Perché sono tanto
faziosi? Come è possibile che riescano ad esprimere una così
formidabile capacità di odiare? Perché devono avere sempre un
mostro, ieri Berlusconi, oggi Salvini, da additare quale responsabile
di tutti i mali del mondo? Tanta faziosità, tanta ostentazione di
odio sono, tra l'altro, controproducenti. Possibile che non lo
capiscano? Zingaretti e Martina non sono particolarmente
intelligenti, è vero, ma anche uno stupido queste cose riuscirebbe
a capirle, loro no. Perché?
La risposta è semplice:
sono comunisti. Per essere più precisi, hanno da tempo abbandonato i
fini comunisti ma conservano la mentalità comunista, il che è anche
peggio.
Qualcuno considera il
partito comunista un partito, più o meno, simile a tutti gli altri,
solo più intollerante, più estremista. Il partito comunista avrà
magari una forte vocazione autoritaria ma è comunque, e si sa, parte
della società e mira a governarla, anche se con metodi poco
ortodossi. Chi la pensa così non ha capito nulla del comunismo, meno ancora capisce la mentalità comunista
Il partito comunista non
è un normale partito autoritario, non mira semplicemente a governare
autoritariamente la società, al fine di tutelare determinati strati
sociali, i loro interessi, i loro valori. No, è qualcosa di
completamente diverso. Il partito comunista è l'autocoscienza della
storia che si esprime come auto coscienza di quella classe che ha il
destino storico di traghettare il genere umano dal regno della
necessità a quello della libertà: il proletariato.
Il mondo borghese è un
mondo alienato, gli esseri umani che vivono in questo mondo sono
poveri, esangui fantasmi, non-uomini che hanno fuori di se la propria
umanità. Grazie all'azione della classe operaia e del partito che ne
rappresenta l'autocoscienza questo mondo sarà distrutto, si
ricomporrà ad un livello più alto la originaria unità fra uomo e
natura, individuo e collettività, essenza ed esistenza umana. Dopo
millenni di sfruttamento ed alienazione si concluderà il dramma
terreno dell'uomo. La scissione dell'uomo con se stesso sarà
superata e regnerà, per sempre, una superiore armonia.
Nella teoria e nella
prassi del partito comunista si esplicita e si realizza il
rovesciamento della storia, dell'uomo e della società. Non
l'emancipazione umana ma la trasfigurazione dell'uomo è il fine del
partito comunista, la rigenerazione integrale, la torsione a 180
gradi della sua natura. Con questa torsione la storia raggiunge il
suo fine immanente, il paradiso abbandona l'al di la ed entra
trionfante nel mondo terreno.
Il carattere mistico
ed escatologico di una simile concezione è talmente evidente che non
vale la pena di sottolinearlo troppo. Una cosa invece val la
pena di mettere in evidenza: i rapporti fra i comunisti e gli
esponenti di altre forze politiche non sono in nulla assimilabili ai
rapporti, più o meno pacifici, che le altre forze politiche hanno
fra loro. Liberali e socialdemocratici, progressisti e conservatori,
laici e cattolici, per tutti c'è posto nella concezione comunista
della storia e del suo corso. Però sono loro, i comunisti, a
rappresentare la autocoscienza di questo corso. La vittoria finale
del comunismo rappresenta il lieto fine di un dramma di cui anche gli
altri sono attori, ma attori necessariamente comprimari,
inconsapevoli agenti della loro stessa, inevitabile, sconfitta. I
rapporti fra i comunisti e gli altri non sono, non possono mai
essere, rapporti alla pari. Si tratta, sempre, di rapporti fra
l'agente dello sviluppo storico ed i suoi inconsapevoli strumenti.
Il comunista può essere
anche molto “dialogante”, a volte è dispostissimo ad accordi
tattici o strategici con altri partiti, mira spesso a creare ampi
fronti “democratico progressisti”, ma, sempre, considera gli
altri, siano essi nemici o momentanei alleati, come esponenti di
forze politiche e sociali destinate a sparire, magari dopo aver
subito per un certo periodo di tempo la sua egemonia.
