domenica 31 gennaio 2016

AMORE, SESSUALITA', PROCREAZIONE.

Appare un po' deprimente che, mentre l'Italia e l'Europa stanno attraversando un periodo di crisi gravissima, l'argomento principe di quella cosa poco seria che è la politica italiana sia il matrimonio gay. Le cose stanno così però, quindi val la pena di cercare di spendere qualche parola sull'argomento. Intendo farlo nella maniera più pacata e meno polemica possibile, perché il matrimonio gay e la pratica dell'utero in affitto riguardano una problematica importante, che val la pena di affrontare con la dovuta serietà.

Desideri e diritti.
Da un po' di tempo è passata in occidente una concezione secondo cui i desideri delle persone possono, automaticamente o quasi, essere trasformati in diritti.
Nella tradizione democratico liberale i diritti fondamentali sono negativi. Il diritto difende la persona dalle altrui intrusioni ed aggressioni. Ho il diritto alla vita, alla incolumità personale, alla libertà, a godere come meglio credo dei beni che ho acquisito legalmente. Per il filosofo liberale Isaiah Berlin ogni individuo dispone, deve disporre, di un'area in cui egli solo decide. Dove intendo vivere? Che lavoro voglio fare? Mi sposo o no? Quali sono le mie preferenze sessuali? Sono d'accordo con Kant o con Hegel, o con nessuno dei due? Su argomenti di questo tipo sono io a decidere. Gli altri, siano questi dei privati cittadini o lo stato, devono solo tacere. I diritti fondamentali sono negativi perché mi difendono da qualcosa o qualcuno, tutelano la mia personale, individuale libertà. Mi rendo conto che l'argomento è molto vasto e richiederebbe un approfondimento che qui non può neppure essere tentato. Il punto di fondo però è piuttosto chiaro: quella che Isaiah Berlin chiama la libertà negativa è fondamentale in una democrazia liberale.
Ultimamente però in occidente si è sempre più estesa, accanto e spesso in contrapposizione alla sfera dei diritti negativi, un'altra sfera, quella dei cosiddetti diritti positivi.
Di nuovo, non è il caso di dilungarsi troppo. Basti accennare al fatto che il diritto positivo non ci tutela da qualcuno o qualcosa, ma ci autorizza a chiedere qualcosa a qualcuno: l'istruzione, ad esempio, o il lavoro, o un certo benessere. Avere affiancato ai diritti negativi alcuni diritti positivi è stato un fatto storicamente progressivo e meritorio, tuttavia la loro eccessiva estensione sta diventando un fattore di crisi e di disgregazione sociale. Specie negli ultimi tempi, quando si è sempre più sviluppata la tendenza a trasformare in diritti quelli che sono solo desideri delle persone. Sono così sorti strani “diritti” come il diritto alla salute, al benessere, alla felicità, ed infine, alla maternità o alla paternità.
Si tratta, lo dico molto chiaramente, di finti diritti. Io non ho il diritto alla salute, posso al massimo avere il diritto alla assistenza medica. Non ho il diritto al benessere, ho il diritto di poter lavorare per cercare di costruirmi un certo livello di benessere. Non ho il diritto alla felicità, posso solo avere il diritto di cercare di essere felice. NON HO il diritto alla paternità o alla maternità, ho solo il diritto di poter avere un figlio, se sono in grado di averlo.
Non tutti i desideri possono diventare diritti, a questo si oppongono due cosette di una certa importanza. In primo luogo i diritti degli altri. Un mio incondizionato “diritto al benessere” ad esempio obbliga gli altri a mantenermi, e questa è una violazione piuttosto pesante del loro diritto di NON mantenermi. Ma alla trasformazione dei desideri in diritti si oppone qualcosa di ancora più forte: la natura. Io vorrei essere alto un metro e novanta, avere l'intelligenza di Einstein e la bellezza ed il fascino di Marlon Brando, vorrei, ma non posso perché sono bassotto, dotato di una intelligenza normale e non particolarmente bello. Posso, ovviamente, cercare di migliorarmi ma questo non mi fa acquisire alcun diritto. Per quanti sforzi io faccia non diventerò mai bello come Brando ed intelligente come Einstein, e non potrò chiedere per questo i danni a nessuno: nessuno ha violato qualche mio diritto, semplicemente qualche mio desiderio è rimasto insoddisfatto.
Per venire al nostro argomento, se io e Tizio formiamo una coppia gay non potremo mai avere un figlio nostro. Potremo adottare un figlio o averne uno iniettando il seme mio, o di Tizio, in un utero preso in affitto. In ogni caso il figlio sarà mio (o di Tizio) e della ragazza che ci ha affittato l'utero. Non sarà il figlio mio e del mio compagno, non sarà nostro figlio.

