lunedì 15 giugno 2020

IL NICHILISMO CONTRO LA STORIA


George Floyd, i manifestanti distruggono la statua di Cristoforo ...

Numeri, buon senso e genocidi


 Dopo Churchill e Lincon è la volta di Cristoforo Colombo. Il grande navigatore genovese è accusato di essere il responsabile del genocidio dei “nativi americani” che, in 500 anni, avrebbe fatto dai 100 ai 140 milioni di vittime. Le sue statue vengono abbattute, decapitate o deturpate da folle di sedicenti “antirazzisti” ed “antifascisti” urlanti. Per loro Hitler e Stalin in effetti sono in dei poppanti se confrontati a Cristoforo Colombo. Cosa volete che siano i 5 o 6 milioni di vittime della Shoa, dell'holodomor o della “eliminazione dei kulaki in quanto classe” se paragonati ai 140 milioni di indios massacrati da Colombo? Sciocchezze, pinzillacchere. Giusto abbattere e sue statue perbacco!
Però, anche a naso, qualcosa non quadra in simili “ragionamenti”. Può seriamente un uomo essere accusato dei crimini avvenuti nel corso di cinque secoli? Sarebbe un po' come se Enea, il mitico fondatore di Roma, fosse ritenuto colpevole della repressione della rivolta di Spartaco o del vezzo di far divorare i cristiani dai leoni nel Colosseo (a proposito, mi aspetto che questo orribile monumento schiavista venga rapidamente abbattuto in nome della democrazia e dei diritti umani).
Inoltre, appare quanto meno azzardato attribuire a Colombo le violenze ed i massacri che hanno accompagnato sia la conquista del sud America che la colonizzazione del nord America. I primi europei sbarcarono in nord America nel 1607, circa 115 anni dopo la scoperta del continente americano fatta da Colombo. La penetrazione europea fu profondamente diversa nelle due Americhe. Si trattò di colonizzazione, un movimento migratorio in larga misura spontaneo dal vecchio al nuovo continente, nel caso del nord America, di conquista e distruzione da parte della Spagna dei grandi imperi precolombiani. Processi storici diversi, anche se caratterizzati entrambi da violenze e massacri. Ma gli “antirazzisti” non amano le distinzioni. Per loro tutto è uguale e tutto egualmente addebitabile ad un navigatore genovese. Punti di vista...

Lasciamo perdere il buon senso, è difficile scovarlo laddove manca, e veniamo ai numeri. Sono verosimili le cifre di 100 o addirittura 140 milioni di trucidati di cui alcuni parlano a proposito della conquista e colonizzazione delle Americhe? Francamente
NO.
Nel 1492 la popolazione mondiale ammontava a 416 milioni di esseri umani. Era in larga misura concentrata in Europa ed Asia. A quella data vivevano nel continente americano (nord e sud) non più di 15 o 16 milioni di persone. Allan Nevins ed Henry Steele Commanger (due storici importanti, politicamente vicini ai liberal) nella celebre “
Storia degli Stati Uniti” danno, a proposito del nord America, cifre ancora più basse: non più di 600.000 abitanti. In ogni caso, non si vede come sia stato possibile massacrare 100 o addirittura 140 milioni di persone su una popolazione di 15 o 16 milioni di abitanti. Si potrebbe obbiettare che il massacro è avvenuto nel corso di secoli, ma, di nuovo, il “ragionamento” non regge. Per massacrare nel corso dei secoli 100 o 140 milioni di persone su una popolazione iniziale di 16 occorre che questa popolazione aumenti o quanto meno non diminuisca nel corso del tempo, ma... come sarebbe stato possibile un  incremento o anche solo un mancato decremento di popolazione mentre era in corso un genocidio?
Perché mai sparare cifre tanto inattendibili? Sarebbe meno grave un massacro che si limitasse a 3 o 4 milioni di persone? Tra l'altro 3 o 4 su una popolazione di 16 vuol dire una percentuale mostruosa di morti, perché farla crescere a dismisura fino a renderla assurda? Solo per biechi fini propagandistici direi.
Val la pena, prima di chiudere su questo punto, fare un'altra considerazione. Molti “nativi americani” furono barbaramente trucidati, è indubbio, ma molti altri morirono perché contrassero infezioni portate dai nuovi venuti contro le quali non avevano sviluppato anticorpi. Una orribile tragedia certo, che non è però assimilabile ad una politica deliberatamente genocida. Molti indios morirono in guerra con conquistadores e coloni, ma i massacri che caratterizzano le guerre, anche le brutali guerre di conquista, non possono, a rigore, essere assimilati ai genocidi. E' genocidio la distruzione deliberatamente perseguita di una certa etnia. Si possono sicuramente considerare vittime di un genocidio i 5 o 6 milioni di ebrei massacrati nella Shoah. Non si possono invece considerare vittime di un genocidio i quasi 20 milioni di morti causati all'URSS dalla brutale aggressione hitleriana. Nessuno ha mai parlato di “genocidio dei sovietici”, non a caso.

