sabato 14 dicembre 2013

ALIENAZIONE, LOTTA ED ARMOMIA IN MARX





Esiste nel pensiero di Marx una fortissima componente conflittuale. “La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte ci classi” (1) afferma Marx nel “manifesto del partito comunista” e tanto dovrebbe bastare per confutare la tesi che il marxismo sia una melensa filosofia dell'armonia fra gli esseri umani. In effetti forse nessun pensatore ha come Marx sottolineato l'importanza dello scontro, della lotta nella storia; catalogare il marxismo fra le filosofia dell'armonia sociale è francamente impossibile.
Il marxismo è una filosofia della conflittualità più che dell'armonia, ma  si basa sul rifiuto di ogni forma di dualismo.
Il marxismo è, insieme, una filosofia conflittuale e monistica, una sorta di forma atea di monismo panteistico. Marx esalta al massimo il ruolo dello scontro sociale nella storia, ma questo scontro è interno ad un processo necessario che parte da, e si concluderà con, l'armonia, una armonia che segna la riconciliazione dell'uomo con se stesso.
All'alba della storia regna la perfetta armonia degli esseri umani fra loro e con l'ambiente circostante. Si tratta di un'armonia che ha però ben poco di attraente. Una unità immediata, basata in gran parte su vincoli di sangue e sulla totale supremazia delle leggi di natura; una situazione in cui la vita umana non è troppo dissimile da quella puramente animale. La lotta degli uomini per costruire col lavoro le proprie condizioni materiali di esistenza rompe questa unità immediata: la (mitica) società comunista primitiva si dissolve e nascono le differenziazioni sociali, le classi e con le classi lo sfruttamento. E' una fase che caratterizza per Marx praticamente tutta la storia. Fase triste e drammatica in cui l'umanità si divide sempre più in oppressi ed oppressori, sfruttatori e sfruttati. Tuttavia, una fase necessaria perché nella sua ultima tappa, quella della economia capitalistica di mercato, si creano le condizioni materiali che rendono insieme necessaria e possibile la ricomposizione armonica degli uomini fra loro e con la natura. Ricomposizione che si situa ad un livello enormemente più alto di quello della società comunista primitiva, mediata com'è dallo sviluppo delle forze produttive sociali che rende possibile la integrale liberazione dell'uomo, il suo sviluppo illimitato e multilaterale.
Questa visione unitaria, e dogmatica, del corso storico è, nella sua intima essenza, profondamente monistica. Per Marx non esistono, o, se esistono sono del tutto marginali, divisioni, contrasti fra gli esseri umani che possano in qualche modo essere considerati definitivi, possano cioè essere ascritti alla
condizione umana in quanto tale. Nel mondo non esistono per Marx autonomi soggetti, individuali e collettivi i cui valori, idee, interessi possono convergere ma anche divergere e che è quindi necessario mediare, cercare di armonizzare e far convivere. I vari soggetti sociali si alternano nel corso della storia e recitano ognuno la parte che è stata loro assegnata fino al lieto fine che conclude il dramma. E ciò che vale per i rapporti fra gli soggetti sociali vale per il rapporto fra uomo e natura o fra gli individui. Uomo e natura si trovano dapprima in uno stato di immediata unità; subentra poi la fase della separazione e della contrapposizione fra natura e uomo, fase che sarà superata nel comunismo con la totale umanizzazione della natura e naturalizzazione dell'uomo. Che fra uomo e natura possa esistere, oltre all'armonia, un contrasto di fondo, contrasto di cui la morte è simbolo angoscioso, non è minimamente ipotizzato da Marx. Ed anche rapporti fra individui sono caratterizzati dallo stesso andamento. Inizialmente si ha una unità immediata fra io e tu, io tu e loro. Unità che soffoca ogni individualità libera ed impedisce lo sviluppo della personalità individuale. Segue lo stato di atomizzazione e di lotta di ogni essere umano contro tutti gli altri: è la situazione che caratterizza la società di mercato. Infine io e tu e loro si unificano armoniosamente nel “noi”, “noi” che non è la negazione dell'individuo ma unità armoniosa di individuale e collettivo, io ed altro. Ancora una volta, che siano almeno potenzialmente possibili contrasti fra gli individui, che questi facciano parte del loro “status ontologico”, è respinto con la massima decisione da Marx. Tutti i contrasti sono interni ad uno schema che si conclude con l'eliminazione di ogni contrasto. La libertà umana coincide con la fine di ogni divisione fra gli esseri umani, la loro unità nella comunità. Ogni altra forma di libertà è considerata da Marx “alienazione” separazione dell'uomo da se stesso, abbandono della sua essenza.

