Si è discusso e si discute molto sui rapporti fra il marxismo e l’esperienza del cosiddetto comunismo “reale”. Gli innumerevoli lutti che questa esperienza è costata al genere umano possono in qualche modo esser fatti risalire al marxismo? Oppure fra questo e quelli non esiste alcun rapporto? Marx è il padre del comunismo moderno, porsi il problema dei rapporti fra il marxismo e l’esperienza storica del comunismo equivale ad affrontare il problema del rapporto fra comunismo “ideale” e comunismo “reale”, fra la teoria e la prassi comuniste.
E’ certo che Marx non è Stalin, ed è almeno assai probabile che
Marx sarebbe inorridito di fronte all’ampiezza ed alla efferatezza
dei crimini staliniani. Da questo punto di vista fra Marx e
l’esperienza storica del comunismo esiste una cesura netta. Il
problema però non è questo. Il problema è di capire se esistono
nell’impianto complessivo del marxismo concezioni, teorie, modi di vedere l'uomo e la storia che, messe in pratica,
hanno portato, sempre ed ovunque, alle conseguenze che conosciamo.
Marx non ha mai teorizzato i gulag ma questo non basta a recidere
ogni legame fra i gulag ed il marxismo. Occorre invece cercare di
capire perché persone che si richiamavano a Marx e che conoscevano
benissimo la sua opera hanno potuto costruire i gulag. I gulag sono
stati costruiti in nome di Marx. Si tratta di un fraintendimento?
Anche ammettendolo resta da spiegare perché il pensiero di Marx si è
prestato ad essere frainteso in maniera così radicale, perché ad
essere frainteso non è stato il pensiero di Kant , Hume o
Locke.
E’
un problema simile a quello che si pone per Nietzsche. Accusare
Nietzsche di nazismo sarebbe una sciocchezza, tra l'altro Nietzsche non è mai stato antisemita, ma è davvero solo un
caso che molti ufficiali delle SS portassero “Così parlò
Zarathustra” nello zaino? Di nuovo, perché è stato Nietzsche e
non, per fare un altro esempio, John Stuart Mill ad essere frainteso
dai seguaci di Adolf Hitler? Se un autore viene frainteso troppo e in
maniera troppo profonda la colpa non è mai solo di chi lo
fraintende.
Per
almeno alcuni di coloro che ancora oggi si richiamano al comunismo
esisterebbe una cesura netta fra l’esperienza storica del comunismo
reale e l’idea comunista. Dico “alcuni” non a caso. Molti che
ancora oggi si definiscono “comunisti” mantengono un solido
legame con quella esperienza. Certo, anche questi “criticano”
l’esperienza staliniana ma si tratta di "critiche" che sembrano fatte
apposta per assolvere, non per condannare. Lo stalinismo è stato
tanto brutto ma... bisogna considerare il momento storico,
l’arretratezza economica, le provocazioni dell’imperialismo
eccetera eccetera. Ragionando in questi termini si potrebbe dire che
il nazismo è stato orribile ma... bisogna considerare il trattato di
Versailles, la crisi economica, i timori suscitati dall’Unione
Sovietica eccetera eccetera.
Ed anche coloro che criticano in maniera senza dubbio severa l’esperienza storica del comunismo si lasciano spesso prendere da strane amnesie ed emettono, a volte, giudizi sorprendenti. Ad esempio, si condanna senza riserve lo stalinismo ma si continua a considerare con un rispetto davvero eccessivo la figura di Palmiro Togliatti che di Stalin fu stretto collaboratore o si vede ancora in Fidel Castro un campione della causa degli oppressi. Questi però in fondo sono dettagli, anche se di una certa importanza. A parte tutte le amnesie e le reticenze occorre affrontare, una volta per tutte, il problema del del rapporto fra l’idea comunista ed il comunismo reale, fra la liberazione integrale dell’uomo ed i gulag, l’autogoverno dei lavoratori e la dittatura totalitaria sulla società tutta, lavoratori compresi.
Ed anche coloro che criticano in maniera senza dubbio severa l’esperienza storica del comunismo si lasciano spesso prendere da strane amnesie ed emettono, a volte, giudizi sorprendenti. Ad esempio, si condanna senza riserve lo stalinismo ma si continua a considerare con un rispetto davvero eccessivo la figura di Palmiro Togliatti che di Stalin fu stretto collaboratore o si vede ancora in Fidel Castro un campione della causa degli oppressi. Questi però in fondo sono dettagli, anche se di una certa importanza. A parte tutte le amnesie e le reticenze occorre affrontare, una volta per tutte, il problema del del rapporto fra l’idea comunista ed il comunismo reale, fra la liberazione integrale dell’uomo ed i gulag, l’autogoverno dei lavoratori e la dittatura totalitaria sulla società tutta, lavoratori compresi.