Ci si può chiedere: perché tante distinzioni? La conquista e la colonizzazione delle Americhe hanno avuto costi umani elevatissimi, da condannare senza se e senza ma, e tanto dovrebbe bastare. Si, tanto dovrebbe bastare se non fosse in atto il tentativo di trasformare quella conquista e quella colonizzazione in una sorta di male assoluto, un peccato originale che non solo rende possibile la assimilazione di Cristoforo Colombo ad Adolf Hitler, ma che tende a delegittimare l'esistenza stessa degli Stati Uniti. Gli USA esistono ma non dovrebbero esistere perché sono nati dal più mostruoso genocidio della storia. E cose simili si possono dire della civiltà occidentale nel suo complesso e dell'uomo bianco.
Quella occidentale è la civiltà dei genocidi e dello schiavismo. L'uomo bianco deve il suo benessere a secoli, millenni di rapine e massacri. Stati Uniti, civiltà occidentale e uomo bianco devono d'ora in avanti vivere in uno stato di perenne contrizione, rinnegando tutti i giorni la loro civiltà ed il suo retaggio storico. Se non lo fanno sono “razzisti”, “suprematisti” e, ovviamente, “fascisti”. Personalmente trovo semplicemente demenziali simili pretese. 


Civiltà e violenza 

A sentire gli “antirazzisti” sembra che la violenza sia da sempre monopolio dell'occidente. Gli occidentali sono da sempre razzisti, schiavisti, imperialisti. Gli altri invece sono praticamente degli angioletti.
Ha un minimo di fondamento questa descrizione? NO!
Lo schiavismo è stato diffuso in medio oriente sino alla metà dello scorso secolo, era diffuso in Africa al tempo della tratta. Gli imperi (non solo gli europei fondavano imperi) Azteco e Maya erano schiavisti, e si caratterizzavano per i sacrifici umani. Le tribù degli originali “nativi americani” si facevano spesso guerra fra loro al fine di rubarsi a vicenda cibo, cavalli e
donne. Nell'India precoloniale i paria (gli ultimi) non potevano calpestare l'ombra di un bramino e la vedova di un nobile veniva bruciata viva assieme alla salma del marito. Furono i biechi colonialisti britannici a porre fine a questa discutibile usanza.
Quanti morti ha causato l'islamizzazione del nord Africa, di parte dell'Europa e dell'oriente fino all'India? Non lo si sa con precisione, ma di certo svariati milioni. E svariati milioni di cadaveri sono costati la formazione dell'impero cinese o le conquiste di Gengis Khan. Con questi esempi non intendo di certo sostenere che le civiltà extra europee fossero composte da barbari sanguinari, solo sottolineare ciò che qualsiasi persona dotata di un briciolo di cultura sa benissimo: la violenza non è mai stata monopolio dell'occidente,
tutti, ma proprio tutti, gli stati si sono formati nel corso di lunghi e tormentati processi storici caratterizzati da guerre, violenze, grandi migrazioni con la riduzione in soggezione o addirittura in schiavitù delle popolazioni sottomesse. L'occidente ha vinto gli scontri che ha avuto con altre civiltà, ha vinto per tutta una serie di motivi che non è possibile analizzare in questa sede, primo fra tutti la superiorità tecnologica. Ma il fatto di vincere non assegna al vincitore il monopolio della malvagità né al vinto quello della bontà. Questo i presunti “antirazzisti” proprio non arrivano a capirlo.

