domenica 19 luglio 2015

LO STERCO DEL DEMONIO


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Il denaro è un po’ come il sesso. Tutti o quasi ne sono attirati ma tutti o quasi mostrano una certa repulsione nei suoi confronti. Come il sesso il denaro è, dicono i moralisti, intrinsecamente un po’ sporco: è qualcosa che si desidera, che è bene avere, ma è anche corruttore, spinge l’uomo ad azioni spregevoli ed è esso stesso, in fondo, abbastanza spregevole. Il denaro appartiene alla dimensione dell’avere, anzi, ad una forma particolarmente alienante di questa dimensione. Grazie al denaro l’avere prevale sull’essere. Col denaro l’uomo può acquistare ciò che non ha e grazie a questa acquisizione diventa ciò che non è. Parafrasando Shakespeare e Goethe Marx afferma, nei Manoscritti economico filosofici: “Ciò che posso pagare, ciò che il mio denaro può comprare quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo. (…) le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche (..) ciò che io sono e posso non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto ma posso comprarmi la più bella fra le donne. E quindi non sono brutto (..) io, considerato come individuo, sono storpio ma il denaro mi procura ventiquattro gambe; quindi non sono storpio”. Il denaro fa di me ciò che io non sono, c’è del vero in questa affermazione, ma cosa significa realmente? Una cosa molto semplice ed importante: l'essere dell'uomo non è determinato unicamente dalle sue caratteristiche psicofisiche. Una fondamentale caratteristica dell’uomo è la sua capacità di modificare a propri fini il mondo circostante e questo influisce sulla sua stessa natura. Un tempo se un uomo nasceva privo di un arto era per sempre condannato ad una vita molto difficile, a volte invivibile. Oggi grazie alla tecnologia si possono costruire arti artificiali che permettono ai loro portatori una esistenza quasi normale. Questo significa che l’uomo odierno ha alienato da se la sua essenza autentica? Che l’avere ha prevalso sull’essere? No, significa che nell’essere dell’uomo è presente la dimensione dell’avere. Io sono ciò che sono anche grazie a ciò che ho, così come ho ciò che ho anche grazie a ciò che sono. L’avere non si identifica con l’essere ma non è neppure assolutamente contrapposto a questo. Il fatto di poter leggere, viaggiare, ascoltare musica, quindi avere dei libri, dei CD, dei mezzi di trasporto contribuisce a sviluppare le mie potenzialità, a bloccarne altre magari, quindi a fare di me ciò che sono.
Il denaro spinge l’uomo ad azioni spregevoli, è vero. Si uccide per denaro, ma si uccide anche per amore, passione, sesso. Si uccide per ideologia, religione, addirittura per noia. Si uccide perché si odia ma anche perché si ama, si ammazzano i nostri simili per freddo e lucido interesse ma anche per spassionato disinteresse. L’uomo compie azioni spregevoli quando egoisticamente antepone in maniera assoluta sé stesso agli altri e non obbedisce all’imperativo che ci obbliga a rispettare i nostri simili, ma compie azioni altrettanto se non ancora più spregevoli quando, spinto da idealistico e nobile altruismo, vorrebbe rendere felici tutti gli esseri umani. Alcuni fra i peggiori delitti della storia sono stati compiuti da uomini assolutamente disinteressati, pronti a sacrificare la propria vita, insieme a quella di milioni di altri, per quello che consideravano il bene dell’umanità.
L’uomo è capace di fare il male, è molto bravo a farlo. Pensare che sia la diabolica forza del denaro a spingere l’uomo al male significa scambiare l’effetto con la causa. L’uomo compie delitti (anche) per impossessarsi di denaro ma non è il denaro la causa dei delitti, la causa è la nostra capacità di compiere azioni malvagie. Addossare le nostre colpe allo “sterco del demonio” è solo un ingegnoso tentativo di auto assolverci.

