sabato 8 giugno 2013

LIBERTA' ED UGUAGLIANZA. UNO



Forma contro sostanza?

Da più di un punto di vista la libertà è legata all’eguaglianza. Non può esistere libertà se tutti non sono eguali davanti alla legge, se esistono norme che favoriscono, o sfavoriscono, certi ceti sociali, o certe razze o certe confessioni religiose. Il liberalismo non sostiene la libertà del singolo inteso come unico singolo, sostiene la libertà di tutti i singoli, la libertà generalizzata, e questo implica necessariamente l’eguaglianza o meglio, certe forme di eguaglianza, in primo luogo l’eguaglianza giuridica, l’eguaglianza dei diritti. Il liberalismo è anche compatibile con una certa eguaglianza di condizioni economiche. Scuola gratuita per tutti, varie forme di assicurazione sociale, sussidi di disoccupazione e politiche di sostegno della domanda, anche se affondano le loro origini nella tradizione socialista e socialdemocratica si sono dimostrate del tutto compatibili col liberalismo. Nei grandi paesi democratici dell’occidente il confronto politico verte sulla quantità e sulla qualità dell’azione statale volta a garantire condizioni decorose di vita a tutti, non sulla legittimità di una azione di questo tipo; allo stesso modo in questi paesi nessuno (o quasi) contesta l’economia di mercato ma ci si divide semmai sui suoi limiti e sui controlli a cui deve essere assoggettata.
Per i critici del liberalismo tutto questo però non può assicurare agli esseri umani una libertà vera, una vita davvero degna di essere vissuta. Le condizioni di relativo benessere economico che liberali e socialdemocratici hanno realizzato nei paesi da loro governati altro non sono per costoro che strumenti miranti a permettere al sistema di superare le proprie crisi e continuare ad opprimere i lavoratori. I critici di estrema sinistra del liberalismo e della socialdemocrazia sono persone esenti da ogni dubbio: il sistema democratico liberale, l’economia di mercato sono qualcosa di oppressivo, questo è vero a priori. Se ammortizzatori sociali e politiche anticicliche permettono al sistema di superare le sue crisi, questo vuol dire che si tratta di cose intrinsecamente negative; che poi queste cose “negative” garantiscano ai lavoratori un livello di vita almeno decente è del tutto secondario, anzi, è un fatto criticabile perché distrae gli stessi lavoratori dai loro “veri” obiettivi.
Com’è ovvio però sono le libertà formali ad essere l’oggetto delle critiche più severe. La libertà di fronte alla legge è un inganno, anzi, costituisce la legittimazione prima di ogni forma di disuguaglianza. Trattare nello stesso modo A e B che sono diseguali significa sancire la disuguaglianza fra loro. I diritti dell’uomo nel momento stesso in cui garantiscono la formale uguaglianza di tutti sostengono e istituzionalizzano la disuguaglianza reale fra gli esseri umani. Ma dove impera la disuguaglianza reale la libertà non è autentica, dove l’uguaglianza è solo formale anche la libertà è solo formale. Nella società borghese l’uomo, formalmente libero, è realmente in catene. La più dura oppressione economica e sociale costituisce in questa società il contraltare della libertà formale, lo sfruttamento è l’altra faccia dei diritti umani, il dominio di classe costituisce l’essenza, il volto nascosto della libertà.

