martedì 13 febbraio 2018

FASCISMO ED ANTIFASCISMO.


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Si parla sempre più spesso di “antifascismo”. Il termine viene quasi sempre usato a sproposito. Gli “antifascisti” accusano di “fascismo” più o meno tutti coloro che non condividono le loro posizioni, soprattutto, ma non solo, in tema di immigrazione. Coloro che hanno sempre in bocca la parola “fascismo” e la appiccicano più o meno a mezzo mondo, (è fascista Salvini, è “fascista Trump, addirittura sono “fascisti” i militanti dell'Isis, ottimo espediente per condannarli senza tirare in ballo l'islam), coloro, dicevo, che giocano di continuo con la parola “fascismo” non fanno in realtà proprio nulla di nuovo. Usano gli stessi strumenti polemici a suo tempo usati da Stalin contro la socialdemocrazia prima e le democrazie occidentali dopo.

Quando si parla di “antifascismo” è necessario porsi una domanda: cosa si designa con precisione con tale termine? Per essere chiari, è possibile che col termine “antifascismo” si designi in positivo una dottrina politica? Ci si riferisca ad una visione del mondo o ad un insieme minimamente coerente di idee e valori, ad un programma finalizzato alla loro realizzazione ed alla tutela di determinati interessi?
Termini come “comunista”, “liberale”, “nazista” hanno un significato abbastanza chiaro. Si dice “liberale” e si pensa alla divisione dei poteri, alla democrazia parlamentare ed alla economia di mercato. Si dice “comunista" e si pensa alla economia centralmente pianificata ed alla dittatura del proletariato. Si dice “nazista” e si pensa allo spazio vitale, all'antisemitismo ed alla shoah. Ma a cosa si pensa quando si dice “antifascista”? E' antifascista chi si oppone al fascismo, ovviamente, ma dietro a questa opposizione sta forse una univoca filosofia politica? No, ovviamente. E' antifascista un liberale come un comunista. Era antifascista Churchill come lo era Stalin. Può essere antifascista un anarchico come un democristiano, un rivoluzionario come un conservatore. Considerazioni simili possono farsi col termine “anticomunista”. E' anticomunista un liberale come un socialdemocratico. Erano anticomunisti Turati e Mussolini, De Gaulle e Adolf Hitler. Un “ANTI” in realtà non designa nulla in positivo, se non la mera opposizione a qualcosa. E' importante e può essere estremamente positivo opporsi a qualcosa (al fascismo ad esempio, ma quello VERO). Ma il semplice fatto della opposizione non dice nulla sulle idee, i valori, i programmi della forza politica che la pratica. La particella “anti” in politica è molto simile a ciò che è in logica il negativo “non”. Non si dice nulla di un ente dicendo che è un “non uomo”. Un “non uomo” può essere un cane o un monte, un abete o un carro armato pesante, esattamente come un “anti - fascista” in politica può essere uno stalinista o un anarchico individualista.

Gli “anti” non possono quindi rimandare a nulla in positivo, indicano solo una opposizione, una negazione. Non c'è in questo nulla di strano. Ciò che un ente è non deriva da ciò che non è; al contrario, ciò che un ente non è deriva da ciò che è. Tizio è un uomo, quindi non è un cane, un abete eccetera. Allo stesso modo: Tizio è un democratico liberale, quindi è anti fascista, anti comunista, si oppone agli anarchici, è diverso dai socialisti e dai socialdemocratici eccetera. Si parte dalla definizione in positivo di una certa dottrina politica per stabilire di cosa questa sia “anti”. Non vale il contrario.
Eppure con l'antifascismo è successo qualcosa di diverso. Con la politica dei fronti popolari inaugurata nel 1934 – 35, e poi con la grande alleanza antifascista fra URSS, USA e Gran Bretagna si è dato, da parte sovietica, un senso in positivo all'antifascismo, e questo escamotage teorico è stato tacitamente accettato dalle potenze occidentali fino allo scoppio della guerra fredda.