Figli, amore, sesso.
Nella concezione tradizionale della famiglia dovrebbe esistere un legame strettissimo fra amore, sessualità e procreazione. Due persone si amano, vivono insieme, hanno rapporti sessuali ed hanno dei figli. Il figlio è il risultato del loro amore congiunto al sesso; allevare il figlio, educarlo, aiutarlo a crescere diventa uno dei compiti più importanti della loro vita in comune, qualcosa che le conferisce senso.
Non sono un ingenuo né, meno che mai, un bacchettone. So benissimo che può esserci sesso, omo od eterosessuale, senza amore, e non ci trovo nulla di particolarmente scandaloso. E possono esserci, e non c'è in questo nulla di negativo, sesso ed amore senza procreazione. Ed esiste anche l'amore senza sesso, anzi, alcune delle forme più profonde di amore, quella fra genitori e figli ad esempio, sono, devono essere, senza sesso: la presenza del sesso le corromperebbe irrimediabilmente.
L'unità fra amore, sesso e procreazione non è quindi un imperativo categorico, qualcosa che abbia valore assoluto, solo degli ingenui o degli ipocriti possono sostenere una tesi tanto bizzarra. Il punto però non è questo. Fermo restando che l'unità fra amore, sesso e procreazione non è affatto assoluta, a cosa si deve mirare quando ci sono di mezzo dei figli? Il legislatore deve favorire situazioni in cui il figlio sia la risultante di tale unità o è meglio che consideri tutte sullo stesso piano le varie forme di convivenza fra gli esseri umani?
Per cercare di spiegarci meglio prendiamo in considerazione il caso delle adozioni e dell'utero in affitto.
Poniamo che una coppia “normale”, composta da un uomo ed una donna, non possa per qualche motivo avere figli. La coppia adotta un bambino che non ha genitori e vive in una struttura pubblica, più o meno confortevole. L'adozione inserisce questo bambino in una situazione che non è identica a quella della famiglia naturale ma le si avvicina molto. Il piccolo passa dall'orfanotrofio ad una casa in cui due persone gli fanno, spesso egregiamente, da genitori.
Prendiamo ora in esame il caso dell'utero in affitto. Tizio e Caio, omosessuali, vivono insieme. Desiderano avere un figlio. Il seme di Tizio (o Caio) viene iniettato in Laura che, a pagamento, mette a loro disposizione il suo utero. Dopo nove mesi Laura partorisce e suo figlio vine subito dato a Tizio e Caio che possono soddisfare in questo modo il loro desiderio di paternità. Qui il mancato legame fra sesso, amore e paternità non è, come nel primo caso, il risultato di una circostanza sfortunata, è un dato ineliminabile. L'adozione in questo caso non è uno strumento finalizzato al benessere dei bambini, qualcosa che permette loro di avere quanto di più simile alla famiglia si possa immaginare. No, nel caso dell'utero in affitto assistiamo al tentativo di rendere normale la separazione fra procreazione da un lato e amore – sesso dall'altro. Avere un figlio dalla persona che si ama è solo uno dei tanti modi di soddisfare il “desiderio di paternità” o di maternità. Posso avere un figlio dalla donna che amo o iniettando il mio seme nel ventre di una donna che vive in Costarica o in Ucraina e che assume il ruolo non tanto di madre quanto di produttrice di bambini. La differenza fra produzione e riproduzione scompare, o si attenua in maniera esponenziale. Finora tutti si era più o meno convinti che la produzione riguardasse le cose, al massimo le piante o gli animali, per le quali è più corretto parlare di coltivazione o allevamento, e la riproduzione gli esseri umani. Ora ci troviamo invece in una situazione in cui gli esseri umani si producono. Non sono un nemico della tecnologia né un ecologista mistico, non ho nulla contro la produzione di beni e servizi ci mancherebbe. Può darsi che tutto questo sia positivo. Però, è bene sottolineare che di questo si tratta e non di altro. Non si tratta di omofobia, di accettazione o di rifiuto della omosessualità. Non si tratta di negare agli omosessuali il sacrosanto diritto a vivere la loro sessualità. La domanda chiave, diciamolo pure, le domanda filosofica è la seguente: si possono produrre gli esseri umani per soddisfare certi umani, umanissimi, desideri? Personalmente penso che la risposta sia NO.

