lunedì 27 maggio 2013

MARXISMO E TOTALITARISMO



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Si è discusso e si discute molto sui rapporti fra il marxismo e l’esperienza del cosiddetto comunismo “reale”. Gli innumerevoli lutti che questa esperienza è costata al genere umano possono in qualche modo esser fatti risalire al marxismo? Oppure fra questo e quelli non esiste alcun rapporto? Marx è il padre del comunismo moderno, porsi il problema dei rapporti fra il marxismo e l’esperienza storica del comunismo equivale ad affrontare il problema del rapporto fra comunismo “ideale” e comunismo “reale”, fra la teoria e la prassi comuniste.
E’ certo che Marx non è Stalin, ed è almeno assai probabile che Marx sarebbe inorridito di fronte all’ampiezza ed alla efferatezza dei crimini staliniani. Da questo punto di vista fra Marx e l’esperienza storica del comunismo esiste una cesura netta. Il problema però non è questo. Il problema è di capire se esistono nell’impianto complessivo del marxismo concezioni, teorie, modi di vedere l'uomo e la storia che, messe in pratica, hanno portato, sempre ed ovunque, alle conseguenze che conosciamo. Marx non ha mai teorizzato i gulag ma questo non basta a recidere ogni legame fra i gulag ed il marxismo. Occorre invece cercare di capire perché persone che si richiamavano a Marx e che conoscevano benissimo la sua opera hanno potuto costruire i gulag. I gulag sono stati costruiti in nome di Marx. Si tratta di un fraintendimento? Anche ammettendolo resta da spiegare perché il pensiero di Marx si è prestato ad essere frainteso in maniera così radicale, perché ad essere frainteso non è stato il pensiero di Kant , Hume o Locke.
E’ un problema simile a quello che si pone per Nietzsche. Accusare Nietzsche di nazismo sarebbe una sciocchezza, tra l'altro Nietzsche non è mai stato antisemita, ma è davvero solo un caso che molti ufficiali delle SS portassero “Così parlò Zarathustra” nello zaino? Di nuovo, perché è stato Nietzsche e non, per fare un altro esempio, John Stuart Mill ad essere frainteso dai seguaci di Adolf Hitler? Se un autore viene frainteso troppo e in maniera troppo profonda la colpa non è mai solo di chi lo fraintende.

Per almeno alcuni di coloro che ancora oggi si richiamano al comunismo esisterebbe una cesura netta fra l’esperienza storica del comunismo reale e l’idea comunista. Dico “alcuni” non a caso. Molti che ancora oggi si definiscono “comunisti” mantengono un solido legame con quella esperienza. Certo, anche questi “criticano” l’esperienza staliniana ma si tratta di "critiche" che sembrano fatte apposta per assolvere, non per condannare. Lo stalinismo è stato tanto brutto ma... bisogna considerare il momento storico, l’arretratezza economica, le provocazioni dell’imperialismo eccetera eccetera. Ragionando in questi termini si potrebbe dire che il nazismo è stato orribile ma... bisogna considerare il trattato di Versailles, la crisi economica, i timori suscitati dall’Unione Sovietica eccetera eccetera.

Ed anche coloro che criticano in maniera senza dubbio severa l’esperienza storica del comunismo si lasciano spesso prendere da strane amnesie ed emettono, a volte, giudizi sorprendenti. Ad esempio, si condanna senza riserve lo stalinismo ma si continua a considerare con un rispetto davvero eccessivo la figura di Palmiro Togliatti che di Stalin fu stretto collaboratore o si vede ancora in Fidel Castro un campione della causa degli oppressi. Questi però in fondo sono dettagli, anche se di una certa importanza. A parte tutte le amnesie e le reticenze occorre affrontare, una volta per tutte, il problema del del rapporto fra l’idea comunista ed il comunismo reale, fra la liberazione integrale dell’uomo ed i gulag, l’autogoverno dei lavoratori e la dittatura totalitaria sulla società tutta, lavoratori compresi.