Non sono guerre, violenze e schiavismo le caratteristiche distintive della civiltà occidentale, in questo non differisce dalle altre. Sono invece caratteristiche della civiltà occidentale l'idea della pari dignità di tutti gli esseri umani, la valorizzazione della libertà individuale, il laicismo con la conseguente separazione fra stato e Chiesa, la democrazia politica. L'occidente è stato schiavistico ma in occidente e non altrove è sorto il movimento abolizionista. Ha conosciuto l'intolleranza ed il fanatismo religioso, ma anche la rivendicazione del libero pensiero, ha partorito i mostri del moderno totalitarismo, ma anche le forze che lo hanno combattuto ed alla fine sconfitto. Eppure è l'occidente e solo l'occidente ad essere costantemente messo sotto accusa dagli occidentali “progressisti”. Sempre pronti ad assolvere le altrui brutture questi non perdonano nulla alla loro civiltà. Questo non è sano spirito autocritico, è odio di se, vergogna della propria storia. Una malattia gravissima, un cancro che può portare alla fine di una civiltà millenaria.
 

Il bene, il male e la storia

L'atteggiamento degli occidentali “progressisti” nei confronti della storia della propria (
e solo della propria) civiltà si può riassumere in poche parole. Prendono un insieme di valori che oggi si sono affermati o che comunque rappresentano per loro degli assoluti, qualcosa di cui il solo discutere è blasfemo, confrontano questo tabernacolo di valori assoluti con la triste realtà della storia, constatano che esiste una abissale differenza fra il loro assoluto etico e gli eventi storici e... mandano al diavolo la storia (va la pena di ripeterlo, la LORO E SOLO LA LORO storia).

C'è un particolare della violenza nichilista che scuote in questo periodo l'occidente che molti sembrano non avere notato. Obiettivo dei distruttori di statue non sono quei personaggi che fecero cose moralmente esecrabili anche nei tempi in cui vissero. Non si attaccano sovrani sanguinari o schiavisti particolarmente crudeli. No, l'obiettivo privilegiato della violenza sedicente “antirazzista” sono personaggi fino a ieri considerati positivamente quasi da tutti. Si attaccano Colombo, non Pizarro e Cortes, Churchill, non Hitler, Lincon, non i razzisti fanatici che lo uccisero. C'è una logica in simili atteggiamenti. Ad essere esecrabili sono personaggi il cui pensiero è aperto ma non si stacca troppo dal punto di vista medio dell'epoca in cui vissero. Colombo voleva raggiungere le Indie, ma approdò in America e questo diede il via alla conquista spagnola del continente sud americano, tanto basta per considerarlo un “genocida”. Lincon abolì lo schiavismo ma non immaginò mai un presidente di colore degli Stati Uniti, quindi è definito “razzista” al pari dei suoi assassini. Churchill fu il più strenuo oppositore di Hitler, ma anche un sostenitore dell'impero britannico. Per questo è un “colonialista” da ricoprire di improperi. Qualsiasi considerazione del quadro storico in cui vissero certi personaggi scompare perché è precisamente quel quadro ad essere sotto accusa. Non va studiato, analizzato, criticato. Va semplicemente rimosso, ridotto a letamaio razzista da rifiutare in toto. Non ha senso distinguere quanto in quel quadro c'è comunque di positivo, quanto di buono ci ha lasciato un passato in cui pure erano presenti molte cose che non ci è possibile oggi accettare. No, in quel passato ci sono l'imperialismo, lo schiavismo, il razzismo quindi, bruci pure tutto! Schiavismo, imperialismo razzismo fanno perdere valore alla filosofia di Aristotele come alla poesia di Dante, alla emancipazione degli schiavi firmata da Lincon come alla lotta di Churchill contro il nazismo. Poco importa che la scoperta di Colombo abbia contribuito ad unificare il mondo, con tutte le conseguenze positive di una simile unificazione. Senza quella unificazione i cretini che oggi abbattono le sue statue non sarebbero mai nati. Non conta. Colombo non era certamente immune da idee che oggi consideriamo razziste quindi è un nemico, un oppressore, le sue statue vanno decapitate, profanate, abbattute.