E’ stato Karl Marx a teorizzare in maniera estremamente rigorosa il carattere illusorio e mistificante della libertà formale. I diritti dell’uomo emancipano politicamente gli esseri umani, afferma Marx nella “Questione ebraica”. Il riconoscimento della libertà garantisce formalmente a tutti di acquisire ricchezze e potere, senza alcun riguardo al diritto di nascita; i diritti dell’uomo impediscono che il rampollo di una nobile famiglia possa acquisire grandi proprietà grazie ai privilegi del censo. Nella società borghese moderna l’uomo vale in quanto tale, in quanto generico essere umano, non in quanto patrizio o plebeo, nobile o villano. “Lo stato in quanto stato annulla ad esempio, la proprietà privata, l’uomo dichiara soppressa politicamente la proprietà privata non appena esso abolisce il censo per l’eleggibilità attiva e passiva” (1) Ma abolire il censo quale fonte di accesso alla proprietà non abolisce affatto la proprietà, al contrario: “con l’annullamento politico della proprietà privata non solo non viene soppressa la proprietà privata, ma essa viene addirittura presupposta. Lo stato sopprime nel suo modo le differenze di nascita, di condizione, di educazione, di occupazione dichiarando che nascita, condizione, educazione, occupazione non sono differenze politiche (…) nondimeno lo stato lascia che la proprietà privata, l’educazione, l’occupazione, operino nel loro modo cioè come proprietà privata, condizione, educazione, occupazione e facciano valere la loro particolare essenza. Ben lungi dal sopprimere queste differenze di fatto, lo stato esiste piuttosto in quanto le presuppone ” (2)
Il discorso è molto chiaro: libertà ed uguaglianza formale non aboliscono ciò che di fatto opprime l’uomo, ma lo presuppongono e lo eternizzano; l’emancipazione politica non solo non realizza l’emancipazione umana ma ne allontana la realizzazione. Non si tratta, come alcuni hanno sostenuto, di posizioni giovanili, poi superate dal Marx maturo. Il legame fra libertà formale ed oppressione è presente nel “Capitale” e costituisce la parte centrale della marxiana teoria del valore, ove il fondatore del socialismo scientifico cerca di dimostrare che lo sfruttamento nasce dal libero scambio di equivalenti, dal rapporto privo di coercizione fra soggetti formalmente liberi ed uguali.
Ma c’è un altro aspetto che merita di essere sottolineato. La situazione di sfruttamento e di schiavitù reale che la libertà e l’eguaglianza formali presuppongono e sostengono nasce a sua volta dall’isolamento dell’uomo, dalla situazione di atomizzazione in cui egli deve vivere nella società borghese moderna. Lo sviluppo capitalistico distrugge i legami arcaici che nei precedenti modi di produzione tenevano uniti gli esseri umani, fa di ogni uomo un singolo in perenne lotta con tutti gli altri, un atomo sociale privo di rapporti che non siano conflittuali con gli altri atomi sociali. La rottura del legame organico fra gli esseri umani sarebbe alla base della penosa situazione moderna in cui l’uomo ha perso la sua umanità e vive solo per lottare contro i suoi simili. “i cosiddetti diritti dell’uomo” afferma Marx sempre nella Questione ebraica “non sono altro che i diritti del membro della società civile, cioè dell’uomo egoista, dell’uomo separato dall’uomo e dalla comunità” (3)
Poco più avanti Marx riporta la definizione di libertà della famosa dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1791: “La liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autrui” e così commenta: “La libertà è dunque il diritto di fare ed esercitare tutto ciò che non nuoce ad altri. Il confine entro il quale ciascuno può muoversi senza nocumento altrui, è stabilito per mezzo della legge, come il limite fra due campi e stabilito per mezzo di un cippo. Si tratta della libertà dell’uomo in quanto monade isolata e ripiegata su sé stessa (..) il diritto dell’uomo alla libertà si basa non sul legame dell’uomo con l’uomo ma piuttosto sull’isolamento dell’uomo dall’uomo. Esso è il diritto a tale isolamento, il diritto dell’individuo limitato, limitato a sé stesso.” (4)
Dopo la libertà è la proprietà a diventare l’oggetto degli strali marxiani: “Il diritto dell’uomo alla proprietà è il diritto all’egoismo (..) essa lascia che ogni uomo trovi nell’altro non già la realizzazione ma piuttosto il limite della sua libertà” (5). Né sorte migliore tocca al diritto alla sicurezza: “la sicurezza è il più alto concetto sociale della società civile, il concetto della polizia, che l’intera società esiste unicamente per garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e della sua proprietà (…) la sicurezza è piuttosto l’assicurazione del suo egoismo” (6)