Dal punto di vista marxista il paragone fra l’idea comunista ed il comunismo reale è qualcosa di assurdo. Marx non ha mai contrapposto “idea” e “storia”, realtà ed idealità del comunismo: “Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente” (1). Il comunismo non è un ideale da realizzare, è il movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente. Il comunismo è quel movimento reale, quello lì, diverso dalle utopie comuniste sempre fiorite nel corso della storia. E’ il movimento che nasce con Marx e la prima internazionale, prosegue con la seconda, con la rivoluzione d’Ottobre e la terza internazionale, con Lenin, Stalin, Mao. E’ quello il movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente, ed ha in effetti abolito molti stati di cose esistenti. Eliminare dalla storia questo movimento reale, farne un semplice “fraintendimento”, o magari anche “tradimento” dell’idea comunista significa essere assai poco marxisti, trasforma i robusti seguaci del materialismo storico in idealisti platonici. Tutto questo dovrebbe preoccupare chi in nome del marxismo “puro” della “pura” idea comunista, condanna o critica il movimento comunista reale. Non preoccupa affatto chi invece, come chi scrive, non è marxista. Personalmente ritengo che le idee abbiano una grande importanza nella storia e penso che valga davvero la pena di vedere se nel marxismo esistono almeno alcuni presupposti teorici in grado di farci capire perché la totale liberazione dell’uomo si sia tradotta in forme mostruose di dittatura totalitaria.

Solo nel comunismo si realizza pienamente l’umana libertà. L’uomo comunista è un uomo ricco di bisogni ed è in grado di soddisfarli tutti senza essere costretto alla fatica del lavoro. Nella società comunista il lavoro non è un mezzo per soddisfare un bisogno me è esso stesso bisogno, bisogno umano. “Nella società comunista, in cui ciascuno di noi non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così, come mi vien voglia, senza diventare né cacciatore, né pescatore, né allevatore né critico” (2). Sono parole di Karl Marx.
Lev Davidovic Trockij si spinge ancora oltre nell’immaginare quanto l’avvento del paradiso comunista trasformerà l’uomo: “L’uomo diventerà infinitamente più forte, più intelligente, più raffinato; il suo corpo più armonioso, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale. Le forme della vita quotidiana acquisteranno una teatralità dinamica,. Il tipo umano medio si eleverà al livello di Aristotele, Goethe, Marx. Su questo crinale si eleveranno nuove cime” (3). Come può una simile prospettiva aver portato al terrorismo ed alle deportazioni di massa? Nell’idea comunista ci saranno forti elementi utopici, ma come la si può confondere con la pratica dello sterminio messa in atto da Stalin, Mao e Pol Pot?
Eppure il legame esiste, ed è anche piuttosto evidente. La libertà comunista si basa, dovrebbe essere abbastanza chiaro, su una totale trasfigurazione dell’uomo, della natura, della società. E’ un rovesciamento globale del mondo che porta il genere umano in una dimensione assolutamente nuova, una autentica redenzione terrena. Cosa conta di fronte a questa prospettiva l’uomo di oggi? Cosa può valere l’uomo deforme, alienato, miserabile che secoli di società di classe hanno prodotto? E’ giusto sacrificarlo in nome di un futuro di assoluta libertà? Per Marx il problema non si pone. Per lui non si deve scegliere fra presente e futuro perché il paradiso futuro nasce inevitabilmente dal presente. Il capitalismo va incontro a crisi sempre più gravi, i problemi dell’uomo, dell’uomo di oggi, non del superuomo comunista di domani, si dimostreranno insolubili nell’ambito dei vecchi rapporti di produzione, gli eventi economico sociali spingeranno gli esseri umani verso il comunismo. La concezione hegeliana del corso storico, e la convinzione di aver scoperto con precisione scientifica le leggi che determineranno la crisi del sistema capitalistico, salvano Marx dal terrorismo volontarista. Ma che succede se gli eventi reali della storia marciano in direzione diversa? Se gli operai non vanno oltre l’orizzonte riformista, se il capitalismo non entra in crisi o se comunque si dimostra in grado di superare le sue crisi, se la democrazia si allarga e coinvolge nei suoi meccanismi strati sempre più ampi di ceti e classi popolari, che fare? Il determinismo marxista si tramuta in questo caso in volontarismo assoluto. Se la storia non marcia verso il comunismo la si può forzare in tal senso, lo si può fare perché il comunismo è il fine assoluto, la redenzione totale, l’unica prospettiva di salvezza per il genere umano. La bellezza del fine comunista non è affatto in contrasto con la spietatezza della politica comunista, al contrario, è proprio tale bellezza a rendere per i comunisti del tutto giustificabili i peggiori arbitri, i crimini più orrendi.