Mercificazione.
“Non si deve “mercificare” il corpo della donna!” Ripetono ogni cinque minuti le femministe. Lo strillano di solito quando vedono il sedere di una bella ragazza usato per la pubblicità di jeans o minigonne. Altri si aggiungono al loro coro e protestano contro la “mercificazione” di altre cose: il lavoro, i polli, le opere d'arte, l'acqua, le spiagge, eccetera eccetera. Per Karl Marx la merce era al centro della economia capitalistica. I suoi tardivi seguaci non hanno quasi mai letto un rigo delle sue opere, ma condividono la fortissima antipatia del barbone di Treviri per tutto ciò che è merce.
Io invece guardo con simpatia alla economia di mercato e non ho nulla contro le merci. Però, ricordo che al suo affermarsi proprio l'economia di mercato ha ridotto l'area di ciò che può essere oggetto di compravendita. Un tempo la giustizia era spesso affare privato. I genitori di un assassino potevano comprare la grazia di loro figlio pagando i genitori della sua vittima, qualcosa di simile avviene ancora oggi nei paesi islamici. La massima estensione della economia mercantile e della filosofia politica liberale ha coinciso con la affermazione del principio secondo cui non tutto può diventare merce. Il motivo è semplice: lo scambio può avvenire solo fra soggetti che abbiano pari dignità e diritti. Trasformare in merce alcune cose, ad esempio gli esseri umani, contrasta con la logica dello scambio, o quanto meno ne riduce di molto la portata. Se esistono gli schiavi questi possono essere oggetto di scambio ma non suoi soggetti, se la giustizia si può comprare i rapporti fra venditori e compratori rischiano quanto meno di essere compromessi.
Non tutto si può scambiare quindi, non tutto può diventare merce. Se si vuole che la società, e nella società il mercato, si basino sulla libera attività di liberi soggetti alcune cose devono essere messe fuori dal mercato e dalle sue contrattazioni. Personalmente ritengo che la capacità della donna di diventare madre sia una di queste cose. Non trovo nulla di male nel pagare un uomo o una donna perché facciano un certo lavoro, e neppure nel pagarli perché si facciano fotografare incerte pose, anche “audaci”. Posso avere torto a ragione, ma protestare di fronte ad un manifesto pubblicitario che ritrae una bella ragazza seminuda, strillare che “mercifica” il corpo della donna e non avere nulla da ridire sull'utero in affitto mi sembra il massimo della incoerenza e della cattiva fede. Affittando il suo utero una donna “mercifica” quanto di più intimamente, radicalmente suo essa possiede: la sua capacità di riprodursi. Diventa produttrice di bambini allo stesso modo in cui, lavorando in fabbrica, può diventare produttrice scarpe o pantaloni. E, non tappiamoci gli occhi, lo fa sempre o quasi, perché spinta dal bisogno. Non a caso gli uteri si “affittano” in paesi caratterizzati da vaste fasce di povertà. Come possano delle persone che detestano le “merci” accettare tutto questo è e resta un mistero.

Conseguenze.
Finora non ho detto una parola sulla famosa legge Cirinnà. Intendo continuare a non parlarne.
Mi interessa molto, invece, esaminare le conseguenze logiche di certe prese di posizione. Nessuno o quasi lo fa, purtroppo. E' così ormai che funzionano le cose. Si dice: A senza curarsi di cosa discenda logicamente da A. Molti ad esempio sono favorevoli alle adozioni gay ma non all'utero in affitto, o alla fecondazione eterologa ma non alla creazione di un mercato degli uteri.
Torniamo ai nostri Tizio e Caio, omosessuali. Vogliono un figlio, quindi fanno iniettare il seme di uno dei due nel ventre si una ragazza colombiana che fornirà loro, a gestazione compiuta, il pargoletto. Però, se una simile pratica è del tutto lecita, ed è considerata assolutamente normale, perché Tizio non dovrebbe iniettare il suo seme in una fanciulla alta, bionda, in ottima salute e con un elevato quoziente di intelligenza? Anna e Laura, lesbiche, vogliono avere un figlio, quindi una di loro si fa iniettare il seme di Tizio. Perché non dovrebbe scegliere un donatore bello, muscoloso, intelligente e di razza bianca? Mario e Maria costituiscono una normalissima copia etero. Si amano, stanno bene insieme, e vogliono un figlio. Maria però è piuttosto bassa ed anche Mario non è uno spilungone. Ai due piacerebbe avere un figlio alto. Quindi Maria si fa iniettare il seme di Tizio, un ragazzone di un metro e novanta il cui padre superava i due metri e che ha già un figlio alto un metro e ottantotto. C'è qualcosa di sbagliato nel comportamento di Tizio e Caio, Anna e Laura, Mario e Maria? Difficile sostenerlo se si accetta il principio dell'utero in affitto. Se i bambini si producono perché non cercare di produrre dei bambini di buona qualità?
Separare, in linea di principio, riproduzione e sesso-amore, mettere da un lato i figli, dall'altro l'amore e la sessualità dei genitori trasforma in produzione la riproduzione e questo apre, lo si voglia o no, le porte alla eugenetica.