La faziosità del
comunista nasce da qui, dalla pretesa di essere radicalmente diverso
dagli altri, diverso perché destinato a realizzare un ineluttabile
destino storico. Ma, attenzione, l'essere il consapevole attore di un
destino storico non induce nel comunista alcun senso di quietismo. Il
destino si realizza nella e grazie alla volontà, le leggi immanenti
alla storia trovano la loro attuazione nella cosciente pratica
rivoluzionaria. Il comunista è, insieme, determinista e
volontarista, la cosa non lo preoccupa perché lui, da buon marxista
hegeliano, ha “superato” il principio di non contraddizione. Si
sa predestinato a riscattare il mondo e lotta con tutte le forze
contro chi intende rallentare, o condizionare, o impedire questo
riscatto. E' un calvinista laico.
E da buon calvinista ha
una formidabile capacità di odiare, oltre che di amare. Ed odia in
effetti chi in qualsiasi modo si oppone alla sua azione redentrice;
soprattutto odia con la massima intensità chi non dialoga con lui,
chi non accetta la sua visione escatologica della storia, la sua
concezione del bene come trasfigurazione dell'uomo, insomma, chi
rifiuta la sua egemonia culturale oltre che la sua politica.
Il comunista rigetta con
veemenza ogni forma di reciprocità con le altre forze politiche. E'
ridicolo chiedergli una sincera accettazione delle regole
democratiche, o il riconoscimento del pluralismo sociale e politico o
il rispetto delle libertà individuali.
Il comunista pretende il
massimo rispetto dagli altri ma non è disposto a rispettarli, se non
a fini tattici. Una manifestazione è una grande “espressione di
democrazia” se ad essa aderiscono i comunisti, diventa “eversione
populista” se a guidarla sono i suoi nemici. Il comunista è pronto
a definire “borghese“ la legalità, ma la invoca se il leader di
un partito nemico finisce nel mirino di qualche magistrato
politicizzato. Esalta la pace quando si tratta di
protestare contro un intervento armato “made in USA”, ma esalta
la guerra se sono i suoi compagni a condurla, vuole la libertà di
stampa ma è pronto ad eliminarla se questo favorisce la sua
politica, urla contro la pena di morte, ma la sua storia è un
martirologio di esecuzioni, spessissimo sommarie, sempre illegali. La
democrazia va bene se agevola l'azione politica dei comunisti, può
essere gettata alle ortiche se la ostacola. Si potrebbe continuare,
molto, molto a lungo.
Una faziosità tanto
radicale non deriva da cattiva fede, scarso attaccamento all'ideale,
degenerazione corruttiva. No tanta faziosità deriva
precisamente dall'attaccamento all'ideale,
dalla convinzione profonda di far parte della crema del genere umano,
di essere superiore agli uomini “comuni”. Il comunista è tanto
più fazioso quanto più è in buona fede, è tanto più feroce
quanto più è onesto, in questo è sinistramente simile al suo
gemello-nemico nazista. Il nazista più pericoloso era quello più in
buona fede, quello meno corruttibile, intimamente convinto della
superiorità della “razza ariana” e del carattere criminale del
giudaismo. Alcuni fra i più grandi ed orrendi crimini della storia
sono stati commessi da persone assolutamente integerrime, spesso
“incorruttibili”.
Ci sono altri due
aspetti della faziosità comunista che occorre chiarire, aspetti
piuttosto importanti.
Il primo risiede nella
concezione comunista del bene. Si sente spesso dire che i comunisti
sono meno esecrabili dei nazisti perché il loro fine sarebbe stato
il “bene” degli esseri umani mentre i nazisti rivendicavano con
feroce coerenza il male. Non intendo affrontare un tema tanto
complesso come quello del confronto fra comunismo e nazismo, mi
limito ad osservare che l'etica delle intenzioni non può
guidarci nella valutazione di ciò che concretamente producono certe
ideologie. Se una certa ideologia mira al bene ma sempre, in tutte le
situazioni, produce solo il male può darsi che ci sia in lei
qualcosa di profondamente, radicalmente sbagliato, può darsi che il
bene per cui questa ideologia si batte non sia poi tanto un “bene”.
E siamo così al punto. Il “bene” a
cui mirano i comunisti non è lo stesso “bene” a cui mirano ad,
esempio, i liberali, o i socialdemocratici.
