martedì 17 dicembre 2013

IL SISTEMA DELLE QUOTE




Un pericolosissimo nemico di tutte libertà e della democrazia avanza in Italia e nell'intero occidente. E' un nemico subdolo, come i tumori maligni. Cerca di presentarsi come qualcosa di molto liberale e di molto democratico e riscuote consensi trasversali; la sinistra ne è il portavoce più entusiasta, le forze di centro e di destra ammiccano, culturalmente subalterne; dicono “
NI”, oppure “SI, MA”, belano insomma. Di cosa si tratta? Del sistema delle quote.
Detto in estrema sintesi il sistema della quote teorizza che in tutte le istituzioni o comunque in tutti i posti di un certo rilievo sociale devono essere rappresentati i sessi, o le varie etnie, culture, razze presenti nella società. Le donne ad esempio rappresentano la metà circa della popolazione, ebbene, occorre che la meta dei parlamentari sia donna, e la metà dei consiglieri di amministrazione delle imprese deve essere parimenti costituita da donne, e lo stesso dicasi per tutte le altre cariche di rilievo. Certo, i sostenitori delle quote non fanno proposte tanto “avanzate”, si accontentano di un terzo invece che della metà, e non pretendono che tutte le imprese siano gestite paritariamente fra i sessi, ma si tratta, com'è fin troppo chiaro, di pura tattica. La loro filosofia è chiarissima: la composizione di tutte le istituzioni deve rispecchiare la articolazione del corpo sociale, se questo non avviene ad essere minate sono la democrazia e la libertà. I sostenitori delle quote si presentano come i nemici della discriminazione razziale e sessista, quindi i garanti e difensori della libertà e della democrazia. Ne sono invece implacabili nemici.

La filosofia delle quote è radicalmente sbagliata nel suo punto di partenza.
NON E' VERO che nelle istituzioni deve essere rappresentata la società in tutte le sue divisioni e in tutte le sue articolazioni. Questa pretesa non è liberale, non è democratica, è antimeritocratica e, nella sua essenza profonda, nichilista. Per la filosofia politica liberale, ed anche per il pensiero democratico, socialdemocratico e cristiano, la persona umana è il fondamento di tutto. Ad essere essenziale è l'individuo genericamente umano, colui che appartiene alla specie degli uomini. L'uomo ha una dignità ed un valore perché uomo, non perché maschio o femmina, nero o bianco, operaio o imprenditore. Certo, le particolarità degli esseri umani contano, e molto. Maschi e femmine hanno una funzione ben diversa nella riproduzione della specie, e nulla è più sciocco che il voler ignorare questo fatto, o sminuirne le conseguenze sociali; a volte operai ed imprenditori hanno, o possono avere, interessi contrastanti e questo influenza in maniera importante la vita sociale e politica di un paese; non è da queste particolarità però che nascono il diritto al rispetto che ognuno di noi ha ed il pari dovere di rispettare i propri simili a cui ognuno di noi è obbligato. Insomma, si è persone umane prima di essere maschi o femmine, neri o bianchi, operai o contadini o imprenditori, cristiani, buddisti o mussulmani. Tutta la nostra civiltà si basa su questa concezione.
E questa concezione ha una conseguenza ben precisa: il patto sociale nei paesi liberi dell'occidente è stipulato fondamentalmente in termini individuali. Quando si deve stabilire chi entra in certe istituzioni o chi è chiamato a coprire certi ruoli, lo si deve fare tenendo conto esclusivamente della attitudine che una certa persona ha di coprire quel ruolo, o di ben lavorare in quella istituzione, prescindendo dal fatto che questa persona sia maschio o femmina, nera o bianca eccetera.
In parlamento devono sedere coloro che riscuotono il consenso popolare, che sono votati da elettori ed elettrici. La cosa importanze è che non ci siano discriminazioni nel voto, che tutti abbiano libertà di elettorato attivo e passivo, poi, gli eletti possono anche essere tutti maschi, o tutte femmine, la cosa ha una importanza secondaria. Allo stesso modo, devono sedere nei consigli di amministrazione delle aziende persone capaci e competenti, e persone capaci e competenti devono coprire i ruoli socialmente rilevanti; quale sia il sesso, o il colore, o l'etnia di queste persone conta davvero poco.
Si tratta, come si vede bene, di ovvietà, che derivano tutte da un unico, fondamentale ed assolutamente ovvio, principio: si batte la discriminazione consentendo a tutti di poter occupare certi posti, essere presenti nelle istituzioni, non prefigurandone a priori la composizione. Si tratta, lo ripeto, di qualcosa di assolutamente banale, di una semplice questione di buon senso, eppure è necessari ribadire, urlare questa sensata banalità di fronte alle idiozie che i sostenitori del sistema delle quote gettano dai media, quotidianamente, in pasto pubblica opinione.
La insensatezza profonda delle pretese dei sostenitori delle quote salta intuitivamente agli occhi se solo allunghiamo lo sguardo da istituzioni come il parlamento o i consigli regionali ad altre istituzioni. Per i sostenitori delle quote dovrebbero esserci quote “rosa” (mi limito per ora a quelle) nelle varie istituzioni. “Le donne sono metà della popolazione, è inammissibile che non superino il dieci per cento in parlamento”, dicono. Benissimo, diamo un attimo per scontato che la composizione delle istituzioni debba rispecchiare la composizione sessuale della società. Però, anche il
carcere è una istituzione e di certo in carcere la maggioranza dei detenuti è di sesso maschile. Sarebbe sensato dire che siccome le donne sono la metà della popolazione devono essere la metà anche della popolazione carceraria? NO, ovviamente, si tratterebbe di una colossale stronzata. Si va in carcere se si sono commessi dei reati, su questo tutti, o quasi, concordano, nessuno, o quasi, pretende che la composizione della popolazione carceraria “rispecchi” la composizione della società. Però, esattamente come si va in carcere se si sono commessi dei reati, si va in parlamento se si viene votati, e si è nominati primari di un reparto ospedaliero se si possiede la necessaria professionalità. Non sta scritto da nessuna parte che la composizione delle istituzioni debba rispecchiare quella della società: una cosa simile non è giusta, né “liberale” né “socialmente progressista”, né “democratica”, è solo ideologica.