Dal
punto di vista marxista il paragone fra l’idea comunista ed il
comunismo reale è qualcosa di assurdo. Marx non ha mai contrapposto
“idea” e “storia”, realtà ed idealità del comunismo: “Il
comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere
instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi.
Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato
di cose presente” (1). Il comunismo non è un ideale da
realizzare, è il movimento reale che abolisce lo stato di cose
esistente. Il comunismo è quel movimento reale, quello
lì, diverso dalle utopie comuniste sempre fiorite nel
corso della storia. E’ il movimento che nasce con Marx e la prima
internazionale, prosegue con la seconda, con la rivoluzione d’Ottobre
e la terza internazionale, con Lenin, Stalin, Mao. E’ quello il
movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente, ed ha in
effetti abolito molti stati di cose esistenti. Eliminare dalla storia
questo movimento reale, farne un semplice “fraintendimento”, o
magari anche “tradimento” dell’idea comunista significa essere assai poco marxisti, trasforma i robusti seguaci del materialismo storico in idealisti platonici. Tutto questo dovrebbe preoccupare chi in nome del
marxismo “puro” della “pura” idea comunista, condanna o
critica il movimento comunista reale. Non preoccupa affatto chi
invece, come chi scrive, non è marxista. Personalmente ritengo che
le idee abbiano una grande importanza nella storia e penso che valga
davvero la pena di vedere se nel marxismo esistono almeno alcuni
presupposti teorici in grado di farci capire perché la totale
liberazione dell’uomo si sia tradotta in forme mostruose di
dittatura totalitaria.
Solo
nel comunismo si realizza pienamente l’umana libertà. L’uomo
comunista è un uomo ricco di bisogni ed è in grado di soddisfarli
tutti senza essere costretto alla fatica del lavoro. Nella società
comunista il lavoro non è un mezzo per soddisfare un bisogno me è
esso stesso bisogno, bisogno umano. “Nella società comunista, in
cui ciascuno di noi non ha una sfera di attività esclusiva ma può
perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la
produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile fare
oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia,
il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo
criticare, così, come mi vien voglia, senza diventare né
cacciatore, né pescatore, né allevatore né critico” (2). Sono
parole di Karl Marx.
Lev Davidovic Trockij si spinge ancora oltre nell’immaginare
quanto l’avvento del paradiso comunista trasformerà l’uomo:
“L’uomo diventerà infinitamente più forte, più intelligente,
più raffinato; il suo corpo più armonioso, i suoi movimenti più
ritmici, la sua voce più musicale. Le forme della vita quotidiana
acquisteranno una teatralità dinamica,. Il tipo umano medio si
eleverà al livello di Aristotele, Goethe, Marx. Su questo crinale si
eleveranno nuove cime” (3). Come può una simile prospettiva aver
portato al terrorismo ed alle deportazioni di massa? Nell’idea
comunista ci saranno forti elementi utopici, ma come la si può
confondere con la pratica dello sterminio messa in atto da Stalin,
Mao e Pol Pot?
Eppure il legame esiste, ed è anche piuttosto evidente. La libertà
comunista si basa, dovrebbe essere abbastanza chiaro, su una totale
trasfigurazione dell’uomo, della natura, della società. E’ un
rovesciamento globale del mondo che porta il genere umano in una
dimensione assolutamente nuova, una autentica redenzione terrena.
Cosa conta di fronte a questa prospettiva l’uomo di oggi? Cosa può
valere l’uomo deforme, alienato, miserabile che secoli di società
di classe hanno prodotto? E’ giusto sacrificarlo in nome di un
futuro di assoluta libertà? Per Marx il problema non si pone. Per
lui non si deve scegliere fra presente e futuro perché il paradiso
futuro nasce inevitabilmente dal presente. Il capitalismo va
incontro a crisi sempre più gravi, i problemi dell’uomo, dell’uomo
di oggi, non del superuomo comunista di domani, si dimostreranno
insolubili nell’ambito dei vecchi rapporti di produzione, gli
eventi economico sociali spingeranno gli esseri umani verso il
comunismo. La concezione hegeliana del corso storico, e la convinzione
di aver scoperto con precisione scientifica le leggi che
determineranno la crisi del sistema capitalistico, salvano Marx dal
terrorismo volontarista. Ma che succede se gli eventi reali della
storia marciano in direzione diversa? Se gli operai non vanno oltre
l’orizzonte riformista, se il capitalismo non entra in crisi o se
comunque si dimostra in grado di superare le sue crisi, se la
democrazia si allarga e coinvolge nei suoi meccanismi strati sempre
più ampi di ceti e classi popolari, che fare? Il determinismo
marxista si tramuta in questo caso in volontarismo assoluto. Se la
storia non marcia verso il comunismo la si può forzare in tal senso,
lo si può fare perché il comunismo è il fine assoluto, la
redenzione totale, l’unica prospettiva di salvezza per il genere
umano. La bellezza del fine comunista non è affatto in contrasto
con la spietatezza della politica comunista, al contrario, è proprio
tale bellezza a rendere per i comunisti del tutto giustificabili i
peggiori arbitri, i crimini più orrendi.