Ma esiste un altro aspetto del marxismo che aiuta a comprendere perché esso si sia con tanta regolarità tradotto in una prassi terroristica. Si tratta della concezione che il marxismo ha di se stesso.
Hegel non considerava la sua una delle tante filosofie, un tentativo, magari l’unico giusto, di interpretare razionalmente il mondo e l’uomo. Per Hegel la sua filosofia rappresenta la piena autocoscienza dell’assoluto. Nella filosofia di Hegel l’idea assoluta conosce finalmente se stessa, espone sé a sé stessa in maniera totale e auto trasparente. Considerazioni simili possono farsi per il marxismo. Il marxismo non è una teoria sociale come le altre, una interpretazione dei fatti economici, storici e sociali che l’esperienza può dimostrare giusta o sbagliata. Il marxismo non guarda alla storia da un certo punto di vista, assunto come dato. Il marxismo è l’autocoscienza del corso storico, meglio, è l’autocoscienza della storia che si esprime come autocoscienza della classe operaia. Nella teoria marxista la storia diventa trasparente a sé stessa, scopre ed espone il fine ad essa immanente, rivela a sé il suo segreto. Il reale andamento degli eventi storici non può smentire il marxismo perché il marxismo rappresenta ciò che dà senso a quegli eventi. Il marxismo è il prodotto teorico-pratico più alto della storia, la condizione che consente al suo fine immanente di emergere e trionfare.
Cediamo di nuovo la parola a Marx: “I comunisti sono la parte più progressiva, più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, e quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante massa del proletariato di comprendere le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario (..) Le proposizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto su idee, su principi inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo. Esse sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto di una esistente lotta di classi, cioè, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi” (4). I comunisti con la loro azione traducono in pratica ciò che è già l’espressione generale di un movimento storico in atto, possono farlo perché comprendono le condizioni, l’andamento ed i risultati generali del movimento proletario. La teoria comunista svela alla classe operaia quelli che sono i suoi interessi “oggettivi”, rivela ai lavoratori quello che essi “realmente” sono, il senso e l’indirizzo delle loro lotte. Un operaio può anche pensare che sciopera solo per un aumento di salario, i comunisti sanno bene che non è questo il senso “oggettivo” della sua azione.

Se il comunismo marxista rappresenta l’autocoscienza che la classe operaia e la storia hanno di se, quale potrà essere il rapporto fra comunismo marxista e tutto ciò che comunismo marxista non è?
Anche i non o gli anti marxisti fanno parte ella storia. A differenza dei marxisti però coloro che avversano o anche solo non condividono il marxismo sono il peso morto della storia, rappresentano quanto in essa esiste di regressivo e di frenante. I nemici o i rivali del comunismo marxista sono attori di un dramma storico che ha nel marxismo il suo epilogo trionfante. Costoro non possono avere ragione nei confronti del marxismo, non possono averla perché la loro stessa esistenza è funzionale allo sviluppo ed al trionfo del comunismo marxiano. Stabilire chi ha ragione fra un comunista marxista e, ad esempio, un economista “borghese” non ha senso: l’economista borghese è il rappresentate teorico di forze regressive che lo sviluppo della storia, di cui il marxismo rappresenta l’autocoscienza, spazzerà via. E ciò che vale per l’economista “borghese” vale per il filosofo neopositivista, il politico liberale o il sindacalista social democratico. Tutti costoro hanno un ruolo nel dramma storico, ma si tratta di un ruolo transitorio e subordinato. Che partendo da simili posizioni si sia giunti ad abolire ogni libertà verso chiunque non fosse comunista non è per nulla casuale. Né lo è che l’eliminazione di ogni libertà abbia finito poi per colpire gli stessi comunisti. Come il liberale, come il socialdemocratico anche il comunista dissidente è un peso morto della storia, uno che “fa il gioco del nemico”, che “veicola idee borghesi” in seno alle classi rivoluzionarie. Trotckij disse di Martov, prestigioso esponente della socialdemocrazia russa, che andava gettato nella "pattumiera della storia". Di li a poco sarebbe stato lui ad essere gettato in quella pattumiera, in realtà una delle più poderose macchine tritacarne di tutti i tempi.
Presentando se stesso come autocoscienza del corso storico, depositario del senso oggettivo del suo divenire, il marxismo si preclude ogni possibilità di dialogo con altre correnti filosofiche e politiche ed anche ogni possibilità di dialogo interno. Non è un caso che non esistano praticamente esempi di reale dibattito teorico fra comunismo marxiano ed altri correnti di pensiero. Parimenti non è un caso che ogni dibattito interno al comunismo si sia trasformato in una lotta a coltello per la sopravvivenza, intesa assai spesso in senso fisico. Kautsky era un rinnegato, Trotckij un traditore al soldo dei Hitler, Liu Chao Chi un revisionista borghese. L’autocoscienza della storia produce continuamente traditori della causa.