Ne “
la questione ebraica”, opera di poco anteriore ai “manoscritti economico filosofici”, il giovane Marx sottopone ad una dura critica la dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1793. Si tratta di una critica molto importante al fine di comprendere la concezione marxiana della libertà, per cui val la pena di dedicarle un po' di spazio e molta attenzione.
La società borghese basata sulla economia di mercato è divisa, per Marx, in due sfere distinte. Da un lato, nella società civile, gli esseri umani concreti sono in perenne lotta fra loro. Divisi in sfruttati e sfruttatori, oppressori ed oppressi sono, tutti, atomizzati e tutti in lotta l'uno con l'altro. A questo regno dell'ineguaglianza si contrappone, nella società politica una formale eguaglianza di tutti gli esseri umani. Alla particolarità della società civile si contrappone la universalità astratta della società politica che fa tutti uguali gli esseri umani astraendo dalle loro diseguaglianze di fatto. Ma astrarre da queste diseguaglianze vuol dire sancirle, renderle eterne. “Lo stato in quanto stato” afferma Marx,”annulla ad esempio, la
proprietà privata, l'uomo dichiara soppressa politicamente la proprietà privata non appena esso abolisce il censo per l'eleggibilità attiva e passiva, come è avvenuto in molti stati nordamericani (…) Tuttavia con l'annullamento politico della proprietà privata non solo non viene soppressa la proprietà privata ma essa viene addirittura presupposta. Lo stato sopprime nel suo modo le differenze di nascita, di condizione, di educazione, di occupazione dichiarando che nascita, condizione, educazione, occupazione non sono differenze politiche, proclamando ciascun membro del popolo partecipe in egual misura della sovranità popolare senza riguardo a tali differenze (…) Nondimeno lo stato lascia che la proprietà privata, l'educazione, l'occupazione operino nel loro modo, cioè come proprietà privata, come educazione, come occupazione e facciano valere la loro particolare essenza” (2)
Il discorso di Marx è estremamente chiaro. Nella sfera politica i cittadini sono tutti liberi ed uguali ma questa uguaglianza non annulla le loro diseguaglianze di fatto, al contrario, le presuppone.
In effetti la libertà e la democrazia liberali non annullano le diseguaglianze: essere liberi ed uguali di fronte alla legge vuol dire anche poter essere, o poter diventare, diseguali, anche profondamente diseguali, nella realtà di fatto. La libertà è anche, forse soprattutto, libertà di essere diversi ed essere diversi significa, o può significare, anche essere diseguali. Le stesse politiche sociali volte a moltiplicare le possibilità concesse ad ogni individuo di potersi realizzare, non annullano, almeno entro certi limiti, questa realtà: l'obbligo scolastico, le varie forme di assicurazione sociale non eliminano la diseguaglianza, semmai ne ampliano le basi. Esistono più chance per tutti: questo significa che la possibilità di poter diventare diseguali si generalizza, riguarda la totalità o quasi degli esseri umani. La critica di Marx mira al cuore di queste concezioni. Ad essere messa sotto accusa è la libertà politica che si traduce, non casualmente, in disuguaglianza sociale. In particolare è oggetto della critica di Marx l'individualismo atomistico della società borghese. Per Marx la divisione degli individui fra loro, il fatto che ogni essere umano costituisca una sorta di isola che deve essere difesa dalle altrui prevaricazioni, è sinonimo di alienazione, separazione dell'uomo dalla sua essenza. E' in questa separazione che vanno cercate le basi della ineguaglianza e dello stesso sfruttamento. Quando scrisse “
la questione ebraica“ Marx non aveva ancora compiutamente elaborato la sua teoria dello sfruttamento basata sui concetti di valore lavoro e plusvalore, questa tuttavia non contraddice gli assunti di fondo di questa opera giovanile, semmai li conferma.
Nella critica alla dichiarazione dei diritti dell'uomo questo aspetto del pensiero marxiano emerge con palmare evidenza.
