sorprendentemente una piccola isola non lontana dalle coste nord occidentali dell’Europa dominò oltre un terzo del globo. Non c’è alcun senso serio in cui si possa dire che la patria del liberalismo politico abbia dato prova di debolezza. La verità è anzi che la Gran Bretagna si è rivelata così forte da saper perdere il suo impero senza subire alcun collasso politico interno” (2) Non è casuale una simile manifestazione di forza da parte di uno stato il cui potere è limitato e rispettoso della libertà dei cittadini. “L’oppressione” infatti “indebolisce lo stato. L’intolleranza approfondisce i conflitti confessionali e spinge i cittadini operosi ad emigrare. La censura blocca il flusso delle informazioni, che sono un innesco vitale per il governo di un grande paese. Le punizioni eccessive e crudeli opprimono lo spirito dei comuni cittadini così privando il governo della loro attiva collaborazione. I regolamenti oppressivi sui commerci comprimono la ricchezza privata che alla fine avrebbe potuto essere drenata a vantaggio delle finanze pubbliche. Una politica liberale è molto più adatta di una tirannica a stimolare la cooperazione dei cittadini nel perseguimento di obiettivi comuni.” (3)
La libertà oltre ad essere in sé un valore è conveniente allo stato, ne accresce invece che diminuirne la forza. Nelle società libere esistono solo pochi obiettivi comuni ma su tali, limitati, obiettivi è possibile raggiungere un consenso di massa che manca in società in cui tutto o quasi è pubblico e l’area di autonomia dei singoli è terribilmente compressa. Uno stato che persegue pochi ma importanti obiettivi è più efficiente, più forte e più ricco di uno stato che pretenda di regolare tutto; governare col consenso e la fiducia dei governati è più semplice ed efficace che governare col terrore. E, anche in questo caso, il discorso si può invertire. Uno stato forte ed autorevole è un presidio insostituibile dei diritti liberali. “Violare i diritti liberali significa disobbedire allo stato liberale. In una condizione di assenza di sovranità, i diritti possono essere immaginati ma non sperimentati. In una società con uno stato debole, per esempio nel Libano del decennio appena trascorso, o virtualmente priva di uno stato, per esempio nella Somalia di oggi, (lo scritto di Holmes è del 1995, nota di B.) i diritti o non esistono o restano in larga misura lettera morta.” (4)

