martedì 14 maggio 2013

TOTALITARISMO E RELATIVISMO

Uno dei fattori della crisi della nostra civiltà è dato dalla tensione in essa esistente fra due ideologie entrambe profondamente negative: il totalitarismo da un lato ed il relativismo dall’altro, un relativismo, è bene specificarlo, che tende a diventare nichilismo.
A prima vista può sembrare che fra relativismo e totalitarismo esista una differenza radicale, addirittura che l’uno escluda senza possibilità di equivoci l’altro. Il relativismo in effetti nega qualsiasi assoluto, ritiene illusorio ogni universalismo. Ogni verità è relativa ad un certo soggetto, ogni valore vale (si scusi il bisticcio di parole) solo in un certo contesto culturale, in un certo momento storico. Per il relativismo radicale tutto va bene, tutto è vero o non lo è, dipende dai contesti in cui si fanno certe affermazioni, o dalle persone che le fanno; allo stesso modo per il relativista qualsiasi valore può o non può essere accettato. In una certa società una donna può aspirare a diventare presidente della repubblica, in un’altra può essere ripudiata dal marito, questo non deve spingerci a formulare giudizi avventati. Ciò che appare buono in un certo contesto storico-sociale è cattivo in un altro, fare confronti, stabilire cosa sia meglio e cosa peggio è illusorio, anzi, è sintomo di mentalità autoritaria.
Il totalitarismo è del tutto diverso, anzi opposto. Per il totalitarismo non esiste una pluralità di punti di vista, esiste un solo punto di vista. Individui, gruppi, contesti altro non sono che parti subordinate di una totalità che tutto ingloba e tutto controlla. Per i totalitari il singolo in quanto tale non ha valore alcuno. Il singolo vale solo come componente del collettivo in cui è incluso. I valori della società totalitaria valgono (altro bisticcio di parole) per tutti perché tutti altro non sono se non membri di questa società; né esiste in questa società libertà di pensiero e di ricerca, né tentativi individuali di avvicinarsi alla verità o a una verità. Nella società totalitaria esiste una sola verità, una sola verità assoluta che vale per tutti e che nessuno può mettere in discussione. Il contrasto non potrebbe essere più netto, come si vede. Da una parte un pluralismo senza limiti, dall’altra un assoluto monismo; da una parte l’esaltazione della diversità dei punti di vista, dall’altra l’assimilazione di ogni punto di vista a un punto di vista unico e totalizzante; da una parte la valorizzazione delle particolarità e delle singolarità, dall’altra l’adorazione per la totalità. Si può pensare ciò che si vuole su totalitarismo e relativismo ma non si può negare che uno costituisca la negazione dell’altro.

Le cose però sono un po’ più complesse di quanto possa apparire a prima vista. Se inteso in senso debole il relativismo è sicuramente antitetico al totalitarismo. Una società libera è sempre, in una certa misura, relativista. Questo non deve stupire. Una società liberà è, per definizione, aperta. In essa convivono diverse concezioni del bene, diversi punti di vista, idee, valori, interessi diversi e a volte contrastanti. Il relativismo è quindi una componente essenziale della società libera, non può non esserlo.
Il relativismo è una componente essenziale della società libera ma non ne costituisce il fondamento, al contrario. Nella società libera molte cose sono relative ma non tutto è relativo. Quel tipo di relativismo che è compatibile con la vita e lo sviluppo della società liberà si basa a sua volta su alcuni valori forti, largamente condivisi e che aspirano ad avere portata universale. Senza questi valori fondanti il relativismo cessa di essere una componente positiva della società libera e si trasforma in un cancro che la corrode e la uccide. Possiamo definire “debole” quel tipo di relativismo che convive con, e si basa su, alcuni valori aventi portata universale; definiamo invece “forte” quel relativismo che rifiuta ogni universalismo e pone paradossalmente se stesso nel ruolo di valore universale. Questo tipo di relativismo degenera inesorabilmente nel nichilismo e presenta inquietanti analogie col totalitarismo. E’ di questo che intendo discutere.