“I cosiddetti diritti dell'uomo” afferma Marx “non sono altro che i diritti del
membro della società civile, cioè dell'uomo egoista, dell'uomo separato dall'uomo e dalla comunità” (3)
Separatezza dell'uomo dall'uomo e dalla comunità: questa è per Marx la caratteristica negativa più grave della società borghese. “la liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autrui” afferma la dichiarazione del 1793. Commenta Marx: “La libertà è dunque il diritto di fare ed esercitare tutto ciò che non nuoce ad altri. Il confine entro il quale ciascuno può muoversi
senza nocumento altrui, è stabilito per mezzo della legge, come il limite tra due campi è stabilito per mezzo di un cippo. Si tratta della libertà dell'uomo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa. (…) Il diritto dell'uomo alla libertà si basa non sul legame dell'uomo con l'uomo ma piuttosto all'isolamento dell'uomo dall'uomo. Esso è il diritto a tale isolamento, il diritto dell'uomo limitato, limitato a se stesso” (4)
In effetti la libertà liberale è anche diritto all'isolamento. Se si riconoscono all'individuo un suo valore ed una sua autonomia allora si deve riconoscere che egli ha, se vuole, il diritto ad isolarsi ed ha diritto ad essere garantito da altrui, non desiderate, intrusioni. Tutto questo è però sinonimo, per Marx, di alienazione, di separazione fra uomo empirico ed essenza umana. Ciò risulta molto chiaro nelle righe che egli dedica al diritto di proprietà. Questo diritto altro non è per Marx che “diritto all'egoismo”, diritto che “lascia che ogni uomo trovi nell'altro uomo non già la realizzazione ma piuttosto il limite della sua libertà” (5). Allo stesso modo, “La sicurezza è il più alto concetto sociale della società civile, il concetto di polizia, che l'intera società esiste unicamente per garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazione della sua persona, dei suoi diritti, della sua proprietà. (…) Per il concetto di sicurezza la società civile non si innalza oltre il suo egoismo. La sicurezza è piuttosto l'assicurazione del suo egoismo” (6)
Tutti i diritti negativi, tutte le tutele poste a difesa del singolo, della sua vita e dei suoi beni, sono quindi considerati da Marx come egoistici, escludenti, sostanzialmente antisociali. E, si badi bene, non sono considerati tali perché dietro alla formale eguaglianza che questi diritti garantiscono si nascondono intollerabili diseguaglianze di fatto fra gli individui. Certo, anche questo è un bersaglio della critica marxiana, ma non il bersaglio fondamentale. Ad essere messo sotto accusa è il singolo in quanto tale, l'individuo con la sua autonomia, i suoi diritti che non possono essere violati da nessuno, la sicurezza di cui deve godere in una società libera. Tutelare l'individuo così inteso equivale per Marx a tutelare l'egoismo escludente, la separazione atomistica fra gli esseri umani, in una parola, la loro alienazione.
“Nessuno dei cosiddetti diritti dell'uomo oltrepassa dunque l'uomo egoistico, l'uomo in quanto è membro della società civile, cioè l'individuo ripiegato su se stesso, sul suo interesse privato e sul suo arbitrio privato, e isolato dalla comunità. Ben lungi dall'essere l'uomo inteso come specie, la stessa vita della specie, la società, appare piuttosto come la cornice esterna agli individui, come limitazione della loro indipendenza originaria”. (7)
L'essere membro di una società costituisce l'essenza specifica dell'uomo ma questa essenza nella società di mercato si separa dall'uomo, vive una deformata vita propria contrapposta e separata da quella degli individui. Invece di essere integrazione armoniosa degli individui la società esiste come loro limite, come qualcosa da cui gli individui devono in qualche modo essere protetti. Di nuovo emerge il sostanziale monismo di Marx. L'uomo è un animale sociale quindi la integrazione degli individui nella società deve essere totale e priva di residui. Soprattutto, deve essere, armonica. Non esiste l'esigenza di tutelare il singolo dalle eventuali intrusioni di un suo simile e meno che mai da quelle del collettivo a cui entrambi appartengono. Il garantismo liberale diventa in questo modo il simbolo stesso di una situazione alienata, sostanzialmente disumana.