La storia è un processo molto più articolato e contorto di quanto non credano i fanatici ed i nichilisti. Ci sono nella storia personaggi su cui è possibile dare, in ogni tempo, giudizi fortemente ed unicamente negativi. Personaggi che hanno compiuto azioni moralmente inaccettabili anche nei tempi in cui vissero e che non hanno lasciato nulla di buono a chi venne dopo di loro. Torquemada era particolarmente fanatico anche per i tempi in cui visse e le conseguenze della sua azione sono state solo negative. Tommaso d'Aquino fu, come il Torquemada, fortemente ostile agli eretici, ma non può in alcun nodo esser considerato un fanatico, la sua filosofia e la sua teologia intrise di aristotelismo sono invece un monumento di razionalità. Hitler e Stalin hanno commesso crimini mai visti prima nella storia ed hanno lasciato ai posteri solo rovine fisiche e morali. Molti li combatterono sostenendo idee e valori che ci appaiono scarsamente accettabili, ma questo non annulla la distanza cosmica fra un Churchill ed un Hitler, un Truman ed uno Stalin.
Il male esiste nella storia e va chiamato col suo nome:
male e in quanto tale eticamente condannato. La concezione hegeliana e marxista del male ridotto a “momento dialettico” di uno svolgimento storico necessario, destinato per Marx a concludersi con la palingenesi rivoluzionaria, è inaccettabile. Tra l'altro tale concezione elimina il male dalla storia. Se il male è necessario alla realizzazione del bene il male di fatto si identifica col bene, cessa di esistere in quanto male.
Riconoscere che, malgrado le pretese hegeliane e marxiste, il male esiste nella storia non può però portarci al rifiuto moralistico della stessa. Proprio perché il male esiste occorre mantenere sempre la capacità di
operare distinzioni. Spesso il male è nella storia strettamente intrecciato al bene. L'azione di personaggi i cui valori non possiamo condividere ha avuto più di una volta conseguenze positive per il genere umano. La condanna degli eccidi messi in atto da Cortes e Pizarro non può farci ridurre l'unificazione del mondo operata dai grandi navigatori ad episodio unicamente “razzista” ed imperialista. Le condizioni misere degli operai nella Gran Bretagna agli albori del diciannovesimo secolo non possono farci scordare che la rivoluzione industriale ha avuto un colossale impatto liberatorio per il genere umano. Lincon è stato un grande presidente anche se ha tardato a firmare il decreto di emancipazione. Luigi sedicesimo è stato un cattivo re, ma la sua decapitazione è stata un crimine. Robespierre era un fanatico, ma questo non riduce la rivoluzione francese ad un episodio di fanatismo. Si elimini la capacità di operare distinzioni e si ha o la deificazione della storia e la venerazione in essa dei vincitori (spesso provvisori) oppure il rifiuto nichilistico della storia stessa, la sua riduzione a “razzismo”, “schiavismo”, “omofobia”, “sessismo” (cosa assai ridicola visto che termini come “sessismo” ed “omofobia” sono stati inventati solo di recente) con la conseguente, orribile, distruzione del patrimonio culturale che i nostri avi ci hanno lasciato. Una mostruosità, un incubo orwelliano. 