Il relativismo inteso in senso debole si basa sulla libertà e sulla democrazia intese non come contenitori vuoti ma come valori, valori sono o possono essere validi per ogni essere umano. Libertà e democrazia non possono essere intese, pena la loro stessa possibilità di sopravvivenza, come puro indifferentismo, generica disposizione mentale ad accettare tutto e a tutto giustificare. Libertà e democrazia sono valori positivi, sottintendono una certa concezione dell’uomo e dei rapporti fra gli uomini. Chi fa propri i valori della libertà e della democrazia considera degni di rispetto gli esseri umani in quanto tali, accetta quindi tutti i comportamenti che favoriscono la autonoma capacità di crescita dell’uomo, considera invece degni se non di punizione quanto meno di biasimo i comportamenti contrari. Il democratico liberale è tollerante ma non tollera tutto, accetta molte cose ma non tutte, in particolare non tollera e non accetta tutto ciò che offende l’uomo e ne limita la libertà. Per essere sintetici: libertà, democrazia, tolleranza, rispetto per gli esseri umani, rispetto per la vita umana sono valori positivi, valori positivi che pretendono di avere portata universale e che fondano il pluralismo di comportamenti, idee, valori ed interessi che caratterizza la società libera. Senza questo fondamento la società libera entra in crisi e muore. Un relativismo che si fonda su questi valori è del tutto accettabile e positivo ma si tratta di un relativismo limitato, un relativismo, se è possibile dirlo, a sua volta “relativizzato”.
Il relativismo pericoloso è un altro, ovviamente. Si tratta di quel relativismo che rifiuta di fondarsi su valori largamente condivisi e che aspirano ad avere portata universale. In nome della libertà questo relativismo mette sullo stesso piano tutto. Nega radicalmente, relativizzandolo, il valore della verità, nega che alcuni valori siano migliori di altri: tutti sono relativi e quindi non confrontabili fra loro; a maggior ragione questo relativismo nega che una certa organizzazione sociale possa essere considerata migliore di un’altra. Una società in cui le libertà pubbliche e private siano garantite, la vita umana rispettata, la democrazia costantemente esercitata non è migliore ma solo “diversa” da un’altra società in cui tutte queste cose siano negate. E’ evidente che un simile relativismo distrugge, in nome della libertà, la libertà stessa e giunge infine ad autodistruggersi. Se nulla ha titolo ad essere considerato degno di particolare tutela, se non esistono criteri universali in base ai quali giudicare idee, valori, interessi, se in nome della libertà tutto deve essere ammesso perché non ammettere ed accettare anche tutto ciò che nega la libertà? Se nessun valore ha davvero valenza universale perché fare della tolleranza un valore universale? Se nulla è migliore o peggiore di altro perché chi non rispetta la vita umana deve essere considerato peggiore di chi la rispetta? La libertà intesa come indifferentismo uccide sé stessa, il relativismo “forte” si autodistrugge perché, in nome del suo stesso principio deve accettare il suo fratello-nemico totalitarismo.

Nella misura in cui pretende paradossalmente di assurgere a nuovo assoluto il relativismo si trasforma in nichilismo e distrugge la libertà. Trasformata, in nome del relativismo, in vuota accettazione di tutto, la libertà perde ogni connotazione positiva e perde con questa ogni possibilità di difendersi da chi la odia. Ma il relativismo (d’ora in avanti col termine “relativismo” si indicherà il relativismo inteso in senso forte) non è pericoloso solo perché lascia indifesa la libertà; il relativismo non solo rende la libertà incapace di difendersi dagli attacchi del totalitarismo, esso contiene in sé numerosi elementi di totalitarismo. Anche se a qualcuno una simile affermazione può sembrare blasfema è il relativismo è nella sua intima essenza totalitario.
Basta esaminare un po’ più a fondo la dottrina relativista per rendersene conto . Per il relativismo non esiste alcun valore o alcuna idea che abbiano carattere universale. Nella sua forma oggi più diffusa, quella del relativismo culturale, il relativismo afferma che norme razionali e valori etici valgono solo in un certo contesto culturale e non sono applicabili ad altri contesti. Non esistono insomma una razionalità, una morale, un’estetica specificamente umane, non esistono una esperienza intersoggettiva e dati di esperienza comunicabili fra gli esseri umani; esistono comportamenti, modi di pensare, gusti che valgono solo in certi ambiti. Ovviamente ciò che i relativisti culturali dicono dei contesti culturali può essere applicato ad altri contesti. Per i marxisti-leninisti esistevano una scienza ed un’arte “borghesi” o “proletarie”, per le femministe radicali le norme razionali sono “maschili” o “femminili”, per i primi relativisti, i più seri di tutti, (si pensi al vecchio Protagora) ciò a cui tutto è relativo è l’uomo, ma non l’uomo in generale, no, l’uomo concreto, il singolo uomo, quest’uomo qui o quello li. Per Mario lo zucchero è dolce ma a Giovanni, che è malato, questo appare amaro; una certa