Si potrebbe dire, ed in effetti è stato detto, che tematiche di questo tipo sono proprie del Marx giovane, di un Marx che usa ancora prevalentemente categorie antropologiche, che non ha ancora esplicitato il meccanismo dello sfruttamento capitalistico connesso alla legge del valore, insomma, di un Marx filosofo hegeliano e non economista materialista. Ma non è così. La tematica della alienazione non è in Marx una civetteria giovanile, un passeggero vezzo hegeliano. Certo, il Marx maturo approfondisce ed amplia le basi del suo pensiero, soprattutto in campo economico, si misura con Smith e Ricardo più che con Hegel, ma non abbandona mai la tematica “giovanile” della alienazione presente in opere come i “manoscritti economico filosofici” e la stessa “questione ebraica”. La tematica della alienazione è presente nella opera maggiore di Marx: nel “Capitale”, e specificamente in quel paragrafo intitolato: “il carattere di feticcio della merce e il suo segreto”. Si tratta di un paragrafo assolutamente fondamentale per la comprensione di Marx. Non vorrei esagerare ma si può dire che chi non lo ha compreso non ha capito nulla di Marx. Per questo occorre esaminarlo con cura.

Marx, lo si è visto, ha una visione fortemente unitaria del rapporto uomo natura: l'uomo è parte della natura e la natura è “il corpo inorganico dell'uomo”, il grande laboratorio che l'uomo ha a disposizione per la sua attività produttiva e creativa: il lavoro. Con il lavoro l'uomo “umanizza la natura”, costruisce le proprie condizioni materiali di esistenza. Molte delle cose che Marx dice sull'importanza del lavoro e del processo di costruzione delle condizioni materiali di esistenza sono del tutto condivisibili, però è l'impostazione di fondo del filosofo di Treviri a non essere accettabile. Il prodotto del lavoro non è per Marx una cosa, un oggetto che serve all'uomo per soddisfare determinati bisogni. No, il prodotto del lavoro è “cristallizzazione del lavoro umano, gelatina di lavoro sociale” e, poiché la capacità di lavorare è caratteristica essenziale dell'uomo, il prodotto del lavoro è essenza umana che assume la forma fenomenica di un abito, o di tre metri di tela, o di una seggiola, o di un chilo di pasta. E' chiaro il legame fra questa concezione e quella secondo cui la natura è il corpo inorganico dell'uomo. La natura è corpo inorganico dell'uomo, il prodotto del lavoro, cioè la natura modificata dal lavoro, è essenza umana esteriorizzata. Non uomo e natura, quindi, uomo e prodotto del lavoro, ma uomo che è anche natura e natura che è anche uomo, e prodotto dell'umano lavoro che è esso stesso uomo, inorganica essenza umana.
“La forma generale di valore, che riporta i prodotti di lavoro come pura gelatina di lavoro umano indifferenziato, mostra di essere l'espressione sociale del mondo delle merci, tramite la sua propria struttura” (8), dice Marx. La società capitalistica è basata sulla produzione di merci, cioè di beni destinati allo scambio. Queste merci sono “gelatina di lavoro umano”, e si scambiano fra loro in base alla quantità di lavoro sociale che ognuna di esse rappresenta. Vendendo e comprando merci, compresa quella merce particolarissima che è per Marx la forza lavoro, gli esseri umani entrano in determinate relazioni sociali; ma, di che tipo di relazioni sociali si tratta? Questo è il punto decisivo.
Una fabbrica produce mobili, un sarto cuce abiti, un'azienda agricola rifornisce il mercato di frutta e uova. Mobili, abiti e frutta rappresentano ognuno una certa quota parte del lavoro sociale complessivo, sono il risultato della divisione sociale del lavoro, un prodotto della società. Nella economia capitalistica però non è la società a decidere direttamente quanto, cosa e per chi produrre. La attività economica è frammentata fra tanti operatori, ognuno dei quali immette sul mercato le merci che ha prodotto. E qui queste merci sfuggono al suo controllo, al suo come a quello di qualsiasi altro essere umano. Tizio ha prodotto abiti pensando che questi sarebbero stati venduti a 100, però nel frattempo i gusti sono cambiati e un abito viene venduto a 50, Caio pensava che la sue uova sarebbero state vendute in un mercato locale, invece sono finite in una grande fabbrica dolciaria gestita da imprenditori giapponesi, i mobili prodotti nella fabbrica di Sempronio invece hanno aumentato il loro valore dopo che un mobilificio tedesco è fallito. Le merci sono lavoro umano cristallizzato, ma l'uomo non controlla i loro movimenti e la loro destinazione. Sul mercato esse si rendono autonome dall'uomo, agiscono di vita propria.