E’ difficile equivocare il senso del discorso marxiano. Per il filosofo liberale Isaiah Berlin non esiste libertà se non esiste uno spazio che è solo del singolo, uno spazio in cui solo lui ha diritto di decidere. Secondo questa concezione l’uomo ha anche il diritto di restare isolato, non a caso Kant parla espressamente del diritto alla solitudine, del diritto di mettere una certa distanza fra se e gli altri. E' proprio questo che  fa letteralmente orrore a Marx: l’individuo isolato la cui libertà limita la libertà altrui ed è da questa limitata, costituisce un elemento essenziale della concezione liberale della libertà. Se sono libero ho il diritto di essere amico di alcuni ed non amico di altri, ho diritto di amare ma anche di non amare, ho diritto di formare con alcuni miei simili delle comunità basate sull’amore e la reciproca collaborazione (si pensi alla famiglia), ma ho anche il diritto di competere, pacificamente e rispettando certe regole, con altri esseri umani. Il singolo insomma ha un valore in quanto tale e riconoscere la sua libertà significa anche tutelarlo dagli altri, non solo da quegli altri che hanno verso di lui mire aggressive, ma anche da coloro che vogliono imporgli il loro amore a la loro benevolenza. Per Marx invece la libertà coincide con la restaurazione di una originaria (e mitica) unità organica di ogni individuo con tutti gli altri. Si è liberi se si supera la separazione fra io e tu, me e te, noi e loro, se io, tu, noi, loro formiamo un insieme armonico e privo di ogni possibile contrasto. In Marx il soggetto libero è una misteriosa entità metafisica, non l’io empirico, il singolo essere umano che vive qui ed ora nel mondo, ma un io collettivo che dovrebbe superare la parzialità egoistica dell’io empirico, del singolo che limita gli altri ed è da questi limitato. E se questo io collettivo nei fatti non da segno alcuno di esistere, se in concreto gli io empirici rifiutano l’armonica fusione nel tutto storico sociale che dovrebbe precederli, se gli esseri umani dimostrano di essere attaccati alla loro particolarità egoistica e limitata e non seguono i consigli di chi li invita a trascenderla, sarà sempre possibile obbligarli ad andare oltre i loro limiti. La libertà reale, la sostanza opposta alla forma della libertà potrà essere imposta agli esseri umani; come già vagheggiato prima di Marx da Rousseau, questi potranno essere obbligati ad essere liberi.

La contrapposizione fra libertà formale e libertà sostanziale o reale è in realtà piuttosto insensata. Ogni libertà e ogni diritto che garantisce qualche libertà hanno in sé un ineliminabile aspetto formale. La libertà di parola mi consente di dire X o il contrario di X, la libertà privata mi consente di sposarmi o non sposarmi, di avere o non avere figli; se sono libero di scegliere il mio lavoro potrò fare il bancario o il metalmeccanico. Se in nome della libertà reale o sostanziale qualcuno mi imponesse cosa dire, con chi sposarmi, che lavoro fare costui avrebbe molto semplicemente distrutto la mia libertà. La critica marxiana della libertà e della eguaglianza “solo” formali non si basa in realtà su considerazioni sull’uomo e i suoi diritti e neppure su ricerche di antropologia empirica. Si basa su una concezione aprioristica della storia che nel suo corso andrebbe verso una unificazione organica degli esseri umani. La storia partirebbe dalla (presunta) unità organica della comunità comunista primitiva, dopodichè, attraversate le fasi della separazione atomistica, della alienazione e dello sfruttamento, raggiungerebbe nel comunismo un nuovo e più elevato grado di unificazione fra gli uomini. Il traguardo finale della storia vedrebbe la pacificazione fra uomo e natura, individuo e società, essenza ed esistenza umana. Gli uomini daranno vita ad una superiore organizzazione sociale in cui la possibilità stessa di frizioni fra loro sarà scomparsa per sempre, il garantismo diventerà inutile perché non ci sarà più nessuno da garantire, lo stato si estinguerà. Non esisteranno conflitti di alcun tipo fra i membri di questa società armoniosa, l’io si integrerà totalmente col tu, i miei interessi, le mie aspirazioni saranno anche le tue, le sue, le loro. Un bel sogno, non c’è che dire. Un bel sogno che però non può diventare realtà. Non può farlo perché l’io non può risolversi integralmente nel tu senza annullarsi in quanto io, un uomo non può diventare puro elemento di un organismo sovra individuale senza cessare di essere quello che è: un singolo dotato della sua insopprimibile autonomia. Non è un caso allora che questo bel sogno si sia trasformato con estrema facilità nel più angoscioso degli incubi non appena l’avanguardia cosciente del progresso storico ha imposto agli uomini in carne ed ossa la sua non verificata concezione del mondo. La libertà e l’eguaglianza formali sono state sostituite non dai loro corrispettivi reali o sostanziali ma da orrende, e realissime, forme di ineguaglianza e di schiavitù. La storia, quella vera, non quella costruita su mistificanti dialettiche aprioristiche, di solito non tiene conto delle profezie.