Ma
esiste un altro aspetto del marxismo che aiuta a comprendere perché
esso si sia con tanta regolarità tradotto in una prassi
terroristica. Si tratta della concezione che il marxismo ha di se
stesso.
Hegel non considerava la sua una delle tante filosofie, un
tentativo, magari l’unico giusto, di interpretare razionalmente il
mondo e l’uomo. Per Hegel la sua filosofia rappresenta la piena
autocoscienza dell’assoluto. Nella filosofia di Hegel l’idea
assoluta conosce finalmente se stessa, espone sé a sé stessa in
maniera totale e auto trasparente. Considerazioni simili possono
farsi per il marxismo. Il marxismo non è una teoria sociale come le
altre, una interpretazione dei fatti economici, storici e sociali che
l’esperienza può dimostrare giusta o sbagliata. Il marxismo non
guarda alla storia da un certo punto di vista, assunto
come dato. Il marxismo è l’autocoscienza del corso storico,
meglio, è l’autocoscienza della storia che si esprime come
autocoscienza della classe operaia. Nella teoria marxista la storia
diventa trasparente a sé stessa, scopre ed espone il fine ad essa
immanente, rivela a sé il suo segreto. Il reale andamento degli
eventi storici non può smentire il marxismo perché il marxismo
rappresenta ciò che dà senso a quegli eventi. Il marxismo è il
prodotto teorico-pratico più alto della storia, la condizione che
consente al suo fine immanente di emergere e trionfare.
Cediamo di nuovo la parola a Marx: “I comunisti sono la parte più
progressiva, più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, e
quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante massa del
proletariato di comprendere le condizioni, l’andamento e i
risultati generali del movimento proletario (..) Le proposizioni
teoriche dei comunisti non poggiano affatto su idee, su principi
inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo. Esse
sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto di una
esistente lotta di classi, cioè, di un movimento storico che si
svolge sotto i nostri occhi” (4). I comunisti con la loro azione
traducono in pratica ciò che è già l’espressione generale di un
movimento storico in atto, possono farlo perché comprendono le
condizioni, l’andamento ed i risultati generali del
movimento proletario. La teoria comunista svela alla classe operaia
quelli che sono i suoi interessi “oggettivi”, rivela ai
lavoratori quello che essi “realmente” sono, il senso e
l’indirizzo delle loro lotte. Un operaio può anche pensare che
sciopera solo per un aumento di salario, i comunisti sanno bene che
non è questo il senso “oggettivo” della sua azione.
Se
il comunismo marxista rappresenta l’autocoscienza che la classe
operaia e la storia hanno di se, quale potrà essere il rapporto fra
comunismo marxista e tutto ciò che comunismo marxista non è?
Anche
i non o gli anti marxisti fanno parte ella storia. A differenza dei
marxisti però coloro che avversano o anche solo non condividono il
marxismo sono il peso morto della storia, rappresentano quanto in
essa esiste di regressivo e di frenante. I nemici o i rivali del
comunismo marxista sono attori di un dramma storico che ha nel
marxismo il suo epilogo trionfante. Costoro non possono
avere ragione nei confronti del marxismo, non possono averla perché
la loro stessa esistenza è funzionale allo sviluppo ed al trionfo
del comunismo marxiano. Stabilire chi ha ragione fra un comunista
marxista e, ad esempio, un economista “borghese” non ha senso:
l’economista borghese è il rappresentate teorico di forze
regressive che lo sviluppo della storia, di cui il marxismo
rappresenta l’autocoscienza, spazzerà via. E ciò che vale per
l’economista “borghese” vale per il filosofo neopositivista, il
politico liberale o il sindacalista social democratico. Tutti costoro
hanno un ruolo nel dramma storico, ma si tratta di un ruolo
transitorio e subordinato. Che partendo da simili posizioni si sia
giunti ad abolire ogni libertà verso chiunque non fosse comunista
non è per nulla casuale. Né lo è che l’eliminazione di ogni
libertà abbia finito poi per colpire gli stessi comunisti. Come il
liberale, come il socialdemocratico anche il comunista dissidente è
un peso morto della storia, uno che “fa il gioco del nemico”, che
“veicola idee borghesi” in seno alle classi rivoluzionarie.