Ancora una volta è difficile dissentire dalle tesi di Holmes, tuttavia è bene tener presente che, se estremizzate, tali tesi possono portare a conclusioni assai discutibili. E’ vero che il riconoscimento e la tutela delle libertà individuali rafforzano e non indeboliscono lo stato, l’esempio della Gran Bretagna fatto da Holmes è a questo proposito assai convincente. Ma, il rafforzamento dello stato è il fine principale, l’obiettivo primario da perseguire o non è invece la libertà a dover essere perseguita in quanto tale? In altre parole, la libertà va tutelata per sé stessa o perché grazie ad essa lo stato diventa più forte? Non è una questione di lana caprina. Se un ulteriore rafforzamento dello stato potesse essere perseguito a spese della libertà andrebbe comunque ricercato? La separazione dei poteri, il riconoscimento delle libertà individuali, il garantismo vanno difesi perché rendono forte lo stato o al contrario è la forza dello stato ad essere desiderabile in quanto tutela più efficacemente libertà dei singoli, garantismo, separazione dei poteri? La forza di uno stato non è in quanto tale un obiettivo sempre desiderabile, è fondamentale stabilire di quale stato si desidera la forza. Se uno stato totalitario si dimostrasse più forte di uno liberal democratico, occorrerebbe aumentare la forza dello stato liberal democratico, non certo renderlo meno liberale e meno democratico per farlo più forte. Ed ancora, è vero che assai spesso gli stati liberali e democratici sono anche forti ma ciò non è vero sempre e comunque. Le democrazie occidentali hanno sconfitto il nazismo, è vero, ma lo hanno fatto solo dopo una guerra lunga ed estremamente sanguinosa e dopo che una democrazia come la Francia è stata travolta dalle armate di Hitler e un’altra come l’Inghilterra è stata costretta in una posizione di inferiorità che non le avrebbe mai consentito di vincere da sola il conflitto. Soprattutto le democrazie occidentali hanno vinto la guerra contro nazismo anche grazie all’alleanza con una potenza totalitaria come l’Unione Sovietica che è uscita trionfatrice dalla guerra e si è espansa a macchia d’olio dopo il 1945, costringendo interi popoli a gustare le delizie del comunismo staliniano.
Democrazie e libertà sono fattori di forza ma non bastano da soli a dare ai paesi liberi una superiorità decisiva sui loro nemici. Fondamentale a questo proposito è l’adesione di larga parte dei popoli liberi ai valori fondanti le loro società. Se democrazia e libertà si trasformano in relativismo culturale, se la tolleranza viene scambiata con l’accettazione di tutto, se il giusto riconoscimento degli errori, ed anche degli orrori, della propria civiltà diventa incapacità di vedere e criticare errori ed orrori altrui, la forza delle società libere declina rapidamente, molto rapidamente. L’incertezza, il balbettio confuso con cui larga parte dell’occidente ha reagito e reagisce all’attacco dell’integralismo islamista è a questo proposito un sintomo quanto mai preoccupante. La libertà è forte quando c’è gente disposta a combattere per la libertà, se questo non avviene la libertà è debole, molto debole.

Holmes riduce, come si è visto, le distanze fra libertà e democrazia dimostrando (o cercando di dimostrare) che questi valori sono complementari e non possono, se correttamente intesi, entrare in conflitto fra loro. Un grande pensatore dello scorso secolo, Karl Raimund Popper, annulla praticamente la distanza fra questi valori ma lo fa seguendo una strada del tutto diversa, da quella seguita da Holmes. Per Holmes i diritti liberali rafforzano la democrazia, per Popper tali diritti vengono praticamente ad identificarsi con la democrazia.
Si è detto che la democrazia ha a che fare con la domanda: “chi deve prendere le decisioni che riguardano tutti?” o, più celermente: “chi deve governare?” mentre la libertà riguarda la domanda: “fino a dove si estende l’area in cui io solo posso decidere?”. Si tratta come si vede di domande diverse volte a tutelare valori ed esigenze diverse: nel primo caso la partecipazione di tutti alle scelte collettive, nel secondo l’area dell’autonomia individuale. Il problema del garantismo liberale riguarda i rapporti fra questi valori e queste esigenze diverse. Il garantismo parte dal franco riconoscimento che un momento coercitivo è presente in ogni scelta politica e si preoccupa di fissare limiti volti ad impedire che tale momento possa espandersi troppo. Popper invece ritiene che il garantismo non sia tanto una dottrina dei limiti del potere democratico quanto la caratteristica fondamentale di tale potere. La domanda “Chi deve governare?” è per Popper una domanda intrinsecamente sbagliata ed il solo porsela lascia aperta la strada a involuzioni autoritarie. Coloro che si pongono la domanda: “chi deve governare?” hanno una concezione potenzialmente totalitaria della politica. “presuppongono che il potere politico sia, per essenza, sovrano. Se si parte da questo presupposto allora, evidentemente, la domanda: chi deve essere il sovrano è la sola domanda importante a cui si deve rispondere” (5). Ma il vero problema non è, per Popper, quello di stabilire chi deve governare ma come si deve governare, con quali limiti, quali controlli, quali contrappesi all’azione di governo. Occorre “sostituire alla vecchia domanda: chi deve governare? La nuova domanda: Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi e incompetenti facciano troppo danno?” (6). Il governo maggioritario non è buono in sé ma è da scegliere perché permette un controllo periodico sull’attività dei governi, la democrazia non è qualcosa di positivo in quanto tale ma solo in quanto consente di resistere alla tirannide: ”La teoria alla quale intendo riferirmi è una teoria che non discende dall’intrinseca bontà o legittimità del governo maggioritario ma piuttosto dall’illegittimità della tirannide; per essere più precisi è una teoria che si fonda sulla decisione, o sull’adozione della proposta, di evitare la tirannide, di resistere ad essa”.(7)