Per tutti questi è “bene” che gli esseri umani godano di estese
libertà civili e politiche, che esista un buon livello di benessere,
che tutti, o la gran maggioranza, degli esseri umani possano
realizzare alcuni almeno dei loro fini. Si tratta insomma del bene
dell'uomo empirico, dell'essere limitato, dato, accidentale che vive
qui ed ora nel mondo. Il comunista ride di questa concezione del
bene, si tratta per lui di una concezione piccolo borghese, filistea.
Il “bene“ del comunista si identifica col superamento
dell'egoismo in ogni sua forma, nella fine e di quello che Rousseau
chiamava l'amor proprio, del desiderio di riconoscimento, di
benessere materiale. Il bene ideale del comunista si realizza
nell'integrazione senza residui dell'io nel tu, del singolo nel
collettivo, nella armonia totale, senza smagliature di tutti con
tutti. Si tratta non di fare il bene dell'uomo che vive qui ed ora
nel mondo ma di cambiare radicalmente la natura di questo piccolo,
miserabile, filisteo che è l'uomo che vive qui ed ora nel mondo. Il
bene comunista si realizza nella costruzione dell'uomo nuovo, non
nella soddisfazione dei meschini desideri dell'uomo “vecchio”. Si
tratta di un fine impossibile, impossibile nel senso letterale del
termine, posto al di fuori delle possibilità umane.
Però è facilissimo uccidere milioni di uomini “vecchi” per
realizzarlo; è possibile farlo perché chi ha una simile concezione
del bene gli uomini vecchi in fondo li disprezza. L'ometto che vuole
qualche soldo in più in busta paga, che aspetta con ansia una
settimana di vacanze al mare, che è preoccupato per la scarsa
sicurezza del quartiere in cui vive, fa schifo all'intellettuale
comunista. Se ne possono sostenere le rivendicazioni se questo è
utile alla causa, lo si può spedire in un comodo campo di
concentramento se invece è questo ad essere utile; lo si può fare
senza batter ciglio. Un simile sotto uomo non merita molte
attenzioni.
Ed infine, la cosa forse
più importante. Il grande ideale è scritto nel destino della storia
ma si realizza con la volontà, nella lotta, lotta dura, durissima,
spietata. E nella lotta si deve odiare, odiare senza riserve il
nemico. E non si odiano una classe o un sistema economico, non si
odiano delle relazioni sociali. Si odiano, si possono odiare solo
degli esseri umani, esattamente come si possono amare solo degli
esseri umani, in carne ed ossa. La grande causa ha bisogno di grandi
leader che le folle possano adorare e di nemici che le stesse
possano, anzi, debbano odiare, con tutte le loro forze. Le
grandi ideologie escatologiche hanno sempre bisogno di nemici.
Ed infatti il comunismo
è sempre vissuto circondato da nemici, esseri demoniaci, uomini che
rappresentavano il male assoluto, mostri coi quali ogni dialogo era
impossibile, che dovevano solo esser distrutti, schiacciati come
vermi. Il caso più enorme è quello di Trotskj. Il protagonista del
colpo di mano dell'ottobre che diventa il nemico numero uno degli
operai di tutto il mondo, l'insetto velenoso che da sempre ha tramato
contro il partito bolscevico, colui che era complice del fascismo
prima ancora che il fascismo nascesse. E oltre a Trotskj tanti altri,
interni o esterni al movimento comunista, di destra o di sinistra: il
“rinnegato Kautsky”, Liu Shao Chi, Saragat, Scelba, Craxi,
Almirante, fino ai mostri di iri e di oggi: Berlusconi,
Salvini. La lotta per il bene assoluto ha bisogno di angeli ed ha,
parimenti, bisogno di demoni. Certo, a volte le cose cambiano, col
mutare delle esigenze tattiche. Qualche mostro viene riabilitato,
qualche altro diventa, per limitati periodi di tempo, un po' meno
mostro. Saragat è stato additato per anni come “servo degli
imperialisti”, poi è stato votato, anche dai comunisti, presidente
della repubblica; lo stesso Berlusconi, dopo esser stato demonizzato
per anni viene oggi guardato con un certo rispetto, oggi il mostro
non è più lui. Ma se si guarda alla storia del movimento
comunista nel suo complesso ci si accorge subito che sempre, in
questa storia, è presente qualche mostro, qualche nemico del popolo
contro cui manifestare il proprio furore , la propria sacrosanta
indignazione.
