Uno dei fattori della
crisi della nostra civiltà è dato dalla tensione in essa esistente
fra due ideologie entrambe profondamente negative: il totalitarismo
da un lato ed il relativismo dall’altro, un relativismo, è bene
specificarlo, che tende a diventare nichilismo.
A prima vista può
sembrare che fra relativismo e totalitarismo esista una differenza
radicale, addirittura che l’uno escluda senza possibilità di
equivoci l’altro. Il relativismo in effetti nega qualsiasi
assoluto, ritiene illusorio ogni universalismo. Ogni verità è
relativa ad un certo soggetto, ogni valore vale (si scusi il
bisticcio di parole) solo in un certo contesto culturale, in un certo
momento storico. Per il relativismo radicale tutto va bene, tutto è
vero o non lo è, dipende dai contesti in cui si fanno certe
affermazioni, o dalle persone che le fanno; allo stesso modo per il
relativista qualsiasi valore può o non può essere accettato. In una
certa società una donna può aspirare a diventare presidente della
repubblica, in un’altra può essere ripudiata dal marito, questo
non deve spingerci a formulare giudizi avventati. Ciò che appare
buono in un certo contesto storico-sociale è cattivo in un altro,
fare confronti, stabilire cosa sia meglio e cosa peggio è illusorio,
anzi, è sintomo di mentalità autoritaria.
Il totalitarismo è
del tutto diverso, anzi opposto. Per il totalitarismo non esiste una
pluralità di punti di vista, esiste un solo punto di vista.
Individui, gruppi, contesti altro non sono che parti subordinate di
una totalità che tutto ingloba e tutto controlla. Per i totalitari
il singolo in quanto tale non ha valore alcuno. Il singolo vale solo
come componente del collettivo in cui è incluso. I valori della
società totalitaria valgono (altro bisticcio di parole) per tutti
perché tutti altro non sono se non membri di questa società; né
esiste in questa società libertà di pensiero e di ricerca, né
tentativi individuali di avvicinarsi alla verità o a una verità.
Nella società totalitaria esiste una sola verità, una sola verità
assoluta che vale per tutti e che nessuno può mettere in
discussione. Il contrasto non potrebbe essere più netto, come si
vede. Da una parte un pluralismo senza limiti, dall’altra un
assoluto monismo; da una parte l’esaltazione della diversità dei
punti di vista, dall’altra l’assimilazione di ogni punto di vista
a un punto di vista unico e totalizzante; da una parte la
valorizzazione delle particolarità e delle singolarità, dall’altra
l’adorazione per la totalità. Si può pensare ciò che si vuole
su totalitarismo e relativismo ma non si può negare che uno
costituisca la negazione dell’altro.
Le cose però sono un po’
più complesse di quanto possa apparire a prima vista. Se inteso in
senso debole il relativismo è sicuramente antitetico al
totalitarismo. Una società libera è sempre, in una certa misura,
relativista. Questo non deve stupire. Una società liberà è, per
definizione, aperta. In essa convivono diverse concezioni del bene,
diversi punti di vista, idee, valori, interessi diversi e a volte
contrastanti. Il relativismo è quindi una componente essenziale
della società libera, non può non esserlo.
Il relativismo è una
componente essenziale della società libera ma non ne costituisce il
fondamento, al contrario. Nella società libera molte cose sono
relative ma non tutto è relativo. Quel tipo di relativismo che è
compatibile con la vita e lo sviluppo della società liberà si basa
a sua volta su alcuni valori forti, largamente condivisi e che
aspirano ad avere portata universale. Senza questi valori fondanti il
relativismo cessa di essere una componente positiva della società
libera e si trasforma in un cancro che la corrode e la uccide.
Possiamo definire “debole” quel tipo di relativismo che convive
con, e si basa su, alcuni valori aventi portata universale; definiamo
invece “forte” quel relativismo che rifiuta ogni universalismo e
pone paradossalmente se stesso nel ruolo di valore universale. Questo
tipo di relativismo degenera inesorabilmente nel nichilismo e
presenta inquietanti analogie col totalitarismo. E’ di questo che
intendo discutere.