Nessuno ha inventato il denaro. E’ sorto spontaneamente dall’interagire degli uomini; nessun governo ne ha programmato la comparsa. Forse per questo è tanto antipatico a chi crede nella assoluta superiorità della pianificazione sul mercato.
Gli esseri umani sono passati gradualmente dall’economia di auto consumo a quella di scambio (il che tra l’altro ha prodotto una considerevole diminuzione della violenza) e successivamente dal baratto all’uso di certi beni in funzione di denaro. Il processo che porta dal baratto al denaro è spontaneo: esistono dei beni che servono a tutti o quasi gli individui e che hanno caratteristiche che ne rendono particolarmente agevole la trasferibilità. Poniamo che A e B posseggano rispettivamente conigli e galline da scambiare e che sia A che B posseggano e desiderino avere pelli di castoro. Prima o poi A e B inizieranno a scambiare non galline con conigli ma galline e conigli con pelli di castoro. Un bene di largo consumo che tutti accettano diventa in questo modo gradualmente denaro. Nessuno ha deciso che le pelli di castoro diventino denaro, nessuno obbliga A e B ad accettarle come strumenti di pagamento, eppure gradualmente le normali transazioni fra gli esseri umani portano a questo risultato in partenza non voluto né programmato da nessuno. Un bene diventa denaro se è accettato come tale dalla grande maggioranza delle persone interessate agli scambi. E non si tratta di un processo che riguarda solo tempi antichissimi, avviene spesso sotto i nostri occhi ai giorni nostri. Un tempo non troppo lontano divennero nei fatti denaro i gettoni telefonici, oggi potrebbero diventarlo i ticket restourant che molte aziende distribuiscono ai loro dipendenti. Per andare su strumenti di pagamento più usati: assegni, bancomat, carte di credito sono ormai a pieno titolo sostituiti del denaro. Fino a quando non è consegnato per l’incasso e fino a che viene accettato come strumento di pagamento un assegno libero è a qualcosa di molto simile ad una banconota. Il fenomeno è tanto accentuato che le banconote legali ormai più che da strumento di pagamento assolvono al ruolo di riserva a garanzia della moneta bancaria in circolazione. E’ stata la graduale espansione del credito e dei depositi bancari a condurre a questo risultato.

Questo carattere spontaneo è stata la caratteristica di tutte le più importanti trasformazioni del denaro. Il passaggio dalla moneta aurea alla carta moneta è avvenuto in diverse fasi, non decise in anticipo da alcun governo. Ricchi mercanti depositavano nelle banche grosse quantità di monete auree e le banche rilasciavano loro dei biglietti che ne attestavano la proprietà. Lentamente i mercanti iniziarono ad usare questi biglietti per regolare le loro transazioni. Tizio vendeva certi beni a Caio per 100 monete d’oro e Caio dava a Tizio non 100 monete ma un biglietto attestante che nella banca X egli aveva in deposito 100 monete; presentandosi alla banca Tizio esibiva il biglietto e poteva ottenere il rilascio delle monete. In questo modo, lentamente, la circolazione dei biglietti affiancò quella delle monete. Il passo veramente decisivo però fu un altro. I banchieri si resero conto che le monete che dovevano effettivamente restituire ai loro legittimi proprietari erano solo una piccola parte di quelle conservate nei loro forzieri. Iniziarono allora a dare in prestito il denaro dei loro depositanti. X, Y e Z depositavano monete per 100 e la banca concedeva prestiti a W, K ed R per un importo pari a 80. Il 20 che restava era sufficiente per far fronte alle eventuali domande di rimborso dell’oro da parte dei depositanti. Inoltre anche coloro che avevano ottenuto credito non portavano con se l’oro ma lo lasciavano depositato ed avevano biglietti che attestavano la loro proprietà di certe quantità di monete auree. Era iniziato quello che in gergo tecnico si chiama effetto leva: l’attività di intermediazione creditizia moltiplica la liquidità che circola in un paese, gli strumenti di pagamento hanno un valore facciale superiore al valore dell’oro che essi rappresentano. Questo processo non ha fatto che ampliarsi fino ai nostri giorni. Oggi la funzione che fu ieri dall’oro è svolta in parte dalla carta moneta. La moneta bancaria in circolazione (assegni, carte di credito ecc) supera il valore delle banconote depositate presso le banche. Se per ipotesi tutti i depositanti dovessero presentarsi agli sportelli per ritirare il loro denaro le banche non potrebbero far fronte alle loro richieste, la porta sarebbe aperta al fallimento e fallendo le banche trascinerebbero nella rovina molte altre imprese.