Trotckij disse di Martov, prestigioso esponente della
socialdemocrazia russa, che andava gettato nella "pattumiera della
storia". Di li a poco sarebbe stato lui ad essere gettato in quella
pattumiera, in realtà una delle più poderose macchine tritacarne di
tutti i tempi.
Presentando
se stesso come autocoscienza del corso storico, depositario del senso
oggettivo del suo divenire, il marxismo si preclude ogni possibilità
di dialogo con altre correnti filosofiche e politiche ed anche ogni
possibilità di dialogo interno. Non è un caso che non esistano
praticamente esempi di reale dibattito teorico fra comunismo marxiano
ed altri correnti di pensiero. Parimenti non è un caso che ogni
dibattito interno al comunismo si sia trasformato in una lotta a
coltello per la sopravvivenza, intesa assai spesso in senso fisico.
Kautsky era un rinnegato, Trotckij un traditore al soldo dei Hitler,
Liu Chao Chi un revisionista borghese. L’autocoscienza della storia
produce continuamente traditori della causa.
Se
si tiene conto di queste considerazioni cessa di apparire
sorprendente il fatto, a prima vista paradossale, che il marxismo
abbia spesso abbandonato la sua armatura scientista venata di
determinismo per abbracciare teorie e pratiche fortemente
volontariste. Se nella teoria e nella prassi del partito
rivoluzionario si esprime l’autocoscienza della storia e si
realizza il suo fine, allora la teoria e la prassi di tale partito
sono giuste per definizione. Un normale partito politico compie delle
scelte e le sottopone al vaglio degli elettori o comunque di quelli
che sono i suoi referenti sociali. Una normale teoria politica
rappresenta un punto di vista sulla società che gli eventi sociali
si incaricheranno di confermare o smentire. Ma se la teoria e la
prassi di un partito rappresentano la coscienza “autentica” di
certe forze sociali, rendono palese e mettono in atto ciò che la
società è e vuole “realmente”, nessuna confutazione di questa
teoria è possibile. I comunisti sono l’avanguardia del
proletariato che a sua volta ha il compito storico di condurre
l’umanità dal regno della necessità a quello della libertà.
Ebbene, quale miglior prova si può addurre a favore del fatto che il
mondo si avvia verso la perfezione comunista se non quella che
realmente i comunisti esistono, pensano ed agiscono? I
socialdemocratici rimproverarono a suo tempo i bolscevichi per aver
fatto una rivoluzione proletaria in un paese “immaturo” per il
socialismo. Dal punto di vista del comunismo marxiano tale rimprovero
era del tutto infondato. Quale miglior prova si può addurre a favore
della maturità della rivoluzione se non il fatto che la rivoluzione
ha vinto? Come autocoscienza del proletariato e della storia il
marxismo diventa fatalmente autoreferenziale: per il solo fatto di
esistere “dimostra” che ciò che profetizza è vero. In questo
modo però è costretto a gettare alle ortiche le sue pretese
scientifiche per aprire le porte ad ogni delirio volontarista.
All’analisi socio economica si sostituiscono le scelte dei capi che
naturalmente si identificano con gli interessi “veri” di classi,
popoli e nazioni. Stalin rappresentava il proletariato mondiale, Mao
le masse oppresse di tutto il mondo. Non potevano esistere dubbi su
questa identificazione, essa era vera, vera al di la di ogni
verifica, vera quali che fossero i pensieri, le aspirazioni, i
comportamenti dei proletari autentici, degli esseri umani in carne ed
ossa che formano le “masse”. E’ stata la storia, quella vera,
non quella che si esprime in presunte “autocoscienze”, a mettere
a nudo il carattere mistificatorio ed arrogante di tali pretese.
Eppure anche oggi chi si dice ancora comunista si rifiuta di imparare
dai fatti, non guarda alla storia autentica, preferisce crogiolarsi
nella convinzione che nelle sue parole si esprime la coscienza
autentica del mondo. Buon pro gli faccia.