L'alleanza fra URSS, USA e Gran Bretagna è stata una necessità imposta dalla storia. C'era l'esigenza assolutamente prioritaria di battere la Germania nazista, ed il patto fra l'URSS di Stalin e le due democrazie anglofone ne è stata la conseguenza. Ma l'URSS non era un semplice stato fra gli altri, era la patria del socialismo e la guida di un grande movimento internazionale. Le sue scelte politiche dovevano avere una giustificazione ideologica. La politica dell'URSS in quanto stato doveva esser parte della strategia rivoluzionaria mondiale del movimento comunista. E questo, si badi, non era una semplice aggiunta, qualcosa di inessenziale che seguisse le scelte diplomatiche e militari di Stalin. Era una componente essenziale della sua politica, la conseguenza diretta del fatto che l'URSS era uno stato, ma si proclamava nel contempo “guida della rivoluzione”.
Alla alleanza fra stati si è quindi accompagnata la elaborazione della teoria secondo cui l'antifascismo non sarebbe un semplice “anti”, risultante di un accordo imposto dalle tragiche necessità della guerra. No, l'antifascismo designerebbe una dottrina in positivo. Suo contenuto sarebbe l'aspirazione ad una democrazia di tipo “nuovo”, non ancora socialista ma non più capitalista; un nuovo tipo di formazione politica e sociale, la "democrazia progressiva", che, pur caratterizzata dalla presenza del mercato e della proprietà privata dei mezzi di produzione, consentirebbe alla classe operaia ed alle “forze progressiste” di portare su un piano più alto la loro lotta. L'antifascismo insomma come tappa intermedia, conquista parziale che fa avanzare il “fronte di classe” e prepara nuove vittorie per le forze del progresso, in attesa della resa dei conti finale con la borghesia. Resa dei conti che, essa sola, permetterà la sconfitta definitiva del fascismo. Perché, è chiaro, al fondo di tutta la concezione sta l'idea che il fascismo ed il nazismo siano figli legittimi del capitalismo. La “democrazia progressiva” porta ad un livello più alto la lotta del proletariato per il comunismo. La vittoria definitiva sulla borghesia, quando verrà, segnerà, insieme, la fine senza appello del capitalismo e del nazifascismo.
Antifascismo come dottrina della “democrazia progressiva” quindi, basata a livello internazionale sulla grande alleanza fra URSS, USA e Gran Bretagna e a livello interno sulla unità di tutte le forze antifasciste, laiche e cattoliche. I comunisti ed i socialisti a quel tempo loro alleati interpreteranno in questo senso la stessa costituzione repubblicana. La Costituzione, se coerentemente applicata, fonderebbe la “democrazia progressiva”, sarebbe la base su cui edificare uno stato di tipo nuovo, non ancora socialista ma non più borghese.

Si tratta, come è fin troppo facile vedere, di concezioni largamente ideologiche. La teoria della “democrazia progressiva” non rappresenta in realtà una elaborazione teorica originale. E' piuttosto il tentativo di fare di necessità virtù. L'Italia e la Francia, i paesi dell'Europa occidentale dove è più forte il movimento comunista, sono fuori dalla sfera di influenza sovietica, PCI ed il PCF devono adeguarsi. Non se la sentono di tentare il colpaccio, sanno che Stalin non ha intenzione di rischiare, al momento, uno scontro con Truman ed hanno sotto gli occhi la per loro fallimentare esperienza greca ad invitarli alla prudenza. E mettono da parte la carta rivoluzionaria. Optano per la “democrazia progressiva”. E si autoproclamano i difensori più coerenti della costituzione.
Ma quando l'alleanza antifascista internazionale si rompe i fatti dimostrano che la costituzione repubblicana, per quanto largamente influenzata dalle concezioni dei comunisti, può benissimo fare da supporto non alla “democrazia progressiva” ma ad una normale democrazia parlamentare. I comunisti denunceranno come “incostituzionale” la loro cacciata dal governo, ma si tratterà solo di propaganda che dimostra il loro desiderio di assoluta egemonia.
D'altro canto, nei paesi “liberati” dall'armata rossa i comunisti imporranno in breve tempo a tutti la loro dittatura. I partiti liberali, cattolici, socialdemocratici saranno messi fuori legge, i loro leader incarcerati, a volte fucilati. Inizia per i loro sventurati popoli un duro inverno che durerà sino al 1989. In ogni caso in quelle esperienza l'antifascismo non partorirà alcuna “democrazia progressiva”.