Qualcuno a questo punto potrebbe obbiettare che il mio procedimento è scorretto. Non sta scritto da nessuna parte che chi fa una certa scelta debba trarre sempre da questa tutte le sue possibili conseguenze. Ogni scelta può avere, in fondo, delle conseguenze negative che noi non siamo obbligati ad accettare. Il fatto che siano possibili, ad esempio, i trapianti di organi può avere come conseguenza la formazione di un mercato degli organi umani, ma non si tratta di qualcosa di necessario o comunque di impossibile da contrastare. Nei fatti è perfettamente possibile essere favorevoli ai trapianti di organi e contrari alla formazione di un loro mercato. Considerazioni simili si possono fare per le adozioni gay.
L'obiezione è intelligente ma sostanzialmente infondata. Certo, non è obbligatorio trarre dalle proprie scelte tutte le conseguenze in queste implicite. Da A può seguire B ma questo non significa che chi vuole A debba sempre e comunque volere anche B. Ma il punto è: chi vuole A e non B è una persona coerente o ha solo paura di ciò che in A è implicito?
Tutte le azioni e tutte le scelte possono avere conseguenze negative, si è detto, ed è vero. Certe conseguenze però possono essere logicamente connesse a certe teorie e a certe azioni, altre invece possono essere solo i loro possibili risultati. Se si sostiene che una certa razza è per sua natura inferiore alle altre è incoerente rifiutare il razzismo; il nazionalismo aggressivo invece è una conseguenza possibile ma non necessaria delle teorizzazioni della nazione e della sua rilevanza nella storia.
Questo riguarda anche il caso delle adozioni gay e dell'utero in affitto? E' davvero fondato il paragone con i trapianti e la possibile formazione di un mercato di organi umani?
Il trapianto di organi costituisce la risposta tragica ad una tragica emergenza: una persona è a rischio di vita e può essere salvata solo grazie ad un nuovo organo. Da una simile situazione può nascere, ma non è necessario che nasca un mercato di organi umani. E' possibile effettuare trapianti anche in assenza di un tale mercato, anzi, questo permetterebbe ai più ricchi di monopolizzare gli organi disponibili e ostacolerebbe, in ultima istanza, la generalizzazione delle pratiche di trapianto. La pratica dei trapianti non ha come necessaria conseguenza la nascita di un diritto all'acquisto di organi, non si traduce necessariamente in una nuova “normalità” che veda simili acquisti come qualcosa di ovvio, scontato.
Chi teorizza e vuole le adozioni gay mira invece proprio a questo tipo di normalità. Esiste un “diritto” alla paternità ed alla maternità e questo riguarda tutti, siano questi omo od eterosessuali. Prendere un utero in affitto non costituisce in questo caso la risposta purtroppo obbligata ad una tragica emergenza, ma una quotidiana normalità. Sono gay, ho diritto alla paternità o alla maternità quindi posso affittare un utero o comprare il seme di un donatore. Qui tutto è assolutamente normale, scontato, addirittura banale. Perché mai in una simile situazione non dovrei affittare un certo utero invece di un altro? Perché non dovrei comprare un certo tipo di seme invece di un seme di tipo diverso? Mettere limiti in questo senso è un po' come consentire l'acquisto di una certa merce e proibire nel contempo ogni contrattazione sulla sua qualità. Un assurdo evidente.

Il diritto ad essere dato.
A questo punto qualcuno potrebbe obiettare: “e sia, matrimonio ed adozioni gay portano alla pratica diffusa dell'utero in affitto e questa può far si che vengano “prodotti” dei bambini con certe predeterminate caratteristiche. Ebbene, cosa c'è di male in tutto questo? E' vero, si tratta di qualcosa che contrasta con un diffuso senso comune, che da fastidio a molti, ma questo prova solo che non ci siamo ancora liberati da pregiudizi secolari”.
La obiezione non è stupida, al contrario. Perché dobbiamo rifiutare la “produzione” dei bambini? E' tanto brutto avere un figlio come piace a noi? Bello, sano, intelligente?