Palingenesi e rifiuto della storia 

Nella storia ogni mutamento positivo, per quanto radicale possa essere, non segna mai una rottura totale col passato. I mutamenti possono essere il risultato di riforme, di un lento processo evolutivo o, a volte, anche di rotture rivoluzionarie, ma, se hanno un qualsiasi contenuto positivo, non distruggono la continuità del corso storico. La rivoluzione americana è stata un evento di straordinaria importanza e non è stata di certo un evento pacifico. Ma non ha rotto la continuità del corso storico. Una volta separatesi dalla madre patria le colonie hanno dato vita ad uno stato come altri ed hanno sempre mantenuto buone relazioni col Regno Unito. Ogni novità si innesta in una tradizione, non esiste, non può esistere, assoluta discontinuità nel corso storico. Presente, passato e futuro sono collegati. Le nostre radici affondano nel passato e le nostre aspettative ci proiettano verso il futuro; vale per gli individui come per i popoli, nella la vita privata di ognuno di noi come nella la storia.
Qualcuno però non condivide questa visione dell'evoluzione storica. Sono i rivoluzionari radicali o i rinnovatori radicali del mondo. Loro non voglio cambiare alcune cose del mondo, dell'uomo e della società Vogliono un uomo, una società ed un mondo radicalmente, assolutamente nuovi, non contaminati dalle vestigia del passato.
Il passato per costoro è solo un insieme di mostruosità disumane. Oppressione e sfruttamento hanno trasformato la società in un fatiscente immondezzaio. L'uomo che vive in questa società è un mostro, un non-uomo con idee, interessi, aspirazioni, pulsioni che nulla hanno di umano. Una simile società, un simile uomo non possono essere cambiati, devono essere sostituiti da una società e da un uomo totalmente altri. Il mondo nuovo non è la risultante di una trasformazione del mondo vecchio, si
sostituisce a questo. L'assoluta novità segna una radicale rottura con la storia, tutta la storia, del genere umano. Del passato facciam piazza pulita. Questo slogan riassume molto bene il nichilismo utopico dei rinnovatori radicali del mondo.

Fra rinnovamento radicale del mondo e rifiuto della storia c'è un evidente legame logico. Se si vuole realizzare l'assolutamente altro il passato va integralmente rifiutato. Di fronte al nuovo radicale il vecchio appare solo come corruzione e nequizia, va rifiutato, in toto. Lo stesso Marx accetta una simile posizione. A prima vista questo sembra non essere vero. Marx in effetti adora la storia, ma la sua adorazione si basa sulla ferrea convinzione che sia lo stesso sviluppo storico a preparare e rendere necessario il suo rovesciamento radicale. Per Marx il comunismo rappresenta “l'enigma finalmente risolto della storia”, il passaggio dalla preistoria alla storia, dal regno della necessità a quello della libertà. Le formule variano ma la sostanza resta la stessa: il comunismo è il rovesciamento radicale, assoluto della totalità che la storia stessa rende necessario. Ma è proprio qui che il il marxismo entra in un autentico corto circuito logico. Perché la storia non può preparare il suo rovesciamento totale, non può, in forza di un suo impulso interno, uscire da se stessa.
In effetti, quando la storia reale smentirà le previsioni marxiane i marxisti rivoluzionari non esitarono a mettere in atto la più radicale rottura del corso storico che l'uomo avesse mai tentata. Il marxismo perse la sua pesante bardatura scientista e determinista per diventare sfrenato volontarismo. Ben lungi dall'essere imposto
dalla storia il comunismo venne imposto alla storia. Ed il passato iniziò ad essere fatto oggetto di attacchi sempre più devastanti. Questa tendenza raggiunse livelli parossistici nella rivoluzione culturale cinese e nella orribile esperienza cambogiana. In occidente fu oggetto di raffinate riflessioni filosofiche da parte della scuola di Francoforte e in questa di coloro che cercarono di conciliare Marx con Heiddegger, senza curarsi troppo della militanza di quest'ultimo nel partito nazional socialista dal 1933 al 1945. Nella sostanza però le sue radici risalgono allo stesso Marx anche se, va detto, la sua opera è aliena da ogni forma di nichilismo antistorico.