Se si tiene conto di queste considerazioni cessa di apparire sorprendente il fatto, a prima vista paradossale, che il marxismo abbia spesso abbandonato la sua armatura scientista venata di determinismo per abbracciare teorie e pratiche fortemente volontariste. Se nella teoria e nella prassi del partito rivoluzionario si esprime l’autocoscienza della storia e si realizza il suo fine, allora la teoria e la prassi di tale partito sono giuste per definizione. Un normale partito politico compie delle scelte e le sottopone al vaglio degli elettori o comunque di quelli che sono i suoi referenti sociali. Una normale teoria politica rappresenta un punto di vista sulla società che gli eventi sociali si incaricheranno di confermare o smentire. Ma se la teoria e la prassi di un partito rappresentano la coscienza “autentica” di certe forze sociali, rendono palese e mettono in atto ciò che la società è e vuole “realmente”, nessuna confutazione di questa teoria è possibile. I comunisti sono l’avanguardia del proletariato che a sua volta ha il compito storico di condurre l’umanità dal regno della necessità a quello della libertà. Ebbene, quale miglior prova si può addurre a favore del fatto che il mondo si avvia verso la perfezione comunista se non quella che realmente i comunisti esistono, pensano ed agiscono? I socialdemocratici rimproverarono a suo tempo i bolscevichi per aver fatto una rivoluzione proletaria in un paese “immaturo” per il socialismo. Dal punto di vista del comunismo marxiano tale rimprovero era del tutto infondato. Quale miglior prova si può addurre a favore della maturità della rivoluzione se non il fatto che la rivoluzione ha vinto? Come autocoscienza del proletariato e della storia il marxismo diventa fatalmente autoreferenziale: per il solo fatto di esistere “dimostra” che ciò che profetizza è vero. In questo modo però è costretto a gettare alle ortiche le sue pretese scientifiche per aprire le porte ad ogni delirio volontarista. All’analisi socio economica si sostituiscono le scelte dei capi che naturalmente si identificano con gli interessi “veri” di classi, popoli e nazioni. Stalin rappresentava il proletariato mondiale, Mao le masse oppresse di tutto il mondo. Non potevano esistere dubbi su questa identificazione, essa era vera, vera al di la di ogni verifica, vera quali che fossero i pensieri, le aspirazioni, i comportamenti dei proletari autentici, degli esseri umani in carne ed ossa che formano le “masse”. E’ stata la storia, quella vera, non quella che si esprime in presunte “autocoscienze”, a mettere a nudo il carattere mistificatorio ed arrogante di tali pretese. Eppure anche oggi chi si dice ancora comunista si rifiuta di imparare dai fatti, non guarda alla storia autentica, preferisce crogiolarsi nella convinzione che nelle sue parole si esprime la coscienza autentica del mondo. Buon pro gli faccia.