Note

1) Karl Marx: La questione ebraica. Editori riuniti 1974 pag. 57. Sottolineature di Marx

2) Karl Marx: Opera citata pag. 57. Sottolineature di Marx.

3) Karl Marx: Opera citata pag. 70. Sottolineatura di Marx.

4) Karl Marx: Opera citata pag. 71. sottolineature di Marx.

5) Karl Marx: Opera citata pag. 72. Sottolineature di Marx.

6) Karl Marx : opera citata pag. 72 73. Sottolineature di Marx.





John Ralws

 

Eguaglianza reale

Su un punto i critici della libertà e della uguaglianza solo formali hanno ragione. La libertà e l’uguaglianza formale sono compatibili con disuguaglianze reali anche assai marcate. Il diritto uguale non può eliminare le disuguaglianze reali, non può farlo appunto perché è uguale. Trattare nella stessa maniera persone diseguali significa far si che continuino a restare diseguali, assoggettare tutti alle stesse norme vuol dire permettere a chi è più dotato di altri di emergere. Questo appare particolarmente evidente nello sport: arbitrare senza favoritismi una partita di calcio fra il Brasile e una squadretta di dilettanti significa far vincere il Brasile, e lo sport, lo si sa, è spesso una metafora della vita.
D’altro canto nessuno di noi ha particolari colpe o meriti per essere quello che è. Tizio non è “responsabile” di essere poco intelligente esattamente come Caio non ha alcun merito per essere nato intelligentissimo; è giusto che chi ha un gran fisico possa far carriera nello sport mentre chi è grassoccio o gracilino possa al massimo disputare una partitella fra amici? La natura è spesso assai ingiusta nel distribuire i suoi doni agli esseri umani e gli esseri umani non hanno colpe o meriti di alcun tipo per ciò che ricevono in questa distribuzione. Ben lungi dall’essere uguale il diritto dovrebbe essere diseguale, dovrebbe trattare diversamente i diversi, favorire chi è stato sfavorito da madre natura, solo in questo modo l’ingiusta distribuzione dei suoi beni potrebbe essere, almeno in parte, corretta.
Anche un filosofo liberale come John Ralws ha sostenuto, nella sua opera più importante, "una teoria della giustizia", concezioni che possono in qualche modo richiamare l'idea di una "redistribuzione" dei doni che la natura concede in maniera diseguale agli esseri umani.  Quali criteri di giustizia sceglieremmo se dovessimo fare la scelta in una situazione di "ignoranza originaria"? Si chiede Rolws.  Se non sapessimo a quale classe sociale apparteniamo ed inoltre se siamo intelligenti o sciocchi, belli o brutti, forti o deboli, abili o disabili che scelta faremmo sui criteri di distribuzione delle ricchezze? Accetteremmo che i più dotati debbano avere di più se non sapessimo se siamo più o meno dotati della media? La risposta di Ralws, com'è noto, è che in questo caso sceglieremmo di considerare asccettabili solo quelle disuguaglianze che si risolvono in un vantaggio per tutti. Non è il caso di sottoporre a critica queste conclusioni, lo ha fatto in maniera molto penetrante un altro grande filosofo politico americano: Robert Nozick in "Anarchia stato e utopia", quello su cui mi interessa concentrare l'attenzione è il punto di partenza di Rolws, e non solo: quello di un individuo del tutto staccato dalla totalità delle sue caratteristiche empiriche.   