Il relativismo inteso in
senso debole si basa sulla libertà e sulla democrazia intese non
come contenitori vuoti ma come valori, valori sono o possono essere
validi per ogni essere umano. Libertà e democrazia non possono
essere intese, pena la loro stessa possibilità di sopravvivenza,
come puro indifferentismo, generica disposizione mentale ad accettare
tutto e a tutto giustificare. Libertà e democrazia sono valori
positivi, sottintendono una certa concezione dell’uomo e dei
rapporti fra gli uomini. Chi fa propri i valori della libertà e
della democrazia considera degni di rispetto gli esseri umani in
quanto tali, accetta quindi tutti i comportamenti che favoriscono la
autonoma capacità di crescita dell’uomo, considera invece degni se
non di punizione quanto meno di biasimo i comportamenti contrari. Il
democratico liberale è tollerante ma non tollera tutto, accetta
molte cose ma non tutte, in particolare non tollera e non accetta
tutto ciò che offende l’uomo e ne limita la libertà. Per essere
sintetici: libertà, democrazia, tolleranza, rispetto per gli esseri
umani, rispetto per la vita umana sono valori positivi, valori
positivi che pretendono di avere portata universale e che fondano il
pluralismo di comportamenti, idee, valori ed interessi che
caratterizza la società libera. Senza questo fondamento la società
libera entra in crisi e muore. Un relativismo che si fonda su questi
valori è del tutto accettabile e positivo ma si tratta di un
relativismo limitato, un relativismo, se è possibile dirlo, a sua
volta “relativizzato”.
Il relativismo
pericoloso è un altro, ovviamente. Si tratta di quel relativismo che
rifiuta di fondarsi su valori largamente condivisi e che aspirano ad
avere portata universale. In nome della libertà questo relativismo
mette sullo stesso piano tutto. Nega radicalmente, relativizzandolo,
il valore della verità, nega che alcuni valori siano migliori di
altri: tutti sono relativi e quindi non confrontabili fra loro; a
maggior ragione questo relativismo nega che una certa organizzazione
sociale possa essere considerata migliore di un’altra. Una società
in cui le libertà pubbliche e private siano garantite, la vita umana
rispettata, la democrazia costantemente esercitata non è migliore ma
solo “diversa” da un’altra società in cui tutte queste cose
siano negate. E’ evidente che un simile relativismo distrugge, in
nome della libertà, la libertà stessa e giunge infine ad
autodistruggersi. Se nulla ha titolo ad essere considerato degno di
particolare tutela, se non esistono criteri universali in base ai
quali giudicare idee, valori, interessi, se in nome della libertà
tutto deve essere ammesso perché non ammettere ed accettare anche
tutto ciò che nega la libertà? Se nessun valore ha davvero valenza
universale perché fare della tolleranza un valore universale? Se
nulla è migliore o peggiore di altro perché chi non rispetta la
vita umana deve essere considerato peggiore di chi la rispetta? La
libertà intesa come indifferentismo uccide sé stessa, il
relativismo “forte” si autodistrugge perché, in nome del suo
stesso principio deve accettare il suo fratello-nemico totalitarismo.
Nella misura in cui
pretende paradossalmente di assurgere a nuovo assoluto il relativismo
si trasforma in nichilismo e distrugge la libertà. Trasformata, in
nome del relativismo, in vuota accettazione di tutto, la libertà
perde ogni connotazione positiva e perde con questa ogni possibilità
di difendersi da chi la odia. Ma il relativismo (d’ora in avanti
col termine “relativismo” si indicherà il relativismo inteso
in senso forte) non è pericoloso solo perché lascia indifesa la
libertà; il relativismo non solo rende la libertà incapace di
difendersi dagli attacchi del totalitarismo, esso contiene in sé
numerosi elementi di totalitarismo. Anche se a qualcuno una simile
affermazione può sembrare blasfema è il relativismo è nella sua
intima essenza totalitario.
Basta esaminare un
po’ più a fondo la dottrina relativista per rendersene conto . Per
il relativismo non esiste alcun valore o alcuna idea che abbiano
carattere universale. Nella sua forma oggi più diffusa, quella del
relativismo culturale, il relativismo afferma che norme razionali e
valori etici valgono solo in un certo contesto culturale e non sono
applicabili ad altri contesti. Non esistono insomma una razionalità,
una morale, un’estetica specificamente umane, non esistono una
esperienza intersoggettiva e dati di esperienza comunicabili fra gli
esseri umani; esistono comportamenti, modi di pensare, gusti che
valgono solo in certi ambiti. Ovviamente ciò che i relativisti
culturali dicono dei contesti culturali può essere applicato ad
altri contesti. Per i marxisti-leninisti esistevano una scienza ed
un’arte “borghesi” o “proletarie”, per le femministe
radicali le norme razionali sono “maschili” o “femminili”,
per i primi relativisti, i più seri di tutti, (si pensi al vecchio
Protagora) ciò a cui tutto è relativo è l’uomo, ma non l’uomo
in generale, no, l’uomo concreto, il singolo uomo, quest’uomo qui
o quello li. Per Mario lo zucchero è dolce ma a Giovanni, che è
malato, questo appare amaro; una certa barzelletta fa sorridere
Maria, ma Anna, che ha un diverso senso dell’humor, resta
assolutamente seria ascoltandola. In effetti se nulla ha valore
universale, se tutto è relativo perché ciò a cui tutto è relativo
devono essere nebulosi enti metafisici come la “civiltà”, la
“classe operaia”, la “donna”? Se tutto è irrimediabilmente
relativo nulla quanto il singolo, il concreto essere umano merita di
essere considerato ciò a cui tutto deve essere relativizzato. Lo
spezzettamento della conoscenza e della comunicabilità è così
completo. Il mondo è trasformato in una miriade di monadi
incomunicabili fra loro. Il mondo del relativista è costituito (a
scelta) da tanti contesti, tante civiltà, tante classi, tanti
individui incomunicabili fra loro. Va da sé che se davvero il mondo
fosse così lo stesso relativismo non potrebbe neppure essere
teorizzato. Il termine “relativismo” avrebbe significati diversi
in contesti diversi o in diversi individui. La proposizione “tutto
è relativo” sarebbe intesa come noi la intendiamo solo in un certo
contesto (il nostro), o peggio ancora, avrebbe quel significato solo
per un certo individuo (magari chi scrive..). In un altro contesto o
se pronunciata da un altro individuo la stessa proposizione avrebbe
un significato completamente diverso (si, ma quale?). Come
tutti i normali esseri umani anche i relativisti usano però un
linguaggio, una razionalità, dei concetti genericamente umani.