Ma l’errore forse più grave di Marx è un altro e non a caso deriva anch’esso dalla sua concezione aprioristica della storia. Per Marx la tendenza dell’uomo a possedere privatamente beni materiali, allo scambio ed al commercio rappresenta una sorta di pervertimento della natura umana causato dalla società di classe. Certo, Marx riconosce l’enorme valore progressivo che hanno avuto la proprietà capitalistica, gli scambi ed il commercio internazionale. In questo come in molte altre cose egli è enormemente superiore non solo ai suoi tardi epigoni ma anche a molti odierni difensori dell’economia di mercato. Tuttavia egli ritiene che queste tendenze alienino l’uomo da se stesso, ne facciano un essere nella sostanza non davvero umano e siano perciò destinate a sparire nella società armonica che segnerà la fine della storia, o meglio, della preistoria, del genere umano.
Si tratta di un errore fondamentale. Gli scambi ed il commercio sono esistiti in praticamente tutte le società umane, sotto tutte le latitudini. Forme rudimentali di mercato hanno continuato ad esistere nella stessa Russia sovietica ed il governo comunista è stato costretto in qualche misura a tollerarle perché è solo grazie ad esse che in certi momenti è stato possibile assicurare alle città un minimo di derrate alimentari nel disastro della collettivizzazione dell’agricoltura. Per Marx la tendenza dell’uomo ai commerci e agli scambi è destinata ad estinguersi una volta che si sia instaurata la comunanza dei mezzi di produzione, per questo motivo può teorizzare insieme tale comunanza e la libertà individuale. Le cose sono tuttavia ben diverse. Se si lascia un minimo di libertà agli esseri umani la tendenza alla acquisizione privata dei beni, al commercio ed allo scambio inevitabilmente rinasce. Poniamo che la ricchezza sociale sia distribuita in maniera del tutto egualitaria fra A, B e C. Se A, B e C possono usare come meglio credono i beni che hanno ricevuto e possono fare nel tempo libero ciò che loro aggrada, i rapporti commerciali e quindi le disuguaglianze sono destinati a rinascere. A consumerà tutto, B risparmierà una parte del suo reddito e concederà dei prestiti ad A, esigendo per questo una ricompensa, C proporrà ad A e a B di fare per loro certi lavori nel tempo libero. A e B accetteranno e cederanno parte dei loro beni a C in cambio dei suoi servigi e del suo lavoro. La spirale perversa del commercio e degli scambi comincia di nuovo.

I rapporti “borghesi” fra gli esseri umani non sono loro imposti da qualche onnipotente sfruttatore, nascono dallo sviluppo spontaneo della società, si sviluppano molecolarmente dal basso. Di questo si resero subito conto i dirigenti bolscevichi che non a caso individuarono nella piccola proprietà contadina un nemico mortale da battere. A parte la parentesi della NEP, resa necessaria dalla situazione alimentare insostenibile cui la prassi del “comunismo di guerra” aveva cacciato il paese, la storia della Russia sovietica è in effetti una storia di guerra contro i contadini, guerra che alla fine Stalin vinse con i mezzi che si conoscono, e che rappresenta uno dei più colossali (e meno pubblicizzati dai media) stermini di massa della storia. Non si tratta di eventi casuali. La tendenza al rinascere di rapporti mercantili fra gli esseri umani può essere repressa solo da una dittatura totalitaria ferrea che controlli tutta la vita sociale, elimini ogni sfera di privatezza dalla vita degli esseri umani, controlli non solo le loro idee ma anche i loro sentimenti, i loro desideri, le loro pulsioni. E’ quello che è avvenuto, in Russia come in Cina, in Corea del nord come in Cambogia, sempre e ovunque con implacabile, mostruosa monotonia.
La trasfigurazione dell’uomo, l’egualitarismo radicale, la società armonica e priva di contrasti, insomma, tutto ciò che rende ancora "attraente" a molti l’utopia marxiana sono, appunto, una utopia. Ma non una utopia “innocente”, l’innocua speranza in un mondo migliore. Malgrado le intenzioni di Marx questa utopia si è rivelata per quello che era e non poteva non essere: una utopia assassina. La storia, si, proprio la storia che Marx tanto amava non consente più a nessuno di dire “credevo.. l’idea è tanto bella…”. Dobbiamo essere abbastanza adulti per farla finita con ciò che si presenta come troppo bello.










Note

1) K. Marx F . Engels: L’ideologia tedesca. Editori riuniti 1972 pag. 25. Sottolineatura di Marx.

2) K. Marx F. Engels: opera citata pag. 24

3) L. Trotckji: Letteratura e rivoluzione. Einaudi 1973 pag. 266

4) K. Marx F. Engels: manifesto del partito comunista. Einaudi 1966. pag. 147 148





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