Sul mercato, dice Marx “l'uguaglianza dei lavori umani prende la forma reale dell'uguale oggettività di valore dei prodotti del lavoro, la misura del dispendio di forza lavorativa umana prende tramite la sua durata nel tempo la forma della grandezza di valore di prodotti del lavoro, infine i rapporti fra i produttori, nei quali si affermano quelle determinazioni sociali dei loro lavori, prendono la forma d'un rapporto sociale dei prodotti del lavoro” (9). Quelli che sono rapporti sociali fra uomini diventano sul mercato rapporti fra cose, meglio, rapporti sociali fra cose. Il lavoro cristallizzato si stacca dal produttore e diventa oggetto e, come oggetto, si rapporta ad altri oggetti. L'essenza umana si allontana dall'uomo e si reifica.
“Il segreto della forma di una merce sta dunque solo nel fatto che tale forma ridà agli uomini come uno specchio l'immagine della caratteristiche sociali del loro proprio lavoro, come proprietà sociali naturali di quelle cose e perciò ridà anche l'immagine del rapporto sociale tra produttori e lavoro complessivo, facendolo sembrare come un rapporto sociale fra oggetti che esista al di fuori di loro. I prodotti del lavoro tramite questo quid pro quo, diventano merci, cose sensibilmente soprasensibili, ossia cose sociali” (10)
Cose sociali: oggetti che vivono di vita propria, e che presentano come proprie caratteristiche quelle che sono invece caratteristiche sociali. Un abito si scambia con tre paia di scarpe perché l'abito rappresenta una porzione del lavoro sociale complessivo che è tripla di quella rappresentata da un paio di scarpe. Sul mercato però il rapporto fra abiti e scarpe diventa rapporto fra cose e le caratteristiche di scarpe ed abiti qualcosa di interno a loro in quanto cose, una loro caratteristica specifica. L'uomo perde in questo modo il controllo sul lavoro, quindi sulla sua essenza specificamente umana, lo perde perché questa si oggettivizza, si rende autonoma e contrapposta all'uomo.
“Quello che qui prende per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è solamente il determinato rapporto sociale che esiste tra gli stessi uomini. (…) Questo è quel che io chiamo feticismo, che si attacca ai prodotti del lavoro quando vengono prodotti come merci e che perciò è indisgiungibile dalla produzione di merci” (11)
La società di mercato è quindi un mondo rovesciato, alienato. In essa i rapporti fra persone sono diventati rapporti fra cose, l'essenza umana si è staccata dall'uomo, e l'uomo, privo della sua essenza, è degradato al rango di cosa. I rapporti fra gli uomini, regolati dal puro interesse materiale, sono puramente quantitativi, i rapporti fra cose invece sono qualitativamente molteplici e cangianti. Ai produttori, afferma Marx ”Le relazioni sociali si manifestano per quello che sono: ossia non come rapporti direttamente sociali fra persone nei loro stessi lavori, ma anzi come rapporti di cose tra persone e come rapporti sociali fra cose” (12)
Siamo, come si vede, in piena teoria della alienazione. Nella società borghese gli uomini diventano cose e le cose uomini. La società ha perso il controllo sui prodotti del lavoro e questi vivono di vita propria. Si scambiano come cose sul mercato e sul mercato sono sottoposti all'imperio di leggi impersonali. Quanto e cosa produrre, per chi produrre, come produrre cessano di esser decisioni sociali collettive, diventano la risultante delle anonime leggi che regolano lo scambio di quelle cose sociali che sono le merci. Sono i rapporti fra le cose e le impersonali leggi che li regolano a decidere dell'attività produttiva, quindi della vita di milioni di esseri umani.