Ci siamo soffermati su Marx, ma il rifiuto della storia è presente in un po' tutte le filosofie del rovesciamento radicale del mondo, spesso accompagnato dal rimpianto per una mitica età dell'oro, una lontanissima epoca in cui tutto era perfetto e da cui il corso della storia ci ha progressivamente allontanato.
Dai movimenti ereticali del medioevo alle fosche previsioni di Gioacchino Fiore, dalla utopia del Campanella al rimpianto di Rousseau per il buon selvaggio fino al nichilismo iconoclasta dei giacobini il motivo di fondo è sempre lo stesso. Il mondo va rovesciato e il suo rovesciamento segna il ripudio di tutta la storia sinora conosciuta.
Né simili concezioni riguardano solo movimenti radicali “di sinistra”. Sono al contrario largamente presenti nel radicalismo di destra. Nel nazismo la vittoria della razza “superiore” segna una rottura definitiva n
el corso storico. Il terzo reich che di questa vittoria è l'artefice, ripristina la autentica struttura ontologica del mondo, segna il ritorno ad una lontanissima epoca di autenticità che era stata abbandonata e di cui quasi si era perso il ricordo. Ancora una volta la assolutà novità (che tale non è visto che tutta la storia è piena di rivendicazioni di superiorità razziali) si combina con la radicale svalorizzazione della storia, considerata alla stregua di un progressivo processo di imbastardimento razziale.

Non è il caso di dilungarci. Il radicalismo di destra o di sinistra, laico o religioso, universalista o particolarista che sia sfocia sempre nel rifiuto e nella svalorizzazione della storia.
La storia non va studiata, capita, criticata. Non si fanno in essa distinzioni, non si condanna ciò che c'è da condannare sforzandosi nel contempo di riconoscere quanto di positivo ci hanno lasciato epoche lontane, carattrizzate da idee, valori, modi di agire rofondamente diversi dai nostri. Il rinnovamento assoluto del mondo, la aspirazione al "totalmente altro" segnano la fine della storia ed il suo ripudio. Più radicale è il nuovo più netto il rifiuto del vecchio, la svalorizzazione di ogni tradizione, la negazione di ogni continuità.
L'assalto nichilista alle statue, l'invocazione della censura, l'attacco a grandi personaggi come Curchill e Lincon, la pretesa di espellere Dante dai corsi scolastici o qanto meno di sottoporlo a censura sono la logica conseguenza di simili concezioni. E ci mostrano con chiarezza quali sono, inevitabilmente, gli esiti del radicalismo antistorico. Non l'inizio di un'epoca nuova e felice ma la regressione nella barbarie. Perchè la barbarie, solo la barbarie, è l'esito obbligato di ogni forma di nichilismo.

1 commento:

  1. Di genocidi e compagnia bella ne hanno tutti i popoli, nel loro passato. Anche i bravi nativi americani (loro avevano il culto della guerra. Una volta ho letto un intervista fatta ad un nativo americano negli anni 40, lui raccontava di esser pentito di non aver mai cominciato una guerra che gli spiriti, mediante i sogni, gli incitavano di fare).
    I bravi nativi americani hanno anche deliberatamente incendiato foreste, il tutto per stanare le prede (premetto che con bravi non intendo insultare i nativi americani, ma prendere in giro gli ‘anti’fa, che se li figurano come popolo pacifico, hippie e pronto a sottomettersi.
    Però mentre per gli altri popoli sono cose che, seppur condannabili, appartengono agli antenati (un nativo nato nel 1990 che c’entra?), i bianchi (ma solo quelli occidentali, gli arabi no, loro vanno fieri delle loro guerre passate), vivono di sensi di colpa. Magari sarebbe bene ricordare le malefatte di certi individui per non ripetere gli stessi errori, non per fustigarsi ed incoraggiare gli altri popoli a fare crimine contro i bianchi (e poi se un giorno uno di questi popoli, magari proprio i neri, col dispiacere dei progressisti, raggiungesse grandi risultati per poi decidere di buttar tutto nel cesso a causa di sensi di colpa?).

    Intanto i rivoluzionari di oltreoceano stanno già gettando le basi per la loro società dei sogni: schedature razziali e schedature politiche, atte a spingere pe persone a comprare da persone specifiche e a boicottare altre, insomma per essere antirazzisti stanno creando una società fortemente razzista (ai livelli dei tempi dello schiavismo e delle colonie), separatista (bianchi di qua, neri di la, donne da un’altra parte, poi omosessuali, transessuale and CO ecce cc) e tirannica (di estrema sinistra, tutti quelli che sognano questo delirio si dichiarano democratici – se americani, o pentapiddini – se italiani).

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