E’ quasi un luogo comune legare il denaro al più crasso materialismo eppure nulla è più immateriale del denaro, se si escludono, naturalmente, le anime di noi poveri peccatori. Un tempo facevano funzione di denaro i più svariati oggetti: pelli, pesci essiccati, conchiglie, balle di tabacco. Poi questo ruolo è stato svolto dai metalli preziosi, poi dalle banconote cartacee e poi ancora dagli assegni e dalle varie forme di moneta bancaria. Oggi il denaro quasi non esiste, o meglio, esiste assai spesso nella forma eterea di un segnale elettronico, di una cifra che compare nel monitor di un computer. Una cifra, un numero bianco o azzurrino e davanti a quel numero una D o una A, un segno + o un segno – e quel segno, quella lettera, stanno ad indicare se sei ricco o sei povero, se hai un debito o un credito. Cosa potrebbe esserci di meno materiale? Cosa di più genuinamente spirituale? Il denaro è l’essenza pura della ricchezza, la sua anima; è ricchezza che non ha forma alcuna perché nello scambio può assumere ogni forma. Non solo, questa ricchezza spiritualizzata è molto vicina all’anima di ognuno di noi, alla nostra psiche. I nostri stati mentali influiscono profondamente sul valore del denaro, nel denaro si riflettono molte nostre paure, molte nostre speranze, progetti, aspettative. Si pensi alla borsa: se tutti o molti pensano che si sia alla vigilia di una fase espansiva il valore dei titoli sale, se invece prevale la sensazione che una crisi sia alle porte possono verificarsi disastrosi crolli. La stabilità del sistema bancario, quindi delle borse, quindi dell’economia nel suo complesso è intimamente legata ad un fattore psicologico, ad una propensione dell’animo umano e questa si chiama fiducia.Se per un qualsiasi motivo una banca perde la fiducia dei suoi depositanti la via al fallimento è aperta. E il fallimento di una banca, o almeno di una grande banca, è qualcosa di molto pericoloso. La sfiducia determina la corsa al prelievo: i depositanti temono che la banca non possa far fronte ai propri debiti e ritirano il denaro che hanno depositato. Ma nessuna banca può far fronte all’assalto ai propri sportelli, non esiste in nessuna banca una liquidità che le permetta di restituire tutti i depositi. Per cercare di far fronte all’assalto agli sportelli la banca deve chiedere la restituzione delle somme date in prestito agli investitori. Neppure questi però possono disporre di tali somme: esse sono state investite, con quelle somme si sono acquistati macchinari, materie prime, si sono pagarti operai e impiegati. Il fallimento della banca porta con se il fallimento di altre imprese e questo contagia altre banche e così via. Può scatenarsi un incontrollabile effetto domino dalle conseguenze imprevedibili. Le autorità monetarie naturalmente (e giustamente) non lasciano che le cose vadano in questo modo, intervengono iniettando liquidità nel sistema, si accollano una parte delle perdite, contribuiscono a ricreare un clima di fiducia. Devono farlo ed è bene che lo facciano se si vuole evitare il disastro.

Quello che è avvenuto negli Stai Uniti con la crisi dei mutui del 2008 è indicativo a questo proposito. C’è stata per anni negli Usa una grande espansione del mercato dei mutui. Le banche hanno iniziato a concedere mutui senza troppo badare alla capacità di rimborso dei mutuatari. Mutui al 100%, mutui con scadenza trentennale, mutui a persone con scarsi redditi. I crediti derivanti dai mutui sono stati poi cartolarizzati. Il procedimento è semplice. La banca vende il proprio credito nei confronti dei mutuatari ad una società che lo trasforma in obbligazioni e vende a sua volta queste obbligazioni sul mercato. Nel meccanismo non c’è nulla di diabolico: serve ad immettere nuove dosi di liquidità nel sistema e la liquidità, lo si è già detto, si trasforma in investimenti, produzione, occupazione. Ma se ad un certo punto i mutuatari cessano di pagare le rate dei mutui le cose si complicano, il sistema rischia di entrare in crisi con conseguenze catastrofiche (amplificate dal fatto che le obbligazioni garantite dai mutui sono intanto finite in fondi di investimento mobiliare, addirittura in fondi pensione). E non occorre che i mutuatari non paghino davvero, basta che il pubblico abbia la sensazione che questi potrebbero non pagare. I possessori di obbligazioni garantite da mutui le vendono, il valore di titoli crolla e con questo la fiducia nelle banche o nei fondi che li hanno in portafoglio. Solo interventi assai forti delle autorità monetarie possono, raddrizzare la situazione.
La genesi della crisi greca è diversa ma, alla base di tutto, sta sempre un livello patologico di indebitamento.
In Grecia i vari governi hanno creduto di potere garantire, insieme, un pressione fiscale molto bassa ed una elevatissima spesa pubblica improduttiva. Per cercare di tenere in piedi la baracca lo stato si è indebitato oltre misura, e molti dei suoi titoli sono finiti, come sempre accade, nei portafogli di banche greche e in seguito di banche straniere. Quando è apparso chiaro che lo stato greco non era in grado di far fronte ai suoi impegni c'è stato un crollo di fiducia nei confronti del sistema Grecia. Le banche estere hanno cercato di ridurre la loro esposizione nei confronti di quelle greche, i depositi sono crollati e le banche elleniche si sono trovate di fronte ad una spaventosa crisi di liquidità. Il resto è storia nota. Ancora una volta l'illusione di creare ricchezza semplicemente indebitandosi si è rivelata per quella che è: una illusione, molto pericolosa.
Il denaro è allora davvero qualcosa di diabolico? La finanza un veleno per l’economia? No, ovviamente. Perché se è vero che denaro e finanza possono innescare moltiplicatori negativi possono innescarne, e di fatto ne innescano, anche di positivi. L’economia è tutta fondata sulla anticipazione. Nel processo produttivo i costi precedono i ricavi, i debiti i crediti. Non esiste in economia un equilibrio assoluto, una situazione statica in cui tutti i debitori potrebbero pagare i loro debiti e tutti i creditori riscuotere i loro crediti dall’oggi al domani. L’economa è per definizione squilibrio, esposizione. Cosa fa si che lo squilibrio si trasformi o meno in crisi, l’indebitamento in crollo o in sviluppo del sistema? Sostanzialmente un rapporto equilibrato o squilibrato fra economia reale ed economia monetaria. L'immissione di liquidità nel sistema può stimolare la crescita, se però la liquidità diventa eccessiva, se passa l'idea che l'indebitamento, pubblico o privato, possa sostituire la produzione di beni e servizi, ci si può trovare nel bel mezzo di crisi di dimensioni catastrofiche.