Del resto, fin dal momento del suo sorgere, prima che si formasse a livello di stati la grande alleanza antifascista, l'antifascismo ed il concetto di “democrazia progressiva” avevano mostrato tutte le loro contraddizioni. La politica antifascista dei fronti popolari era stata preceduta dalla sventurata tattica del “socialfascismo” che avrebbe molto agevolato la scalata di Hitler al potere. Per l'internazionale comunista a guida staliniana
tutte le forze anti o semplicemente non comuniste erano “fasciste”. I socialdemocratici erano definiti “socialfascisti”, il nazismo tedesco considerato meno pericoloso della democrazia “borghese” e della socialdemocrazia. I comunisti proseguirono questa politica folle almeno sino al 1934, quando Stalin, convintosi della pericolosità del tiranno nazista, operò una brusca svolta, firmò addirittura con la Francia un patto politico militare e diede il via alla politica antifascista dei “fronti popolari”. Con questa i comunisti smettevano di equiparare la socialdemocrazia al fascismo ed ammettevano che la democrazia “borghese” era degna di essere difesa. Miravano a costituire vaste alleanze con forze socialdemocratiche e democratico borghesi sul terreno della difesa della democrazia. Questa politica però aveva un prezzo, sia per i socialdemocratici che per i sostenitori della democrazia “borghese”: bisognava evitare, per quanto possibile, ogni critica nei confronti dell'URSS di Stalin. L'URSS era alla testa di un vasto fronte democratico antifascista, “quindi” era pienamente legittimata dal punto di vista democratico, anzi, era enormemente più libera di paesi come la Francia e la Gran Bretagna in cui esisteva ancora lo “sfruttamento capitalistico”. Proprio nel momento in cui Stalin stava per scatenare mostruose “purghe” ed in cui centinaia di migliaia di cittadini sovietici erano ridotti di fatto, nei gulag, in una condizione di schiavitù, l'URSS doveva essere universalmente accettata quale avanguardia dello schieramento democratico. E, paradosso dei paradossi, mentre Stalin, in nome dell'antifascismo, diventava il paladino della “democrazia” i suoi oppositori comunisti diventavano “fascisti”. Trotzkij, Bucharin, Zinovie'v, Kamenev, Radek... tutti fascisti, tutti, a parte il primo, rei “confessi” di essere “spie al soldo di Hitler”. La legittimazione democratica di Stalin coincideva con la lugubre parata dei processi di Mosca.

Né le contraddizioni si fermano qui. Le vicende dell'antifascismo e della democrazia progressiva sono sempre collegate alla politica staliniana, in tutte le sue svolte e controsvolte. Nel 1939 Stalin cerca di mantenersi fuori dalla guerra incombente e non trova nulla di meglio da fare che allearsi con Hitler. Il famoso “patto di non aggressione” fra Germania e URSS è un patto di alleanza a tutti gli effetti. Prevede la spartizione della Polonia fra sovietici e tedeschi, la assegnazione all'URSS degli stati baltici ed un programma di mutuo aiuto fra la Germania di Hitler e l'URSS di Stalin. Questa fornirà dal settembre del 1939 al giugno del 1941 alla Germania grandi quantità di materie prime di cui questa ha bisogno per il proseguimento del conflitto.
Naturalmente i partiti comunisti seguono fedelmente la loro guida. L'antifascismo è abbandonato, la guerra in corso diventa “guerra interimperialista” come lo era stata la guerra del '14. In Francia chi sostiene la difesa della patria dalla aggressione hitleriana è bollato come “socialpatriota”.
Solo nel Giugno 1941 la situazione muta di nuovo. La aggressione nazista costringe l'URSS a tornare alla strategia antifascista. Il mostruoso contributo di sangue, conseguenza anche degli errori pacchiani e della incredibile imperizia di Stalin, che questo paese darà alla sconfitta di Hitler lo accrediteranno di fronte a vaste masse di popolo come “guida” dell'antifascismo. Un riconoscimento sicuramente immeritato.