Tutti noi siamo esseri dati. Non ci facciamo da soli, ci troviamo nel mondo. Il fatto che io viva qui ed ora, che proprio io sia nato in un certo periodo storico e non in un altro, in un certo paese e non in un altro, da certi e non da altri genitori, è qualcosa che io posso solo accettare. Sarei un essere dato anche se fossi figlio di una provetta, se qualcuno avesse deciso di farmi nascere con certe e non con altre caratteristiche: in ogni caso non sarei causa di me stesso, resterebbe in ogni caso un mistero il fatto che sia IO il risultato di quella fecondazione in provetta, che sia la MIA personalità e non quella di Tizio o Caio ad essere emersa da quella provetta.
Quale che sia il nostro atto di nascita, noi, tutti noi, siamo e restiamo dati. Possiamo venire da una famiglia tradizionale, da un utero preso in affitto, da una provetta, le cose non cambiano: siamo persone che possono solo constatare il fatto primario di esistere.
Però abbiamo una personalità, e dobbiamo presupporre di essere liberi. E in quanto persone libere, dotate di una personalità propria abbiamo il diritto alla nostra individuale, insopprimibile, datità. Io ho diritto di nascere senza che qualcuno decida come devo essere, che caratteristiche devo avere. Ho diritto alla datità mia, mia e di nessun altro.
Ipotizziamo che io sia stato concepito in provetta, qualcuno mi può dire: tu non c'eri quando sei stato concepito in quel modo, quindi, di cosa ti lamenti? Verissimo, ma ora che ci sono trovo inaccettabile il fatto che io sia così e così perché qualcuno ha deciso che io dovessi essere così e così, e trovo inaccettabile che qualcuno decida oggi che un essere umano che nascerà fra nove mesi sia così e così, perché a LUI piace sia così e così.
Difendere la nostra individuale datità significa difendere quella cosa fondamentale che la nostra autonomia, la nostra libertà di esseri morali e razionali.
Conosco l'obiezione: “chi ti dice che siamo davvero autonomi e liberi? Chi ti dice che esista qualcosa come il diritto ad una individuale, insopprimibile datità? E se fossimo solo macchine, o un insieme di reazioni chimiche? Che male ci sarebbe se, come macchine, fosse possibile produrci, per il maggior benessere di tutti?”.
Di nuovo, l'obiezione è intelligente. Nessuno può dimostrare che noi si sia liberi ed autonomi, forse siamo davvero macchine, o reazioni chimiche. Né la scienza né la filosofia possono risolvere il dilemma su cosa realmente noi siamo. Però dobbiamo presupporre di essere liberi ed autonomi. Perché se non lo siamo gran parte di ciò che diciamo, pensiamo o facciamo perde ogni senso. Se siamo macchine o reazioni chimiche diventa insensato parlare di bene e male, meriti e demeriti, premi e punizioni. In questo caso diventa impossibile protestare contro i figli in provetta, ma anche contro l'omofobia. Diventa insensata anche qualsiasi discussione su questi come su altri temi. Se siamo reazioni chimiche o macchine ha senso dire che Tizio ha torto e Caio ragione? I loro discorsi sono entrambi la risultante di complicati meccanismi chimici o meccanici, stabilire quale di questi sia giusto è semplicemente insensato.
Io non so cosa sono realmente. Però sento di essere capace di scelte, di avere una autonomia, di poter decidere, anche se in misura molto ridotta, come debba essere la mia vita. Sento di essere un io diverso dal flusso delle sue percezioni, un qualcosa che ha valore ed ha diritto alla tutela del suo valore. E so che se così non fosse moltissime cose, forse tutto, perderebbe il suo senso. Per questo rivendico il mio diritto ad essere dato, pretendo che nessuno lo tocchi, non voglio essere, e non voglio che altri siano, il risultato di una altrui “costruzione”. Per questo ritengo che il mio diritto ad essere dato sia più importante di altri diritti, o pseudo diritti, come il presunto diritto alla paternità o alla maternità. Solo per questo, non per reazionarie fantasie anti tecnologiche ed anti moderne, sono contrario ai figli in provetta ed agli uteri in affitto.
E tanto basta.

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