Qualcuno potrebbe
obbiettare: “Giovanni, non ti sembra di esagerare? Zingaretti che
vuole rifondare l'uomo? Martina che vuole rivoltare come un calzino
la società? Ma è tutta gente impelagata con Monte Paschi!
E'
vero, i post comunisti di oggi hanno abbandonato le vecchie utopie,
sono ben inseriti nel sistema capitalistico, amministrano banche, a
volte quasi le fanno fallire, hanno buoni rapporti con nomi
importanti della nomenclatura industriale e finanziaria. Insomma, non
sono affatto degli incorruttibili e spietati angeli dell'ideale,
piuttosto piccoli e grandi burocrati con una moralità spesso assai
elastica, più di una volta coinvolti in gravi scandali.
Però, la
mentalità degli esseri umani non cambia automaticamente col variare
del loro stile di vita, delle loro stesse idee. Si può accettare il
sistema capitalista e continuare a sentire nei suoi confronti una
sottile ostilità. Ci si può, anche in buona fede, dichiarare
pluralisti ma continuare a sognare la società unificata, omogenea,
priva di contrasti. I valori degli attuali leader PD sono il
mondialismo e l'accoglienza illimitata, il misticismo ecologico e la
filosofia gender, l'europeismo marca UE e la strenua difesa dei
famosi “parametri”. Tutte cose che col comunismo hanno decisamente
poco a che vedere. Tutto vero, ma qui non si tratta del merito
dei valori e degli obiettivi oggi difesi dalla sinistra, ma della
loro forma.
E questa è oggi, più o meno la stessa di ieri. La società
integrata, multicolore, caratterizzata da una illimitata mobilità,
priva di sessi e di ruoli sessuali è considerata oggi un valore
assoluto esattamente come erano fino a ieri valori assoluti la
pianificazione centralizzata di tutta l'economia e la difesa sempre e
comunque della “patria del socialismo”. E l'incondizionata
fedeltà che oggi il PD giura alla UE ricorda abbastanza da vicino la
vecchia fedeltà al “campo socialista”. La sinistra proprio non
riesce a considerare le idee, gli interessi, i valori che difende
come qualcosa di non assoluto, come normali idee, interessi, valori
che devono convivere con altri, anch'essi pienamente legittimi, in
una società pluralista. Chi non accetta la loro visione del mondo è,
sempre, un essere abbietto, un nemico del progresso, della pace,
della democrazia, qualcuno da espellere dalla contesa politica , non
da battere politicamente. In questo un Martina ed uno Zingaretti
restano, nella forma mentis, comunisti, come erano comunisti
Longo o Togliatti.
Al momento del suo crollo l'impero
comunista era tutto meno che il regno dell'ideale incontaminato, era
divorato da una corruzione generalizzata, distruttiva. Però i vecchi
modi di pensare e sentire restavano, ben saldi, convivevano con una
realtà gretta, miserabile. E nessuno fra i vecchi modi di pensare e
sentire è tanto saldo, duro a morire quanto la faziosità, la
convinzione di essere comunque superiori agli altri. Tanto più
l'ideale viene contraddetto dalla prassi tanto più si fa forte
questa convinzione, tanto più feroce diventa, a volte, questa
faziosità. Si tratta di un'arma difensiva, in fondo, qualcosa che
tiene lontane le insidie del mondo e permette al post comunista di
non rimettere in discussione la sua storia, i suoi valori, di far
convivere la sua grigia prassi presente con i nobili e mai rinnegati
ideali di ieri.
Fino a quando i post
comunisti non
diventeranno ex comunisti,
fino a quando cioè non sottoporranno ad un esame spietato la loro
vecchia ideologia, fino a quando continueranno a voler far convivere
passato e presente, idealità e grigia prassi quotidiana, fino a quel
momento resteranno, sempre, degli insopportabili faziosi. Divorati
dall'odio.
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