Quelle cui telegraficamente ricordate sono solo alcune vicende dell'antifascismo. Altre se ne potrebbero aggiungere, ad esempio le lotte intestine alla resistenza fra i partigiani comunisti e gli altri o la sistematica eliminazione, da parte degli staliniani, di ogni dissidenza interna nel corso della guerra civile spagnola. Non è però il caso di dilungarsi troppo. Quello che emerge in maniera incontrovertibile è che
l'antifascismo non è mai stato un movimento politico unitario caratterizzato da programmi, valori, interessi, visioni del mondo comuni fra le sue varie componenti. L'antifascismo è stato l'incontro di forze radicalmente diverse unite solo dalla impellente necessità di battere il nazismo. Malgrado questo fine comune, è stato caratterizzato da lotte intestine risolte molto spesso a suon di plotoni di esecuzione e in quanto tale non è sopravvissuto al crollo del nazifascismo.
Col crollo del nazifascismo l'antifascismo come fenomeno unitario è finito, ma non è morto l'antifascismo in generale: ha solo cambiato natura. Prima era stato il terreno di incontro fra forze diverse e la base teorica su cui i comunisti avevano elaborato il concetto di “democrazia progressiva”. Dopo il 1945 è diventato il centro della propaganda comunista. Scomparso il fascismo vero è rimasto l'antifascismo. Staccato dalla situazione reale questo è diventato una ricetta valida per tutti gli usi. Gli appelli alla lotta antifascista si cono moltiplicati in maniera esponenziale proprio nel momento in cui il fascismo ha cessato di esistere.
E, paradossalmente, mai il fascismo è stato tanto esteso quanto dopo la sua sconfitta. I “fascisti” si sono moltiplicati all'infinito proprio nel momento in cui il nazifascismo come esperienza storica reale era oggetto di una sacrosanta ed universale esecrazione.

La propaganda comunista aveva da sempre esteso in maniera scorretta il concetto di “fascismo”. A parte gli orrori del “socialfascismo”, basta ricordare la tendenza ad assimilare al fascismo ogni tipo di regime dittatoriale di destra per rendersene conto. Il fascismo è qualcosa di diverso da una “normale” dittatura di destra. Dei militari golpisti
non sono, in quanto tali, fascisti. Il fascismo e, in misura enormemente maggiore, il nazismo sono dittature totalitarie di destra risultanti da movimenti di massa “rivoluzionari” o, se si preferisce, eversivi e che mirano ad un consenso di massa attivo e generalizzato. Non è il caso di approfondire qui il discorso ma bastano queste scheletriche considerazioni per marcare la differenza fra fascismo e dittature classiche di destra o regimi conservatori di tipo autoritario.
Questa tendenza ad ampliare oltre misura il significato del termine “fascismo” diventa però parossistica dopo il 1945. Con lo scoppio della guerra fredda i comunisti appiccicano un po' a tutti l'etichetta di “fascista”. Prima erano fasciste l'Italia e la Germania, dopo il 1945 diventano fascisti gli Stai uniti, la Gran Bretagna (unico paese che ha combattuto Hitler dal 1939 al 1945), l'Italia la Francia, la Germania federale, insomma, tutti coloro che si oppongono alla Russia di Stalin. E in Italia diventano “fascisti” fior di antifascisti come Alcide De Gasperi o Giuseppe Saragat. Qualcuno afferma che per i comunisti se il fascismo non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Non ha torto.