Parlano fra loro e comunicano coi loro simili, cercano di dare alle
loro teorizzazioni una valenza universale, tentano, e questa è la
cosa più assurda di tutte, di provare la verità del
relativismo. La stessa esposizione delle teorie relativiste dimostra
l’assurdità del relativismo.
Ma ora non è l’assurdità
del relativismo ad interessarci ora quanto il suo carattere
sottilmente totalitario. Il relativismo si presenta come una dottrina
della comprensione nei confronti del diverso, una dottrina tollerante
che si astiene dal condannare usi, costumi, tradizioni diverse dalle
nostre, che fa del rispetto per l’altro da noi il proprio principio
guida. In definitiva il relativismo si presenta come
indissolubilmente legato al pluralismo: pluralismo di idee, di
valori, di culture. Ma è fondata questa pretesa del relativismo?
Basta approfondire un attimo la questione per rispondere no ad
una simile domanda. Il pluralismo può essere espresso e compreso
solo se esistono norme generali valide per tutti coloro che formano
la pluralità. Io posso dire che A è diverso da B solo se sono in
grado di vedere A e B, confrontarli fra loro e giudicarli diversi, in
breve, solo se dispongo di norme di giudizio che valgono sia per A
che per B e non sono relative né all’uno né all’altro. E allo
stesso modo, posso dire che il paese A non deve aggredire il paese B
e viceversa solo se faccio valere, sia verso A che verso B, i
principi della tolleranza reciproca, della civile convivenza, della
collaborazione; di nuovo, solo se dispongo di norme etiche che
valgono sia per A che per B e non sono relative a nessuno dei due. La
tolleranza ed il rispetto possono governare i rapporti fra culture
solo se rispetto e tolleranza valgono come norme interculturali, gli
esseri umani possono rispettarsi a vicenda solo se il reciproco
rispetto diventa una norma universale che vale per tutti e che tutti
devono seguire. Senza universalismo non esiste vero pluralismo, né
vera tolleranza, né vero rispetto, né vera comunicazione fra
individui, stati, culture, civiltà. Ma è proprio questo
universalismo l’oggetto privilegiato della critica distruttiva dei
relativisti! I relativisti distruggono e dileggiano l’universale,
riducono ogni norma ed ogni valore nel ristretto ambito del contesto,
della classe sociale, della civiltà, addirittura del singolo
individuo e con ciò privano sé stessi e tutti gli esseri umani di
qualsiasi norma di giudizio e di valutazione.
Nella visione dei
relativisti un contesto socio culturale, una civiltà diventano ipso
facto un sinistro universo totalitario perché nulla, assolutamente
nulla mette in grado chi non è membro di quel contesto o di quella
civiltà di giudicare qualsiasi cosa che in essa avvenga. E non solo
chi è esterno a quel certo contesto è impossibilitato a criticarne
le norme interne: tale impossibilità riguarda inevitabilmente anche
chi vive in quel contesto, in quella civiltà. Come posso protestare
contro le norme etiche della mia cultura se io stesso altro non sono
che l’espressione di tale cultura? E che senso ha protestare contro
certe norme se il solo fatto di essere interne ad una cultura le
rende valide? Una donna islamica non può protestare contro la legge
che stabilisce che le adultere siano lapidate: quella è la legge del
suo contesto ed in questo essa è, per i relativisti, infallibilmente
valida. Se protestasse contro tale legge dovrebbe o appellarsi a
leggi che valgono in altri contesti o ad una legge universale che
riguarda gli esseri umani in quanto tali e che obbliga tutti al
rispetto dei loro simili, dovrebbe insomma uscire dal contesto,
superare il relativo per fare appello all’universale, ma è
precisamente questo che il relativismo vieta.