Solo le economie di mercato sono in senso proprio economie monetarie. L’economia sovietica, o quella della Cina di Mao, non erano economie monetarie. Quando una autorità centrale decide cosa, quanto e come produrre il denaro non è strumento di scambio e misura del valore, è solo un mezzo per rendere più agevole la distribuzione dei prodotti. Il pianificatore decide di produrre tot beni e decide di distribuirli in un certo modo alla popolazione; potrebbe effettuare direttamente la distribuzione ma ciò è troppo complesso, dà allora ai cittadini dei buoni merce (impropriamente in questo caso chiamati denaro) con cui questi possono ottenere ciò che il pianificatore ha deciso che deve spettare loro.
In una economia libera il mercato seleziona gli investimenti indirizzandoli verso i settori in cui essi si riveleranno più produttivi. Chi investe in beni e servizi che non incontrano i gusti dei consumatori vedrà inesorabilmente svalorizzarsi il suo capitale. Nel caso di un’economia pianificata centralmente le cose sono ben diverse. Qui lo stato è padrone di tutto e non teme le scelte dei consumatori, non può andare incontro a fallimenti o crisi. Lo stato pianificatore non ha bisogno di vendere ciò che produce e neppure ha bisogno di fare degli utili: ha già in mano tutto, nessun imprenditore concorrente lo insidia, il suo capitale non può essere svalorizzato perché il valore riguarda gli scambi e lo stato centralizzato non deve scambiare nulla con nessuno. Se lo stato decide di produrre beni che non piacciono ai consumatori a star male saranno solo loro. E’ capitato nella Russia staliniana che alcune fabbriche di scarpe producessero paia di scarpe entrambe sinistre o destre. Per un imprenditore privato questo sarebbe stata una tragedia, nella Russia staliniana la tragedia c’è stata solo per i consumatori: questi potevano scegliere solo se calzare scarpe destre nei piedi sinistri o non avere scarpe.
Dotato di un potere enorme lo stato pianificatore non è in grado di sapere quali sono le effettive preferenze dei consumatori, non esiste il meccanismo del mercato che lo indirizza in questo senso. E anche se fosse in grado di conoscere queste preferenze allo stato pianificatore ciò non interesserebbe più di tanto. Ciò che è avvenuto nella vecchia Unione sovietica, in Cina e in pressoché tutti i paesi comunisti è a questo proposito indicativo. Scelte economiche che hanno di fatto condannato a morte milioni di persone sono state prese nelle stanze del politboureau, con assoluta nonchalance. Stalin decide che tot milioni di tonnellate di grano devono essere trasferite dalle campagne alle città e questo viene fatto. E se i contadini non intendono trasferire il loro grano? Se chiedono che venga pagato loro ad un certo prezzo? Peggio per loro. L’economia centralmente e totalmente pianificata è una economia di comando, slegata da ogni considerazione sui gusti e le preferenze del pubblico. Non conosce, è vero, fallimenti, squilibri, crisi, ma questo solo perché è totalmente indifferente ai bisogni dei consumatori. Le sofferenze che una siffatta economia riserva agli esseri umani si sono dimostrate enormemente più gravi di quelle che può provocare la peggiore delle crisi capitalistiche.
Forse il denaro è davvero lo sterco del demonio. Ma, pur dando il giusto peso ai problemi spesso molto gravi cui vanno incontro le economie monetarie, possiamo dire: ben vanga un tale sterco.

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