Ma
l’errore forse più grave di Marx è un altro e non a caso deriva
anch’esso dalla sua concezione aprioristica della storia. Per Marx
la tendenza dell’uomo a possedere privatamente beni materiali, allo
scambio ed al commercio rappresenta una sorta di pervertimento della
natura umana causato dalla società di classe. Certo, Marx riconosce
l’enorme valore progressivo che hanno avuto la proprietà
capitalistica, gli scambi ed il commercio internazionale. In questo
come in molte altre cose egli è enormemente superiore non solo ai
suoi tardi epigoni ma anche a molti odierni difensori dell’economia
di mercato. Tuttavia egli ritiene che queste tendenze alienino l’uomo
da se stesso, ne facciano un essere nella sostanza non davvero umano
e siano perciò destinate a sparire nella società armonica che
segnerà la fine della storia, o meglio, della preistoria, del genere
umano.
Si tratta di un errore fondamentale. Gli scambi ed il commercio sono
esistiti in praticamente tutte le società umane, sotto tutte le
latitudini. Forme rudimentali di mercato hanno continuato ad esistere
nella stessa Russia sovietica ed il governo comunista è stato
costretto in qualche misura a tollerarle perché è solo grazie ad
esse che in certi momenti è stato possibile assicurare alle città
un minimo di derrate alimentari nel disastro della collettivizzazione
dell’agricoltura. Per Marx la tendenza dell’uomo ai commerci e
agli scambi è destinata ad estinguersi una volta che si sia
instaurata la comunanza dei mezzi di produzione, per questo motivo
può teorizzare insieme tale comunanza e la libertà
individuale. Le cose sono tuttavia ben diverse. Se si lascia un
minimo di libertà agli esseri umani la tendenza alla
acquisizione privata dei beni, al commercio ed allo scambio
inevitabilmente rinasce. Poniamo che la ricchezza sociale sia
distribuita in maniera del tutto egualitaria fra A, B e C. Se A, B e
C possono usare come meglio credono i beni che hanno ricevuto e
possono fare nel tempo libero ciò che loro aggrada, i rapporti
commerciali e quindi le disuguaglianze sono destinati a rinascere. A
consumerà tutto, B risparmierà una parte del suo reddito e
concederà dei prestiti ad A, esigendo per questo una ricompensa, C proporrà ad A e a B di fare
per loro certi lavori nel tempo libero. A e B accetteranno e
cederanno parte dei loro beni a C in cambio dei suoi servigi e del
suo lavoro. La spirale perversa del commercio e degli scambi comincia
di nuovo.
I rapporti “borghesi” fra gli esseri umani non sono loro imposti da qualche onnipotente sfruttatore, nascono dallo sviluppo spontaneo della società, si sviluppano molecolarmente dal basso. Di questo si resero subito conto i dirigenti bolscevichi che non a caso individuarono nella piccola proprietà contadina un nemico mortale da battere. A parte la parentesi della NEP, resa necessaria dalla situazione alimentare insostenibile cui la prassi del “comunismo di guerra” aveva cacciato il paese, la storia della Russia sovietica è in effetti una storia di guerra contro i contadini, guerra che alla fine Stalin vinse con i mezzi che si conoscono, e che rappresenta uno dei più colossali (e meno pubblicizzati dai media) stermini di massa della storia. Non si tratta di eventi casuali. La tendenza al rinascere di rapporti mercantili fra gli esseri umani può essere repressa solo da una dittatura totalitaria ferrea che controlli tutta la vita sociale, elimini ogni sfera di privatezza dalla vita degli esseri umani, controlli non solo le loro idee ma anche i loro sentimenti, i loro desideri, le loro pulsioni. E’ quello che è avvenuto, in Russia come in Cina, in Corea del nord come in Cambogia, sempre e ovunque con implacabile, mostruosa monotonia.
La trasfigurazione dell’uomo, l’egualitarismo radicale, la
società armonica e priva di contrasti, insomma, tutto ciò che rende
ancora "attraente" a molti l’utopia marxiana sono, appunto, una
utopia. Ma non una utopia “innocente”, l’innocua speranza in
un mondo migliore. Malgrado le intenzioni di Marx questa utopia si è
rivelata per quello che era e non poteva non essere: una utopia
assassina. La storia, si, proprio la storia che Marx tanto amava non
consente più a nessuno di dire “credevo.. l’idea è tanto
bella…”. Dobbiamo essere abbastanza adulti per farla finita con
ciò che si presenta come troppo bello.
Note
1)
K. Marx F . Engels: L’ideologia tedesca. Editori riuniti 1972 pag.
25. Sottolineatura di Marx.
2)
K. Marx F. Engels: opera citata pag. 24
3)
L. Trotckji: Letteratura e rivoluzione. Einaudi 1973 pag. 266
4)
K. Marx F. Engels: manifesto del partito comunista. Einaudi 1966.
pag. 147 148
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