La situazione cambia ancora nel 1989, con il crollo del comunismo.
Quel crollo lascia orfani i nostalgici dell'assoluto. D'improvviso si ritrovano senza un paese, o almeno una esperienza storica concreta, cui poter fare riferimento. Ma non abbandonano la tendenza al “totalmente altro”. Prima questa si realizzava in una ideologia totalizzante, un assoluto onnicomprensivo mirante alla integrale trasfigurazione del mondo e dell'uomo. Dopo il 1989 questo è sostituito da tanti assoluti. Una miriade di assoluti in formato ridotto, una pletora di ideologie riguardanti ognuna un settore limitato del reale, ma propugnate e difese con lo stesso settarismo con cui prima veniva propugnata e difesa la grande, e sanguinosa, utopia comunista. Ambiente, rapporti fra i sessi, accoglienza sono i nuovi campi di battaglia ed in ognuno i nostalgici dell'assoluto, non troppo numerosi ma incredibilmente settari ed agguerriti, bollano i loro nemici (hanno sempre e solo nemici questi personaggi) come esseri spregevoli, nemici del genere umano, in una parola... “
fascisti”.

La tragedia del “socialfascismo” si trasforma nella farsa dei nostri giorni. Nel 1932, alla vigilia della presa del potere di Hitler, erano “socialfascisti” i socialdemocratici, nel 2018 sono “negazionisti”, quindi, sotto sotto, “fascisti”, coloro che non credono troppo all'effetto serra. Sono “fascisti” coloro che rifiutano la immigrazione fuori controllo o che non credono che l'Islam sia una religione di pace. Per i no global sono fascisti sia i sostenitori della globalizzazione che coloro che si oppongono alla UE. Per le frange più estremiste dei “liberal” americani sono “fascisti” Trump e i suoi sostenitori. In Italia è, ovviamente, “fascista” Salvini. Berlusconi sembra salvo da tale infamante accusa, ma quando era più giovane e pericoloso molti intellettuali lo avevano paragonato ad Hitler. Paradosso dei paradossi è “fascista” lo stato di Israele, fondato dagli scampati ai forni crematori nazisti. La stella di Davide, marchio di riconoscimento per i destinati al macello, viene equiparata alla svastica. I palestinesi invece, che nel secondo conflitto mondiale avevano appoggiato le forze dell'asse, sono i nuovi “antifascisti”. Il mondo rovesciato.
I termini “fascista” ed “antifascista” perdono in questo modo qualsiasi significato concreto. Designano tutto ed il contrario di tutto, a seconda dei momenti. Fanno da puntello a questa esplosione di “antifascismo” piccoli gruppi davvero fascisti privi però di reale peso politico. Sono gruppetti che su molte cose, ad esempio su Israele, hanno posizioni molto simili a quelle dell'estrema sinistra, ma non conta. La loro esistenza viene presa a pretesto per chiedere che partiti importanti come la lega o fratelli d'Italia vengano messi fuori legge. Tutto questo mentre gli “antifascisti” inneggiano alle foibe, e trasformano spesso e volentieri le città in campi di battaglia.

Non è il caso di dilungarsi ulteriormente. Sopravvissuto al crollo del fascismo prima e del comunismo dopo l'antifascismo è oggi solo un fantasma. Un fantasma polemico che con i suoi precedenti storici ha poco o nulla a che vedere. Certo, eventuali insorgenze fasciste vanno combattute, ma pensare siano un pericolo reale è solo un contorcimento polemico senza fondamento. Paradossalmente è proprio il cosiddetto “antifascismo” a dare a piccoli gruppi di nostalgici la possibilità di acquistare un peso ed una visibilità che sono loro preclusi dal processo storico reale. Il moltiplicarsi senza fine dei “fascismi” fasulli finisce in questo modo per dar spazio ai, per fortuna largamente minoritari, fascismi reali. Anche questo non è, a veder bene le cose, un fenomeno nuovo. Si tratta, sotto sotto, della riproposizione, in forme nuove della demenziale politica del “social fascismo”. Solo, quella fu una tragedia, questa una farsa. Una farsa che può però diventare molto pericolosa. E trasformarsi a sua volta in tragedia.

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