Davvero potremmo scegliere qualcosa in una situazione di ignoranza originaria? che scelta può fare un essere umano che non sappia se è sciocco  o intelligente, bello o brutto, simpatico o antipatico, che non sappia nulla dei suoi gusti e delle sue preferenze, delle sue aspirazioni e dei suoi sentimenti, della propia avversione o predisposizione al rischio? E per scegliere non occorre forse un certo livello di intelligenza? E una tale caratteristica, se è necessarai alla scelta, non costituisce in fondo una deroga alla ralwsiana ignoranza originaria?
Il diritto diseguale come correttivo della natura e delle sue ineguaglianze, la consapevole ed equa azione degli uomini contro l’iniqua distribuzione dei beni della natura, o, nella concezione di Ralws, una distribuzione equa delle ricchezze che in qualche modo "compensi" tale iniqua distribuzione naturale dei beni. Cosa c'è, dietro a posizioni di questo tipo se non il tentativo, l’ennesimo, di reagire contro il nostro essere dati? Il punto di partenza del nostro discorso era che "nessuno di noi ha colpe o meriti per essere quello che è". Ma, si tratta di un punto di partenza sensato, o non è piuttosto indice di un colossale equivoco?   
E' vero: nessuno di noi ha colpe o meriti per essere quello che, ma, cos’altro è ognuno di noi se non quello che è? Io non ho meriti se sono bello, sano, forte, intelligente e simpatico ma esisto io al di fuori del mio essere bello, sano, forte, intelligente, simpatico? Esiste un io che sia qualcosa di anteriore alla totalità delle sue qualità? Un io che prescinda dal suo carattere, dalla sua intelligenza, dalla sua volontà, dal suo aspetto fisico, eccetera? Chi parla di meriti e colpe (o meglio, di mancati meriti e colpe) per le caratteristiche che madre natura ci ha donato dimentica che noi siamo precisamente la totalità di quelle caratteristiche; non siamo una X, una essenza astratta cui successivamente vengano attribuite delle caratteristiche, siamo l’insieme coordinato, coeso e, forse, autodiretto, di queste caratteristiche, si tolgano queste e parlare di io, dei suoi meriti, delle sue colpe o dei suoi mancati meriti e colpe diventa privo di senso, e diventa privo di senso parlare delle scelte di questo io. Siamo esseri dati, ognuno con le sue qualità ed i suoi difetti. La nostra libertà è la libertà di esseri dati, l’uguaglianza che può esistere fra noi non deve né può prescindere dalla nostra datità. Si tratta di eguaglianza fra persone che sono diverse perché hanno caratteristiche diverse, non di eguaglianza fra entità astratte che esistono al di fuori di queste.

Per il pensiero liberale ciò che va riconosciuta e rispettata è la persona umana per ciò che essa è, con tutto ciò la rende unica e diversa da tutte le altre. Il soggetto dell’eguaglianza liberale non è una X anteriore all’uomo che vive qui ed ora nel mondo, è precisamente questo uomo, questo insieme unico, diverso da tutti gli altri, di qualità, difetti, caratteristiche. E’ questo ente che va tutelato, rispettato difeso, è di questo ente che occorre riconoscere la libertà, è questo ente che va considerato uguale, formalmente uguale agli altri.
Chi pretende di ridistribuire fra gli esseri umani i doni della natura in realtà non rispetta gli esseri umani per ciò che empiricamente essi sono (è chiaro che questo discorso non riguarda Ralws, per quanto si possano considerare discutibili certe sue posizioni). Per costoro  io non sono Tizio con un certo carattere, una certa intelligenza, un certo aspetto fisico eccetera, sono una X, una astratta essenza umana, cui un sapiente legislatore (o anche una maggioranza democraticamente eletta) attribuirà un nuovo carattere, una nuova intelligenza, un nuovo aspetto fisico. Il tentativo prometeico di rendere gli esseri umani "realmente" uguali fra loro passa inevitabilmente per la distruzione della libertà degli esseri umani dati, degli uomini in carne ed ossa che vivono sul pianeta terra.