barzelletta fa sorridere Maria, ma Anna, che ha un diverso senso dell’humor, resta assolutamente seria ascoltandola. In effetti se nulla ha valore universale, se tutto è relativo perché ciò a cui tutto è relativo devono essere nebulosi enti metafisici come la “civiltà”, la “classe operaia”, la “donna”? Se tutto è irrimediabilmente relativo nulla quanto il singolo, il concreto essere umano merita di essere considerato ciò a cui tutto deve essere relativizzato. Lo spezzettamento della conoscenza e della comunicabilità è così completo. Il mondo è trasformato in una miriade di monadi incomunicabili fra loro. Il mondo del relativista è costituito (a scelta) da tanti contesti, tante civiltà, tante classi, tanti individui incomunicabili fra loro. Va da sé che se davvero il mondo fosse così lo stesso relativismo non potrebbe neppure essere teorizzato. Il termine “relativismo” avrebbe significati diversi in contesti diversi o in diversi individui. La proposizione “tutto è relativo” sarebbe intesa come noi la intendiamo solo in un certo contesto (il nostro), o peggio ancora, avrebbe quel significato solo per un certo individuo (magari chi scrive..). In un altro contesto o se pronunciata da un altro individuo la stessa proposizione avrebbe un significato completamente diverso (si, ma quale?). Come tutti i normali esseri umani anche i relativisti usano però un linguaggio, una razionalità, dei concetti genericamente umani. Parlano fra loro e comunicano coi loro simili, cercano di dare alle loro teorizzazioni una valenza universale, tentano, e questa è la cosa più assurda di tutte, di provare la verità del relativismo. La stessa esposizione delle teorie relativiste dimostra l’assurdità del relativismo.
Ma ora non è l’assurdità del relativismo ad interessarci ora quanto il suo carattere sottilmente totalitario. Il relativismo si presenta come una dottrina della comprensione nei confronti del diverso, una dottrina tollerante che si astiene dal condannare usi, costumi, tradizioni diverse dalle nostre, che fa del rispetto per l’altro da noi il proprio principio guida. In definitiva il relativismo si presenta come indissolubilmente legato al pluralismo: pluralismo di idee, di valori, di culture. Ma è fondata questa pretesa del relativismo? Basta approfondire un attimo la questione per rispondere no ad una simile domanda. Il pluralismo può essere espresso e compreso solo se esistono norme generali valide per tutti coloro che formano la pluralità. Io posso dire che A è diverso da B solo se sono in grado di vedere A e B, confrontarli fra loro e giudicarli diversi, in breve, solo se dispongo di norme di giudizio che valgono sia per A che per B e non sono relative né all’uno né all’altro. E allo stesso modo, posso dire che il paese A non deve aggredire il paese B e viceversa solo se faccio valere, sia verso A che verso B, i principi della tolleranza reciproca, della civile convivenza, della collaborazione; di nuovo, solo se dispongo di norme etiche che valgono sia per A che per B e non sono relative a nessuno dei due. La tolleranza ed il rispetto possono governare i rapporti fra culture solo se rispetto e tolleranza valgono come norme interculturali, gli esseri umani possono rispettarsi a vicenda solo se il reciproco rispetto diventa una norma universale che vale per tutti e che tutti devono seguire. Senza universalismo non esiste vero pluralismo, né vera tolleranza, né vero rispetto, né vera comunicazione fra individui, stati, culture, civiltà. Ma è proprio questo universalismo l’oggetto privilegiato della critica distruttiva dei relativisti! I relativisti distruggono e dileggiano l’universale, riducono ogni norma ed ogni valore nel ristretto ambito del contesto, della classe sociale, della civiltà, addirittura del singolo individuo e con ciò privano sé stessi e tutti gli esseri umani di qualsiasi norma di giudizio e di valutazione.
Nella visione dei relativisti un contesto socio culturale, una civiltà diventano ipso facto un sinistro universo totalitario perché nulla, assolutamente nulla mette in grado chi non è membro di quel contesto o di quella civiltà di giudicare qualsiasi cosa che in essa avvenga. E non solo chi è esterno a quel certo contesto è impossibilitato a criticarne le norme interne: tale impossibilità riguarda inevitabilmente anche chi vive in quel contesto, in quella civiltà. Come posso protestare contro le norme etiche della mia cultura se io stesso altro non sono che l’espressione di tale cultura? E che senso ha protestare contro certe norme se il solo fatto di essere interne ad una cultura le rende valide? Una donna islamica non può protestare contro la legge che stabilisce che le adultere siano lapidate: quella è la legge del suo contesto ed in questo essa è, per i relativisti, infallibilmente valida. Se protestasse contro tale legge dovrebbe o appellarsi a leggi che valgono in altri contesti o ad una legge universale che riguarda gli esseri umani in quanto tali e che obbliga tutti al rispetto dei loro simili, dovrebbe insomma uscire dal contesto, superare il relativo per fare appello all’universale, ma è precisamente questo che il relativismo vieta.