Se leggi razionali e
norme morali valgono non per gli esseri umani tutti ma solo in certi
contesti socio culturali uscire da questi è impossibile e non è
solo impossibile, è anche malvagio. Un occidentale che critichi la
lapidazione per le adultere fa mostra di boria imperialista: con
intollerabile arroganza costui cerca di applicare ad altre civiltà
norme che valgono solo in una certa civiltà. E se a criticare la
lapidazione è un islamico? Se una donna islamica non vuole
essere lapidata e rivendica il suo diritto a non esserlo? Che dire di
lei? Facile, si può solo dire che questa donna è succube di
un’altra cultura, segue l’imperialismo culturale dell’occidente.
Eliminato l’universale, distrutta ogni possibilità di richiamarsi
al genericamente umano non resta al relativista che accettare tutto,
conferire valore assoluto ad ogni norma, ogni legge, ogni uso che
caratterizzi qualsivoglia cultura o civiltà. Ciò che gli esseri
umani fanno deve essere sempre accettato se riesce a diventare uso o
costume o meglio ancora norma condivisa o legge. Ciò che si afferma,
ciò che è abbastanza forte per affermarsi, può tranquillamente
schiacciare le persone e le persone non hanno neppure il diritto di
protestare. La norma, l’uso, la tradizione, la legge sono tutto,
gli esseri umani, i singoli esseri umani in carne ed ossa nulla. Il
mondo del relativista, un triste mondo diviso in tante monadi
incomunicabili, mostra così il suo sinistro volto totalitario.
Distrutto l’universale a dominare sono tanti totalitarismi, tanti
mondi chiusi e incomunicabili al cui interno valgono norme che
nessuno può contestare.
In un solo caso il relativismo può sfuggire al totalitarismo. Si tratta di quel particolare tipo di relativismo che teorizza che è il singolo, concreto, essere umano ciò a cui tutto va relativizzato. In effetti se il singolo diventa l’ente a cui tutto deve essere relativizzato non esiste alcun pericolo che i singoli siano schiacciati da superiori entità. Il singolo in questo caso non viene ridotto a mera componente di un tutto perché è lui stesso un tutto, anzi, il tutto; il mondo non schiaccia più il singolo perché ogni singolo essere umano diventa il centro del mondo. Ma questo non porta ad alcun rispetto generalizzato, ad alcuna pacifica convivenza o collaborazione fra gli esseri umani. Diventato centro del mondo, fonte incontestata e incontestabile da cui sorgono insieme il vero ed il bene il singolo può tranquillamente disprezzare gli altri, distruggere, se può, gli altri. Eliminata la norma etica universale ognuno può fare di sé stesso il giudice del bene o del male, distrutta ogni intersoggettività chiunque può proclamare che la sua ragione è la vera ragione, che la sua verità è la verità autentica e incontestabile. Il disprezzo per gli esseri umani, per i singoli esseri umani, diventa pratica generalizzata, il nemico potenziale dell’uomo diventa o può diventare ognuno di noi. Il relativismo individualista sembra allontanarsi dal totalitarismo ma lo fa solo per ricadere nel nichilismo più distruttivo che riproduce tutte le brutture del totalitarismo.
Distrutto ogni tipo di
universale il relativismo priva l’uomo di ogni possibilità di
comprensione, comunicazione, giudizio etico. L’esistente viene ad
essere assolutizzato nel momento stesso in cui viene sottratto ad
ogni possibile critica. Il singolo essere umano, si proprio lui, il
soggetto privilegiato dei relativisti, si trova così senza difesa
alcuna nei confronti di chi lo schiaccia e lo opprime. Tranne che nel
caso del relativismo individualistico e più marcatamente nichilista,
il tutto, il tutto della civiltà, della classe, del contesto socio
culturale, del sesso fa valere la sua assoluta supremazia nei
confronti della parte, la totalità prevale, prevale assolutamente,
nei confronti della particolarità e della singolarità. Il
pluralismo viene così distrutto o meglio, viene distrutto il
pluralismo autentico, il pluralismo degli individui, delle idee,
degli interessi e dei valori, quello che si accorda con e si basa su
l’universalismo. Resta un altro, sinistro pluralismo. Il pluralismo
degli assoluti, il pluralismo dei mondi chiusi e fra loro
incomunicabili, non paragonabili, né giudicabili da nessuno. E’
questo tipo di pluralismo ad essere oggi largamente presente in
occidente. Purtroppo.
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