Qualcuno può considerare eccessive queste ultime affermazioni? Non lo sono affatto, bastano pochi esempi a confermarlo.
Tizio gode di buona salute ed ha due reni in ottime condizioni; Caio invece è piuttosto malaticcio e soffre di gravi problemi renali. Siamo di fronte, come si vede ad una grave ingiustizia che madre natura ha commesso ai danni di Caio, ingiustizia a cui occorre far fronte. Sarebbe allora accettabile che Tizio fosse costretto a donare uno dei suoi reni a Caio? Per il teorico della uguaglianza reale non dovrebbero esserci esitazioni: Tizio non ha meriti per avere due reni sani né Caio colpe per averli malati. Cedendo uno dei suoi reni a Caio, Tizio non farebbe altro che riparare, o rendere meno stridente, l’ingiusta distribuzione dei beni naturali fra lui e Caio. Uno stato che obbligasse Tizio a cedere un rene a Caio metterebbe in atto l’eguaglianza reale, i sostenitori di questa dovrebbero richiedere a gran voce una misura di questo genere.
Altro esempio. Francesca è una bella ragazza, è disinibita ed ha una vita affettiva e sessuale felice. Mario invece è brutto, timido e un po’ antipatico, nessuna ragazza gli concede le sue grazie. Se davvero si vuole ottenere un po’ di uguaglianza reale Francesca andrebbe costretta a far l’amore con Mario e magari anche a simulare un po’ di simpatia per lui.
Esempio limite: il signor Giovanni ha sessanta anni ma gode di ottima salute ed ha un cuore in perfetto stato. Luigi invece ha solo venti anni ma è molto malato, il suo cuore è in pessime condizioni, morirà se entro pochi giorni se non ci sarà un trapianto. Anche se riceverà un cuore nuovo comunque Luigi con tutta probabilità non potrà vivere ancora per più di un decennio. Perché l’anziano Giovanni non dovrebbe donare il suo cuore a Luigi, morire per lui? Giovanni in fondo ha vissuto sessanta anni, il povero ragazzo invece al massimo arriverà ai trenta. Giovanni è già stato molto più fortunato di Luigi, perché accrescere ancora il divario fra loro? Perché Giovanni dovrebbe vivere fino a ottanta e più anni mentre Luigi dovrebbe spegnersi a venti? In nome della uguaglianza reale Giovanni andrebbe ucciso per far vivere Luigi.
Tutti questi esempi ci presentano situazioni che contrastano profondamente con i sentimenti morali della stragrande maggioranza degli esseri umani. Chiunque sente che è inaccettabile e profondamente ingiusto obbligare una ragazza a far l’amore con un uomo che a lei non piace, o costringere un essere umano a morire per un altro o anche solo a cedergli un suo organo vitale. Ma cosa giustifica questo sacrosanto sentimento di rifiuto? Precisamente la considerazione che ogni essere umano è un fine in sé, una persona da rispettare per ciò che essa è, un soggetto di diritto che per il solo fatto di esistere pone dei vincoli all’azione degli altri. Nessuna volontà di realizzare una maggiore equità, nessun tentativo di ridurre le disuguaglianze fra gli esseri umani possono giustificare che i diritti fondamentali dei singoli vengano calpestati. Io ho diritto di vivere tutta la mia vita, ed anche se è orribile che un giovane debba morire a venti anni nessuno mi può obbligare a morire al suo posto. Ognuno di noi ha diritto di essere rispettato per quello che è, con tutto ciò che lo rende diverso, e quindi anche più o meno fortunato, da tutti gli altri. Si distrugga in nome della uguaglianza reale questo diritto e si apre la via che conduce alla peggior barbarie.