Il sistema delle quote
contrario al principio della uguaglianza davanti alla legge
Poniamo che Tizia partecipi ad un concorso. Tizia è brava, preparata, potrebbe far parte dei vincitori. Però, per il posto cui Tizia mira vale il sistema delle quote: la metà dei nuovi assunti deve essere di sesso maschile, l'altra metà di sesso femminile. I posti occupati dalle donne sono stati tutti assegnati quindi Tizia non passa. Al suo posto entra un concorrente maschio che si era dimostrato nelle prove meno preparato di lei. L'uguaglianza legale di Tizia è violata, è violato il suo diritto di poter competere alla pari con gli altri.

Il sistema delle quote è
contrario alla meritocrazia.
Un sistema che pretenda di assegnare gli incarichi socialmente rilevanti in base al sesso delle persone, o al colore della loro pelle o ad altre caratteristiche che non siano le loro competenze professionali distrugge qualsiasi
meritocrazia, e mina in questo modo l'efficienza e l'efficacia delle istituzioni.

Il sistema delle quote è
antidemocratico ed illiberale.
Il partito X non candida donne, e, malgrado ciò, ottiene moltissimi voti, di uomini e di donne. Che si deve fare? Togliere a quel partito una parte dei suffragi conquistati? Sempre lo stesso partito candida invece un gran numero di donne (o uomini, non conta), ma, nessuno vota queste donne (o questi uomini). Di nuovo, che bisogna fare? Obligare gli elettori del partito X a votare certi candidati e non altri?  E se quel partito
non riesce, a trovare un numero di donne da candidare pari a quello degli uomini, o viceversa? Se un buon numero di donne (o uomini) politicamente vicini a X preferisce occuparsi non di politica ma di altre cose, che si fa? Si invalidano le elezioni? O magari si obbligano un certo numero di donne, o uomini, a candidarsi comunque per far si che le quote siano rispettate? Il sistema delle quote si dimostra nemico della democrazia e della libertà. Per far si che il sistema delle quote venga rispettato occorre calpestare la volontà popolare liberamente espressa col voto ed imporre ai singoli intollerabili restrizioni della loro libertà personale. Non si tratta di un caso, a ben vedere le cose. Se è davvero fondamentale che i sessi siano paritariamente rappresentati in parlamento, se valiamo come maschi o femmine prima che come esseri umani, allora è del tutto naturale che le nostre libertà politiche e civili vengano sacrificate al principio delle “quote”.