Le posizioni di Marx qui rapidamente esposte si prestano a critiche che spaziano in molti campi; una disanima critica adeguata dovrebbe toccare la teoria del valore, la dialettica, la concezione marxiana della storia, insomma, i numerosi capisaldi del marxismo. Qui ci si limiterà a porre in evidenza come la teoria marxiana del feticismo della merce, e più in generale tutta la tematica della alienazione, si basino su una avversione quasi superstiziosa verso tutto ciò che è oggetto, cosa, e su una altrettanto profonda avversione per tutto ciò che in qualche modo è “diviso”. Così come la natura non è cosa ma “corpo inorganico dell'uomo” i prodotti del lavoro non sono per Marx oggetti, cose che servono all'uomo. I prodotti del lavoro sono “gelatina”, “cristallo” di lavoro umano, sono essenza umana solidificata, insomma, prolungamento dell'uomo, non qualcosa d'altro rispetto all'uomo: un insieme di oggetti che possono essergli utili, ma che possono anche non esserlo, o non esserlo per tutti, o che possono esserlo in maniera differenziata. Per Marx i prodotti del lavoro diventano “cose” perché sono venduti sul mercato, perché i produttori non decidono insieme quanto, come e per chi produrre, insomma, perché l'economia non è centralmente pianificata. Ora, sono note le obiezioni economiche che si possono opporre ai sostenitori della pianificazione: rinunciando al mercato l'economia rinuncia ad un indispensabile selettore dei consumi e degli investimenti, ma non è questa la sede per approfondire questo discorso. Quello che qui si vuole sottolineare è che non è vero che i rapporti mercantili siano rapporti fra cose, meno che mai rapporti sociali fra cose e rapporti cosali fra gli uomini. I rapporti mercantili sono rapporti fra uomini che si scambiano delle cose. Si possono definire “alienati”, "disumanizzati” simili rapporti solo se si ha un timore superstizioso per tutto ciò che è “cosa” e solo se si ritiene che ogni relazione fra gli esseri umani debba essere assimilata ad una relazione organica. Tizio e Caio possono decidere insieme quanto e cosa produrre e come ripartirsi i prodotti del comune lavoro, o possono operare autonomamente. In questo caso se Tizio produce tavoli e Caio sedie, entrambi accetteranno di scambiare le loro merci solo se le riterranno adatte a soddisfare le proprie esigenze. E' vero che nello scambio si prendono in esame le caratteristiche materiali di quelle cose che sono le merci, ma questo non “disumanizza” lo scambio perché quelle caratteristiche hanno come punto di riferimento i bisogni degli esseri umani. Il fatto che un tavolo si scambi con un quattro sedie non crea alcuna relazione sociale fra tavoli e sedie, la relazione sociale è sempre fra venditori e compratori, fra persone che vogliono tavoli ed altre che desiderano sedie.
Ed ancora, lo scambio di tavoli e sedie non “offusca” il fatto che sedie e tavoli sono entrambi prodotti del lavoro umano e della divisione sociale del lavoro, al contrario: lo scambio esiste perché esiste la divisione del lavoro e questo appare con immediata evidenza nel mercato. Sul mercato i vari prodotti del lavoro vengono confrontati fra loro e con le esigenze dei consumatori e vengono venduti a determinati prezzi. Il prezzo astrae  dalle caratteristiche qualitative di un certo bene: il bene A costa 10, come il bene B, qualitativamente del tutto diverso. Questo però non elimina le caratteristiche di A e di B ed il loro rapporto con le esigenze umane. Se un libro costa quanto un paio di scarpe vuol dire che c'è per il libro un acquirente che è disposto a pagare lo stesso prezzo che un altro acquirente paga per le scarpe. Alla base di entrambi gli acquisti stanno esigenze umane. Affermare che la attribuzione del prezzo, poniamo 100, a un libro e ad un paio di scarpe elimina le loro differenze qualitative, riduce entrambi ad "astratta gelatina di lavoro umano", è un po' come dire che se mi trovo in una località che dista 100 chilometri dal mare in una direzione e 100 dalla montagna, in un'altra direzione, questo annulla le differenze fra mare e montagna. Il prezzo come relazione quantitativa permette che cose qualitativamente diverse si indirizzino verso soggetti qualitativamente diversi, esattamente come la misurazione delle distanze permette a soggetti con gusti ed esigenze diverse, di viaggiare verso luogo diversi qualitativamente.