Il tentativo di rendere tutti realmente uguali gli esseri umani porta alla distruzione totale della loro libertà e si scontra con basilari considerazioni e sentimenti morali. A prescindere da questo tuttavia è possibile chiedersi se tale tentativo possa essere in qualche modo coronato dal successo o non sia invece radicalmente impossibile, impossibile perché intimamente contraddittorio.
Facciamo un esperimento mentale. Un saggio legislatore, aiutato da una equipe di grandi scienziati, è riuscito a rendere tutti uguali gli esseri umani. Non ci sono più i forti e i deboli, i simpatici e gli antipatici, gli intelligenti e gli sciocchi. Tutti sono eguagliati fra loro ad un certo livello, ognuno ha perso qualcuna o tutte le sue caratteristiche ed è ora un uomo (o una donna) del tutto nuovo, con caratteristiche nuove e diverse, uguali a quelle di tutti gli altri. Si può subito obiettare che un simile esperimento è impossibile, visti le attuali e le prevedibili conoscenze scientifiche; si può anche dire che si tratterebbe comunque di qualcosa di mostruoso, il punto però ora non è questo. Il punto è che un simile esperimento non può ottenere ciò che cerca, la reale eguaglianza di tutti, non può ottenerla per ragioni logiche prima ancora che empiriche o etiche. Cerchiamo di vedere perché.
Tizio aveva, prima dell’esperimento, un livello di intelligenza pari a 100, Caio invece pari a 20. Ora entrambi hanno un livello pari a 60, sono uguali. Laura aveva la qualità X, Luisa la qualità Y, ora hanno entrambe la qualità Z, sono uguali. Giudichiamo pure negativamente questo fatto, diciamo pure che è empiricamente impossibile, dovremo comunque ammettere che almeno in teoria una simile situazione è raggiungibile: Tizio e Caio, Laura e Luisa sono uguali, quale che sia il giudizio che noi diamo su questo fatto. Invece no, questa eguaglianza non è raggiungibile! Il fatto che Tizio e Caio abbiano lo stesso livello di intelligenza, che Laura e Luisa abbiano le stesse qualità non soddisfa in egual modo Tizio e Caio, Luisa e Laura. Per Tizio che era al livello 100, trovarsi al livello 60 è fonte di frustrazione, per Caio che partiva da una situazione diversa è fonte invece di soddisfazione. Laura era contenta della sue qualità, Luisa no. Il fatto che entrambe abbiano ora le stesse qualità, diverse dalle originarie, renderà felice Luisa ed infelice Laura. Anche dopo che le loro caratteristiche sono state rese uguali Tizio e Caio, Laura e Luisa restano diseguali. Trattare in maniera uguale i diseguali non elimina le disuguaglianze fra loro, ma trattare in maniera diseguale chi è diseguale è fonte a sua volta di nuovi tipi di disuguaglianze. Rendere tutti uguali non è possibile perché l’atto stesso di eguagliare tutti ha conseguenze diseguali su ognuno di noi. Metterci tutti la stessa divisa non ci renderà uguali perché ognuno reagirà diversamente all’ordine di indossarla.
Solo in un caso l’eguagliare tutti non creerebbe nuovi tipi di disuguaglianze. Affinché questo avvenga il generale appiattimento, l’eguaglianza forzata di tutti dovrebbe creare degli esseri umani che hanno rotto completamente i ponti col loro passato, uomini “nuovi” che neppure ricordano le loro vecchie preferenze, qualità, modi di pensare. Tizio in questo caso non soffrirebbe per il fatto di essere a livello 60 per il semplice fatto che neppure ricorderebbe di essere fino a ieri stato a livello 100; Laura non rimpiangerebbe le qualità che ha perso per il semplice fatto che sarebbe una persona nuova che nulla sa di esse. In questo caso nessuno sarebbe infelice né felice per il cambiamento che ha dovuto subire, tutti saremmo nuovi, rigenerati e soprattutto uguali. Ma questa “rigenerazione” corrisponderebbe all’omicidio di massa di tutti coloro che la hanno subita. Se svegliandomi domani io fossi un uomo del tutto nuovo, dimentico addirittura di ciò che fino ad oggi sono stato, io sarei morto, morto e sostituto da un altro. Il cambiamento totale di un io, la cancellazione dei suoi ricordi, del suo carattere, del suo modo di pensare, dei suoi sentimenti equivale alla sua uccisione. Se io diventassi da un momento all’altro un uomo del tutto nuovo cesserei di esistere, un altro avrebbe preso il mio posto. L’eguaglianza totale e senza rimpianti può nascere solo da una cesura senza precedenti, dalla soppressione di chi si intende eguagliare. L’eguaglianza “reale”, se fosse possibile, affonderebbe le sue radici nella più radicale ineguaglianza che possa essere concepita. Per essere uguali e senza rimpianti gli esseri umani attualmente viventi dovrebbero sparire per far posto ad altri, nessuno può concepire qualcosa di più radicalmente diseguale.
Un’ultima considerazione. Per eguagliare tutti occorre che tutti si adeguino ad un certo modello, ma chi sceglie il modello a cui tutti devono adeguarsi? La scelta del modello non può ovviamente essere lasciata ai singoli, se così fosse infatti tutti sceglierebbero il modello che più loro aggrada e non si realizzerebbe nessun tipo di uguaglianza. Potrebbe essere la risultante di elezioni democratiche ma in questo caso chi risultasse perdente si vedrebbe imposta dai vincitori nientemeno che la propria natura; non è una bella prospettiva andare a votare sapendo che se si perde si diventa persone del tutto diverse da quelle che si è, che il vincente non si limiterà a governarci ma potrà trasformarci a suo piacimento. Neppure la prospettiva “elettorale” appare quindi minimamente realistica: nessuno accetterebbe mai di mettere ai voti una cosa simile. In realtà l’obiettivo di rendere tutti uguali gli esseri umani implica interventi contro la loro libertà di tale ampiezza e spessore che solo un governo dittatoriale dotato di poteri assoluti su tutti e tutto potrebbe compiere. Ancora una volta la più radicale disuguaglianza è la base, l’unica base possibile della eguaglianza reale.
































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