Se leggi razionali e norme morali valgono non per gli esseri umani tutti ma solo in certi contesti socio culturali uscire da questi è impossibile e non è solo impossibile, è anche malvagio. Un occidentale che critichi la lapidazione per le adultere fa mostra di boria imperialista: con intollerabile arroganza costui cerca di applicare ad altre civiltà norme che valgono solo in una certa civiltà. E se a criticare la lapidazione è un islamico? Se una donna islamica non vuole essere lapidata e rivendica il suo diritto a non esserlo? Che dire di lei? Facile, si può solo dire che questa donna è succube di un’altra cultura, segue l’imperialismo culturale dell’occidente. Eliminato l’universale, distrutta ogni possibilità di richiamarsi al genericamente umano non resta al relativista che accettare tutto, conferire valore assoluto ad ogni norma, ogni legge, ogni uso che caratterizzi qualsivoglia cultura o civiltà. Ciò che gli esseri umani fanno deve essere sempre accettato se riesce a diventare uso o costume o meglio ancora norma condivisa o legge. Ciò che si afferma, ciò che è abbastanza forte per affermarsi, può tranquillamente schiacciare le persone e le persone non hanno neppure il diritto di protestare. La norma, l’uso, la tradizione, la legge sono tutto, gli esseri umani, i singoli esseri umani in carne ed ossa nulla. Il mondo del relativista, un triste mondo diviso in tante monadi incomunicabili, mostra così il suo sinistro volto totalitario. Distrutto l’universale a dominare sono tanti totalitarismi, tanti mondi chiusi e incomunicabili al cui interno valgono norme che nessuno può contestare.

In un solo caso il relativismo può sfuggire al totalitarismo. Si tratta di quel particolare tipo di relativismo che teorizza che è il singolo, concreto, essere umano ciò a cui tutto va relativizzato. In effetti se il singolo diventa l’ente a cui tutto deve essere relativizzato non esiste alcun pericolo che i singoli siano schiacciati da superiori entità. Il singolo in questo caso non viene ridotto a mera componente di un tutto perché è lui stesso un tutto, anzi, il tutto; il mondo non schiaccia più il singolo perché ogni singolo essere umano diventa il centro del mondo. Ma questo non porta ad alcun rispetto generalizzato, ad alcuna pacifica convivenza o collaborazione fra gli esseri umani. Diventato centro del mondo, fonte incontestata e incontestabile da cui sorgono insieme il vero ed il bene il singolo può tranquillamente disprezzare gli altri, distruggere, se può, gli altri. Eliminata la norma etica universale ognuno può fare di sé stesso il giudice del bene o del male, distrutta ogni intersoggettività chiunque può proclamare che la sua ragione è la vera ragione, che la sua verità è la verità autentica e incontestabile. Il disprezzo per gli esseri umani, per i singoli esseri umani, diventa pratica generalizzata, il nemico potenziale dell’uomo diventa o può diventare ognuno di noi. Il relativismo individualista sembra allontanarsi dal totalitarismo ma lo fa solo per ricadere nel nichilismo più distruttivo che riproduce tutte le brutture del totalitarismo.
Distrutto ogni tipo di universale il relativismo priva l’uomo di ogni possibilità di comprensione, comunicazione, giudizio etico. L’esistente viene ad essere assolutizzato nel momento stesso in cui viene sottratto ad ogni possibile critica. Il singolo essere umano, si proprio lui, il soggetto privilegiato dei relativisti, si trova così senza difesa alcuna nei confronti di chi lo schiaccia e lo opprime. Tranne che nel caso del relativismo individualistico e più marcatamente nichilista, il tutto, il tutto della civiltà, della classe, del contesto socio culturale, del sesso fa valere la sua assoluta supremazia nei confronti della parte, la totalità prevale, prevale assolutamente, nei confronti della particolarità e della singolarità. Il pluralismo viene così distrutto o meglio, viene distrutto il pluralismo autentico, il pluralismo degli individui, delle idee, degli interessi e dei valori, quello che si accorda con e si basa su l’universalismo. Resta un altro, sinistro pluralismo. Il pluralismo degli assoluti, il pluralismo dei mondi chiusi e fra loro incomunicabili, non paragonabili, né giudicabili da nessuno. E’ questo tipo di pluralismo ad essere oggi largamente presente in occidente. Purtroppo.









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