Per Marx, lo si è visto, tavoli e libri, e sedie e scarpe e ogni merce che si scambia sul mercato altro non sono che lavoro sociale cristallizzato, quindi sociale essenza umana in forma fenomenica di prodotti. Per impedire che questa essenza sociale si reifichi e si contrapponga all'uomo occorre, per Marx, che la società nel suo complesso guidi l'attività economica sottoponendola ad un piano. Ogni altra forma di organizzazione delle attività economiche e produttive è assimilata da Marx alla alienazione ed alla reificazione, segna il contrasto dell'uomo col prodotto del suo lavoro, quindi dell'uomo con se stesso. Alla base di questa concezione c'è non solo un atteggiamento di timore superstizioso verso tutto ciò che è cosa, c'è un uguale timore per ogni forma di divisione fra gli esseri umani. O esiste fra gli esseri umani una totale armonia, con l'io che si integra senza riserve nel tu, o i rapporti umani sono alienati e regnano fra gli uomini l'egoismo escludente, il reciproco timore e la reciproca ostilità. Che gli esseri umani possano essere autonomi l'uno dall'altro e che possano entrare in relazioni sociali senza che si instauri fra loro una perfetta armonia è considerato quasi una contraddizione in termini da Marx. Eppure è questa la situazione dei reali rapporti umani. Tizio si trova bene con Caio, sono amici e si completano a vicenda. Oltre ad voler bene a Caio, Tizio prova simpatia per Sempronio, con cui però ha rapporti molto meno stretti, inoltre conosce superficialmente Luigi da cui compra il pane, acquista libri su internet e neppure sa che faccia abbia chi li ha stampati, prova sentimenti di forte antipatia per Piero, è innamorato di Laura e sente una certa attrazione sessuale per Maria. I rapporti fra esseri umani sono fortemente differenziati, non è vero che ogni uomo è il complemento di tutti gli altri. In una società libera e aperta è possibile che si instaurino fra le persone molteplici forme di rapporto, tutte lecite a condizione che nessuno aggredisca l'altrui autonomia.
E' possibile, ovviamente, organizzare in maniera pianificata l'attività economica, non affronto qui il problema di quali siano le conseguenze sociali, politiche ed economiche della pianificazione. Però, è completamente sbagliato vedere in una economia fondata sullo scambio qualcosa di “alienato”, non umano. Una economia fondata sulla scambio prevede rapporti umani differenziati, quindi anche impersonali, ma questo può apparire “inumano” solo a chi consideri “umane” solo le relazioni “faccia a faccia”, meglio, le relazioni faccia a faccia assolutamente armoniche. L'esperienza ed un minimo di senso del reale ci ricordano del resto che anche le economie pianificate sono in larga misura impersonali, più impersonali delle stesse economie di mercato. Che relazione "faccia a faccia" legava un contadino ucraino col "padre dei popoli"? Nelle economie pianificate il consumatore non conosce il produttore esattamente come non lo conosce in quelle  di mercato, con la differenza che nelle economie di mercato il consumatore è libero, entro certi limiti di decidere cosa consumare, o che lavoro scegliere, o che stile di vita adottare, tutte libertà "alienanti" che sono state distrutte nelle economie basate sulla pianificazione. 
Si possono fare infine considerazioni simili per l'avversione di Marx verso le impersonali leggi del mercato. Di nuovo, il fatto che le numerosissime relazioni fra compratori e venditori diano vita a fluttuazioni economiche non previste ne programmate da nessuno appare a Marx come il prototipo della ”alienazione”, del carattere non umano delle economie basate sullo scambio. Per Marx tutto deve essere il risultato di una azione razionale cosciente; in senso proprio non dovrebbero esistere per Marx “leggi” visto che ogni legge è, per sua natura, impersonale. Che tantissime azioni umane diano vita a conseguenze non previste da nessuno gli appare come qualcosa di “disumano”: il soggiacere dell'uomo a forze che gli sono estranee, una sua subordinazione alle cose. Invece nulla è più conforme alla natura umana del il fatto che spesso molte azioni umane abbiano conseguenze inintenzionali. L'uomo è un essere debole, limitato, vive in un mondo governato da leggi che trova come date, leggi che può conoscere e di cui deve tener conto, ma a cui non può sottrarsi. La conoscenza umana, è sempre limitata, parziale, legata al punto di vista. Il non poter prevedere e programmare tutto non è il frutto di qualche imposizione che l'uomo deve subire, è al contrario una sua caratteristica essenziale.