Da quanto precede è fin troppo evidente il legame fra il Popper politico ed il Popper epistemologo: una teoria scientifica non può mai essere definita “vera” ma al massimo non (ancora) falsificata, allo stesso modo la democrazia non è qualcosa di positivo ma una condizione per evitare qualcosa di negativo: la tirannide. Ma, ritenere provvisoriamente “non falsa” una teoria scientifica non equivale in qualche modo a ritenerla, almeno provvisoriamente, vera? E definire indesiderabile la tirannide non significa in qualche modo ritenere buona la democrazia? Poter partecipare, partecipare in positivo, alle decisioni che riguardano tutti non è un valore? Non risponde ad una esigenza umana profonda? Certo, non è l’unico valore, occorre evitare che l’area del pubblico invada e annichilisca quella del privato. Popper ha mille ragioni quando difende il garantismo liberale, si preoccupa dei limiti all’azione del governo, dei pesi e contrappesi. Il limite della concezione di Popper emerge però quando egli tenta di assorbire la domanda relativa a chi deve governare nell’altra domanda relativa al come si deve governare. Interessato, giustamente, al garantismo Popper si spinge fino a ritenere che sia poco importante stabilire chi deve governare e giunge ad affermare che porsi una tale domanda porta ad una china autoritaria. Ma le cose non stanno così. Non stanno così in primo luogo perché, come lo stesso Popper ammette, il fatto che governi qualcuno e non qualcun altro (il popolo o un principe ereditario ad esempio) non è senza conseguenza sulla possibilità o meno che esistano vincoli all’azione di governo: le elezioni periodiche sono un vincolo e nelle elezioni periodiche il popolo esprime la sua volontà. E, in secondo luogo, le cose non stanno così perché il partecipare alle scelte pubbliche è in se un valore, anche se non l’unico o l’assolutamente prioritario. Anche se possono sembrare simili le concezioni di Popper e Berlin sono diverse. Teorizzando il possibile contrasto fra libertà negativa e libertà positiva Berlin parla di due valori, due libertà, e difende la prima dalle possibili incursioni della seconda. Popper cerca invece di risolvere il problema dei possibili contrasti fra le due libertà assorbendo praticamente la seconda nella prima, ma incorre in questo modo in un errore speculare, anche se forse meno grave, a quello in cui cadono i teorici della sovranità che egli critica. Mentre per questi se è il popolo a comandare non si pongono problemi di vincoli e garanzie all’azione de governo, per Popper se questi vincoli e garanzie esistono il problema di chi governa diventa ipso facto secondario. I due problemi sono invece entrambi importanti. E’ giusto che governino coloro che sono interessati alle scelte pubbliche, in breve, il popolo decidendo a maggioranza, ed è giusto che il governo popolare non sia illimitato, sia costretto a rispettare le minoranze e gli individui. Eliminare un problema non significa risolverlo.







Note

1) Stephen Holmes: Passioni e vincoli. Edizioni di Comunità 1998. Pag. 14

2) Stephen Holmes: Opera citata pag. 26. Sottolineatura di Holmes.

3) Stephen Holmes: Opera citata pag. 27.

4) Stephen Holmes: Opera citata pag. 27.

5) Karl Raimund popper: La società aperta e i suoi nemici. Armando 1981 pag. 175.

6) Karl Raimund Popper: Opera citata pag. 174.

7) Karl Raimund Popper: Opera citata pag. 178.


























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