Il sistema delle quote è
nichilista.
Si parla di quote e ci si riferisce di solito alle “quote rosa”, cioè al numero di esseri umani di sesso femminile che è obbligatorio siano rappresentati in certe istituzioni. Però, chi dice che la differenza di genere sia l'unica ad essere rilevante? Per qualcuno potrebbe essere fondamentale la differenza di razza, per qualcun altro quella di religione. In parlamento non dovrebbero esserci solo quote rosa, ma anche quote nere o gialle, o quote mussulmane o buddiste o ebraiche, oltre che cristiane. Un settentrionale potrebbe rivendicare quote di padani, un meridionale quote di meridionali, un gay potrebbe a pieno titolo pretendere le sue brave quote gay, mentre un operaio metalmeccanico potrebbe chiedere adeguate quote che lo rappresentino. Un simile sistema non solo distrugge democrazia, libertà e merito, frantuma la società, la trasforma in un insieme caotico di corporazioni prive di ogni cemento unitario, di qualsivoglia visione comune dei problemi sociali. Se non contiamo in quanto esseri umani ma solo in quanto membri di certi collettivi la società in quanto insieme di esseri umani cessa di esistere. Al suo posto subentra un aggregato informe di collettivi ognuno dei quali ha in se stesso la propria ragion d'essere. Maschi, femmine, cristiani, mussulmani, bianchi, neri, gialli: ognuno rivendica la sua quota, magari anche la sua quota di fondi pubblici, ognuno porta avanti le sue rivendicazioni, ognuno parla il suo linguaggio. Il più audace dei nichilisti non avrebbe potuto immaginare un quadro peggiore (o migliore, dipende dai punti di vista).

Il sistema delle quote è
offensivo per le donne e in genere per coloro che dice di voler tutelare.
Alle donne deve essere garantito un certo numero di posti nelle istituzioni, si dice. Ma, cosa rivela questa pretesa se non la convinzione che senza questo “aiuto” le donne non possono farcela? Nessuno voterebbe una donna, quindi, garantiamo alle donne le quote rosa. Insomma, le donne specie protetta, come i panda, o tutelate, come gli handicappati a cui sono garantiti un certo numero dei posti auto nei parcheggi.
Se fossi una donna mi sentirei profondamente offesa da simili “attenzioni”. Lo stesso discorso vale, ovviamente per tutti coloro per i quali si chiedono quote garantite.

Un sostenitore del sistema delle quote potrebbe a questo punto fare la seguente obiezione: “le considerazioni fin qui svolte sono, astrattamente considerate, corrette, però bisogna tener conto della realtà; e la realtà ci dice che da secoli certe parti della società sono escluse dal potere e dalla rappresentanza. Il sistema delle quote non pretende di fondare una filosofia politica, si tratta solo un espediente temporaneo per sanare una storica situazione di ineguaglianza. Sarà superato ma oggi è necessario”. Che rispondere ad una simile obiezione? Solo che
nulla tende a diventare tanto definitivo quanto ciò che si presenta come provvisorio. Il sistema delle quote si è via via espanso in questi ultimi anni. Riservato inizialmente, negli Stati uniti, ai neri si è ampliato prima alle donne poi a strati sociali sempre nuovi. Con l'esplodere del fenomeno della immigrazione clandestina questo sistema si è sposato con la tendenza a differenziare la legislazione per accordare ai vari gruppi etnici stati giuridici particolari, che tengano conto della loro “cultura d'origine”. In nome di questa spezzettamento della legalità nei paesi occidentali, specie in Europa, si accettano misure e pratiche che sono in totale contrasto con la nostra concezione dei diritti umani e della dignità della persona. Avanza e si consolida sempre più in occidente la tendenza a sostituire i gruppi agli individui quali referenti della attività legislativa; il contratto sociale individualista tende ad essere riscritto in termino collettivistico-corporativi. Ben lungi dal considerare il sistema delle quote un “espediente temporaneo” i suoi sostenitori lo propagandano come attuazione della vera democrazia. Le situazioni di discriminazione, è bene ribadirlo, si combattono rendendo davvero uguali per tutti i diritti ed i doveri, vigilando che nessuno violi questa uguaglianza, predisponendo misure in campo sociale ed economico tali da agevolare l'effettivo godimento di tali diritti ed il rispetto di tali doveri. Creare nuove forme di discriminazione e di diseguaglianza, nuovi ghetti e nuove ghettizzazioni non migliora in nulla le cose, e non le migliora frammentare la società lungo confini razziali, etnici o sessuali.
Il sistema delle quote è in realtà una spia della crisi di valori sempre più grave in cui si dibatte l'occidente, il sintomo di una malattia: la vergogna, spesso combinata ad odio, che molti occidentali provano per la loro civiltà. Si tratta di una malattia molto grave, addirittura mortale se non curata adeguatamente. Purtroppo in giro non si vedono molti medici, semmai numerosi stregoni, che giocano col fuoco.

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