Questa nostra caratteristica essenziale, che Marx scambia per "reificazione", è legata alla nostra umana finitezza, lo si è visto, ma è anche la forma specifica della nostra grandezza. La conoscenza umana, ricorda Fiedrik Von Hayek, è sempre limitata, dispersa. Anche la persona più colta e geniale del mondo conosce solo una frazione molto limitata dello scibile umano, anche lei dipende, nella sua vita di tutti i giorni, dal lavoro, e dalle conoscenze, di milioni di altre persone di cui ignora totalmente l'esistenza. Esiste una conoscenza collettiva, un cervello collettivo dell'umanità lo ha definito Matt Ridley in "un ottimista razionale", che non si identifica affatto con la mente di qualche onniscente programmatore, sia esso un singolo individuo o anche una assemblea democraticamente eletta, e che non può neppure essere racchiusa nel programma del più perfezionato dei computers. La divisione del lavoro e gli scambi sul mercato mettono a disposizione di tutti una massa enorme di conoscenze che resterebbero altrimenti frammentate e disperse, e mettono a disposizione di tutti i risultati di queste conoscenze. Quanti di coloro che navigano in internet saprebbero costruire un PC? E quanti sanno con precisione come funziona? Eppure il PC fa parte della loro vita, agevola il loro lavoro, contribuisce al loro sviluppo intellettuale. La divisione del lavoro, i detestati scambi di equivalenti, mettono a mia disposizione le idee, il lavoro, le opere di persone che non conosco e non conoscerò mai, gettano un ponte nello spazio e nel tempo, creano una rete di rapporti umani che non si limita affatto al commercio in senso stretto. Comprende il linguaggio, il confronto delle idee, la scienza, l'arte, la filosofia. Altro che "reificazione", altro che "rapporti umani fra cose e rapporti cosali fra uomini"!  Quello che Matt  Ridley ha  definito il cervello collettivo dell'umanità cresce e si sviluppa precisamente nello scambio, nella divisione del lavoro, nella rete dei rapporti impersonali fra gli uomini, retti da leggi che spesso sfuggono al loro controllo immediato. Si elimini questa rete, si pretenda di tornare alla società faccia a faccia, o di programmare tutto centralmente e si torna alla preistoria, o si crea il più feroce, ed economicamente inefficiente, totalitarismo che sia possibile immaginare.
Pretendere che l'uomo possa prevedere tutto, e tutto stabilire in anticipo è una forma di prometeismo romantico che non tiene assolutamente conto della nostra autentica natura, e delle condizioni reali che permettono la nostra crescita civile e culturale. Certo, occorre cercare di correggere le conseguenze negative impreviste di certe azioni umane, ma questo non vuol dire sostituire alla spontaneità degli individui la guida “illuminata” di una ragione onnicomprensiva. 
In definitiva, la teoria marxiana del feticismo e della alienazione si basa su una concezione radicalmente unitaria dell'uomo e della storia e sul contemporaneo rigetto di tutto ciò che è cosa, divisione, rapporto impersonale, legge impersonale. O tutto è uomo, suo corpo organico o sua essenza cristallizzata, o l'uomo è alienato; o i rapporti fra gli uomini sono organici ed assolutamente armonici o l'uomo è fuori di se stesso, o l'uomo prevede e controlla tutte le conseguenze della sue azioni o è in balia di forze non umane. Dietro alla teoria del feticismo e della alienazione c'è una concezione titanica dell'uomo, un nuovo, ennesimo, rifiuto del nostro essere dati, finiti. Un travisamento profondo delle nostre caratteristiche essenziali.




NOTE
1) K. Marx F. Engels: Manifesto del partito comunista. Einaudi 1966 pag. 100.
2) K. Marx: La questione ebraica. Editori riuniti 1974 pag. 57. Sottolineature di Marx.
3) Ibidem pag. 70 71. Sottolineatura di Marx
4) Ibidem pag. 71. Sottolineature di Marx
5) Ibidem pag. 72.
6) Ibidem pag 72 73, Sottolineature di Marx.
7) Ibidem pag. 73
8) K. Marx: Il capitale. Avanzini e Torraca 1965 pag. 63.
9) Ibidem pag. 69.
10) Ibidem pag. 69
11) Ibidem pag. 69
12) Ibidem pag. 70. Sottolineature di Marx.















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